Il sistema multifasico di valutazione delle condizioni di salute del detenuto

20 Aprile 2022

Le Corte di cassazione è intervenuta, ancora una volta, sulla questione della compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario al quale è sottoposto, che ha affrontato, con esiti pienamente condivisibili, esaminando sia il tema della verifica giurisdizionale della situazione nosografica del condannato sia il tema dell'incidenza dell'emergenza pandemica da Covid-19 sulle patologie oggetto di vaglio.
La vicenda processuale e la questione sottoposta all'attenzione della Corte di cassazione

La vicenda processuale su cui si innesta l'intervento della Corte di cassazione, che si commenta, trae origine dall'ordinanza con cui il Tribunale di sorveglianza di Catania rigettava l'istanza di differimento dell'esecuzione della pena per ragioni di salute, anche nella forma della detenzione domiciliare, che era stata formulata dal detenuto ai sensi degli artt. 147 c.p. e 47-ter, comma 1-ter, legge 26 luglio 1975, n. 354 (ord. penit.).

Il detenuto, in particolare, era recluso in espiazione della pena di venticinque anni di reclusione, che gli era stata irrogata nel processo di cognizione presupposto per i reati di omicidio e soppressione di cadavere; dati dosimetrici, questi, ritenuti rilevanti sotto il profilo dell'elevata pericolosità sociale del condannato, valutata prognosticamente dal Tribunale di sorveglianza di Catania.

In questa cornice, il Tribunale di sorveglianza di Catania riteneva che le patologie da cui il detenuto risultava affetto erano gestibili all'interno della struttura penitenziaria dove il ricorrente era ristretto, eventualmente ricorrendo a ricoveri saltuari in presidi ospedalieri esterni. Per effetto di queste condizioni nosografiche, si giungeva a ritenere le patologie da cui era affetto il detenuto compatibili con il regime carcerario attualmente patito, rispetto al quale non assumeva un rilievo decisivo l'emergenza pandemica da Covid-19 in corso di svolgimento, alla quale nel provvedimento impugnato ci si riferiva in termini epidemiologici generali.

Avverso questa ordinanza, veniva proposto ricorso per cassazione, con cui si censurava il provvedimento impugnato per la ritenuta insussistenza dei presupposti delle misure alternative alla detenzione richieste, nel denegare le quali non si era tenuto conto della particolare gravità delle patologie psichiche da cui era affetto il detenuto – che dovevano essere valutate alla luce dell'emergenza pandemica da Covid-19 in corso di svolgimento –, che risultava attestata dalla relazione sanitaria trasmessa dalla direzione dell'istituto penitenziario dove il condannato era attualmente ristretto e dai ripetuti atti autolesionistici posti in essere dal ricorrente, anche in tempi recenti.

La decisione della Corte di cassazione e le carenze valutative riscontrate nel provvedimento censurato

Il ricorso proposto dal detenuto veniva accolto dalla Corte di cassazione sulla scorta di un percorso motivazionale che appare opportuno segnalare all'attenzione dei lettori de ilPenalista, per l'acutezza degli argomenti utilizzati nell'affrontare la vicenda giurisdizionale in esame e la meritoria ricognizione dei parametri ermeneutici applicati nel caso di specie.

Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, nelle ipotesi di differimento facoltativo della pena, il tribunale di sorveglianza investito della richiesta del detenuto, deve verificare preliminarmente, la «compatibilità in astratto, tenendo conto dell'inquadramento nosografico della patologia che affligge il detenuto e della sua obiettiva gravità» (Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2022, n. 6300).

A questa prima verifica, occorre fare seguire un ulteriore accertamento giurisdizionale, finalizzato a verificare «se la patologia possa essere adeguatamente gestita in rapporto alle concrete caratteristiche dell'istituto in cui egli è ristretto (tenendo conto delle esigenze diagnostiche e delle modalità di somministrazione delle terapie di cui il soggetto necessita) e alle, eventuali, ulteriori strutture carcerarie dove poterlo trasferire» (Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2022, n. 6300, cit.).

Occorre, pertanto, accertare «se […] sia possibile assicurare i suddetti interventi diagnostico e terapeutici attraverso il ricorso allo strumento del ricovero in luogo esterno di cura […]» (Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2022, n. 6300, cit.). In questo contesto giurisdizionale, laddove «si ritenga, all'esito di tale composita valutazione, che non ricorra alcuna delle condizioni predette, è comunque necessario verificare l'incidenza della condizione detentiva sulla dignità della persona, al fine di accertare l'eventuale disumanità della pena» (Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2022, n. 6300, cit.).

Completata la ricognizione giurisdizionale sul versante della compatibilità delle condizioni di salute del detenuto in rapporto allo specifico contesto carcerario, occorre verificare ulteriormente, su un piano prognostico, se l'eventuale differimento dell'esecuzione della pena, ai sensi dell'art. 147 c.p. ovvero ai sensi dell'art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit., possa consentire al condannato di commettere nuovi reati, ricadendo nel crimine e vanificando le esigenze di prevenzione speciale proprie delle misure alternative alla detenzione. La previsione dell'art. 147, comma 4, c.p., infatti, consente il differimento dell'esecuzione della pena a condizione che l'interessato non sia un soggetto socialmente pericoloso ovvero quando non «sussista il concreto pericolo della commissione di delitti» (Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2022, n. 6300, cit.).

Quest'ultima verifica giurisdizionale, a sua volta, non può esaurirsi nella «astratta considerazione dei precedenti penali o degli eventuali carichi pendenti, ma deve essere contestualizzata e riferita alle condizioni di salute del soggetto, le quali potrebbero essere talmente scadute da incidere in maniera determinante sulla sua pericolosità» (Cass. pen., Sez. I, 28 gennaio 2022, n. 6300, cit.).

Sulla scorta di questa, esemplare, ricostruzione del contesto ermeneutico nel quale inserire le misure alternative alla detenzione invocate dal detenuto, la Corte di cassazione annullava l'ordinanza impugnata, sulla scorta di due ordini di ragioni, entrambi pienamente condivisibili.

La Corte di cassazione, innanzitutto, evidenziava che il Tribunale di sorveglianza di Catania, nell'esaminare l'istanza presentata dal detenuto, si era semplicemente limitato a «prendere atto di alcune valutazioni espresse nella relazione sanitaria […], senza confrontarsi, pur sollecitata da specifici rilevi espressi dall'interessato, con l'intero elaborato che evidenzia, in sede di conclusioni, criticità legate ad un elemento, l'età avanzata del detenuto, di particolare pregnanza perché considerato dall'ordinamento da solo sufficiente per l'applicazione, in favore del detenuto, di norme derogatorie in tema di detenzione carceraria […]» (Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2022, n. 6300, cit.).

Tra queste disposizioni, in particolare, la Suprema Corte richiamava l'art. 275, comma 4, c.p.p.; l'art. 163, comma 3, c.p.; l'art. 47-ter, comma 1, lett. d), ord. penit. L'applicazione di queste disposizioni, infatti, appariva indispensabile per valutare le condizioni di salute psichica del detenuto, ritenute alquanto problematiche, che, secondo quanto affermato nella sentenza della Corte costituzionale 20 febbraio 2019, n. 99, che veniva espressamente richiamata nella decisione in esame, sono «da sole rilevanti, ove assumano le caratteristiche di “grave infermità psichica”, per disporre l'applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit.» (Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2022, n. 6300, cit.).

Si evidenziava, al contempo, che il Tribunale di sorveglianza di Catania aveva omesso di compiere un'adeguata verifica giurisdizionale, pur doverosa, sull'eventuale incidenza dell'emergenza pandemica da Covid-19, tuttora presente, nello specifico contesto penitenziario, la «cui rilevanza, rispetto alla situazione specifica, è stata apprezzata solo ricorrendo alla massima di esperienza, secondo cui gli effetti della pandemia sarebbero sostanzialmente gli stessi sia in carcere sia all'esterno; impostazione che il legislatore ha chiaramente ritenuto insufficiente quando ha introdotto una disciplina speciale volta a fronteggiare l'emergenza Covid-19 in carcere, in particolare con il d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, ma anche con il d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla l. 25 giugno 2020, n. 70 […]» (Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2022, n. 6300, cit.).

Tale secondo passaggio, invero, riecheggia tematiche ermeneutiche più generali, riguardanti i pericoli, sempre incombenti, dell'apparenza motivazionale dei provvedimenti giurisdizionali, a proposito dei quali non può non richiamarsi la giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui «la motivazione apparente e […] inesistente è ravvisabile […] quando sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente» (Cass. pen., sez. V, 19 maggio 2010, n. 24862).

Il sistema multifasico di valutazione della compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario patito

La sentenza che si sta commentando si inserisce lodevolmente in un contesto ermeneutico consolidato, rispetto al quale introduce alcuni elementi di novità, riguardanti l'incidenza dell'emergenza pandemica da Covid-19 sulla valutazione della compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario sui quali è opportuno soffermarsi.

Occorre, in proposito, evidenziarsi che la Corte di cassazione, intervenendo ripetutamente sulla questione ermeneutica oggetto di vaglio, ha affermato che il giudizio di compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario patito deve essere formulato attraverso un bilanciamento delle esigenze terapeutiche individualizzate con la pericolosità sociale del condannato, che può essere eseguito solo mediante una verifica in concreto delle condizioni applicative della detenzione, che, alla luce delle considerazioni esposte nel paragrafo precedente, non si riteneva correttamente eseguita dal Tribunale di sorveglianza di Catania (Cass. pen., sez. I, 5 aprile 2013, n. 18439; Cass. pen., sez. I, 19 febbraio 2001, n. 17208).

Si è, inoltre, evidenziato che la sostituzione del regime carcerario con un'altra misura meno afflittiva non richiede necessariamente l'imminenza del pericolo di vita del detenuto, dovendosi, più semplicemente, assicurare che in ogni momento della restrizione patita l'offerta terapeutica sia individualizzata e risulti adeguata rispetto alla gravità delle condizioni di salute del condannato e dovendosi, al contempo, evitare che la protrazione dello stato detentivo si ponga come fattore di potenziale aggravamento delle patologie, con una valutazione da operarsi – in linea con quanto affermato nella pronunzia in esame – in concreto (Cass. pen., sez. I, 19 febbraio 2001, n. 17208; Cass. pen., sez. I, 7 dicembre 1999, n. 6952).

Né potrebbe essere diversamente, atteso che, in ossequio ai parametri affermati dalle previsioni degli artt. 27 e 32 Cost., la valutazione sull'incompatibilità tra il regime carcerario e lo stato di salute del recluso ovvero sulla possibilità che il mantenimento della detenzione di una persona ammalata costituisca un trattamento inumano o degradante deve essere effettuata comparativamente, tenendo conto delle condizioni nosografiche e di detenzione del condannato, che costituiscono il punto di riferimento ermeneutico insostituibile per valutare la portata sistematica delle misure alternative alla detenzione, che si ispirano al principio costituzionale dell'umanizzazione della pena (L. Daga, I sistemi penitenziari, in Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, diretta da F. Ferracuti, Giuffrè, Milano, 1988, XI, pp. 1 ss.).

Questa verifica giurisdizionale, che è demandata al tribunale di sorveglianza, quindi, comporta la formulazione di un giudizio prognostico non soltanto di astratta idoneità dei presidi sanitari eventualmente posti a disposizione del detenuto all'interno del circuito penitenziario, ma anche di adeguatezza dell'offerta terapeutica che, nella situazione concreta, è possibile assicurare al carcerato, tenuto conto delle patologie, fisiche o psichiche, che lo affliggono, nel valutare le quali non si può mai prescindere da una lettura costituzionalmente orientata del trattamento sanzionatorio, rispettosa del principio affermato dall'art. 27, comma 3, Cost. (A. Centonze, L'esecuzione della pena detentiva e la ricostruzione sistematica della nozione di gravità delle condizioni di salute del detenuto, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2006, 3, pp. 7 ss.).

Ne discende che sotto entrambi i profili valutativi richiamati, il percorso argomentativo seguito dal Tribunale di sorveglianza di Catania appariva viziato, atteso che, a fronte della conclamata gravità delle condizioni di salute psichica del detenuto, nel provvedimento impugnato ci si limitava ad affermarne l'astratta compatibilità con il regime carcerario patito, senza verificare se le modalità concrete della sua detenzione fossero concretamente compatibili con le sue condizioni nosografiche e, in caso negativo dell'accertamento, se vi erano altre strutture del circuito penitenziario dove potere trasferire il detenuto.

Si tratta, del resto, di una soluzione ermeneutica, che prefigura un sistema multifasico di valutazione della compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario imposto dalla giurisprudenza di legittimità consolidata, correttamente richiamata nella pronunzia in esame, secondo cui: «La valutazione sull'incompatibilità tra il regime detentivo carcerario e le condizioni di salute del recluso, ovvero sulla possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione di persona gravemente debilitata e/o ammalata costituisca trattamento inumano o degradante, va effettuata tenendo comparativamente conto delle condizioni complessive di salute e di detenzione, ed implica un giudizio non soltanto di astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici posti a disposizione del detenuto, ma anche di concreta adeguatezza delle possibilità di cura ed assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto» (Cass. pen., 5 luglio 2011, n. 30945, in Cass. C.E.D., n. 251478-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Cass. pen., sez. I, 5 marzo 2014, n. 37216; Cass. pen., sez. I, 24 gennaio 2011, n. 16681).

Si muove nella stessa direzione, il più recente intervento chiarificatore della Suprema Corte, secondo cui: «In tema di differimento dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai fini della valutazione sull'incompatibilità tra il regime detentivo e le condizioni di salute del condannato, ovvero sulla possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione costituisca trattamento inumano o degradante, il giudice deve verificare, non soltanto se le condizioni di salute del condannato, da determinarsi ad esito di specifico e rigoroso esame, possano essere adeguatamente assicurate all'interno dell'istituto di pena o comunque in centri clinici penitenziari, ma anche se esse siano compatibili o meno con le finalità rieducative della pena, alla stregua di un trattamento rispettoso del senso di umanità, che tenga conto della durata della pena e dell'età del condannato comparativamente con la sua pericolosità sociale» (Cass. pen., sez. I, 17 ottobre 2018, n. 53166).

L'incidenza dell'emergenza pandemica da Covid-19 sulla valutazione della compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario patito

In questa cornice, la Corte di cassazione introduceva, pregevolmente, un ulteriore elemento di valutazione, evidenziando che il percorso argomentativo seguito dal Tribunale di sorveglianza di Catania appariva incongruo, anche sotto un differente profilo, avendo omesso di correlare, nonostante l'età avanzata del detenuto, le conclamate patologie del ricorrente con l'emergenza sanitaria di Covid-19, tuttora in corso di svolgimento.

Il Tribunale di sorveglianza di Catania, infatti, si era limitato ad affermare la compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario patito, senza verificare se l'eventuale detenzione del condannato fosse concretamente compatibile con le infermità da cui risultava affetto, rese ulteriormente problematiche dalla sua età avanzata, tenuto conto dei rischi concreti di un possibile contagio pandemico da Covid-19; verifica nosografica, peraltro, impostagli sia dal d.l. n. 18/2020 sia dal d.l. n. 28/2020, espressamente richiamati dalla Suprema Corte, con le cui disposizioni, nel caso di specie, non ci si era confrontati.

Questa verifica giurisdizionale, del resto, non era eludibile, dovendosi ribadire ulteriormente che la valutazione della gravità delle condizioni di salute del detenuto e della, eventuale, incompatibilità con il regime carcerario patito deve essere effettuata sia in astratto, con riferimento ai parametri stabiliti dalla legge, sia in concreto, con riferimento alla possibilità di effettiva somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui il condannato necessita, anche tenuto conto dell'emergenza pandemica da Covid-19, tuttora in corso di svolgimento. Non può, in proposito, non richiamarsi un risalente intervento chiarificatore della Corte di cassazione, nel cui solco si inserisce pregevolmente la pronunzia di legittimità in esame, secondo cui «da un lato, la permanenza nel sistema penitenziario può essere deliberata se il giudice accerta che esistano istituti in relazione ai quali possa formularsi un giudizio di compatibilità, dall'altro, che tale accertamento deve rappresentare un prius rispetto alla decisione e non una mera modalità esecutiva della stessa rimessa all'autorità amministrativa» (Cass. pen., sez. VI, 10 gennaio 2018, n. 4117).

D'altra parte, una lettura sistematicamente orientata delle disposizioni contenute nel decreto-legge n. 18/2020 e nel correlato decreto legge n. 28/2020, opportunamente richiamate dalla Suprema Corte a sostegno delle sue conclusioni, induce a ritenere non condivisibile l'opzione ermeneutica posta a fondamento del provvedimento impugnato, atteso che tale disciplina, all'evidenza, veniva introdotta per risolvere i problemi di compatibilità carceraria dei soggetti, detenuti per reati di particolare allarme sociale, le cui condizioni di salute si ponevano in termini estremamente problematici rispetto all'emergenza sanitaria di Covid-19 (A. Arcuri, La Corte costituzionale salva i dpcm e la gestione della pandemia. Riflessioni e interrogativi a margine della sent. n. 198/2021 in www.giustiziainsieme, 19 gennaio 2022).

Occorre, pertanto, ribadire conclusivamente che la valutazione del Tribunale di sorveglianza di Catania sull'incompatibilità tra il regime detentivo carcerario e le condizioni di salute del detenuto doveva tenere conto sia dell'astratta idoneità dei presidi sanitari fruibili dal detenuto all'interno del circuito penitenziario sia dell'adeguatezza concreta del percorso trattamentale apprestato per assisterlo nelle sue esigenze terapeutiche; nel valutare quest'ultimo profilo, al contempo, occorreva tenere conto della situazione epidemiologica, connessa all'emergenza sanitaria di Covid-19, del territorio di attuale o di diversa allocazione del detenuto, che doveva essere vagliata attraverso una verifica concreta dell'istituto penitenziario dove il ricorrente era ristretto o poteva essere eventualmente ristretto.

In conclusione

Con la decisione che si è commentata la Corte di cassazione è intervenuta ulteriormente sulla questione della compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario al quale è sottoposto, che ha affrontato con esiti pregevoli, esaminando sia il tema della verifica della compatibilità delle situazione nosografica del condannato con il regime carcerario patito sia il tema dell'incidenza dell'emergenza pandemica da Covid-19, tuttora in corso di svolgimento, sulle patologie oggetto di vaglio giurisdizionale.

Sotto il primo profilo, relativo alla compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario patito, la Suprema Corte, ha ribadito che la valutazione della compatibilità tra il regime detentivo carcerario patito dal condannato e le sue condizioni di salute deve essere effettuata tenendo comparativamente conto della situazione nosografica del soggetto recluso con le possibilità concrete di assistenza terapeutica individualizzata, che è possibile assicurargli all'interno del circuito penitenziario.

Sotto il secondo profilo, relativo all'incidenza dell'emergenza pandemica da Covid-19 sulle patologie, di volta in volta, esaminate, la Corte di cassazione ha evidenziato che la verifica dell'adeguatezza del percorso trattamentale apprestato per fare fronte alle esigenze terapeutiche individualizzate del detenuto, quantomeno allo stato, non può prescindere dal vaglio della situazione epidemiologica connessa all'emergenza sanitaria di Covid-19 e del territorio di possibile allocazione del detenuto, da effettuarsi attraverso una verifica concreta dell'istituto penitenziario dove il ricorrente era ristretto o di quello dove, eventualmente, è possibile allocarlo.

Riferimenti
  • G. Di Gennaro-M. Bonomo-R. Breda, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Giuffrè, Milano, 1976;
  • F. Gianfilippi, Le disposizioni emergenziali del DL 17 marzo 2020, n. 18 per contenere il rischio di diffusione dell'epidemia di COVID19 nel contesto penitenziario, in www.giustiziainsieme, 18 marzo 2020;
  • M. Pavarini, L'esecuzione della pena¸ in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da F. Bricola e V. Zagrebelsky, Utet, Torino, 1996, III, pp. 116 ss.;
  • M. Rubechi, I d.P.C.m. della pandemia: considerazioni attorno ad un atto da regolare, in www.federalismi.it, n. 27/2021;
  • G. Santalucia, L'impatto sulla giustizia penale dell'emergenza da COVID-19: affinamenti delle contromisure legislative, in www.giustiziainsieme, 18 marzo 2020.

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