Percosse e lesione personale (risarcimento del danno da)

Lilia Papoff
15 Dicembre 2020

Le condotte di percosse e di lesioni personali, previste dal codice penale come reati dolosi e, nel caso delle lesioni, punibili anche a titolo di colpa, assumono un particolare rilievo anche nel diritto civile per le conseguenze dannose, specialmente non patrimoniali, che generalmente possono derivarne.

Inquadramento

Le condotte di percosse e di lesioni personali, previste dal codice penale come reati dolosi e, nel caso delle lesioni, punibili anche a titolo di colpa, assumono un particolare rilievo anche nel diritto civile per le conseguenze dannose, specialmente non patrimoniali, che generalmente possono derivarne.

La lesione giuridicamente rilevante è quella da cui “deriva una malattia nel corpo o nella mente” (art. 582 c.p.) mentre la percossa, che consiste nel colpire fisicamente qualcuno in maniera idonea a provocare una sensazione dolorosa, è caratterizzata proprio dal fatto che “non deriva una malattia nel corpo o nella mente” (art. 583 c.p.).

Il discrimine quindi consiste nel cagionare o meno una malattia, comunemente intesa come manifestazione, anche solo temporanea, di disturbi funzionali dell'organismo umano, o di alterazioni o lesioni, o di sofferenza psicofisica.

L'art. 185 c.p. stabilisce espressamente che ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, a prescindere della concreta punibilità della condotta (ad esempio per mancanza di querela), obbliga il colpevole o il responsabile civile al risarcimento di tutte le conseguenze dannose, e rappresenta uno dei “casi determinati dalla legge” a cui fa riferimento l'art. 2059 c.c. per ammettere la risarcibilità dei danni non patrimoniali.

Il disvalore penale delle condotte di lesioni e percosse incide anche sulla prescrizione, applicandosi all'azione civile il termine previsto dalla legge penale, se più lungo, e facendo coincidere la decorrenza del termine dalla data di eventuale estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza penale sia divenuta irrevocabile.

Aspetti processuali

Per la risarcibilità del danno non patrimoniale è sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente previsto come reato, sicché il giudice civile può accertare anche solo incidenter tantum la sussistenza degli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, delle lesioni o delle percosse (Cass. n. 3371/2020).

Costituisce oggetto dell'accertamento officioso del giudice civile anche l'eventuale comportamento imprudente della vittima del reato, in quanto potenzialmente idoneo a interrompere il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento dannoso - quando lo stesso comportamento non sia un'evenienza ragionevole o accettabile in base a un criterio probabilistico di regolarità causale, secondo i principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p. - o comunque potendo rilevare quale fattore concorrente ai fini della riduzione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c. (Cass. n. 2483/2018, Cass. n. 19218/2018).

Qualora intervenga sentenza penale di condanna o di assoluzione, il relativo giudicato spiega efficacia anche nel giudizio civile risarcitorio quanto all'accertamento (positivo o negativo) della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (artt. 651 e 652 c.p.p.), anche se nei successivi gradi di giudizio sia dichiarata l'estinzione del reto (ad esempio per amnistia o prescrizione, Cass. n. 11467/2020). Il danneggiato nel giudizio civile deve espressamente invocare l'accertamento penale del fatto lesivo, e in particolare del nesso di causalità tra condotta ed evento dannoso.

La condanna generica al risarcimento del danno da parte del giudice penale si basa sul semplice accertamento della potenziale idoneità del fatto illecito a produrre conseguenze dannose, a prescindere dall'esistenza e dalla misura del danno (Cass. n. 27723/2005), mentre resta impregiudicato l'accertamento nel giudizio civile, sull' an e sul quantum del danno risarcibile, ossia il c.d. nesso di causalità giuridica (Cass. n. 4318/2019).

Danno da lesione personale

Le conseguenze dannose delle lesioni personali possono essere sia patrimoniali che non patrimoniali.

Il pregiudizio patrimoniale solitamente attiene alla perdita di guadagno correlata alla diminuita capacità di produrre reddito che la lesione può provocare, sia temporaneamente, sia in via permanente, oppure può consistere nelle spese di cura affrontate.

Il danno non patrimoniale comprende indefettibilmente la componente del danno biologico, inteso, nella attuale nozione - così come delineata dalla evoluzione giurisprudenziale e dottrinale e dallo stesso legislatore - di menomazione, suscettibile di valutazione medico-legale, esplicante una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti personali dinamico-relazionali e che si differenzia ontologicamente dalla sofferenza interiore, espressamente definita invece come la parte del danno non suscettibile di accertamento medico-legale (c.d. ordinanza “decalogo”, Cass. n. 7513/2018, punti 8 e 9), e comunemente definita come danno morale.

Componente rilevante del danno non patrimoniale da lesione è il danno c.d. nocicettivo, ovvero la componente sensoriale algica, la cui entità può essere valutata, in quanto avente base organica, dal medico legale. La sofferenza fisicapuò rilevare sia nella valutazione percentuale del danno biologico permanente e nella quantificazione del danno biologico temporaneo - in quanto il dolore può condizionare l'entità delle disfunzioni - sia per l'incidenza sulla sofferenza morale, costituendo fattore di incremento della liquidazione del danno.

Liquidazione del danno non patrimoniale

Per la liquidazione, necessariamente equitativa, del danno non patrimoniale alla salute, si ricorre a parametri tabellari, di matrice giurisprudenziale o normativa, caratterizzati dalla attribuzione di un determinato importo monetario per ciascun punto percentuale di invalidità permanente o per ogni giorno di inabilità temporanea, ma al contempo dalla possibilità di adeguare la liquidazione a tutte le circostanze del caso concreto.

Nel settore della assicurazione della responsabilità civile da circolazione stradale l'art. 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005 (Cod. Ass.) regola la liquidazione delle lesioni cd. micropermanenti, ossia con postumi non superiori al 9%, mediante una tabella unica nazionale i cui importi sono periodicamente aggiornati con decreto ministeriale.

La medesima tabella è stata poi estesa ai danni da responsabilità sanitaria, dapprima dal D.L. n. 158/2012 (decreto “Balduzzi”) e poi dall'art. 7, comma 4, L. n. 24/2017 (legge “Gelli”).

Nella attuale formulazione della norma, pur dopo l'abrogazione con legge n. 124/2017 dei commi 3 ter e quater dell'art. 32 L. n. 27/2012, rimane il richiamo alla necessità di un accertamento, clinico-strumentale (ovvero visivo con riferimento a lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l'ausilio di strumentazione) delle lesioni micropermanenti.

La Cassazione, anche in riferimento alla versione ante legge n. 124/17, ha chiarito però che tali criteri di indagine stanno complessivamente a intendere la necessità di condurre a una obiettività dell'accertamento medico legale (Cass. n. 18773/2016) e che il legislatore ha voluto rimarcare l'imprescindibilità di una rigorosa verifica dell'effettiva esistenza delle patologie (Cass. n. 1272/2018). Anche l'attuale versione dell'art. 139 Cod Ass., che non ha sostanzialmente mutato il quadro di riferimento, semplicemente riordinato nella sua collocazione normativa (Cass. n. 26249/2019) impone comunque la rigorosa applicazione di tutti i criteri medico- legali di valutazione e stima del danno alla persona affinché, a prescindere dalla visibilità o accertabilità con esami strumentali, l'esistenza delle lesioni possa affermarsi sulla base di una ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico legale (Cass. n. 5820/2019) (vedi SPERA D., Il nuovo quesito medico legale all'esame dell'Osservatorio di Milano, in Ridare.it)

Anche successivamente all'intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 98/2019, ha precisato che per le lesioni micropermanenti di incerta verificabilità il danno non patrimoniale non è risarcibile, la Cassazione non ha mutato orientamento, ribadendo che occorre semplicemente proporzionare il tipo di danno alle verifiche istruttorie da compiersi (Cass. n. 7753/2020)

Per gli altri settori di responsabilità, e in generale per le macropermanenti, sono utilizzati parametri tabellari di elaborazione giurisprudenziale.

Le c.d. tabelle milanesi, a seguito della pronuncia della Cassazione n. 12408/2011, hanno assunto una vocazione nazionale, anche al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento.

Nelle tabelle milanesi a ciascun punto di invalidità permanente è attribuito un valore monetario indicativo delle conseguenze ordinarie della lesione, sia sugli aspetti anatomo-funzionali e dinamico-relazionali, sia con riferimento alla sofferenza soggettiva. Inoltre è indicata una percentuale di aumento per un'adeguata personalizzazione complessiva della liquidazione a fronte di eventuali peculiarità, in relazione a tutte le circostanze, allegate dal danneggiato e provate anche in via presuntiva.

Segue. Lesioni concorrenti

Tra i casi di lesioni plurime particolare attenzione merita la fattispecie delle lesioni policrone concorrenti, ossia riconducibili a fattori causali diversi, ma che si aggravano reciprocamente le une con le altre. In tale ipotesi rilevano gli stati patologici pregressi, come ad esempio nei casi di c.d. danno iatrogeno differenziale, inteso come peggioramento di una lesione preesistente in conseguenza di una condotta connotata da colpa medica.

Secondo la giurisprudenza più recente della Cassazione occorre fare riferimento, ai fini della liquidazione del danno, ai principi generali di diritto ed in particolare all'art. 1223 c.c. che esclude dalla risarcibilità i danni che non sono conseguenza immediata e diretta del fatto illecito secondo il principio del nesso di causalità giuridica, la cui valutazione spetta al giudice e non al C.T.U.

La Corte di Cassazione ha quindi affermato che: “(a) di eventuali preesistenze si deve tener conto nella liquidazione del risarcimento, non nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente, il quale va determinato sempre e comunque in base alla invalidità concreta e complessiva riscontrata in corpore, senza innalzamenti o riduzioni, i quali si tradurrebbero in una attività liquidativa esulante dai compiti dell'ausiliario medico-legale; (b) di eventuali preesistenze si deve tener conto, al momento della liquidazione, monetizzando l'invalidità accertata e quella ipotizzabile in caso di assenza dell'illecito, e sottraendo l'una dall'altra entità” (Cass. n. 28986/2019).

Risarcimento della sofferenza interiore conseguente a lesione

Anche a seguito della rivalutata distinzione da parte dei giudici di legittimità tra danno biologico e danno morale (v. supra c.d. Ordinanza Decalogo), le tabelle milanesi vengono considerate dalla Cassazione quale valido strumento di liquidazione, prendendosi atto che nelle stesse è compresa la componente della sofferenza soggettiva, già qualificata come “danno morale” e che, ai fini della personalizzazione del risarcimento, “ (…) spetta al giudice far emergere e valorizzare (…) specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le consguenze “ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsione tabellari; da quest'ultime distinguendosi siccome legate alla irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore (…) ”(Cass. n. 11754/2020, cfr. anche Cass. n. 32787/2019).

La Cassazione anche di recente ha rilevato che “le tabelle milanesi sono ancor oggi il parametro maggiormente utilizzato dalle Corti di merito per "misurare", in termini equitativi che non sconfinino nell'arbitrarietà, il danno alla persona”(Cass. n. 32787/2019, cfr. anche Cass. n. 1553/2019).

Sebbene in alcuni casi sia stato affermato che la sofferenza morale non può essere oggetto di risarcimento quale voce accessoria del danno biologico di cui alle tabelle (Cass. n. 9865/2020), in più occasioni è stato ribadito che la prova possa essere data sulla base del notorio, di massime di esperienza e di presunzioni (Cass. n. 901/2018, n. 23469/2018).

Lo stesso art. 138 Cod. Ass., ai fini della costruzione delle future tabelle per le invalidità macropermanenti, prevede un incremento percentuale e progressivo del valore del punto al fine di “considerare la componente del danno morale da lesione dell'integrità fisica”, evidentemente sulla base della considerazione che la lesione dell'integrità psicofisica comporti normalmente un perturbamento emotivo (Cass. n. 23146/2019) e che all'aumentare del danno biologico corrisponde normalmente un incremento del danno morale (Cass. n. 29495/2019) (vedi SPERA D., I 10 punti del danno biologico: commento a Cass. n. 25164/2020 su danno morale, personalizzazione e tabella milanese, in Ridare.it ).

RISARCIMENTO DELLA SOFFERENZA INTERIORE DERIVANTE DA LESIONE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Liquidazione equitativa – Esclusione di automatismi

Il peggioramento dello status spirituale del soggetto non può che essere valutato, se provato nell'an, in base a criterio di liquidazione equitativa ex art. 2056 c.c. e non può quindi essere oggetto di risarcimento quale voce accessoria del danno biologico quantificabile mediante "automatico" incremento percentuale del punto di invalidità biologica o del corrispondente valore monetario (Cass. n. 9865/2020)

Prova della sofferenza interiore

Il dolore interiore può essere provato, caso per caso, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti, tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni (Cass. n. 901/2018, 23469/2018)

Sofferenza morale quale conseguenza presunta della lesione

In tema di presunzioni, discende dal fatto noto indicato (frattura rotula sx e piede sx ed uso di potente antidolorifico) la necessaria conseguenza in termini di sofferenza morale (Cass. n. 23146/2019)

I parametri medico-legali che vengono utilizzati per determinare il quantum del danno biologico, sia in riferimento alle conseguenze temporanee che permanenti, non possono non incidere anche sul quantum del danno "morale" (Cass. n. 29495/19)

Lesioni subite nell'ambito rapporto di lavoro

La distinzione tra le varie componenti del danno rileva particolarmente per le lesioni subite nell'ambito del rapporto di lavoro.

A norma dell'art. 66 del D.P.R. n. 1124/1965 (T.U. INAIL) l'INAIL eroga prestazioni indennitarie per l'inabilità temporanea e permanente e per le cure mediche. Con l'art. 13 D. Lgs. n. 38/2000 è stato previsto espressamente un indennizzo per il danno biologico.

Il datore di lavoro è invece esonerato dall'obbligo di risarcimento (art. 10, comma 1, T.U. cit.) e rimangono a suo carico solamente le voci di danno non oggetto della copertura assicurativa, i c.d. danni complementari o danno differenziale qualitativo, che ricomprendono ilbiologico temporaneo, il biologico in franchigia (fino al 5%), il patrimoniale in franchigia (fino al 15%), il morale ed i pregiudizi esistenziali, il danno tanatologico o da morte iure proprio e jure successionis, la personalizzazione o ricadute soggettive del danno biologico (Cass. n. 4972/2018)

Solamente in caso di responsabilità penale per un reato procedibile d'ufficio (lesioni colpose ex art. 590, comma 3, c.p.) il datore di lavoro è tenuto a risarcire, ex art. 10, commi 6 e 7, T.U., anche il c.d. danno differenziale quantitativo, ossia la differenza quantitativa tra indennizzo e risarcimento in riferimento al medesimo tipo di danni.

Nel settore dell'assicurazione sociale esulante dall'ambito lavorativo, in assenza di norme specifiche che limitino il risarcimento del lavoratore indennizzato dall'assicuratore sociale al c.d. danno differenziale, in astratto il soggetto che ha subito lesioni potrebbe ottenere due volte l'importo risarcitorio, sia dall'assicuratore sociale che dal responsabile civile.

Solo di recente le Sezioni Unite della Cassazione hanno composto un contrasto circa l'applicabilità del principio della compensatio lucri cum damnoin relazione ad alcune fattispecie di assicurazione sociale. Devono quindi detrarsi dall'ammontare del risarcimento dovuto alla vittima dell'illecito il valore capitale dell'indennità di accompagnamento ad essa erogata dall'Inps (Cass. Sez. Un. n. 12567/2018), l'indennità di malattia e la pensione di invalidità (Cass. n. 18050/2019).

Danni riflessi

Di recente la Cassazione ha rilevato, in tema di danni c.d. riflessi, che dalle lesioni inferte a taluno possono derivare, in astratto, per i congiunti sia una sofferenza d'animo sia un danno biologico che assumono rilevanza a prescindere dallo sconvolgimento delle abitudini di vita, e costituiscono in realtà un danno diretto e non riflesso, in quanto diretta conseguenza della lesione che rappresenta un fatto plurioffensivo, con vittime diverse, ma parimenti dirette.

Anche la sofferenza morale patita dal prossimo congiunto può quindi essere dimostrata con ricorso alla prova presuntiva. In particolare, occorre fare riferimento alla realtà dei rapporti di convivenza e alla gravità delle ricadute della condotta sulla vita dei familiari (Cass. n. 7748/2020, n. 11212/2019).

Danni conseguenti a percosse

Anche se il bene tutelato dall'art. 581 c.p. consiste nella incolumità individuale e nell'integrità fisica, il pregiudizio non patrimoniale che può scaturire dalle percosse non è propriamente un danno biologico.

L'elemento materiale del reato difatti è un aggressione fisica che non provoca lesioni.

Solo l'eventuale istantanea sensazione dolorosa, in quanto in astratto accertabile a livello medico legale, potrebbe rilevare quale componente nocicettiva del danno biologico.

Il dolore fisico in sé però, non collegato a una lesione, non comporta inabilità permanente né temporanea della vittima e pertanto il relativo risarcimento non può essere determinato sulla base dei parametri tabellari.

La componente algica merita piuttosto di essere considerata unitamente alle varie sfaccettature del danno non patrimoniale che può subire un soggetto vittima di una aggressione violenta.

Il risarcimento del danno da percosse, in quanto condotta di reato, è riconosciuto dagli artt. 2059 c.c. e dell'art. 185 c.p.. Ma comunque le percosse, in quanto generalmente si manifestano in un atteggiamento di sopraffazione di un individuo su un altro, comportano la lesione del diritto costituzionalmente rilevante alla pari dignità umana (Cass. n. 817/2011) e di conseguenza provocano dei sentimenti negativi (afflizione, risentimento, vergona, umiliazione) che possono anche protrarsi nel tempo.

Rilevanza penale e gravità della condotta ai fini del risarcimento

La previsione dell'art. 185 c.p., che ammette espressamente la risarcibilità del danno non patrimoniale quando la condotta costituisce reato, è indice della volontà del legislatore di riconoscere una tutela risarcitoria più incisiva ai danni derivanti dalle violazioni più gravi e può giustificare un approccio del giudice fondato sulla parametrazione del risarcimento alla gravità della violazione.

In caso di percosse, stante la natura necessariamente equitativa della liquidazione del danno e la mancanza di riferimenti tabellari come invece per le lesioni, la gravità della condotta può costituire un valido parametro di riferimento in quanto può influire sull'intensità dei sentimenti negativi provati dal danneggiato.

Ma anche per le lesioni la Cassazione ritiene necessario attribuire particolare rilievo alle circostanze in cui si è verificata la lesione e alle modalità della condotta, in special modo quando si tratti di lesione volontaria, conseguente ad aggressione fisica, che può comportare una sofferenza morale maggiore rispetto a lesione analoga, ma conseguente a condotta colposa, e giustificare anche uno sconfinamento dagli ordinari parametri tabellari (Cass. n. 32787/2019)

Nel caso del danno morale da reato la liquidazione potrebbe essere allora commisurata agli indici di gravità del fatto di cui all'art. 133 c.p. (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell'azione; gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; intensità del dolo o grado della colpa).

La gravità della condotta rileva solo nella misura in cui si traduce in maggiori sofferenze per il danneggiato, mentre solo in rare pronunce si riconosce al risarcimento dei danni derivanti da reato anche una funzione sanzionatoria, non strettamente ancorata alla concreta entità del pregiudizio.

E' da ricordare a tal proposito che con riferimento ai c.d. danni punitivi le Sezioni Unite hanno puntualizzato che la componente sanzionatoria o deterrente del risarcimento può essere considerata dal giudice ai fini della liquidazione solo nelle fattispecie espressamente previste dalla legge, in forza del principio di cui all'art. 23 Cost. (correlato agli artt. 24 e 9) che pone una riserva di legge quanto a nuove prestazioni patrimoniali e preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario (Cass. Sez. Un. n. 16601/2017).

Casistica

DANNO PARENTALE CONSEGUENTE A LESIONE

Nel caso di lesioni personali gravi occorre valutare se la elevata percentuale di postumi permanenti (79%) abbia avuto incidenze dannose sulla convivente (e poi moglie) della vittima, sotto il duplice aspetto risarcibile sia della sofferenza morale che della privazione, ovvero diminuzione o modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente esplicate dal danneggiato (Cass. n. 11212/2019)

LESIONE DOLOSA: GRAVITA' DELLA CONDOTTA

Nel caso di danno non patrimoniale (10% di danno biologico) determinato da un morso all'orecchio sinistro provocante il distacco parziale del lobo superiore sinistro, dato dal convenuto che aveva aggredito la vittima alle spalle nel corso di un diverbio accesosi durante una partita amatoriale di calcio, occorre considerare se il fatto illecito violento, di natura dolosa, da cui è derivata la lesione alla persona, meriti una particolare e separata valutazione in termini di danno morale, e la fattispecie dunque integri le ipotesi particolari che giustificano, in ipotesi, anche uno sconfinamento dai parametri tabellari ordinari (Cass. n. 32787/2019)

LESIONI CONCORRENTI:

LIQUIDAZIONE

Nel caso di sinistro provocante lesione che va ad incidere, aggravandola, su una precedente patologia (coxoartrosi bilaterale per anca displastica congenita), non è sufficiente verificare i postumi del sinistro, ma occorre calcolare il valore monetario dall'invalidità complessivamente accertata e sottrarre da tale valore quello corrispondente al grado di invalidità preesistente (Cass. n. 17555/2020)

MICROPERMANENTI

Il danno da lesione al rachide cervicale è risarcibile anche se la lesione non è attestata come tale e direttamente da un referto, ma la sua diagnosi è stata evinta con sicurezza da una plurima serie di rilievi clinici ed esami strumentali, tra cui la radiografia del rachide cervicale e lombosacrale, e l'ecografia della spalla sinistra (Cass. n. 7753/20)

CONCORSO DI COLPA DEL DANNEGGIATO

Se la vittima di un fatto illecito ha concorso, con la propria materiale condotta, alla produzione del danno, l'obbligo risarcitorio del responsabile si riduce proporzionalmente ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., anche nel caso in cui la vittima sia incapace di intendere e di volere al tempo del fatto; ciò in quanto l'espressione "fatto colposo" che compare nel citato art. 1227 c.c. non va intesa come riferita all'elemento psicologico della colpa, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, in grado di incidere sul nesso causale (fattispecie di soggetto minore che aveva perso il controllo della bicicletta ed era caduto in un burrone, non visibile in quanto coperto da fogliame e rovi, posto quasi al margine della stradina comunale, non protetta da un parapetto, v. Cass. n. 4178/2020)

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