Pensione di reversibilità: morte dell'ex coniuge obbligato dopo la sentenza parziale di divorzio ma prima della definitiva determinazione dell'assegno
03 Maggio 2022
Massima
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 9, comma 2, e 12-bis, comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 nonché dell'art. 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., nella parte in cui non prevedono, ai fini della corresponsione della pensione di reversibilità e di una quota dell'indennità di fine rapporto, che il requisito della titolarità dell'assegno divorzile, in caso di morte dell'obbligato intervenuta successivamente a una sentenza parziale di divorzio, ma prima della definitiva determinazione dell'assegno, sussista anche in presenza di provvedimenti provvisori presidenziali che riconoscano provvidenze economiche all'ex coniuge, poiché il rimettente muove dall'erroneo presupposto che in tal caso le sorti del giudizio di separazione o divorzio siano segnate nel senso dell'integrazione di una causa di cessazione della materia del contendere, sussistendo, invece, sul punto un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, di cui è stata richiesta la risoluzione alle Sezioni unite. Il caso
La sentenza origina dalla questione di legittimità costituzionale, sollevata con ordinanza del 20 ottobre 2020 dalla Corte d'Appello di Salerno, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., degli artt. 9 comma 2, 12-bis comma 1 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 e dell'art. 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, nella parte in cui non prevedono, ai fini della corresponsione della pensione di reversibilità e di una quota dell'indennità di fine rapporto, che il requisito della titolarità dell'assegno divorzile, in caso di morte dell'obbligato intervenuta successivamente a una sentenza parziale di divorzio, ma prima della definitiva determinazione dell'assegno, sussista anche in presenza di provvedimenti provvisori presidenziali che riconoscano provvidenze economiche all'ex coniuge. Nell'ambito di un procedimento giudiziale di divorzio, Tizia aveva conseguito la sentenza parziale sullo status chiedendo la prosecuzione della causa per la statuizione delle previsioni in tema di assegno di divorzile; l'ex marito era tuttavia deceduto prima della sentenza definitiva, e il procedimento si era concluso con la dichiarazione della cessazione della materia del contendere, che Tizia non aveva impugnato, divenendo quindi irrevocabile. Successivamente Tizia aveva agito in giudizio per la determinazione della quota di pensione di reversibilità e della quota di trattamento di fine rapporto di sua spettanza, ma le richieste venivano rigettate poiché, essendosi il giudizio concluso con una pronuncia di cessazione della materia del contendere, non impugnata, la ricorrente non era titolare di un assegno di divorzio. Avverso tale pronuncia Tizia proponeva reclamo davanti alla Corte d'appello rimettente, specificando che la decisione di non impugnare la sentenza di cessazione della materia del contendere era dipesa dalla consapevolezza che esiste un orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di morte di uno dei coniugi in pendenza del giudizio di separazione o divorzio, consegue la cessazione della materia del contendere. Sicchè insisteva per il riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità e ad una quota del TFR in ragione dell'assegno divorzile percepito nell'arco temporale compreso tra i provvedimenti provvisori assunti dal Presidente del Tribunale e la morte dell'ex coniuge, invocando, in caso di rigetto della richiesta, la violazione dei principi costituzionali relativi alla disparità di trattamento. Così ricostruite le premesse in fatto, il Giudice rimettente ritiene che il quadro normativo vigente che regola sia la corresponsione della pensione di reversibilità che l'indennità di fine rapporto, impedirebbe, nell'ambito del giudizio principale, il riconoscimento dei due emolumenti in capo a Tizia, stante la mancanza di una sentenza definitiva che accerti il suo diritto all'assegno di divorzio, assegno nel caso di specie riconosciuto solo in forza dei provvedimenti presidenziali. Da ciò emergerebbe un vulnus costituzionale in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. Sulla non manifesta infondatezza, la Corte rimettente ritiene che l'art. 9 comma 2 l. 898/1970, come interpretato alla luce dell'art. 5 l. 263/2005, avrebbe violato l'art. 2 Cost. nella misura in cui subordina la funzione solidaristica della pensione di reversibilità alla sussistenza di presupposti meramente formali. Sussisterebbe anche la violazione dell'art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento fra chi versi nella situazione della parte reclamante nel giudizio principale, ossia l'essere già divorziato, ma non ancora titolare di assegno di divorzio, e chi abbia già ottenuto una sentenza di divorzio o, viceversa, chi non l'abbia ottenuta e goda ancora delle tutele che derivano dallo status di coniuge. In particolare, si evidenzia una disparità di trattamento tra chi abbia già conseguito una sentenza relativa all'assegno di divorzio non passata in giudicato e, quindi, suscettibile di essere travolta e chi abbia ottenuto un mero provvedimento presidenziale che riconosca in via provvisoria un assegno. Detta disparità, se giustificabile sul piano processuale, a parere del Giudice remittente sarebbe fonte di ingiustizie sostanziali allorchè applicata ai casi, analoghi a quello di specie, in cui l'ex moglie abbia comunque goduto dell'assegno per la durata del procedimento divorzile fino al decesso dell'ex marito obbligato. Pertanto, la medesima norma precluderebbe irragionevolmente “al destinatario di un assegno divorzile provvisorio l'accesso alla tutela pensionistica ex art. 9 comma 2, sebbene anch'egli [fosse] beneficiario di una forma di contribuzione economica al pari dell'ex coniuge cui l'assegno sia stato riconosciuto con sentenza”. Analoghe censure varrebbero per l'art. 12-bis l. 898/1970, che al pari dell'art. 9 comma 2 , presuppone il requisito della titolarità dell'assegno di divorzio ai fini della corresponsione del trattamento di fine rapporto in favore dell'ex coniuge. Intervenivano anche il Presidente del Consiglio dei Ministri e l'INPS, eccependo l'inammissibilità per difetto di rilevanza e per errata individuazione delle norme da applicare ai fini della definizione del giudizio principale (di divorzio), e dunque concludendo per l'infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate. Le soluzioni giuridiche
La Consulta con la decisione in commento dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 9 comma 2 e 12-bis comma 1 della l. 898/1970 e dell'art. 5 l. 263/2005 (Interventi correttivi alle modifiche in materia processuale civile introdotte con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, nonché ulteriori modifiche al codice di procedura civile e alle relative disposizioni di attuazione, al regolamento di cui al regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, al codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n. 53, e disposizioni in tema di diritto alla pensione di reversibilità del coniuge divorziato) sollevate con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. per essere contradditoria la motivazione sulla rilevanza della questione. La Corte, nell'esaminare il caso, parte dalla rievocazione del quadro normativo e giurisprudenziale nel quale va collocata la vicenda sottoposta all'esame del Giudice a quo. In primis, l'art. 9 comma 2 l. 898/1970, che riconosce il diritto alla pensione di reversibilità per il coniuge divorziato titolare dell'assegno, il quale assolve ad esigenze assistenziali, compensative e riequilibrative degli effetti delle scelte condivise nello svolgimento della vita coniugale. Dunque, anche il diritto alla pensione di reversibilità assolve a una funzione solidaristica che sottende a istanze perequativo-compensative. Egualmente la pretesa di una quota del TFR ai sensi dell'art. 12-bis comma 1 l. 898/1970 dipende (anche) dall'avvenuto riconoscimento del diritto all'assegno divorzile, e dunque assolve alla stessa predetta funzione solidaristica. La Consulta evidenzia quindi che, al fine di evitare che nell'ambito di processi relativi a pretese previdenziali, coinvolgenti gli enti obbligati a tali prestazioni, possano porsi, tramite accertamenti incidenter tantum, questioni inerenti alla spettanza in astratto del diritto all'assegno di divorzio, l'art. 5 della legge n. 263 del 2005, ha previsto che per titolarità dell'assegno deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi dell'art. 5 l. 898/970, salva restando l'equiparazione al provvedimento giudiziale della convenzione di negoziazione assistita. Va quindi escluso l'accertamento del diritto all'assegno divorzile incidenter tantum: ma ciò implica il problema di come risolvere i casi in cui l'ex coniuge deceda in pendenza del giudizio divorzile che ancora non abbia definito detto diritto. Solo con la prosecuzione del processo è possibile definire il diritto alle prestazioni inerenti all'assegno divorzile, maturate nel periodo intercorso tra la sentenza parziale di divorzio, con cui cessa lo status coniugale, e la morte dell'ex coniuge obbligato, prestazioni trasmissibili iure hereditario. Senza la prosecuzione resterebbe la sola sentenza parziale di divorzio, passata in giudicato, che, da un lato scioglie il vincolo non offrendo le garanzie che spetterebbero all'ex coniuge in conseguenza del divorzio, e, dall'altro, essendo la modificazione dello status correlata al divorzio antecedente alla morte, priva l'ex coniuge delle tutele che, viceversa, avrebbe se lo scioglimento del matrimonio fosse stato causato dal decesso. La Consulta evidenzia quindi il contrasto giurisprudenziale in merito alla prosecuzione del processo nelle ipotesi predette: per un primo orientamento il procedimento di divorzio deve poter proseguire, permanendo l'interesse dell'altra parte alla pronuncia (Cass. civ. sez. VI, sent. 24 luglio 2014 n. 16951, Cass., sez. VI, ord. 11 aprile 2013, n. 8874; Cass. sez. I, sent.3 agosto 2007, n. 17041). Per l'altro, la morte di una delle parti del processo determinerebbe la cessazione della materia del contendere in ordine alle domande accessorie ancora sub iudice, anche ove avvenisse dopo l'eventuale sentenza parziale di scioglimento per divorzio dello status coniugale, a nulla rilevando il suo passaggio in giudicato (Cass. civ., sez. I sent., 20 febbraio 2018 n. 4092; Cass., sez. VI, ord., 8 novembre 2017, n. 26489; Cass. sez. I, sent. 26 luglio 2013, n. 18130). A fronte dei diversi orientamenti, la prima sezione della Corte di cassazione, con l'ordinanza interlocutoria Cass. 29 ottobre 2021, n. 30750, ha inviato gli atti al primo presidente perché valuti l'opportunità di rimettere l'esame della questione alle Sezioni unite civili, evidenziando proprio la situazione analoga a quella da cui origina la fattispecie in commento, vale a dire se l'intervento dell'evento morte di una parte determini la cessazione della materia del contendere, sia con riferimento al rapporto di coniugio, sia a tutti i profili economici connessi e, in presenza del passaggio in giudicato della sentenza non definitiva che ha pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, riguardo alla determinazione della quota della pensione di reversibilità in astratto spettante al coniuge divorziato e al coniuge superstite. Orbene, il Giudice a quo non ha dato atto del suddetto contrasto giurisprudenziale, avendo invece concisamente asserito che la parte reclamante non avrebbe potuto impugnare la sentenza di cessazione della materia del contendere, relativa al giudizio sull'accertamento del diritto all'assegno divorzile, presupposto costitutivo del diritto alla pensione di reversibilità e all'indennità di fine rapporto. Non è quindi stata offerta un'adeguata motivazione sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, con conseguente carente motivazione sulla rilevanza che comporta l'inammissibilità della questione medesima. Osservazioni
L'implicazione del decesso dell'ex coniuge forte nelle more del processo per divorzio è questione di notevole rilevanza, poiché incide sulle sorti delle domande accessorie, l'assegno divorzile in primis, la spettanza o meno del quale si riflette poi sulle prestazioni supplementari, quali la quota della pensione di reversibilità e dell'indennità di fine rapporto (V. Mazzotta, La posizione del coniuge divorziato con sentenza non definitiva, in ilFamiliarista). Due sono gli orientamenti giurisprudenziali sul punto: per un primo, si ritiene debba essere dichiarata la cessazione della materia del contendere anche rispetto alle domande accessorie (Cass. civ., 20 febbraio 2018 n. 4092, di recente confermato anche da Cass. civ., ord., 2 dicembre 2019, n. 31358), per l'altro il procedimento deve proseguire. Aderire all'una o l'altra opzione ha conseguenze ben diverse, poiché nel secondo caso viene in rilievo la possibilità per il coniuge superstite di chiedere la pensione di reversibilità ex art. 9 comma 2, l. 898/1970 e la quota dell'indennità di fine rapporto ex art. 12-bis, comma 1, l. 898/1970. Solo con la pronuncia di divorzio sorge il diritto all'assegno, prima l'assegno può essere riconosciuto in via provvisoria ma non essendo ancora intervenuta la sentenza sullo status, non si tratta di assegno divorzile. Se il decesso del coniuge interviene prima della pronuncia di divorzio, l'unica strada è la declaratoria della cessazione della materia del contendere. Se interviene dopo la pronuncia parziale ma prima del passaggio in giudicato, la conclusione è analoga: lo scioglimento del matrimonio deve intendersi avvenuto per morte, e non per divorzio, l'assegno decorre dal passaggio in giudicato della sentenza, anche parziale, sicchè deve considerarsi cessata la materia del contendere. La situazione più problematica è quando la morte interviene dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, ben potendo sussistere l'interesse dell'ex coniuge richiedente l'assegno al credito avente ad oggetto le rate scadute anteriormente al decesso, credito che risulterebbe trasmissibile agli eredi, ovvero all'attribuzione di un assegno periodico a carico dell'eredità (art. 9- bis, l. 898/1970) così come, di converso, anche gli eredi dell'obbligato potrebbero essere interessati ad un accertamento negativo del diritto ed alla restituzione di importi eventualmente versati in ossequio a provvedimenti provvisori (da ultimo, Cass. 24 luglio 2014 n. 16951, Trib. Milano sent. 2 novembre 2018 n. 20658 secondo cui il giudizio prosegue se ha ad oggetto domande di carattere patrimoniale). Il filone giurisprudenziale che opta per la declaratoria della cessazione della materia del contendere anche in questo caso, evidenzia sia l'uniformità della soluzione rispetto a quella da assumere in relazione alla domanda sullo status (cfr. Cass. civ. 20 febbraio 2018 n. 4092 secondo cui la soluzione adottata “appare più coerente al presupposto indiscusso secondo cui la morte del coniuge, in pendenza di giudizio di separazione o divorzio, anche nella fase di legittimità, fa cessare il rapporto coniugale e la stessa materia del contendere”), sia il carattere unitario del giudizio di divorzio (cfr. Cass. civ., 20 febbraio 2018, n. 4092 “la pronuncia del divorzio, con sentenza non definitiva, non è più tangibile, per effetto del suo passaggio in giudicato”. Tuttavia “la pendenza del giudizio sulle domande accessorie al momento della morte non può costituire una causa di scissione del carattere unitario proprio del giudizio di divorzio. Se la pronuncia non definitiva sullo status si legittima nell'ottica di una attribuzione non procrastinabile dello status di divorziato ai fini della riacquisizione della libera determinazione delle scelte personali degli ex coniugi, connessa alla fine dello status derivante dal matrimonio, e in quanto tale status non ha più ragione di perdurare, è nello stesso tempo indiscutibile che solo ragioni di complessità istruttoria giustificano la pronuncia differita sulle domande accessorie”, e tali ragioni non possono “costituire una fonte di deroga al principio per cui l'obbligo di contribuire al mantenimento dell'ex coniuge è personalissimo e non trasmissibile” e può essere accertato “solo in relazione all'esistenza della persona cui lo status personale si riferisce”). Il diverso orientamento per il quale il giudizio deve comunque proseguire è certamente più tutelante per l'ex coniuge superstite che può esercitare nel processo il suo diritto all'assegno e può riassumere il processo (in caso di interruzione) nei confronti degli eredi del coniuge deceduto, poiché, maturato il diritto di credito derivante dal riconoscimento dell'assegno divorzile, il credito si spersonalizza, quindi si trasmette e si confonde con il patrimonio dell'erede (in dottrina Parlanti Effetti della morte del coniuge in pendenza del giudizio di separazione e divorzio, in ilFamiliarista). A ben vedere la soluzione del giudizio troverebbe fondamento anche processuale, potendosi la domanda sull'assegno ritenersi scindibile e quindi autonoma rispetto a quella sullo status (in tal senso Danovi, Legittimazione e contradditorio nei procedimenti di separazione e divorzio, in Fam. Pers. Succ. 2008, p. 338, Cass. civ., 11 aprile 2011 n. 8228). Solo le Sezioni Unite potranno quindi fare chiarezza sulla questione. |