Obbligazioni convertibili in azioni

Sergio Luoni
18 Giugno 2015

Si tratta di obbligazioni che attribuiscono (anche) il diritto potestativo di sottoscrivere azioni della società che verranno emesse via via che gli obbligazionisti eserciteranno tale facoltà.
Inquadramento

Si tratta di obbligazioni che attribuiscono (anche) il diritto potestativo di sottoscrivere azioni della società che verranno emesse via via che gli obbligazionisti eserciteranno tale facoltà; la sottoscrizione delle azioni avverrà utilizzando (in base al rapporto di cambio fissato nel regolamento del prestito) le somme versate al momento dell'acquisto delle obbligazioni; l'esercizio del diritto di conversione farà acquistare la qualità di azionista e cessare (nei limiti della conversione, che può riguardare tutte o parte delle obbligazioni) quella di obbligazionista. E' anche possibile prevedere la conversione delle obbligazioni in azioni di altra società (detenute in portafoglio o appositamente sottoscritte): si tratta delle cosiddette obbligazioni convertibili “con procedimento indiretto”. La disciplina delle obbligazioni convertibili, come avremo modo di verificare, è sostanzialmente incentrata sulla considerazione (di Geraci, L'azione attraverso l'obbligazione. Note in tema di obbligazioni convertibili, in Riv. Soc., 1990, 796) che il legislatore, attraverso questo tipo di obbligazioni, “vede” l'azione. Egli si preoccupa, da un lato, di evitare che l'utilizzo delle obbligazioni convertibili diventi uno strumento per eludere la normativa azionaria; dall'altro di non privare i portatori delle obbligazioni convertibili della tutela che la legge riserva alle azioni.

Struttura

Il rapporto sottostante le obbligazioni convertibili è duplice: mutuo, più patto di opzione il cui esercizio comporta novazione del mutuo in (adesione al) contratto di società (così la dottrina e la giurisprudenza di cui dà conto Luoni, Le obbligazioni convertibili, in Nuova giur. dir. civ. e comm., Torino, 2013, 633 ss.)

Delibera di emissione

Competente a deliberare l'emissione delle obbligazioni convertibili è l'assemblea straordinaria. Infatti, per rendere “certo” l'adempimento, da parte della società, dell'obbligo da essa assunto col patto di opzione l'art. 2420-bis c.c. richiede che, contestualmente all'emissione delle obbligazioni, venga deliberato l'aumento del capitale nella misura sufficiente a dare attuazione alla eventuale richiesta di conversione di tutte le obbligazioni. Per questa ragione, quindi, l'emissione di obbligazioni convertibili va deliberata dall'assemblea straordinaria, la quale delibererà anche l'aumento di capitale al servizio della conversione.

La giurisprudenza di merito (App. Venezia 3 ottobre 1975, in Giur. Comm., 1977, II, 919) ritiene che il contestuale ed esplicito aumento di capitale sia condizione per la validità della delibera, comportando in sua mancanza il rifiuto di omologazione; in dottrina si ritiene invece che essa dovrebbe considerarsi implicita nella delibera di emissione delle obbligazioni (Domenichini, Le obbligazioni convertibili in azioni, Milano, 1993, 64).

  • Delega agli amministratoriL'art. 2420–ter consente che lo statuto deleghi agli amministratori la facoltà di emettere in una o più volte obbligazioni convertibili, fino ad un ammontare che deve essere determinato nello statuto: la delega non può avere durata eccedente i cinque anni (dall'iscrizione della società, o dalla deliberazione che ha introdotto la delega nello statuto) e deve indicare il numero massimo delle obbligazioni emettibili (Cerrato, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni, Milano, 2009, 326). L'art. 2420-ter prevede che la delega agli amministratori ad emettere obbligazioni convertibili comprende di per sè anche la delega a deliberare il correlato aumento di capitale.La delega ad emettere obbligazioni convertibili può contenere limiti ai poteri degli amministratori (può fissare una data a partire dalla quale essi potranno deliberare; stabilire che le obbligazioni dovranno essere convertibili solo in azioni ordinarie; ecc.). Si ritiene che le caratteristiche delle azioni di compendio a servizio della conversione debbano essere determinate nella delega. Nel suo silenzio, esse dovranno essere della stessa tipologia di quelle già in circolazione e rispettarne le proporzioni (Giannelli, sub. Art. 2420 bis, in Comm. Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2006, 296). L'eventuale deroga deve essere esplicitamente prevista (di diverso avviso Frè, Cavallo Borgia, Società per azioni, II, Delle obbligazioni, in Comm. Scialoja, Branca, Bologna-Roma, 2000, 240 nonché la giurisprudenza onoraria del Tribunale di Milano).
  • Condizioni per deliberare l'emissioneL'emissione di obbligazioni convertibili produce come effetto immediato e certo solo il sorgere del prestito obbligazionario: questo comporta che anche per il prestito obbligazionario convertibile valgono i limiti fissati dall'art. 2412 c.c. Essa però comporta anche una modificazione della composizione dell'azionariato qualora i sottoscrittori del prestito, con l'esercizio della conversione, diverranno azionisti. Questo fa sì che la delibera di emissione non possa essere adottata se il capitale precedentemente sottoscritto non sia stato interamente versato (art. 2420-bis, comma 1, c.c.). Un divieto analogo è già dettato dall'art. 2438 c.c.; ma il divieto dettato dall'art. 2438 si riferisce alla “esecuzione” degli aumenti di capitale precedentemente sottoscritti. In caso di aumento al servizio della conversione, invece, è la stessa delibera di aumento (quindi anche la contestuale delibera di emissione delle obbligazioni) a non poter essere presa prima della integrale liberazione delle azioni preesistenti.
  • L'emissione con disaggioNel sistema previgente l'articolo 2420-bis, comma 3, c.c., prevedeva che le obbligazioni convertibili non potevano essere emesse per somma inferiore al loro valore nominale, cioè “con disaggio”. Lo scopo era quello di impedire che le azioni, in sede di conversione, venissero emesse verso sottoscrizione di somma inferiore al loro valore nominale. L'art. 2420-bis c.c., all'esito della riforma del diritto societario, non contiene più quella disposizione, e si limita a stabilire che l'aumento di capitale deve avvenire per un ammontare corrispondente alle azioni da attribuire in conversione, ed a richiamare i commi 2, 3, 4 e 5 dell'art. 2346 c.c. In particolare il quinto comma prevede che “in nessun caso il valore dei conferimenti può essere inferiore all'ammontare globale del capitale sociale”: la qual cosa, riferita al prestito obbligazionario convertibile comporta che le somme da versare dagli obbligazionisti non possono essere inferiori a quelle che serviranno – in base al rapporto di cambio – a coprire l'aumento di capitale conseguente alla eventuale conversione. Per questa via dunque si ritiene legittima l'emissione di obbligazioni convertibili anche per somma inferiore al loro valore nominale, purché quello delle obbligazioni da emettere al servizio della conversione non ecceda il credito che spetterebbe all'obbligazionista in sede di rimborso. E' quello che sostiene la Commissione per i principi uniformi in materia di società del Consiglio Notarile di Milano con la massima n. 61 del 15 novembre.
L'offerta in opzione ai soci

L'art. 2411, comma 1, c.c. prevede che le obbligazioni convertibili debbano essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni da ciascuno di essi possedute e, se vi sono già obbligazioni convertibili, anche ai possessori di queste, in concorso con i soci sulla base del rapporto di cambio.

Naturalmente, come nei normali aumenti di capitale è possibile deliberare l'esclusione del diritto di opzione alla sottoscrizione delle nuove azioni “se l'interesse della società lo esige”, così anche la delibera di emissione delle obbligazioni convertibili può, alla stessa condizione, escludere il diritto di opzione.

Viceversa, le azioni da emettere via via che gli obbligazionisti eserciteranno il diritto di conversione sono ab origine destinate agli obbligazionisti convertendi: quindi non esiste su di esse un diritto d'opzione degli azionisti (e dei titolari di obbligazioni convertibili di un altro prestito).

Il rapporto di cambio

Il rapporto di cambio può essere liberamente determinato dalla società, purché non porti ad un aumento di capitale non interamente liberato dal prestito obbligazionario. In pratica, se le azioni hanno un valore effettivo sensibilmente superiore a quello nominale, il rapporto sarà inferiore a quello 1/1: cioè la delibera stabilirà che l'obbligazionista avrà diritto a 1 azione ogni 2 obbligazioni, o a 2 azioni ogni 3 obbligazioni, o ... a 1 azione ogni 10 obbligazioni.

La legge non stabilisce limiti minimi al rapporto di cambio: se questo in concreto risulterà troppo sfavorevole all'obbligazionista, questi non convertirà; e se le obbligazioni hanno un rendimento basso – perché pretesamente “compensato” dal diritto di conversione – ma tale diritto possa giudicarsi “non vantaggioso” già al momento dell'emissione, il prestito non verrà sottoscritto.

La conversione

La conversione non necessita di alcuna dichiarazione di volontà da parte della società emittente: essa costituisce l'esercizio di un diritto potestativo dell'obbligazionista che trae origine da un diritto di opzione. Consegue che la dichiarazione di conversione integra la sottoscrizione del deliberato aumento di capitale e segna il momento in cui l'obbligazionista acquisisce lo status di socio (Audino, Commento all'art. 2420 bis, 1346).

Il termine entro il quale può essere richiesta la conversione deve essere contenuto nella delibera di emissione che potrà determinare sia un termine iniziale sia un termine finale coincidente o meno con la scadenza del prestito. Se nulla di diverso è stabilito dal regolamento del prestito vige la regola della “conversione continua”: l'obbligazionista può convertire le obbligazioni in azioni quando vuole. Gli amministratori nel primo mese successivo alla scadenza di ogni semestre devono emettere le azioni richieste nel semestre, ed entro il mese successivo devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese l'attestazione (art. 2444) dell'avvenuto aumento in misura corrispondente alle azioni emesse.

Vicende societarie ed obbligazioni convertibili

Durante la pendenza del periodo di convertibilità si pone il problema di contemperare l'interesse della società a prendere deliberazioni che si rivelino opportune per lo svolgimento della sua attività col diritto dell'obbligazionista a divenire socio, una volta esercitata la conversione, di una società non “diversa” da quella che gli si presentò al momento della sottoscrizione del prestito. Il problema è rilevante in modo particolare nei casi in cui la società modifichi il capitale sociale (per scelta o perché obbligata) nonché nei casi di fusione e di scissione e qualora vengano modificate le norme statutarie sulla distribuzione degli utili: di essi si occupa espressamente il legislatore, altri devono essere risolti dall'interprete. Vediamo le singole ipotesi:

1. L'aumento di capitale a pagamento

Se la società delibera un ulteriore aumento di capitale a pagamento (o emette un altro prestito convertibile, che comporta un eventuale aumento del capitale) ciò comporta una conseguenza negativa sull'effetto dell'esercizio del diritto di conversione dell'obbligazionista: egli otterrebbe, per esempio, per ogni obbligazione una nuova azione (come promessogli), ma in una società avente un capitale più elevato. Per questo l'art. 2441, comma 1, c.c. dispone che le azioni del successivo aumento di capitale (o le obbligazioni convertibili del nuovo prestito) devono essere offerte in opzione non solo ai soci ma anche ai possessori di obbligazioni convertibili. In dottrina è stato suggerito di riconoscere all'obbligazionista il diritto di opzione solo subordinatamente all'esercizio del diritto di conversione, accantonando una parte delle nuove azioni a favore delle azioni offerte in conversione, una volta che la stessa verrà esercitata (Cavallo Borgia, Le obbligazioni convertibili in azioni, Milano, 1978, 153). Soluzione che è stata però respinta dalla maggior parte degli interpreti sulla base dell'inequivocabile tenore letterale dell'art. 2441, comma 1, c.c. (vedili in Luoni, Le obbligazioni, cit., 651).


2. L'aumento di capitale gratuito

L'art. 2420-bis, comma 5, c.c. prevede che qualora la società deliberi un aumento gratuito di capitale debba essere modificato il rapporto di cambio in proporzione alla misura dell'aumento. Il legislatore intende così rendere l'obbligazionista, se deciderà di diventare azionista, partecipe dell'andamento economico della società fin dal momento in cui egli, sottoscrivendo le obbligazioni convertibili, ha versato le somme destinate ad essere convertite in capitale. In questa maniera, ha osservato Galgano (Diritto civile e commerciale, III, Padova, 1990, 443), gli obbligazionisti ottengono in termini di rapporto di cambio ciò che gli azionisti ottengono in forma di aumento nominale delle azioni o di assegnazione gratuita delle nuove azioni. Ovviamente per poter beneficiare dell'aumento gratuito di capitale gli obbligazionisti dovranno esercitare la facoltà di conversione.

3. La riduzione del capitale per perdite

L'art. 2420, comma 5, c.c. prevede una modifica del rapporto di cambio anche in caso di riduzione del capitale per perdite. Pertanto l'obbligazionista che eserciterà la conversione otterrà il medesimo numero di azioni ma di valore nominale ridotto, ovvero un minor numero di azioni ma di diverso valore nominale (per tutti Donativi, Le obbligazioni, 358 e prima della riforma Campobasso, Le obbligazioni, 462). La soluzione prevista dal legislatore è coerente: l'obbligazionista, se rimane tale è insensibile alle riduzioni (così come agli incrementi) del patrimonio sociale (egli avrà solo diritto agli interessi ed al rimborso del capitale); se invece decide di diventare azionista, esercitando la facoltà di conversione, deve sopportare, come gli altri soci, le conseguenze delle perdite subite dalla società a partire dal momento in cui egli ha sottoscritto le obbligazioni convertibili. Nel caso di riduzione a zero del capitale si riconosce unanimemente che il diritto di conversione si estingue, dal momento che il rapporto di cambio si azzera e viene contestualmente meno la possibilità si esercitare la conversione. Resta da stabilire se in caso di ricostituzione del capitale il diritto di opzione spetti anche agli obbligazionisti convertibili. Parte della dottrina lo nega (Calvosa, sub. Art. 2420bis, 966). La soluzione positiva è invece sostenuta, tra l'altro, dal Comitato notarile del Triveneto con la massima H.K.3 dal momento che lo status di obbligazionista convertito, con tutti i diritti ad esso connessi, permane fino a che uno di questi diritti possa essere esercitato. Così in occasione della ricostituzione del capitale, ad esso spetterà il diritto di opzione del quale egli è titolare prima della conversione ed a prescinder da essa. Che se poi egli decidesse di non esercitarlo, rimarrebbe un mero creditore della società (così Luoni, Le obbligazioni, cit., 678 e gli autori ivi citati alla nota 108).

4. La riduzione reale del capitale

Diversa è la soluzione prevista dal comma 4 dell'art. 2420-bis c.c. per l'ipotesi di riduzione “reale” del capitale (art. 2445 c.c.). Essa comporta infatti la restituzione di parte dei conferimenti a chi è già azionista e per ciò incide negativamente sul diritto di conversione dell'obbligazionista. Egli infatti si trova a ricevere, esercitata la conversione, azioni di una società il cui patrimonio netto è stato ridotto a vantaggio degli altri azionisti. Il legislatore ha scelto la via di consentire all'obbligazionista di convertire le obbligazioni in azioni (se lo vuole) prima che la società deliberi quella riduzione, così che egli possa contribuire alla delibera di riduzione (votando a favore o contro) e possa fruire anch'egli del rimborso. La società deve pertanto depositare presso il registro delle imprese, almeno 90 giorni prima della data per cui convocherà l'assemblea per la riduzione del capitale, un avviso della concessione agli obbligazionisti della facoltà di esercitare la conversione nei 30 giorni dalla pubblicazione stessa. Le azioni a favore degli obbligazionisti convertibili dovranno ovviamente essere emesse in tempo utile per consentire loro di partecipare all'assemblea.

E' discusso se il termine di conversione anticipata si aggiunga o si sostituisca al termine originariamente fissato nel regolamento del prestito; cioè se l'obbligazionista che non abbia convertito anticipatamente rimanga titolare del diritto di convertire in futuro, o divenga invece obbligazionista puro e semplice. La maggior parte della dottrina è per la prima soluzione (Luoni, op. cit., 682; Donativi, Le obbligazioni, 363). Certamente si ritiene che qualora la delibera assembleare non venga approvata non sarà possibile per l'obbligazionista che abbia esercitato il diritto di conversione anticipata revocare la propria decisione.

5. Le modificazioni dello statuto concernenti la distribuzione di utili

L'art. 2420-bis, comma 4, c.c. prevede che gli obbligazionisti convertibili possano esercitare la facoltà di conversione anticipata anche nel caso di “modificazione delle disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili”. Si pensi all'introduzione, nello statuto, di una clausola che imponga di accantonare a riserva una determinata percentuale degli utili: in questo caso l'obbligazionista che esercita la conversione diverrà socio di una società che comprime la redditività periodica delle azioni in modo non previsto quando egli ha sottoscritto le obbligazioni. All'opposto si pensi ad una delibera che faccia venir meno il preesistente obbligo di costituire e conservare una riserva statutaria: ciò potrebbe consentire ai soci attuali di distribuire una ingente riserva, precedentemente non distribuibile, di modo che al momento della futura conversione l'obbligazionista troverà una società “più povera” di quel che avrebbe dovuto essere. La dottrina prevalente (per tutti Campobasso, Le obbligazioni, cit 469) ritiene che non rientrino nella fattispecie in esame le emissioni di azioni privilegiate o di risparmio , sebbene ciò implichi anche la modifica dei criteri di ripartizione degli utili. Questo perchè gli obbligazionisti convertibili sono già tutelati dal diritto di opzione.

6. La fusione e la scissione

Da ultimo la facoltà di conversione anticipata è riconosciuta all'obbligazionista convertibile dall'art. 2503–bis c.c. nel caso in cui la società deliberi una fusione o una scissione (il 2503-bis c.c. è richiamato, per la scissione, dall'art. 2506-ter, comma 5, c.c.). La norma prevede poi che agli obbligazionisti che non abbiano convertito anticipatamente: ad essi “devono essere assicurati diritti equivalenti a quelli loro spettanti prima della fusione, salvo che la modificazione dei loro diritti sia stata approvata dall'assemblea prevista dall'art. 2415” c.c. Pertanto, nel caso di specie, il diritto alla conversione espressamente permane in capo a coloro che non si sono avvalsi della facoltà di conversione anticipata. L'art. 2503-bis c.c., per analogia è ritenuto applicabile alle obbligazioni convertibili in o con warrant di sottoscrizione di azioni di una società partecipante alla fusione. Occorre distinguere il caso in cui le obbligazioni siano state emesse dall'incorporante da quello in cui siano state emesse dell'incorporata. Nel primo caso il diritto di conversione rimane “eguale”; pertanto, (sottolinea Spolidoro, Fusioni e scissioni, 126) non esiste il problema di assicurare all'obbligazionista “diritti equivalenti”. Qualora, invece, le obbligazioni convertibili siano state emesse dall'incorporata (nel caso di fusione per incorporazione) o da una delle società fuse (nel caso di fusione propria) per assicurare ai possessori delle obbligazioni convertibili diritti equivalenti a quelli loro spettanti prima della fusione occorrerà modificare il rapporto di conversione in relazione a quello tra le azioni delle società fuse o incorporate e quelle della società risultante dalla fusione o incorporante (c.d. “doppio rapporto di cambio”). In pratica occorrerà che la società incorporante o che nascerà dalla fusione deliberi un aumento di capitale a servizio delle obbligazioni convertibili emesse dall'incorporata o dall'altra società partecipante alla fusione e, per la determinazione di tale aumento,andrà applicato il rapporto di conversione al rapporto di cambio” (Spolidoro, Fusioni e scissioni, 128).

7. La scissione

L'art. 2506-bis c.c. non contiene la regola, prevista prima della riforma, per cui ogni socio poteva in ogni caso optare “per la partecipazione a tutte le società interessate, in proporzione della sua quota di partecipazione originaria”. Oggi la norma si limita a stabilire, al quarto comma, che, quando il progetto prevede l'attribuzione delle partecipazioni ai soci della scindenda in misura non proporzionale alla loro quota di partecipazione originaria, il progetto stesso deve prevedere il diritto dei soci dissenzienti di far acquistare le proprie partecipazioni, e deve indicare su chi gravi tale obbligo. Secondo la dottrina (Scognamiglio, Fusione e scissione, 309) non è perciò più sostenibile, come si faceva prima del 2003, che il prestito convertibile debba necessariamente venire “scisso” tra le società beneficiarie della scissione. Il riconoscimento di “diritti equivalenti” si realizza, infatti, con la corretta determinazione del rapporto di cambio, tale da assicurare all'obbligazionista che, quando convertirà, riceverà azioni di valore (effettivo) corrispondente a quello che avrebbero avuto le azioni che gli spettavano se la scissione non ci fosse stata (così la dottrina maggioritaria: Scognamiglio, Fusione e scissione, 309).

8. L'opposizione alla scissione

Ulteriore effetto della scissione sul prestito obbligazionario convertibile può essere che il patrimonio della scissa – essendosi ridotto per effetto della scissione – dia minori garanzie (rispetto a quelle che dava prima della scissione) per il futuro rimborso del prestito. Tuttavia in base all'art. 2506–quater, ult. comma, c.c. anche la società beneficiaria della scissione rimarrà “solidalmente responsabile, nei limiti del patrimonio netto ad essa assegnato, dei debiti della società scissa non soddisfatti” dalla medesima; poiché tuttavia non si può escludere che effetti negativi si producano (i due patrimoni, separati, potrebbero valere, complessivamente, meno di quando erano un unico patrimonio in capo alla società poi scissa; oppure la scissionaria, preesistente, è piena di debiti), gli obbligazionisti potranno pur sempre fare opposizione alla scissione ai sensi dell'art. 2503 c.c., a meno che la scissione sia stata approvata dall'assemblea degli obbligazionisti ai sensi dell'art. 2503-bis c.c..

Altre modificazioni dello statuto

Da ultimo, vi sono alcune modifiche dello statuto per le quali la legge non contiene alcuna disposizione.

Si pensi, ad esempio, alla trasformazione, al trasferimento della sede all'estero, alla delibera di scioglimento anticipato, alla modifica dell'oggetto sociale.

In linea di principio il silenzio del legislatore su questi casi significa che la pendenza di un prestito obbligazionario convertibile non impedisce queste deliberazioni: se da esse conseguirà, per gli obbligazionisti, un danno, il rimedio consisterà nel diritto al risarcimento.

Per quanto riguarda la trasformazione in un tipo di società non legittimato ad emettere obbligazioni (ad esempio in società di persone o in s.r.l.), la si ritiene deliberabile solo previo rimborso anticipato del prestito obbligazionario o sua conversione in un mutuo ordinario: la Cassazione in una sua pronuncia del 1995 ritiene che le obbligazioni siano compatibili solo con il “tipo” società per azioni (Cass. 14.2.1995, in Giur. Comm., 1997, I, 282). Tuttavia, oggi che alle s.r.l. è consentito emettere titoli di debito secondo la dottrina un'eccezione potrebbe essere costituita dalle obbligazioni sottoscritte da un investitore soggetto a vigilanza prudenziale; sicchè esse potrebbero assumere la qualifica di titoli di debito convertibili, se strutturati dallo statuto della trasformanda s.r.l. in modo analogo alle obbligazioni in circolazione (Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in Tratt. Cottino, V, Padova, 2007, 832).

Fuori da questo caso, ove si voglia rimborsare anticipatamente il prestito convertibile, nel silenzio del regolamento del prestito occorrerà, secondo una parte della dottrina il consenso di ciascun obbligazionista dal momento cheil diritto alla conversione non potrebbe venire meno senza il consenso del suo titolare (Serra, La trasformazione della società, in Tratt. Rescigno, XVII Impresa e Lavoro, 3, Torino, 1985, 328). Diversamente, e questa è l'opinione, maggioritaria, potrà essere sufficiente una deliberazione dell'assemblea degli obbligazionisti che offra preliminarmente agli stessi un periodo di conversione anticipata. Si tratta di un'impostazione che poggia sul presupposto che il rimborso anticipato, come l'anticipata conversione, costituiscano modifiche delle condizioni di prestito, e quindi siano deliberabili a maggioranza dall'assemblea degli obbligazionisti (Campobasso, Le obbligazioni, cit., 470; Cagnasso, La trasformazione delle società, in Comm. Schlesinger, Milano, 1990, 98)

Il trasferimento della sede in un Paese la cui disciplina non riconosca agli obbligazionisti convertendi diritti equivalenti a quelli attribuiti dalla legge italiana richiede, secondo alcuni, l'offerta di un periodo di conversione anticipata (Domenichini, Le obbligazioni convertibili in azioni, 227); altri (Nobili, Vitali, la Riforma, sub. Art.9, 260) ritengono sufficiente l'approvazione dall'assemblea degli obbligazionisti; altri limitano la tutela degli obbligazionisti all'azione di risarcimento danni per inadempimento (Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, 471).

La delibera di scioglimento anticipato non richiede particolari forme di tutela perché gli obbligazionisti mantengono i loro diritti anche durante la liquidazione (secondo Cottino, Diritto commerciale, Padova, 1999, 478). Altri ritengono opportuno l'offerta di un termine di conversione anticipata (NOBILI, VITALE, La riforma delle società per azioni, 261, Cavallo Borgia, Le obbligazioni convertibili, 240, nota 60 la ritiene inammissibile ove decisa unilaterlamente dalla società).

Del tutto legittimamente e liberamente deliberabile è infine ritenuta – quasi pacificamente – la modifica dell'oggetto sociale. L'approvazione dell'assemblea degli obbligazionisti è stata ritenuta necessaria per l'efficacia delle deliberazioni che modifichino i caratteri strutturali del bene oggetto di conversione, quali l'introduzione di limiti alla circolazione delle azioni o l'imposizione della nominatività obbligatoria nel caso in cui le azioni di compendio siano azioni di risparmio (Campobasso, Le obbligazioni, cit., 470).

Riferimenti
Normativi
  • art. 2411 c.c.
  • art. 2420-bis c.c.
  • art. 2438 c.c.
  • art. 2503–bis c.c.
Prassi
  • Consiglio Notarile di Milano con la massima n. 61 del 15.11.2005
Bibliografia
  • Fre', Cavallo Borgia, Società per azioni, II, Delle obbligazioni, in Comm. Scialoja,Branca, Bologna-Roma, 2000, 240
  • Cerrato, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni, Milano , 2009, 326
Sommario