Violazioni dei provvedimenti riguardanti i figli e relativi rimedi: le novità della l. 206/2021
27 Maggio 2022
Quadro generale
Come è noto, l'ottemperanza ai provvedimenti giudiziali relativi alle modalità di affidamento dei figli minori dà luogo sovente a conflittualità tra i genitori. Essa può derivare dall'interpretazione del titolo, ovvero dal mancato adempimento spontaneo ad una previsione, sulla cui esegesi non vi è contestazione; può poi riflettere questioni di contenuto personale o patrimoniale. Si apre dunque l'annoso tema dell'esecuzione dei provvedimenti relativi ai figli minori. Se l'inadempimento attiene al profilo strettamente patrimoniale, quale il versamento del contributo al mantenimento, si potrà elevare atto di precetto per il pregresso, ovvero, per il futuro, ricorrendone i presupposti, ottenere l'ordine di pagamento diretto da parte del terzo debitore, ai sensi degli artt. 156 c.c., art. 8 l. div., richiamato anche dall'art. 3 l. 219/2021 (il tutto nell'attesa dell'introduzione di una disciplina unitaria). Qualora si controverta, invece, di mancato rimborso di spese straordinarie (o extra-assegno), allo stato attuale della giurisprudenza l'interessato potrà agire in via esecutiva, previo precetto, quanto alle spese mediche e scolastiche anticipate, da allegarsi documentalmente, ovvero depositare ricorso per decreto ingiuntivo (v. Fiengo, Bussola Esecuzione: impignorabilità e limiti della compensazione, in IlFamiliarista; Fiengo, Bussola: Esecuzione: spese straordinarie, in IlFamiliarista). Ben più arduo è ottenere l'esatto adempimento delle obbligazioni, di per sé non fungibili, diverse dal pagamento di denaro (l'osservanza dei giorni e degli orari in cui prelevare il figlio minore e riaccompagnarlo all'altro genitore; la prescrizione di creare per il figlio occasioni di socializzazione, ovvero di non fargli frequentare determinati ambienti o persone, ecc.). Escluso che si possa ricorrere agli ordinari strumenti del codice di rito per l'esecuzione degli obblighi di fare o non fare, ovvero di dare, riflettenti res e non certo persone, si è inizialmente sperimentato il ricorso al giudice tutelare ai sensi dell'art. 337 c.c., nel suo ruolo di vigilanza sulle condizioni stabilite per l'esercizio della responsabilità genitoriale, anche al di fuori di quelle contemplate nei provvedimenti de potestate, di cui agli artt. 330 e 333 c.c., immediatamente precedenti. Di regola il giudice tutelare, in questi casi, non ha potere decisorio (e dunque di modifica del titolo), ma solo conciliativo; la giurisprudenza peraltro ha rivendicato una particolare forma di vigilanza attiva, riconoscendo al giudice tutelare il potere di effettuare un'operazione ermeneutica integrativa su questioni di minore rilevanza (es. la specificazione più esatta del momento in cui inizia il fine settimana di competenza del genitore non collocatario, ovvero la qualificazione di una determinata spesa come ordinaria e straordinaria) (al riguardo Buffone, Bussola Giudice tutelare: competenze, in IlFamiliarista; Trib. Milano 7 giugno 2018, n. in IlFamiliarista 2019; Trib. Arezzo 14 aprile 2008, in Dejure 2010). Con l. 54/2006, il legislatore ha introdotto l'art. 709-ter c.p.c., quale strumento di risoluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento. Esso dunque può essere azionato a fronte di criticità interpretative o esecutive, purchè in presenza di un titolo giudiziale che disciplini la gestione della genitorialità della coppia, provvisorio o definitivo che sia. Come è noto, il giudice, convocate le parti (ed ovviamente sentito di regola il minore, nel rispetto dell'337-octies c.c.), assume i provvedimenti più opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, è previsto espressamente che il giudice possa modificare i provvedimenti in vigore e, nel contempo, anche congiuntamente, assumere provvedimenti di natura sanzionatoria (ammonimento e pagamento di una sanzione alla Cassa delle ammende), piuttosto che risarcitoria (risarcimento dei danni in favore del minore o dell'altro genitore). La norma, il cui impatto nella pratica è stato per lo più inferiore a quanto ci si sarebbe aspettati, ha dato luogo a notevoli contrasti in giurisprudenza come in dottrina, a partire dalla competenza a decidere sulle relative domande. L'art. 709-ter c.p.c. attribuisce detta competenza “al giudice del procedimento in corso”, ovviamente se sia ancora pendente un giudizio della crisi della coppia genitoriale; si ci è allora chiesti se, nei procedimenti contenziosi di separazione o divorzio in primo grado, la competenza sia del presidente (o dell'istruttore), piuttosto che del collegio, mentre nessun problema si pone ove il giudizio penda in appello, ovvero riguardi l'affidamento e il mantenimento di figli nati fuori del matrimonio, per i quali è sempre il collegio competente ad assumere ogni tipo di decisione. Una volta definito il procedimento, la norma richiama espressamente l'art. 710 c.p.c., individuando il tribunale competente in quello di residenza del minore. Si è discusso se questo criterio valga anche se la controversia penda tra genitori divorziati, per i quali la norma di riferimento è rappresentata dall'art. 9 comma 1, l. 898/1970, ed anche per quelli non coniugati, ex art. 337-quinquies c.c. Anche questi dubbi saranno sciolti dalla prossima riforma processuale, ove si consideri che in base all'art. 1,. la delega si estende anche ad un intervento sull'art. 709-ter c.p.c., come si vedrà. Altri problemi di carattere processuale riflettono l'impugnazione dei provvedimenti, da esperirsi “nei modi ordinari”; non è chiaro infatti quale sia il giudice competente a fronte di decisioni assunte dal giudice istruttore in corso di causa. Ancora, si è discusso circa la ricorribilità in cassazione dei provvedimenti in questione, specie quelli di natura sanzionatoria. Ma il punto più controverso continua a riguardare quello relativo alla possibilità per il giudice di adottare ex officio le misure previste dalla norma; in base al principio generale della terzietà del giudice di cui all'art. 111 Cost., la risposta dovrebbe essere negativa. Vero è che, il giudice, quando decide su questioni minorili, non è vincolato al rispetto del principio della domanda, onde potrebbe ammettersi una pronuncia d'ufficio, quanto meno in ordine ai provvedimenti di carattere sanzionatorio. Dal punto di vista “sostanziale”, l'art. 709-ter c.p.c. ha dato luogo a minor problemi. Si è in particolare discusso se, con la previsione in questione, il legislatore abbia inteso introdurre nel nostro ordinamento i c.d. danni punitivi, propri del sistema statunitense, di natura prevalentemente sanzionatoria piuttosto che risarcitoria. Va infatti evidenziato come l'introduzione di una richiesta di danni, all'interno di un subprocedimento nell'ambito di un giudizio con un oggetto diverso, ben difficilmente potrà essere istruita e quindi approfondita con quell'ampiezza che meriterebbe, tanto è vero che i risarcimenti che, in questi anni sono stati liquidati, di regola in via equitativa, sono uniti da una finalità solo afflittiva. Si può allora pensare ad una concorrenza fra il rimedio previsto dalla norma in esame e la più generale azione di risarcimento ex art. 2043 c.c., questa seconda finalizzata all'integrale ristoro, al di là di quanto dovesse essere stato già liquidato, per evitare duplicazioni di risarcimenti. La contestuale applicazione degli artt. 709-ter e 614-bis c.p.c. nella giurisprudenza
Negli ultimi anni la giurisprudenza di merito ha rafforzato l'efficacia delle misure contemplate dall'art. 709-ter c.p.c., prevedendo contestualmente all'ammonimento a tenere o non tenere una determinata condotta anche un ordine di pagamento per ogni successiva violazione dell'ammonimento stesso, sulla base del disposto dell'art. 614-bis c.p.c. Come noto, la norma, denominata “misure di coercizione indiretta”, ha introdotto la disciplina, già nota al diritto francese delle c.d. astreintes: a fronte di un provvedimento del giudice, che ordina un facere, un non facere o un pati (per usare la terminologia classica), purchè diverso dal pagamento di una somma di denaro, può essere preventivamente disposta la comminatoria del pagamento di una somma per ogni unità di tempo in cui non fosse data esecuzione all'ordine. L'art. 614-bis c.p.c., inserito dalla l. 69/2009, si propone come deterrente in caso di reiterazione di condotte vietate; il provvedimento rappresenta titolo esecutivo e dunque legittima un'esecuzione forzata in caso di inadempimento. Si tratta di previsione che non riguarda specificamente il diritto di famiglia, ma che non è con esso incompatibile. L'unica esclusione che la norma contempla attiene infatti al rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato. La misura può essere adottata dal giudice con provvedimento sia provvisorio, sia definitivo, purchè vi sia la domanda di parte (si esclude quindi l'imposizione ex officio). La quantificazione del pagamento è rimessa alla determinazione del giudice, che dovrà tenere conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile. Le esigenze e gli interessi che i provvedimenti giudiziali attinenti ai minori sono destinati a tutelare necessariamente richiedono per un'effettiva realizzazione la piena collaborazione della parte obbligata e presentano, quindi, un connotato di spiccata infungibilità. Gli strumenti volti a garantirne l'esecuzione non possono che risentire di tali peculiarità. In questo senso, la possibilità di misure di intervento in forma di coazione indiretta in via preventiva e di sanzione economica in via successiva è stata valutata con favore, proprio perché volta a garantire il superiore interesse del minore, se pur per il tramite di un intervento sul patrimonio del soggetto obbligato (va da sé che in caso di incapienza di quest'ultimo la misura rimarrà lettera morta). A fronte del favore mostrato dalla maggior parte dei giudici di merito nei confronti dell'applicazione dell'art. 614-bis c.p.c. in connessione con l'art. 709-ter c.p.c. (cfr. Trib. Milano 2 maggio 2019, in Dir.fam.pers. 2020 I, 176; Trib. Milano 7 gennaio 2018, in IlFamiliarista 2018; Trib. Roma 23 dicembre 2007 in IlFamiliarista 2018) si è posta la diversa posizione della Corte di Cassazione. Si è infatti affermato che l'esclusione della coercibilità, a favore del figlio, del diritto di visita e del corrispettivo dovere del genitore non affidatario o non collocatario di garantire una sua frequentazione regolare, comporta la impossibilità di applicare l'art. 614-bis c.p.c.. Quest'ultimo presuppone infatti l'inosservanza di un provvedimento di condanna, ma il diritto (e il dovere) di visita costituisce una esplicazione della relazione fra il genitore e il figlio che può trovare regolamentazione nei tempi e modi, ma mai costituire l'oggetto di una condanna ad un facere sia pure infungibile (Cass. 6 marzo 2020, n. 6471; conf. App. Milano 21 aprile 2021, in Dejure). L'argomento è stato corroborato dal rilievo che l'emanazione di un provvedimento ex art. 614-bis c.p.c. potrebbe porsi financo in contrasto con l'interesse del minore, costretto a subire in tal modo una monetizzazione preventiva e una “conseguente grave banalizzazione” di un dovere essenziale del genitore nei suoi confronti, come quello alla sua frequentazione. In questo contesto frastagliato assai opportunamente è intervenuta la l. 206/2021, su un doppio binario. Da un lato, con disposizione immediatamente operativa per tutti i procedimenti instaurati dopo il 22 giugno 2022 (120 giorni dopo la pubblicazione della legge in Gazzetta Ufficiale), contenuta nel comma 33 dell'art. 1 della legge in questione è stato novellato il n. 3 dell'art. 709-ter c.p.c. che in oggi attribuisce al giudice il potere di “disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti dell'altro anche individuando la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. Il provvedimento del giudice costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell'articolo 614-bis”. È stata dunque in modo espresso sancita la piena compatibilità e la concorrenza tra le misure, rispettivamente previste negli artt. 709-ter e 614-bis c.p.c.; in particolare sono state superate le criticità sollevate dalla Corte di Cassazione in ordine all'applicazione di misure di coercizione indiretta in caso di inadempimenti alle previsioni giudiziali afferenti le modalità di affidamento dei figli minori. Il pagamento di una somma periodica, modulata sul parametro di ciascun giorno di violazione o di inadempimento, è strettamente collegata alla contestuale condanna ex art. 709-ter c.p.c. che ne costituisce la ragione giustificatrice; riterrei peraltro che non sia necessaria la specifica condanna al risarcimento dei danni a carico del genitore destinatario della misura di cui all'art. 614-bis c.p.c., per essere sufficiente anche il solo ammonimento. Il genitore “danneggiato” ben potrebbe infatti astenersi dal richiedere il risarcimento, senza con ciò vedersi escluso dal beneficiare della misura di coazione a carico dell'altro. La nuova disciplina opera non solo per tutti i procedimenti instaurati ex novo dopo il 22 giugno 2022, ma pure per i subprocedimenti, instaurati dopo quella data, se pur relativi a giudizi principali, già pendenti. Nel contempo, l'art. 1 comma 23, l. 206/2021, al punto mm), come anticipato, ha delegato il governo a “procedere al riordino della disciplina di cui all'articolo 709-ter del codice di procedura civile, con possibilità di adottare anche d'ufficio, previa instaurazione del contraddittorio, provvedimenti ai sensi dell'articolo 614-bis del codice di procedura civile in caso di inadempimento agli obblighi di fare e di non fare anche quando relativi ai minori”. Da un confronto tra tale previsione e quella ex novo introdotta e di cui si è detto emerge come la previsione di un intervento officioso del giudice sia demandato alla legislazione delegata, con la conseguenza che, allo stato, dovrebbe ritenersi preclusa. Dovrà essere poi espressamente sancito che la misura di coercizione indiretta potrà conseguire ad ogni tipo di pronuncia ex art. 709-ter c.p.c. (di natura risarcitoria o sanzionatoria). Può pertanto dirsi ormai acquisito l'utilizzo della disciplina delle astreintes quale strumento per cercare di garantire l'osservanza dei provvedimenti giudiziali afferenti la genitorialità; si può discutere se la previsione del pagamento di una somma di denaro sia un efficace deterrente contro comportamenti elusivi di quei comportamenti. Sta di fatto che essa costituisce un ulteriore mezzo che ben potrebbe spronare il genitore a rispettare i suoi doveri verso i figli. Nel contempo, la riforma del 2021, nel novellato art. 38 disp. att. c.c. (oggetto di altro approfondimento) ha espressamente riconosciuto la competenza ad emettere provvedimenti ex art. 709-ter c.p.c (e dunque anche ex art. 614-bis c.p.c.) anche al tribunale per i minorenni (ovviamente fino all'introduzione del nuovo tribunale per la persona, i minorenni e le famiglie) |