Redditi di lavoro autonomo: i compensi sono imputati per cassa anche in caso di errore del contribuente

04 Luglio 2022

L'Amministrazione finanziaria emetteva un avviso di accertamento per rettificare i redditi dichiarati da un contribuente esercente attività di lavoro autonomo per il periodo d'imposta 2005. In sede di merito, le doglianze del ricorrente vengono ritenute prive di pregio. Con sentenza n. 20190/2022, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ne rigetta anche il ricorso per cassazione con condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e di un ulteriore importo pari al contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2022.

L'Amministrazione finanziaria emetteva un avviso di accertamento per rettificare i redditi dichiarati da un contribuente esercente attività di lavoro autonomo per il periodo d'imposta 2005. In sede di merito, le doglianze del ricorrente vengono ritenute prive di pregio.

Con sentenza n. 20190/2022, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ne rigetta anche il ricorso per cassazione con condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e di un ulteriore importo pari al contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2022.

Ex multis, il contribuente contesta la ripresa a tassazione di compensi indicati in fatture emesse ed erroneamente dichiarate nel periodo d'imposta 2004, ma incassati nel periodo d'imposta 2005, così di fatto determinando una doppia tassazione della medesima capacità contributiva.

Con riferimento alla determinazione del reddito di lavoro autonomo, l'art. 54, comma 1, Tuir dispone quanto segue: «il reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte o della professione [...]». Il Collegio ricorda che il reddito di lavoro autonomo è determinato in base al c.d. “principio di cassa”: pertanto, i compensi partecipano alla determinazione del reddito soltanto quando sono effettivamente incassati, a prescindere dal momento di emissione della fattura. L'avviso di accertamento impugnato è conforme a tale disciplina, giacché i compensi fatturati dal contribuente nel 2004 sono stati incassati nel 2005, anno oggetto della rettifica da parte dell'Amministrazione finanziaria.

La Suprema Corte conferma inoltre l'inammissibilità dell'eccezione di compensazione proposta dal contribuente per la prima volta in appello, in violazione dell'art. 57, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, ove si fa divieto alle parti di proporre in appello nuove eccezioni che non siano rilevabili d'ufficio, e dell'art. 1242, comma 1, c.c., ove si nega la rilevabilità d'ufficio della compensazione.

Il Giudice di legittimità ritiene analogamente inammissibili e infondate le doglianze del contribuente relative al mancato scorporo dei compensi fatturati ed erroneamente dichiarati nel periodo d'imposta oggetto di rettifica, ma incassati in quello successivo, e quelle relative al mancato computo di spese asseritamente documentate, giacché rivolte non a sostenere una violazione di legge, ma a sollecitare una diversa ricostruzione in fatto dell'accertamento compiuto dal giudice del gravame (cfr. Cass., civ., sez. unite, n. 23745/2020).

Il Collegio rileva inoltre che nella sentenza impugnata si esclude che il contribuente, in sede di contraddittorio endoprocedimentale, abbia prodotto un prospetto di raccordo per la verifica dei criteri utilizzati della determinazione dell'imposta dovuta.

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