Il condannato non impugnante può godere della prescrizione per opera dell'effetto estensivo ex art. 587 c.p.p.?
27 Ottobre 2017
1.
La questione rimessa al Collegio riunito è se l'effetto estensivo ex art. 587 c.p.p. della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione operi in favore del coimputato non impugnante solo qualora detta causa estintiva sia maturata prima dell'irrevocabilità della sentenza nei confronti dello stesso ovvero – fermo restando il presupposto che l'impugnazione non sia fondata su motivi esclusivamente personali dell'impugnante - anche nell'ipotesi in cui la causa di estinzione sia maturata dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna nei confronti del coimputato non impugnante. Il contrasto si pone rispetto alle Sezioni unite 20 dicembre 2012, n. 19054, Vattani, la quale aveva affermato che, in caso di concorso di persone nel reato e nonostante i motivi non esclusivamente personali al coimputato appellante, poteva essere estesa al non impugnante (o al coimputato che avesse proposto un'impugnazione inammissibile) solo se maturato prima della irrevocabilità della sentenza. Invero, dopo questa decisione, se, per un verso, l'orientamento era stato condiviso da Cass. pen., Sez. V, 27 gennaio 2016, n. 15623, Di Martino; nonché da Cass. pen., Sez. II, 25 novembre 2016, n. 9731, Fiore; per un altro, era stato disatteso da Cass. Sez. III, 24 gennaio 2013, n. 10223, Mikulic; Cass. pen., Sez. II, 12 maggio 2015, n. 33429, Guardì. La Sez. V aderendo a questo secondo orientamento ha ritenuto opportuno sollecitare un nuovo intervento delle Sezioni unite. Punto di partenza di qualsiasi argomentazione in materia è sicuramente la sentenza Cacciapuoti delle Sezioni unite (24 marzo 1995, n. 9) con la quale si è riconosciuto all'istituto dell'estensione della decisione altrui natura di «rimedio straordinario capace di revocare il giudicato in favore del non impugnante»: infatti, il fenomeno processuale dell'estensione dell'impugnazione in favore del coimputato non impugnante (o del quale l'impugnazione sia stata dichiarata inammissibile) di cui all'art. 587 c.p.p., opera di diritto come rimedio straordinario che, al verificarsi dell'evento consistente nel riconoscimento, in sede di giudizio conclusivo sul gravame, del motivo non esclusivamente personale dedotto dall'imputato diligente, è idoneo a travolgere il giudicato in favore del non impugnante, rendendo questi partecipe del beneficio conseguito dal coimputato; ne deriva conseguentemente che, fino a quando non si sia verificato tale effetto risolutivo, il predetto fenomeno processuale non spiega influenza alcuna sulla esecutorietà della sentenza relativa al rapporto processuale concernente il non impugnante od equiparato. Dalla configurazione dell'istituto così definita discende l'ulteriore principio di diritto affermato dalla medesima sentenza: poiché nel processo plurisoggettivo, la valida impugnazione proposta dal coimputato – ancorché sostenuta da motivo non esclusivamente personale - non impedisce che diventi irrevocabile la sentenza relativamente al rapporto concernente l'imputato non impugnante (o quello che abbia proposto l'impugnazione inammissibile), rimane ferma l'esecutorietà delle statuizioni ivi contenute e non può sospendersi il relativo procedimento esecutivo nell'attesa del verificarsi dell'eventuale effetto risolutivo straordinario di cui all'art. 587 c.p.p., in mancanza di disposizioni che attribuiscono un simile potere al giudice dell'esecuzione, né potendosene altrimenti trarne l'esistenza dal sistema penale. Da questa decisione non è possibile trarre, in primo luogo, la conclusione per cui, per effetto della irrevocabilità della sentenza non impugnata, possa derivare un effetto preclusivo all'estensione al non impugnante della decisione favorevole emessa nei confronti del concorrente nel reato che abbia proposto, per motivi non esclusivamente personali, un'impugnazione ammissibile. Questo elemento trova una conferma formale nell'art. 601, comma 1, c.p.p. a mentre del quale è prevista la citazione dell'imputato non appellante se ricorre taluno dei casi previsti all'art. 587 c.p.p. In secondo luogo, non sarebbe sostenibile che l'effetto di risoluzione del giudicato si avrebbe solo nel caso della partecipazione nel giudizio di gravame, del non appellante, e non nel caso della sua mancata partecipazione. Si porrebbero dei problemi d' invalidità assoluta nel caso dell'omessa citazione. Una ulteriore conferma è data dal riconoscimento al non impugnante del potere di impugnare la sentenza d'appello che non ha operato l'estensione della decisione favorevole.
Diversamente argomentando, come evidenziato dalla sentenza Mikulic (24 gennaio 2013, n. 10223) sarebbe difficile – considerato quanto sostenuto dalle Sezioni unite Cacciapuoti - ritenere possibile l'operatività dell'art. 587 c.p.p. È la stessa estensione degli effetti favorevoli della impugnazione a presupporre, infatti, che, attraverso la stessa, si debba giungere a rimuovere il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti dell'imputato che non abbia proposto impugnazione. L'opzione – indica la Corte nella decisione Mikulic – muove dal rilievo che l'art. 587 c.p.p. è istituto tendente ad evitare la contraddittorietà tra giudicati e «prevede, testualmente, che nel caso di concorso di più persone in uno stesso reato, l'impugnazione proposta da uno degli imputati, purché non fondata su motivi esclusivamente personali, giova anche agli altri imputati». Ove si ritenga che l'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza, inevitabilmente conseguente alla mancata proposizione dell'impugnazione, si verrebbe, invece, nella sostanza, a disattendere la stessa ratio del meccanismo in questione. Invero, se da un lato, le cause di estinzione, in quanto dichiarabili d'ufficio non hanno nulla a che fare con la personalità o meno del motivo, dall'altro lato, appare poco confacente l'impostazione che ritiene il funzionamento del meccanismo dipendente dalla distinzione in relazione al tempo di perfezionamento della causa estintiva stessa, secondo la quale essa opera a seconda che l'estinzione si perfeziona prima o dopo l'irrevocabilità della sentenza. Al di là del conflitto teorico fra giudicati, finalità dell'istituto è quella di consentire ad un soggetto che non ha proposto impugnazione o ha proposto un'impugnazione inammissibile, di giovarsi degli effetti favorevoli derivanti da un'impugnazione proposta da un altro soggetto, con quale il primo abbia un interesse identico, affine o collegato: essa è, altresì, quella di rappresentare una condizione risolutiva del giudicato formatosi nei confronti del non impugnante o, in via eccezionale, la condizione per la rimozione del giudicato della sentenza nei confronti dell'imputato che non abbia proposto impugnazione. È pacifico che diversamente opinando l'estensione non potrebbe mai operare. Invero, è per superare questa difficoltà, alcune decisioni ritengono che: se la causa estintiva preesistente al gravame sia un motivo suscettibile di estensione, in quanto non esclusivamente personale, nel caso della prescrizione maturata durante il giudizio di gravame si configurerebbe come un motivo personale e –quindi- la decisione che lo accolga non sarebbe suscettibile di effetto estensivo. Se così fosse, si dovrebbe ritenere che nuove prove introdotte dal soggetto impugnante escludenti la sussistenza del fatto, non consentirebbero di determinare l'effetto estensivo a favore del coimputato non impugnante.
La nuova decisione della Sez. V non ripropone la questione legata alla causa di inammissibilità, potendosi – o dovendosi - distinguere, sulla scorta delle Sezioni unite Butera e Ricci tra le varie cause di inammissibilità, escludendo l'operatività dell'art. 587 c.p.p. in relazione all'impugnazione tardiva, in forza della possibile distinzione tra giudicato formale e giudicato sostanziale. Invero, la questione ha poco pregio - al di là del suo fondamento - nella materia de qua. Assume maggior rilievo, invece, il richiamo ai poteri d'ufficio del giudice dell'impugnazione capace di superare il legame con la “personalità” del motivo e consentire l'estensione anche se non prospettato dall'impugnante, a condizione che si tratti di gravame ammissibile e di (altri) motivi non personali, benché sarebbe possibile distinguere tra l'operatività dell'art. 601 c.p.p. (effetto estensivo dell'impugnazione) e l'effetto della decisione (effetto estensivo della sentenza). Naturalmente, ai fini dell'estensione della prescrizione dovrà trattarsi di una causa che riguardi entrambi i coimputati, escludendosi la causa estintiva riguardante il solo appellante ovvero quella (eventualmente) riguardante il solo non appellante e non il coimputato appellante. 2.
La V Sezione con l'ordinanza n. 33324 rimette nuovamente alle Sezioni unite, dopo aver precisato, su richiesta del Primo Presidente del Supremo Collegio, in via autonoma e con approfondita motivazione i termini del contrasto, la questione: «se l'effetto estensivo ex art. 587 c.p.p. della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione operi in favore del coimputato non impugnante solo qualora detta causa estintiva sia maturata prima dell'irrevocabilità della sentenza nei confronti dello stesso ovvero – fermo restando il presupposto che l'impugnazione non sia fondata su motivi esclusivamente personali dell'impugnante – anche nell'ipotesi in cui la causa di estinzione sia maturata dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna nei confronti del coimputato non impugnante». 3.
Il Primo Presidente della Suprema Corte di cassazione ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali fissando per la trattazione l'udienza del 26 ottobre 2017. 4.
Le Sezioni unite della Cassazione penale, chiamate a pronunciarsi sulla questione controversa «se, nel caso di più persone in uno stesso reato, l'effetto estensivo della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione operi in favore del coimputato non impugnanate anche nell'ipotesi in cui la causa di estinzione sia maturata dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna emessa nei confronti dello stesso», hanno dato risposta negativa. |