La tutela del diritto alla bigenitorialità e il ricorso all’art. 709-ter c.p.c.

Paola Maccarone
06 Luglio 2022

La Corte d'Appello di Milano, nell'ambito di un procedimento instaurato avverso il decreto di regolamentazione dei rapporti tra genitori e figlio e contestuale istanza, proposta dalla controparte ex art. 709-ter c.p.c., ha dichiarato inammissibili entrambe le domande proposte.
Massima

La Corte d'Appello di Milano, nell'ambito di un procedimento instaurato avverso il decreto di regolamentazione dei rapporti tra genitori e figlio e contestuale istanza, proposta dalla controparte ex art. 709-ter c.p.c., ha dichiarato inammissibili entrambe le domande proposte. Le richieste avanzate dalla madre del minore sono state ritenute contrastanti con il diritto alla bigenitorialità del minore stesso e con i principi che s'incardinano sul concetto di best interest of the child, mentre l'istanza proposta dal padre con controricorso si è scontrata con il rilievo di alcuni vizi procedurali da parte del Collegio giudicante, tra cui la circostanza che si trattasse di un'istanza avanzata per la prima volta in grado di appello.

Il caso

La madre di un minore di cinque anni ha proposto reclamo avverso il decreto emesso dal Tribunale di Busto Arsizio in data 19 ottobre 2021 recante le disposizioni concernenti l'affidamento del figlio e il diritto di visita del padre, con contestuale istanza sia per la sospensione dello stesso, con riguardo alle visite tra padre e figlio, che di affidamento esclusivo del minore.

Secondo la ricorrente, la richiesta di sospensione e/o revoca dell'efficacia esecutiva del decreto nei termini indicati, la prosecuzione delle visite padre-figlio nelle modalità espressamente suggerite dalla consulenza tecnica esperita nel precedente giudizio e l'affidamento esclusivo del minore alla madre sarebbero giustificati da una persistente urgenza determinata dalle presunte condotte poste in essere dal padre a danno del figlio, nonché da interferenze nel rapporto con il figlio stesso causate della nuova compagna del padre. Sempre secondo le prospettazioni di parte attrice, i rilievi emersi dalla consulenza tecnica espletata nel primo grado di giudizio non sarebbero stati tenuti in debita considerazione dal Tribunale.

Il padre, costituitosi resistendo e opponendosi al reclamo esposto, ha proposto per la prima volta istanza ex art. 709-ter c.p.c. poiché la madre, con condotte ostruzionistiche dolosamente intraprese, avrebbe omesso di rispettare il provvedimento del Tribunale di Busto Arsizio arrecando così un grave pregiudizio all'interesse del figlio. Il resistente, dopo aver evidenziato di avere avanzato avanti al Tribunale per i Minorenni di Brescia domanda di decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre, ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. ha chiesto alla Corte d'Appello di Milano di: (i) condannare la mamma, per gli inadempimenti posti in essere, al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria nella misura massima possibile, a favore della Cassa delle ammende così come previsto al numero 4) della disposizione in esame; (ii) condannare la stessa al pagamento in favore del padre dell'importo di € 4.500,00 a titolo di risarcimento del danno per i giorni non trascorsi con il figlio e della somma di € 500,00 per ciascun giorno di mancata “consegna” del figlio; (iii) valutare l'opportunità di prevedere la modifica del regime di collocamento del minore.

La questione

La sentenza oggetto della presente analisi pone all'interprete diversi interrogativi e sottopone allo stesso altrettante questioni giuridiche di pregnante rilevanza, che necessitano di essere trattate individualmente al fine di comprendere a pieno la decisione della Corte d'Appello di Milano. Le questioni che verranno analizzate si pongono lo scopo di approfondire la tutela posta in essere dall'ordinamento per rendere effettivi sia il diritto alla bigenitorialità del minore, che il corrispettivo diritto dei genitori in quanto tali.

Nonostante gli innumerevoli quesiti che possono sorgere in seguito a un'approfondita lettura e analisi della sentenza in esame quali, tra i più stimolanti, la valenza probatoria della consulenza tecnica d'ufficio medico-psicologica su un minore o la mera possibilità di richiamo di tali risultanze ai fini decisori, ci soffermeremo in questa sede sulle quattro questioni principali che emergono e che, in maniera tangibile, coinvolgeranno anche l'aspetto appena accennato.

Le suddette questioni, delle quali la prima si premette sin da ora essere certamente molto ampia, che non possono non essere vagliate ai fini che qui ci occupano possono essere così riassunte: (i) Quale valore viene attribuito al diritto alla bigenitorialità del minore? (ii) A fronte di quali situazioni e a quali condizioni tale diritto può essere compresso? (iii) Quale ruolo assume in questo contesto la proposizione di un'istanza ex art. 709 ter c.p.c.? (iv) Quali sono i limiti di proponibilità del ricorso ex art. 709-ter c.p.c.?

Le soluzioni giuridiche

La questione più generale che permea il decreto emesso dalla Corte d'Appello di Milano, e che necessita di essere affrontata in prima battuta, riguarda il diritto alla bigenitorialità nella sua attuazione pratica.

Il diritto alla bigenitorialità, oggetto di copiosa trattazione da parte di dottrina e giurisprudenza, viene comunemente definito come la necessità di garantire al minore la costante presenza di entrambi i genitori nella sua vita, nonché l'interesse di quest'ultimo a trascorrere del tempo e coltivare il rapporto con ciascuna delle figure genitoriali. Esso ha come finalità principale, secondo quanto affermato da un orientamento unanime della Corte di Cassazione, quella di “garantire al minore una stabile consuetudine di vita e delle salde relazioni affettive con entrambi i genitori, che dovranno a loro volta cooperare nell'assistenza, educazione e istruzione dei figli” (tra le altre Cass. civ. n. 16125/2020).

La sua realizzazione, nei termini esposti, entra a pieno titolo nel perseguimento di un principio ben più esteso quale il c.d. best interest of the child o superiore interesse del minore, ovvero nel novero di quel criterio guida che deve permeare ogni decisione riguardante il fanciullo e che tiene conto delle peculiarità di ogni singola fattispecie.

Il principio in esame, concretamente attuato, può incontrare delle difficoltà e subire delle distorsioni a causa di situazioni conflittuali tra i genitori, come spesso accade successivamente alla disgregazione della famiglia, o qualora sia proprio una delle figure genitoriali a frapporre ostacoli alla relazione tra il minore e l'altro genitore. In situazioni come quelle descritte, la discrezionalità che viene riservata al giudice circa i provvedimenti da adottare per la regolamentazione dei rapporti che intercorrono tra figli e genitori ha come evidente contro limite la realizzazione del superiore interesse del minore, inteso anche come realizzazione della bigenitorialità.

Anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo si è, in diverse occasioni, espressa nel senso testé descritto ove chiamata a valutare la sussistenza della violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, nonché il rispetto dei limiti di ingerenza dell'autorità sanciti dall'art. 8 della CEDU. Secondo tale disposizione, per poter qualificare come legittima l'intromissione nella sfera personale di un soggetto, essa deve essere prevista dalla legge, deve soddisfare specifiche condizioni e/o essere volta a tutelare principi inviolabili di un ordinamento. La Corte ha affermato che, sebbene rientri nei poteri dello Stato, e dunque dei giudici, la facoltà di intervenire in circostanze particolarmente delicate con le modalità ritenute più consone, i legami familiari con i minori possono essere sciolti solamente in presenza di situazioni del tutto eccezionali proprio in virtù della tutela del best interest of the child.

Per tale ragione risulta indispensabile che qualsiasi domanda avanzata in sede di giudizio da un genitore, che si ponga in contrasto con questo diritto, sia supportata da comportamenti, atti o omissioni oggettivi adeguatamente provati dalla parte. Allo stesso modo, il giudice deve valutare adeguatamente le prove fornite dalla parte al fine di motivare compiutamente nel proprio provvedimento la scelta di limitare e/o escludere il diritto alla bigenitorialità, poiché dalla stessa potrebbe derivare un ineludibile pregiudizio per la crescita e la stabilità del minore. Proprio in questo senso recentemente la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi rispetto a provvedimenti fortemente restrittivi del diritto in esame, ha ribadito che “ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti e a motivare adeguatamente”, anche a prescindere dalla diagnosi di sindrome da alienazione parentale eventualmente avanzata dai consulenti tecnici d'ufficio (cfr. Cass. civ. n. 13217/2021 e Cass. civ. n. 9691/2022).

È proprio nell'ambito di questo costante orientamento giurisprudenziale che la sentenza in commento ha dichiarato inammissibile la domanda di sospensiva del decreto di regolamentazione dei rapporti tra genitori e figlio reso dal Tribunale di prime cure, poiché non adeguatamente provata e senz'altro lesiva del diritto alla bigenitorialità del minore, in assenza di comprovate ragioni di pericolo per lo stesso.

La scelta del giudice deve rispondere all'esigenza di realizzare il diritto alla bigenitorialità del minore, che si badi bene essere un diritto del minore prima ancora che un diritto del genitore, e deve tenere conto di quelle che possono essere le potenziali ripercussioni sullo stesso a causa dal venir meno della relazione con uno dei genitori.

Proprio nell'ottica di garantire il diritto alla bigenitorialità nei termini espressi, la legge 8 febbraio 2006 n. 54 ha introdotto, tra le altre non indifferenti novità, l'art. 709-ter c.p.c.; esso rappresenta uno degli strumenti che il nostro legislatore mette a disposizione dei genitori al fine di individuare una soluzione per le controversie insorte tra gli stessi in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o alle modalità dell'affidamento dei minori. La medesima disposizione contempla che, in caso di gravi inadempienze commesse dal genitore o qualora siano stati posti in essere atti che arrechino un pregiudizio al minore o ancora, ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, il giudice possa modificare i provvedimenti adottati in precedenza e, congiuntamente, adottare una delle misure sanzionatorie espressamente previste.

In assenza di una tipizzazione da parte del legislatore relativamente alle circostanze sulla base delle quali adottare tali sanzioni, che sono espresse in ordine di afflittività crescente, sorge nuovamente un'ampia discrezionalità in capo al giudice. Nel tentativo di rendere più chiari i contorni dell'ambito di applicazione della disciplina in esame, un chiarimento è giunto dalla Corte Costituzionale con la sentenza 10 luglio 2020 n. 145 la quale ha affermato, con riferimento alla sanzione amministrativa, che essa costituisce “... una forma di indiretto rafforzamento dell'esecuzione delle obbligazioni di carattere infungibile ...” e che “… il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento della prole … non è compreso nel novero delle condotte inadempienti per le quali può essere irrogata dall'autorità giudiziaria adita la sanzione …”.

Come accennato, il presupposto applicativo della presente disciplina è rappresentato dalla necessaria esistenza di un precedente provvedimento in materia di esercizio della responsabilità genitoriale o recante le modalità di affidamento. Sulla base di tale provvedimento il giudice è chiamato a risolvere le controversie e i contrasti insorti, valutare la necessarietà di specificazioni o determinazioni ulteriori relativamente agli stessi, accertare eventuali gravi inadempienze o violazioni imputabili al genitore o ancora, la sussistenza di un eventuale pregiudizio nei confronti del minore. L'elemento da ultimo citato ha una portata non indifferente poiché assorbe al suo interno il contenuto delle condotte del genitore, indipendentemente dal tenore positivo o negativo delle stesse, contemplando sia i comportamenti e gli atti che il genitore avrebbe dovuto porre in essere sia quelli dai quali si sarebbe dovuto astenere.

La casistica che in più occasioni si è manifestata e ha coinvolto la nostra giurisprudenza e che è a fondamento, secondo il controricorrente, anche della domanda ex art. 709-ter c.p.c. proposta dallo stesso dinnanzi alla Corte d'Appello di Milano, è rappresentata dall'atteggiamento ostruzionistico intrapreso da uno dei genitori sia con riferimento al rapporto del minore con l'altro genitore che con riguardo all'attuazione dei provvedimenti assunti dal giudice circa i medesimi rapporti (tra le altre, App. Firenze, 29 agosto 2007; Trib. Firenze, 11 febbraio 2008; Trib. min. Trieste, 23 agosto 2013; Trib. Roma, 11 ottobre 2016; Trib. Milano, 7 gennaio 2018; Cass. civ. n. 13400/2019; Trib. Cosenza, 7 novembre 2019).

L'ultima questione che ci accingiamo ad affrontare è prettamente procedurale ma, nel giudizio in esame, ha assunto un ruolo determinante sotto diversi aspetti, non da ultimo quello decisionale.

In primis, la proposizione di un'istanza ex art. 709-ter c.p.c. e le relative statuizioni da parte del giudice, secondo il dettato della disposizione, sono impugnabili nei modi ordinari. Questo riferimento alle “impugnazioni ordinarie” ci porta a ritenere che, per la disciplina in esame, il legislatore non abbia contemplato regole particolari riguardo all'impugnazione dei provvedimenti, trovando così piena applicazione le ordinarie regole.

Già nel 2010 la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21718, nel tentativo di chiarire il riferimento operato dalla disposizione ha ritenuto che, tenuto conto dell'eterogeneità delle possibilità attribuite alla discrezionalità del giudice, esso debba essere di volta in volta declinato in ragione della specificità del provvedimento che è stato pronunciato e del suo concreto contenuto.

Nel contesto delineato assume rilevanza anche il reclamo, mezzo di impugnazione avente carattere devolutivo avverso i provvedimenti emessi in camera di consiglio. In quanto tale, il giudizio di secondo grado che sorge in seguito alla proposizione di un reclamo ha per oggetto la revisione della decisione adottata dal giudice di prime cure, e ciò può avvenire solamente “nei limiti del devolutum e delle censure formulate e in correlazione alle domande formulate in quella sede” (Cass. civ. n. 3924/2012 e Cass. civ. n. 32525/2018).

È quindi esclusa la proposizione di nuove domande, come nel caso di specie era l'istanza ex art. 709-ter c.p.c. avanzata per la prima volta in grado d'appello dal resistente, poiché il secondo grado di giudizio è volto far emergere le criticità del provvedimento impugnato ed è dedicato all'esposizione delle ragioni per le quali se ne chiede la riforma.

Una soluzione diversa rispetto a quella prospettata determinerebbe, secondo quanto affermato dalla Corte d'Appello di Milano, una palese violazione del c.d. principio di doppio grado di giurisdizione di merito ovvero della possibilità che una diversa autorità giudiziaria, generalmente sovraordinata, riesamini la questione con il rischio di violare tanto il diritto di azione quanto il diritto di difesa, costituzionalmente garantiti dall'art. 24 della Costituzione.

Il provvedimento in commento ritiene che tale conclusione sarebbe avallata anche dal carattere decisorio e di definitività dei provvedimenti di irrogazione di una sanzione pecuniaria e di condanna al risarcimento dei danni del genitore inadempiente adottabili dal giudice in sede di istanza ex art. 709-ter c.p.c.; tutte queste considerazioni hanno spinto la Corte adita a non addentrarsi nell'indagine e nell'esame delle supposte condotte poste in essere dalla madre e denunziate dal controricorrente.

In secondo luogo, la domanda proposta nei termini sino a questo punto esposti soggiace a un altro principio cardine dell'instaurazione e dello svolgimento del giudizio in materia di provvedimenti de potestate, ovvero all'applicazione del criterio di prevenzione ai fini della determinazione della competenza.

L'estensione del presente principio è stata resa ancora più chiara dalla riformulazione integrale della prima parte dell'art. 38 disp. att. c.c., applicabile ai procedimenti istaurati a partire dallo scorso 22 giugno, secondo la quale la competenza per il ricorso ex art. 709-ter c.p.c. è attribuita al Tribunale per i minorenni “ove [sia] pendente o [sia] instaurato successivamente, tra le stesse parti, un procedimento previsto dagli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del Codice Civile”, determinando così una vis attractiva a favore del Tribunale per i minorenni.

Il fine che s'intende perseguire con tale disciplina anche a seguito dell'intervento normativo, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, risiede nella connessione oggettiva e soggettiva esistente tra le predette domande al fine di evitare che vengano assunte due decisioni diverse all'interno della medesima situazione conflittuale, magari di segno opposto o, più in generale, incompatibili tra loro.

La ratio di tale scelta, secondo il Collegio, è evidentemente condivisa anche dal dettato dell'art. 709-ter c.p.c. nella parte in cui afferma che la risoluzione delle controversie eventualmente insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità di affidamento è attribuita alla competenza del giudice del procedimento già in corso.

La Corte d'Appello di Milano dunque, avendo il padre avanzato nell'esaminando giudizio domande riguardanti la conformazione delle modalità concrete di esercizio della responsabilità genitoriale già proposte dal medesimo con ricorso ex art. 330 c.c. dinnanzi al Tribunale per i minorenni di Brescia in data anteriore, ha dato applicazione al principio esposto dichiarando inammissibile la domanda avanzata dal resistente.

Osservazioni

In conclusione, di quanto affermato sino a questo punto, sono numerose le osservazioni che potrebbero essere avanzate da parte di chi scrive e innumerevoli gli argomenti connessi, per cui ci siano permesse due brevi considerazioni a corollario di quanto trattato, anche con riguardo alla recentissima l. 206/2021.

Un primo elemento che necessita di essere approfondito brevemente riguarda la ricorribilità per cassazione dei provvedimenti emessi ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c.

Come abbiamo visto, secondo la disposizione richiamata, essi sono ritenuti “… suscettibili di impugnazione nelle forme ordinarie ...” ma la facoltà di esperire il ricorso previsto dall'art. 111 della Costituzione ha più volte interessato la nostra giurisprudenza di legittimità, oltre che costituire parte integrante della motivazione che soggiace all'inammissibilità della domanda di sospensione del decreto oggetto di reclamo dichiarata dalla Corte d'Appello di Milano.

I provvedimenti che possono essere adottati dal giudice ex art. 709-ter c.p.c. sono stati oggetto di decisioni di diverso tenore circa la ricorribilità per cassazione: la giurisprudenza di legittimità è pressoché unanime nel ritenere che i provvedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria e di condanna al risarcimento del danno da parte del genitore inadempiente siano ricorribili per cassazione poiché rivestono i caratteri di decisorietà e definitività (in questo senso: Cass. civ. n. 18977/2013; Cass. civ. n. 4176/2014; Cass. civ. n. 3810/2015; Cass. civ., n. 16980/2018; Cass. civ. n. 13400/2019; Cass. civ. n. 1568/2022). Viceversa, sempre in maniera unitaria, la Corte di Cassazione ha escluso l'impugnabilità del provvedimento di ammonizione del genitore (oltre a quelle giù citate: Cass. civ. n. 21718/2010).

Un discorso più ampio e più controverso, invece, deve essere intavolato per quei provvedimenti che sono stati adottati al fine di risolvere un contrasto insorto tra i genitori in ordine all'esercizio concreto delle modalità di affidamento o sull'esercizio della responsabilità genitoriale. In questo senso le pronunce della nostra giurisprudenza, nonostante un innegabile indirizzo maggioritario, non sono sempre uniformi, come è accaduto anche in due recentissime ordinanze della Corte di Cassazione ovvero Cass. civ. n. 21553/2021 e Cass. civ. n. 1568/2022, citata anche dalla Corte d'Appello di Milano in esame.

Nella prima ordinanza, in seguito a un esplicito richiamo a una precedente decisione delle Sezioni Unite del 2018, non è stata accolta l'eccezione d'inammissibilità formulata dalla controricorrente con la quale contestava la ricorribilità per cassazione del provvedimento ex art. 709-ter c.p.c. che, in seguito all'insorgenza di un contrasto tra i genitori, aveva statuito sulla scelta della scuola per i figli minori. Nonostante l'efficacia circoscritta nel tempo che potrebbe essere ricondotta a tali scelte, secondo la Corte esse hanno carattere decisorio e di stabilità e, pertanto, nei loro confronti è ammesso il ricorso per cassazione.

La seconda ordinanza citata invece, in merito alla statuizione relativa alle modalità di affidamento della prole adottata ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c., ha ritenuto che essa sia una decisione “…affidata agli apprezzamenti compiuti dal giudice del merito; ed il provvedimento, soggetto alle regole generali del rito camerale, e come tale inidoneo ad acquistare autorità di giudicato, neppure rebus sic stantibus, perché modificabile e revocabile non solo ex nunc, per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche ex tunc, sulla base di un riesame di merito o di legittimità delle originarie risultanze processuali …”, priva dunque dei requisiti elaborati dalla giurisprudenza ai fini della ricorribilità ex art. 111, comma 7, della Costituzione.

Risulta di fondamentale importanza, oltre che prendere atto del potenziale contrasto emerso e valutare se le singole argomentazioni siano o meno condivisibili, esaminare con attenzione la natura dei provvedimenti emessi dal giudice al fine di comprendere quali mezzi di tutela siano a disposizione del genitore che si ritiene leso dalla decisione.

Altrettanta importanza in questa sede si ritiene debba essere attribuita alla già citata l. 206/2021 che, nell'ambito dell'efficientamento e della razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie, ha delegato al Governo, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, l'adozione di uno o più decreti legislativi al fine di giungere alla “… semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, nel rispetto della garanzia del contraddittorio …”.

Il procedimento previsto dall'art. 709-ter c.p.c., tenendo conto dei principi e dei criteri direttivi previsti dalla citata legge ai quali il Governo è chiamato ad attenersi, sarà oggetto di intervento. L'art. 1, comma 23, lett. mm) della legge in esame infatti richiede al legislatore delegato di procedere con due diverse attività, da un lato a un generale riordino della disciplina dettata dall'art. 709-ter c.p.c. e, dall'altro, al coordinamento tra la disposizione citata e i provvedimenti che possono essere adottati ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c.

In seguito a una più esatta analisi, emerge che la l. 206/2021 non si limita a richiedere un coordinamento tra le disposizioni in questione bensì ammette espressamente la possibilità, nell'ambito di un procedimento ex art. 709-ter c.p.c., “… di adottare, anche d'ufficio, i provvedimenti ai sensi dell'articolo 614-bis del codice di procedura civile in caso d'inadempimento agli obblighi di fare e di non fare anche quando relativi ai minori ….”

La relazione e il conseguente ambito applicativo di tali disposizioni aveva già suscitato ampi dibattiti sia in dottrina che in giurisprudenza, divise tra la cumulabilità delle sanzioni e la qualificazione dell'art. 709-ter c.p.c. quale norma avente carattere speciale e, in quanto tale, preclusiva dell'applicazione delle misure di cui all'art. 614-bis c.p.c.

L'introduzione di detta disciplina, oltre a quanto evidenziato, si scontrerà inevitabilmente con le specifiche caratteristiche delle suddette misure coercitive, una connotazione preventiva per la misura ex art. 614-bis c.p.c. e una natura repressiva per quanto invece previsto dall'art. 709-ter c.p.c., che interviene in un momento successivo rispetto all'insorgenza del contrasto tra i genitori, all'inadempimento di uno di essi o al pregiudizio determinato nei confronti del minore.

Il delicato bilanciamento che dovrà essere attuato dal legislatore delegato ha il dichiarato obiettivo di rafforzare la tutela, anche indiretta, dei provvedimenti riguardanti i minori e dei diritti che sottostanno a essi, ma dovrà altresì tenere conto dell'esigenza di evitare l'applicazione di una duplice sanzione per la medesima condotta.Accanto alla vera e propria delega contenuta nel testo della legge in esame, attraverso l'art. 1, comma 33 della l. 206/2021, il legislatore ha altresì provveduto direttamente alla riformulazione del numero 3 dell'art. 709-ter c.p.c. che testualmente recita: “disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti dell'altro anche individuando la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. Il provvedimento del giudice costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell'articolo 614-bis.

La presente formulazione, secondo quanto contemplato dal medesimo legislatore, è applicabile ai procedimenti instaurati a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge ovvero a partire dal 22 giugno 2022. Come abbiamo anticipato, la legge di riforma del processo civile è espressamente intervenuta anche sugli aspetti processuali della materia in esame, mediante un'importante riformulazione dell'art. 38 disp. att. c.c.. L'attuale disposizione sancisce una chiara disciplina in tema di competenza nelle ipotesi in cui il ricorso ex art. 709-ter c.p.c. sia proposto in pendenza o successivamente a un giudizio, tra le medesime parti, di decadenza, reintegrazione o limitazione della responsabilità genitoriale, rimozione o riammissione nell'esercizio dell'amministrazione. In presenza di queste condizioni il Tribunale per i Minorenni, competente per procedimenti previsti dagli artt. 330, 332, 333, 334 e 335 c.c., attrae nella sua competenza la fattispecie prevista dall'art. 709-ter c.p.c.

Altrettanto apertamente la norma chiarisce che, qualora sia già pendente o venga instaurato un autonomo procedimento ex art. 709-ter c.p.c. dinnanzi al Tribunale ordinario, quest'ultimo, d'ufficio o su istanza di parte, debba adottare tempestivamente i provvedimenti ritenuti opportuni nell'interesse del minore e trasmettere gli atti al Tribunale per i Minorenni di fronte al quale il procedimento, previa riunione, prosegue. I provvedimenti adottati dal Tribunale ordinario rimarranno in essere e conserveranno la loro efficacia sino a quando non saranno confermati, modificati o revocati con provvedimento emesso dal Tribunale per i Minorenni. Sempre dal punto di vista prettamente procedurale, la disciplina contemplata dal secondo comma dell'art. 709-ter c.p.c. è invece rimasta inalterata e stabilisce che, a seguito del deposito del ricorso avente gli elementi di cui all'art. 125 c.p.c., il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni; ai fini dell'eventuale applicazione di misure sanzionatorie, il Giudice potrà espletare la necessaria attività istruttoria utilizzando anche i poteri istruttori officiosi ex art. 738 c.p.c., trovando applicazione il rito camerale. Infine, si ritiene indispensabile operare un ultimo breve cenno alla delega contenuta nella l. 206/2021.

Nel novero dei principi e dei criteri direttivi posti dal legislatore ai fini dell'istituzione del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, la lettera c) del ventiquattresimo comma prevede l'assegnazione alle sezioni circondariali del citato Tribunale delle competenze assegnate al Tribunale per i Minorenni dall'art. 38 disp. att. c.c. oggetto della presente trattazione.