Elementi ESG nella governance delle imprese: evoluzione nell'approccio dell'Unione

11 Luglio 2022

Negli ultimi anni il ruolo della governance ha subito un'evoluzione senza precedenti: nell'ottica del suo radicamento alla sostenibilità aziendale, della individuazione e gestione dei principali rischi e della predisposizione del sistema dei controlli interni (e poi di reporting e comunicazione), è oramai acquisita nella letteratura e nella prassi la correlazione tra il modello di governance (come driver per l'attuazione e la diffusione della strategia di sostenibilità) e la sua integrazione nella strategia complessiva dell'impresa.

Inquadramento concettuale: lo scenario di riferimento

La tendenza a concentrarsi sulla performance finanziaria a breve termine riduce sensibilmente la capacità delle aziende di integrare adeguatamente considerazioni di sostenibilità nelle strategie e decisioni aziendali. Questo comporta il rischio per le aziende di non identificare e/o affrontare adeguatamente il cambiamento climatico e altri rischi e impatti ambientali, sociali e umani (inclusi i diritti dei lavoratori, il lavoro minorile, ecc.) nelle loro attività e, ancora, nelle catene di fornitura. In particolare, molte aziende si riforniscono da enti con sede in Paesi con bassi livelli di standard sociali, diritti umani o ambientali e dove l'identificazione e la mitigazione dei relativi rischi e impatti è ancora molto limitata e difficile.

Questa situazione - spinta dal mercato degli investitori - è stata facilitata da carenze nella legislazione societaria e nei codici di governance, in quanto, laddove circoscrivano la responsabilità degli amministratori nei confronti dei soli azionisti, non coprono sufficientemente gli interessi di altri interlocutori dell'azienda, compresi quanti siano interessati alla comunità o 'all'ambiente di riferimento.

L'Unione europea e molti Stati membri stanno quindi implementando i propri ordinamenti con regole e strumenti volti a realizzare iniziative istituzionali e normative nel perseguimento degli obietti del Green Deal, nella cui comunicazione già si evidenziava che “la sostenibilità dovrebbe essere ulteriormente integrata nel quadro di governo societario, poiché molte aziende si concentrano ancora troppo sulla performance finanziaria a breve termine rispetto ai loro aspetti di sviluppo e sostenibilità a lungo termine".

(Segue) Perimetro di attività ESG dell'organo di amministrazione

Nel Codice di corporate governance 2020, all'articolo 1, “Ruolo dell'organo di amministrazione”, il Principio I stabilisce che: “L'organo di amministrazione guida la società perseguendone il successo sostenibile”, definendo strategie coerenti con tale finalità. Nelle Definizioni del Codice, il successo sostenibile è esplicitato come segue: “Obiettivo che guida l'azione dell'organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”.

Dunque, proprio per la continuità aziendale di lungo termine, l'indifferenza o la noncuranza rispetto alla portata dei potenziali cambiamenti negli scenari aziendali (oggi anche frutto del cambiamento climatico e delle disuguaglianze generate da approcci spesso mirati alla massimizzazione di target finanziari di breve periodo) potrebbero configurare elementi di responsabilità degli amministratori.

Da questo concetto muove la necessità di sviluppare una coerente visione strategica sostenibile. D'altro canto, le attuali prassi aziendali mostrano come la costruzione dei sustainable business model in un orizzonte temporale di lungo termine non sembra oggi poter prescindere dal rispetto di tali principi e dai seguenti elementi di cui dotare il sistema di governance:

  • strategia che integri aspetti di sostenibilità specifici per perseguire la creazione di valore nel lungo periodo;
  • presidio attento dei rischi, necessariamente integrato con quelli relativi alla sostenibilità in uno scenario on-going;
  • processo di individuazione degli stakeholder rilevanti e determinazione della materialità dei temi e delle informazioni fondata anche, ove possibile e opportuno, su iniziative di stakeholder engagement;
  • la struttura adeguata dei controlli;
  • la corretta informativa (reporting e disclosure) societaria.

Al fine di mitigare le potenziali criticità e misunderstanding, occorre siano individuate e adottate alcune linee guida per definire le modalità di governance e di controllo dei processi di reporting dei dati non finanziari approfondendo, nel contempo, l'interrelazione esistente tra l'attività di assurance tra questo tipo di informativa e quella di natura finanziaria.

Non è un caso che alcuni tra i principali investitori finanziari internazionali (quali, ad esempio, Blackrock, Norway's Oil Fund, Japan Government Investment Fund) hanno pubblicamente richiesto alle istituzioni politiche e agli operatori economici un'accelerazione verso l'adozione dei criteri di reporting della Task Force on Climate-related Financial Disclosures (TCFD) e dei Sustainability Accounting Standards Board (SASB) Standards.

Si deve rimarcare il ruolo crescente della disclosure connessa alla “climate risk analysis”, nell'ambito della quale sono inclusi molti fattori di rischio cui investitori e clienti sembrano oggi particolarmente sensibili nell'articolazione delle proprie scelte di portafoglio in attività di Sustainable and Responsible Investing (SRI).

Riferimenti regolamentari recenti: il Codice di Corporate Governance 2020

Le novità sostanziali del Codice che hanno avuto maggior impatto sulla governance, come evidenziato in sede di lancio dallo stesso Comitato, seguono due direttrici fondamentali:

  1. sostenibilità: il nuovo Codice intende stimolare le società quotate ad adottare strategie sempre più orientate alla sostenibilità dell'attività d'impresa: compito prioritario dell'organo di amministrazione è perseguire il “successo sostenibile” dell'impresa, definito quale obiettivo di creare valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti tenendo conto degli interessi degli stakeholder rilevanti per la sua attività; si tratta quindi di un perimetro più ampio della sostenibilità “ESG”.
  2. engagement : il nuovo Codice raccomanda alle società quotate di sviluppare il dialogo con il mercato attraverso l'adozione di politiche di engagement complementari a quelle degli investitori istituzionali e dei gestori degli attivi; il Codice indica il dialogo con gli stakeholder come concreta modalità di contribuire al perseguimento del successo sostenibile.

(Segue) Gestione e supervisione dei rischi ESG dell'Autorità bancaria europea

Dopo un'approfondita indagine e il relativo discussion paper realizzati nel novembre dell'anno precedente, a giugno 2021 l'EBA ha pubblicato la sua relazione sulla gestione e sulla vigilanza dei rischi ESG. La relazione, che è una componente fondamentale di un'attività più ampia dell'EBA in ambito ESG, fornisce una proposta esaustiva sulla modalità con cui i fattori e i rischi ESG dovrebbero essere inclusi nel quadro normativo e di vigilanza per gli enti creditizi e le imprese di investimento

In merito alla maggior parte dei grandi istituti di credito europei, si evidenzia come la loro governance sia ritenuta inadeguata per garantire una risposta efficace alla crisi climatica.

Le carenze comunemente riscontrate nella governance sono:

  • mancanza di ownership strategica: la responsabilità della gestione dei rischi ESG non è definita adeguatamente;
  • carenza di conoscenze e competenze specifiche su fattori e rischi ESG, non affrontata con programmi di formazione adeguati;
  • gestione inefficace del rischio di terze parti: gli enti non raccolgono o non possono raccogliere dati sufficienti e/o accurati sui propri clienti e sulle controparti, in relazione ai fattori ESG, per valutarne adeguatamente i relativi rischi;
  • i fattori ESG non sono sufficientemente integrati nella cultura aziendale (es. gestione dei conflitti di interesse).

In merito alle tematiche di risk management, l'indagine dell'EBA ha mostrato come un numero crescente di enti creditizi stia lavorando per identificare la rilevanza dei rischi ESG. E tuttavia, sebbene i rischi legati al clima siano generalmente considerati “material” per le loro attività, gli sforzi attuali per implementare specifici processi di gestione del rischio sono limitati; in particolare, sembra che gli istituti creditizi non abbiano ancora stabilito i KPI necessari per un processo interno di aggiornamento del rischio, né altre tipologie di approcci più sofisticati.

Dopo la fotografia dello stato dell'arte, la relazione fornisce alcune soluzioni dettagliate in rapporto ai diversi ambiti indagati:

  • impatto dei rischi ESG:, la relazione illustra gli indicatori disponibili, le metriche e i metodi di valutazione necessari per un'efficace gestione dei rischi ESG e identifica le lacune e le problematiche su questo fronte;
  • raccomandazioni a includere i rischi ESG nelle considerazioni relative ai rischi: per gestire tali rischi come elementi “attivatori” dei rischi finanziari, nella propensione al rischio e nei processi di allocazione del capitale;
  • proposta per un approccio graduale: l'EBA ritiene necessario estendere l'orizzonte temporale della valutazione prudenziale della resilienza dei modelli di business degli enti, applicando un orizzonte di almeno 10 anni per rilevare i rischi fisici, le pertinenti politiche pubbliche o tendenze transitorie più ampie; la relazione propone un approccio graduale, iniziando con l'introduzione di fattori e rischi ambientali e legati al clima nel modello di business e nell'analisi della governance interna. Questa relazione va considerata complementare alle disposizioni di cui ai regolamenti sulla tassonomia e sulle informative relative alla finanza sostenibile (SFDR), che forniscono metriche fondamentali a sostegno delle strategie e della gestione del rischio.

Scenario normativo europeo verso una sustainable corporate governance

Per rivolgere lo sguardo (invero appena oltre la siepe) sui futuri, plausibili scenari relativi alla responsabilità degli organi di governo e all'organizzazione aziendale in un sistema socioeconomico volto al perseguimento degli SDGs, è imprescindibile osservare come gli ambiti complementari della normativa europea, in questa fase, in questi mesi, siano contraddistinti da un impressionante allineamento con riguardo alla tempistica e, auspichiamo tutti, all'efficacia delle sue diverse molteplici componenti nei settori della sustainability disclosure, della governance societaria sostenibile, della finanza sostenibile e della tassonomia degli investimenti sostenibili con riguardo al secondo “pillar” sociale (dopo quello ambientale del regolamento 852/2020).

In questa sede, ci si limita ad accennare ai primi due ambiti normativi.

(Segue) Proposta di Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDD)

Il 23 febbraio u.s. la Commissione europea ha pubblicato una prima proposta di Corporate Sustainability Due Diligence (CSDD), direttiva in materia di due diligence e di filiera di sostenibilità aziendale. La normativa obbligherà le grandi aziende dell'Unione e le società estere che operano all'interno dell'Unione – che soddisfano specifiche soglie dimensionali di dipendenti e fatturato – a considerare, identificare, prevenire e contrastare i potenziali impatti negativi sui diritti umani (es.: lavoro minorile e sfruttamento dei lavoratori) e sull'ambiente (es.: inquinamento e perdita di biodiversità) derivanti dalle attività realizzate, nelle proprie filiali e anche nell'ambito della propria catena del valore, nonché rendere conto delle relative iniziative attuate.

La proposta riguarderebbe circa 13.000 società europee e 4.000 società extraeuropee.

In particolare, la direttiva riguarda direttamente:

  • società UE
    • (Gruppo 1) le società di dimensioni rilevanti con oltre 500 dipendenti e un fatturato netto di oltre 150 milioni di euro complessivi;
    • (Gruppo 2): altre società a responsabilità limitata con oltre 250 dipendenti e un fatturato netto superiore a 40 milioni di euro complessivi, che operino in settori ad alto rischio (quali ad es.: settori tessile, agricolo, estrattivo) di violazione dei diritti umani o di danni ambientali (per queste aziende le disposizioni vincolanti inizieranno ad applicarsi due anni dopo l'entrata in vigore delle disposizioni per il Gruppo 1);
  • imprese extra UE attive nell'UE con soglie di fatturato allineate ai Gruppi 1 e 2, generato nell'UE.

Formalmente, le PMI non rientrano nel campo di applicazione della direttiva. Nondimeno, molte di esse potrebbero essere indirettamente interessate dalle nuove norme nelle vesti di soggetti operanti nella supply chain di un'azienda obbligata.

Le società coinvolte dovranno quindi implementare una dettagliata politica di due diligence che contempli quantomeno i seguenti elementi:

  1. approccio della società alla due diligence;
  2. codice di condotta;
  3. processi di attuazione della due diligence;
  4. verifica della compliance rispetto al codice di condotta.

Nella pratica, la nuova proposta richiederà alle società coinvolte di:

  • integrare la due diligence nelle proprie politiche;
  • identificare effettivi o potenziali impatti negativi sui diritti umani e sull'ambiente;
  • prevenire o mitigare potenziali impatti;
  • eliminare o ridurre al minimo gli impatti effettivi;
  • istituire e implementare procedure di reclamo/ricorso attivabili da parte dei singoli, dei sindacati e di organizzazioni della società civile;
  • monitorare l'efficacia della politica e delle misure di due diligence
  • effettuare una disclosure sulla due diligence.

Da un esame anche sommario delle attività sopraelencate, è verosimile che le PMI siano esposte ad oneri derivanti dai rapporti commerciali con le aziende coinvolte, laddove queste ultime effettuino richieste informative ai propri fornitori ai fini della compliance alla direttiva. Pertanto, la Commissione dispone altresì che gli Stati membri predispongano misure di sostegno per aiutare le PMI a sviluppare la capacità operativa e finanziaria per fronteggiare tale evenienza: tali misure includono lo sviluppo di siti web, piattaforme o portali dedicati e potenziale sostegno finanziario per le PMI.

Per garantire che la sustainability due diligence diventi parte integrante dell'intero funzionamento delle società, la proposta introduce in capo agli amministratori anche gli obblighi di impostare, articolare e supervisionare le politiche e le azioni (di cui saranno responsabili) di due diligence, integrando quest'ultima nella strategia aziendale.

Inoltre, le società del Gruppo 1 devono disporre di un piano per garantire che la loro strategia aziendale lo sia compatibile con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5° C in linea con l'accordo di Parigi.

Gli Stati membri, inoltre, dovranno assicurare che le società considerino obiettivi di contenimento del global warming di cui agli accordi di Parigi e di riduzione delle emissioni in caso in cui il global warming e il climate change sia (o dovrebbe essere identificato) tra i principali rischi o impatti dell'attività societaria, nell'ambito della predisposizione dell'eventuale componente variabile della remunerazione degli amministratori connessa al contributo fornito alla business strategy di lungo periodo e alla sostenibilità aziendale.

Di particolare rilievo risultano le previsioni secondo le quali le autorità amministrative nazionali nominate dagli Stati membri saranno responsabili della supervisione delle nuove regole e potranno infliggere sanzioni finanziarie e di compliance, proporzionate e dissuasive, in caso di inosservanza. Gli Stati membri dovranno assicurare la tutela degli interessi sotto il profilo della responsabilità civile: le vittime dei danni generati dall'inosservanza delle disposizioni in tema di due diligence dovranno essere risarcite (dunque gli Stati dovranno garantire la possibilità di agire in giudizio per i danni che si sarebbero potuti evitare con le dovute precauzioni e misure di due diligence).

Queste norme integreranno le norme dell'Unione sull'informativa sulla sostenibilità, con effetti anche nel settore dei servizi finanziari: obiettivo finale è garantire che il sistema economico dell'Unione, con riferimento sia al settore privato sia al settore pubblico, agisca in ambito internazionale nel pieno rispetto dei propri impegni in materia di protezione diritti umani e di promozione dello sviluppo sostenibile.

La proposta passerà ora al Parlamento europeo e al Consiglio per l'approvazione. Una volta adottata, gli Stati membri avranno due anni per recepire la direttiva nell'ordinamento nazionale.

(Segue) Proposta di Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD)

Nella prima versione della nuova Corporate Sustainability Reporting Directive presentata dalla Commissione, peraltro attualmente oggetto di accesa negoziazione proprio con riferimento ai soggetti coinvolti, è prevista l'estensione delle disposizioni obbligatorie a tutte le PMI quotate (a eccezione delle micro-imprese quotate), oltre che tutte le società, banche e assicurazioni di grandi dimensioni prescindendo dalla rilevanza pubblica nella qualità di emittenti di valori mobiliari. Sebbene a molti operatori la portata della misura di estensione risulti, verosimilmente, ancora inadeguata rispetto alle circostanze dello scenario attuale (con quasi 23 milioni di PMI nell'EU-27), in cui la grande maggioranza degli investimenti di sistema in PMI è effettuata al di fuori dei circuiti dei mercati regolamentati, appaiono rimarchevoli le modifiche che la proposta, nei diversi paragrafi dell'articolo 1, apporta all'oggetto della rendicontazione. Da tali modifiche, infatti, seguono nuove sponde di responsabilità per gli organi di amministrazione e controllo e presumibili implicazioni con aspetti di governance.

Rispetto alle disposizioni vigenti, la proposta individua poi un nuovo fronte informativo nella disclosure di informazioni sulle principali ripercussioni negative legate all'impresa e alla sua catena del valore. Inoltre, la CSRD esplicita ed amplia clamorosamente la frontiera della rendicontazione alla supply chain, non più limitata ai rischi connessi ai driver genericamente considerati della NFRD, ma estesa ai vari aspetti che caratterizzano il processo di valorizzazione economica, dal business model alle strategie, dai target alla governance, dalle attività di due diligence inerenti ai “sustainability matters”, agli impatti avversi, anche potenziali, della supply chain e alle relative azioni di mitigazione: in breve, la quasi totalità delle informazioni oggetto di rendicontazione obbligatoria.

Ancor più significativa rispetto alle responsabilità di governance è la modifica apportata dal paragrafo 9 all'articolo 33 della direttiva contabile, che “allinea” la responsabilità collettiva dei membri degli organi di amministrazione, gestione e controllo agli obblighi riveduti in materia di informativa sulla sostenibilità. Eliminando il riferimento alla possibilità di predisporre una relazione separata per la comunicazione delle informazioni sulla sostenibilità, la norma riduce, di fatto, i “gradi di libertà” nel gestire due tipologie di rendicontazione un tempo autonome e distinte, integrando la seconda (il sustainability reporting) formalmente, oltre che effettivamente, nella prima (il financial reporting).

Infine, una serie di specifiche andrebbero a influenzare la percezione e il confine dell'attività degli organi di amministrazione e controllo: il paragrafo 4 introduce nella direttiva contabile l'articolo 19-ter, che stabilisce, tra le altre, quali informazioni pertinenti ai fattori di governance debbano essere puntualizzate nei “sustainability reporting standards”; il paragrafo 10 modifica l'articolo 34 della direttiva contabile e introduce l'obbligo di certificazione di conformità dell'informativa sulla sostenibilità, con implicazioni dirette sugli ambiti di responsabilità degli organi aziendali.

Elemento di frontiera per quanto attiene al reporting, lo shared value ha una portata trasversale rispetto all'oggetto di primarie normative europee attualmente in discussione (in specie, la CSRD e la CSDD): da un lato, dalla sua nuova consistenza “scientifica” (nella funzione di sorgente del valore aziendale) dipenderà uno dei segmenti del perimetro del principio di materialità (nella dimensione vuoi financial vuoi sustainability), dall'altro lato, dalla sua dimensione politicamente condivisa (natura e ampiezza del concetto nei diversi contesti legislativi) potrebbero emergere considerazioni significative con riguardo alle responsabilità degli organi aziendali. (Per un ulteriore approfondimento sulla Direttiva CSRD si rimanda anche a: Bonomelli, Evoluzione nella comunicazione della sostenibilità delle PMI: la Corporate Sustainability Reporting Directive, in questo portale).

Considerazioni conclusive

La governance

Se una buona governance è uno strumento indispensabile per diffondere efficacemente all'interno dell'organizzazione le decisioni del board, permettendo a tutti di acquisire maggiore consapevolezza sulla possibilità di attuare un cambiamento determinante e di trovare il potere per influenzare anche le scelte più marginali, il board deve integrare le considerazioni relative alla sostenibilità nella strategia, approvandone i target e misurandone poi il raggiungimento attraverso un concreto coinvolgimento nella ridefinizione del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi.

Il modello dovrà essere nuovamente riconsiderato e rivalutato qualora incompatibile con il percorso di transizione, anche alla luce di nuovi paletti imposti dal perseguimento degli obiettivi di politica economica condivisi sul piano internazionale. L'orientamento verso la sostenibilità di lungo periodo può richiedere fondamentali cambiamenti strategici nei modelli di business, cambiamenti che alcune organizzazioni potranno valutare e realizzare in tempi non brevi, riallocando capitale e talenti in modo diverso e compatibile con tale finalità.

Le prospettive di evoluzione normativa

Con lo sguardo rivolto in avanti, allo scopo di acquisire consapevolezza circa i confini dello scenario normativo che va delineandosi col perfezionarsi delle odierne iniziative europee di politica economica, non c'è dubbio che, sui diversi fronti (produzione, finanza, disclosure, governance), il legislatore abbia optato per un giro di vite rispetto ai comportamenti degli operatori economici con riguardo ai sustainability issues.

Certamente, con specifico riguardo alla proposta di CSDD, sarebbe auspicabile che, prima dell'approvazione, Parlamento europeo e Consiglio chiariscano alcuni aspetti:

  • impatti del business lungo l'intera catena del valore: a) chiarimento del concetto di “established business relationships” (rapporti commerciali consolidati): per misurare il loro impatto lungo l'intera catena del valore, le aziende avranno bisogno di maggiore chiarezza sull'entità della loro responsabilità e sul concetto di “rapporti commerciali consolidati” che pare alla base della “profondità” degli adempimenti di due diligence; b) informazioni dai fornitori: le aziende con rapporti nella loro catena di fornitura al di fuori dell'UE dovranno accedere a informazioni affidabili sui loro fornitori: la chiarezza e la certezza del diritto saranno essenziali perché amministratori e professionisti possano espletare le proprie attività.
  • necessità di verifica esterna per l'affidabilità della due diligence: le aziende devono valutare i propri processi e controlli interni in modo da poter affrontare gli impatti negativi sulle proprie operazioni e catene di fornitura; la verifica della due diligence di parte terza indipendente (con specifiche competenza professionali che garantiscano la qualità nell'erogazione di tale servizio) è fondamentale per consolidare fiducia e legittimazione dei soggetti coinvolti in questo processo;
  • coerenza tra CSRD e CSDD: sebbene sia chiara l'intenzione della Commissione di allineare la proposta di CSDD alla CSRD (le due iniziative sono strettamente correlate), va osservato che sia l'ambito di applicazione sia la tempistica di attuazione delle due direttive siano significativamente differenti, circostanza che può generare una riduzione della loro efficacia e un incremento degli oneri di attuazione;
  • chiarezza sui doveri degli amministratori: se i diritti umani e gli obiettivi ambientali e climatici devono essere integrati nelle decisioni aziendali, occorre certezza giuridica in merito ai doveri di diligenza degli amministratori. Gli articoli 25 (Obbligo di diligenza degli amministratori) e 26 (Istituzione e controllo della due diligence) sull'obbligo di diligenza degli amministratori rimandano alla implementazione normativa e regolamentare nazionale e ciò può generare ambiguità, differenze o divergenze di trattamento e interpretazione nel contesto operativo europeo
  • lotta al cambiamento climatico: è certamente sfidante e significativa la proposta della Commissione di collegare la remunerazione degli amministratori con gli obiettivi di sostenibilità (art. 15, comma 3, CSDD): combattere il cambiamento climatico richiede misure radicali, non c'è dubbio; occorre tuttavia prevedere linee generali di comportamento omogenee nei diversi contesti aziendali coinvolti.

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