La proponibilità in un separato giudizio della domanda di condanna generica

Pasqualina Farina
21 Luglio 2022

Con l'ordinanza in commento, la Cassazione prende posizione sull'annoso tema della proponibilità in un separato giudizio della domanda di condanna generica, superando il precedente costituito da Cass. civ., Sez. Un., n. 12103/1995.
Massima

L'attore non può proporre la domanda limitandosi a richiedere una condanna generica - cioè limitata al solo an debeatur - e fare riserva di introdurre un successivo giudizio per l'accertamento del quantum sulla falsariga di quanto l'art. 278 c.p.c. consente all'attore nell'ambito del processo in cui abbia proposto la domanda di condanna in modo pieno.

Il caso

La pronuncia in commento origina da una domanda giudiziale proposta da P. I. s.p.a. nei confronti della società concessionaria del servizio di riscossione dei tributi. Segnatamente, la domanda aveva ad oggetto il pagamento di una commissione per ogni versamento effettuato dai contribuenti sui conti correnti postali della società di riscossione. Ciononostante, l'attore nulla allegava per consentire l'effettiva individuazione dei singoli versamenti operati dai contribuenti, né deduceva alcuna prova al riguardo.

Pur non avendo il convenuto eccepito l'incertezza sui fatti posti a fondamento della domanda, il giudice adito ha rigettato comunque la suddetta domanda, a causa del profilo di infondatezza in iure “afferente all'ininfluenza sul rapporto di conto corrente del mutamento della natura di P. I.”.

Nello stesso senso anche la decisione adottata poi dal giudice di appello, decisione però che enfatizzava il carattere di monopolista di P.I.; con la conseguenza che proprio questo carattere particolare avrebbe ex se escluso il pagamento delle commissioni.

A conclusioni opposte è pervenuta la Corte di Cassazione che, in mancanza di una disciplina espressa che esimesse la convenuta dal pagamento delle commissioni, ha cassato con rinvio la decisione emessa dai Giudici d'appello.

Riassunto il giudizio davanti al Giudice del rinvio, P.I. ha aggiunto nelle conclusioni - subito dopo la parola "condanna" - l'espressione "condanna generica", senza precisare alcunché circa la determinazione ad agire per il quantum in un successivo giudizio.

Dal proprio canto, il Giudice del rinvio ha accolto la domanda, dopo averla qualificata di condanna piena, condannando così la società concessionaria al pagamento della predetta commissione per ciascun bollettino lavorato nel periodo indicato nella domanda giudiziale.

Nei confronti di questa decisione sono stati proposti trediversi ricorsi per cassazione, trattati poi congiuntamente. Dopo lo svolgimento dell'udienza pubblica, la Corte - con ordinanza interlocutoria – ha rinviato la trattazione a nuovo ruolo, stante il rinvio pregiudiziale sollevato dalla medesima Cassazione ex art. 267 TFUE.

In seguito alla decisione della CGUE, la trattazione è stata fissata nuovamente, nel rispetto del rito camerale ex art. 380-bis.1. c.p.c.

La questione

Dopo aver chiarito che l'esame dei motivi di ricorso è stato effettuato nel rispetto della regola della questione più liquida e che la domanda originaria integra a tutti gli effetti una condanna "piena" (e non generica), la Corte ha affrontato il problema se dalla qualificazione della domanda come di natura "generica", origina una richiesta di tutela giurisdizionale consentita dall'art. 99 c.p.c. in relazione all'art. 100 c.p.c.».

Segnatamente, la Cassazione ha chiarito che, nel caso di specie, la domanda proposta dall'attore era volta ad ottenere una condanna piena ma priva dell'indicazione dei fatti costitutivi e, pertanto, avrebbe dovuto ritenersi affetta da nullità. Tuttavia, il mancato rilievo della nullità ad opera della controparte e l'omesso esercizio del dovere officioso di rilevazione della stessa hanno comportato l'irrilevanza della questione. La Corte ha poi aggiunto che la sentenza impugnata, pur avendo qualificato correttamente la domanda come "specifica", cioè di condanna piena, aveva reso una statuizione contraria a tale qualificazione, pronunciando una condanna al contrario del tutto generica. Per queste ragioni ha cassato la sentenza impugnata e contestualmente deciso il merito, rigettando la domanda proposta per mancata dimostrazione dei fatti costitutivi attinenti al quantum della pretesa.

Le soluzioni giuridiche

Muovendo dalla considerazione che in base agli artt. 24 e 99 Cost. il diritto di azione è sempre correlato alla tutela di un diritto, la Suprema Corte ha precisato che esso incide sulla «completezza della dimensione che esso ha nell'ordinamento». Da qui l'affermazione che l'attore non possa chiedere la tutela di condanna limitatamente ad «una parte di quella dimensione».

La pretesa dell'attore in forza del «diritto di azione ad immagine di quanto prevede il diritto sostanziale, di far valere ai sensi dell'art. 99 c.p.c.» non può, dunque, essere confinata solo all'an della situazione sostanziale, tralasciando il quantum. In tal senso depone la lettera dell'art. 278 c.p.c. che - correlando la condanna generica all'accertamento della sussistenza del diritto anche se «è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta» - porta ad escludere la proponibilità di una domanda ab origine limitata all'an. In altre parole, la normativa processuale consentirebbe il frazionamento della richiesta di tutela fra an e quantum solo nell'ambito del giudizio teso a tutelare l'intera (o piena) situazione giuridica.

Sotto altro profilo la Corte, così ragionando, ha disatteso la precedente interpretazione (risalente a Sezioni Unite n. 12103/1995) che consentiva la proposizione di una domanda di condanna limitata all'an debeatur (e, dunque, generica) qualora l'attore avesse fatto espressa riserva di un successivo giudizio sul quantum e sempre con l'assenso del convenuto.

Il ripensamento di tale indirizzo è stato adottato, secondo la Corte, a prescindereda un intervento delle Sezioni unite: ciò sia perché la giurisprudenza sul punto è risalente; sia perché la nuova interpretazione sarebbe confortata dall'evoluzione della giurisprudenza in punto di frazionamento della pretesa creditoria.

Venendo ad esaminare più da vicino la motivazione, emerge come il percorso logico argomentativo seguito dall'ordinanza in commento segua tre diverse direttrici.

La prima. L'interesse dell'attore a proporre una domanda di condanna generica nel corso del giudizio non è assimilabile a quello di chi ha proposto la medesima domanda in via autonoma: chi chiede la condanna generica ex art. 278 c.p.c. fonda la propria richiesta su quanto emerso nel processo e, dunque, nel contraddittorio delle parti.

La seconda. La specialità dell'ipotesi delineata dall'art. 278 c.p.c. porta ad escludere interpretazioni estensive. Non solo. Consentire all'attore di domandare una sentenza di condanna generica significherebbe vincolare il giudice ad una pronuncia sul punto, con conseguente violazione dell'art. 278 c.p.c., per il quale il giudice può invece limitare la sentenza di condanna al profilo generico dell'an debeatur o attendere il prosieguo del giudizio per la condanna anche del quantum.

La terza. L'autonoma proponibilità dell'azione di condanna in via generica sarebbe comunque da escludersi alla luce di quanto affermato dalle Sezioni Unite sul c.d. frazionamento della domanda, secondo cui la parcellizzazione dell'esercizio della tutela giurisdizionale determina un vero e proprio abuso del processo. Sicché «consentire all'attore che intenda esercitare il diritto di azione di proporre per sua decisione una domanda di condanna generica, implica che egli parcellizzi la tutela, con conseguente inutile moltiplicazione dei processi».

Osservazioni

Una volta negato il potere dell'attore di proporre la domanda limitatamente alla pronuncia di una condanna generica, la Corte si è fatta carico di ricostruire la disciplina da applicare alla fattispecie in cui la domanda sia stata invece egualmente proposta. Afferma, difatti, la Cassazione che la limitazione all'an è da considerarsi tamquam non esset, con la conseguente qualificazione della domanda (da parte del giudice) come istanza ad una tutela condannatoria piena ed all'accertamento del diritto dedotto nell'an e nel quantum. Pertanto, gli oneri di allegazione e prova dell'attore vanno assolti in funzione di tale accertamento pieno. Senza trascurare che, qualora la domanda fosse priva dei fatti costitutivi della pretesa, essa dovrebbe ritenersi nulla; con conseguente rinnovazione/integrazione ai sensi dell'art. 164 c.p.c., comma 4 e ss.

Diverse sono però le perplessità suscitate dalla decisione in commento.

Come meglio chiarito nella ampia motivazione, la domanda giudiziale oggetto del giudizio era di condanna piena; solo nel giudizio di rinvio era stata qualificata come condanna generica, senza incidere però sulla decisione adottata dal giudice del merito che, infatti, la aveva - quale condanna piena - accolta in toto.

Altro profilo che non convince riguarda il superamento del precedente orientamento giurisprudenziale, senza coinvolgere le Sezioni unite. Ciò non solo e non tanto alla luce dell'art. 374, 3° comma, c.p.c. (per il quale «se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso»), quanto in relazione alla (in)opportunità di aprire un contrasto in una giurisprudenza consolidata (v. la recente Cass. civ., 16 marzo 2022, n. 8581, che si uniforma a Cass. civ., sez. un., 23 novembre 1995, n. 12103).

Riferimenti
  • Carratta, Condanna generica, in Enc. giur. it., Roma, 1988;
  • Marinucci, Art. 278 c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile, a cura di Comoglio-Consolo-Sassani-Vaccarella, III, Torino, 2012, 52 ss.;
  • Satta, Condanna generica, in Enc. dir., Milano, 1961, VIII, 720.
  • M.S. Vanzetti, La condanna generica, Milano 2022.

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