La tabellazione del danno parentale dopo la proposta milanese: Roma, Milano o altro?

Marco Bona
28 Luglio 2022

Il presente focus analizza le principali criticità nell'applicazione delle nuove tabelle milanesi per la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, tramite un confronto tra la nuova disciplina e il precedente sistema regolato dalle c.d. "tabelle romane".
Acuita la competizione tra tabelle, ricadute sui danneggiati

Il 29 giugno è stato pubblicato dal Tribunale di Milano il documento, a firma di quattro magistrati locali, recante «nuovi Criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale - Tabelle integrate a punti - Edizione 2022», con in allegato «Esempi di calcolo risarcitorio confrontati con il monitoraggio» e «Domande & Risposte». Sul sito dell'Osservatorio si rinviene il «Report cronologico dei lavori del gruppo 3».

Questa nuova proposta, connotata dall'«ansia algoritmica» rilevata con riferimento all'ultimo periodo della r.c. (R. Pardolesi, Il futuro del danno non patrimoniale, in Danno e Resp., 2021, n. 5, 633), si inserisce in un contesto storico-giudiziario preciso, quello dell'indicazione - da parte della giurisprudenza di legittimità - della “tabella romana” sul danno parentale quale modello di riferimento nazionale, preferito alla tradizionale impostazione milanese “a forbici” (v. la “sentenza Scoditti” Cass. civ., Sez. III, 21 aprile 2021, n. 10579 ed i successivi interventi: Sez. III, Ord., 29 settembre 2021, n. 26300; Sez. III, Ord., 29 settembre 2021, n. 26301; Sez. III, 21 marzo 2022, n. 9010; Sez. III, 10 novembre 2021, n. 33005; Sez. III, Ord., 29 dicembre 2021, n. 41933; Cass. pen., Sez. IV, 11 aprile 2022, n. 13733; Sez. III, 11 aprile 2022, n. 11689; Sez. VI-3, Ord., 23 giugno 2022, n. 20292).

Sin dal principio la scelta dei coordinatori del “Gruppo 3” del “Gruppo Danno Milano” del relativo Osservatorio è risultata protesa verso una nuova tabella alternativa a quella romana. Netta è stata la decisione di predisporre criteri diversi da quelli romani allo scopo (irrealizzato) di coniugare la tradizione milanese con i criteri indicati dalla Suprema Corte per la redazione di una tabella sul danno parentale.

Questa impostazione - non unanime - avrà evidenti ripercussioni sul contezioso e sulla tutela risarcitoria, con ricadute verosimilmente negative per i danneggiati:

  • si prospetta un serio problema di prevedibilità delle liquidazioni; infatti, si fronteggiano almeno quattro alternative: la “tabella romana” sponsorizzata dalla Suprema Corte; i nuovi parametri milanesi; l'impostazione ambrosiana precedente, senz'altro affinabile; la proposta veneziana;
  • la compresenza di tali ed altre opzioni rischia di generare ulteriori discriminazioni tra danneggiati, atteso che tendenzialmente la “tabella romana” delinea, innanzitutto a livello di parametri uniformi di partenza, risarcimenti più elevati;
  • l'obiettivo della Cassazione di raggiungere un'uniformità delle liquidazioni risulta vanificato, con il rischio di un intervento legislativo– come insegnano pregresse esperienze – maldestro e riduttivo dei risarcimenti.

Occorre, pertanto, riflettere su quale sia la soluzione preferibile dinanzi a questo nuovo scontro tra tabelle. Quale modello dovrebbe imporsi?

Si cercherà di rispondere a questo dilemma in una veste peculiare, non agevole; ossia non già quale interprete estraneo ai “fatti”, bensì quale membro attivo del “Gruppo 3”, ancorché “di minoranza” in quanto critico sia sul metodo di lavoro, sia sul merito.

Riflessioni immediate s'impongono anche per la velocità con la quale alcuni giudici di merito accorrono a recepire il nuovo modello ambrosiano (v., per es., App. Venezia, Sez. IV, 8 luglio 2022, n.1577, e Trib. Milano, Sez. X, 11 luglio 2022, n. 6059, in ridare.it).

Il favor della Cassazione per la “tabella romana”

Il futuro dell'ultima proposta milanese si gioca nel contesto di una vera e propria “competizione” tra tabelle - rinfocolata dall'iniziativa in commento - nello scenario delle indicazioni pervenute dalla Cassazione, anticipate da alcune sue pronunce che avevano osservato come la tradizionale “tabella milanese” sul danno parentale non costituisse una concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale (Cass. civ., Sez. III, 14 novembre 2019, n. 29495; Cass. civ., Sez. III, 18 marzo 2021, n. 7770), prevedendo importi «molto divaricati tra loro» e trattandosi di «un sistema equitativo puro, con l'unico temperamento del divieto di scendere al di sotto, o salire al disopra delle soglie tabellari» (Cass. civ., Sez. VI-3, Ord., 1° luglio 2020, n. 13269).

Il nuovo modello scaturito da Milano va posto a confronto con questi approdi della Cassazione e la sua adesione al modello di cui alla “tabella romana”. Del resto, il gruppo milanese ha giustificato la sua operazione proprio adducendo l'esigenza di adeguarsi alle indicazioni dei giudici di legittimità.

Le giustificazioni della Cassazione a sostegno del “modello romano”

Il favor alla “tabella romana” è stato accordato dalla Cassazione - con il risultato dell'elevazione dei parametri romani a paradigma nazionale - sulla base della seguente impostazione delle due fasi della liquidazione: la prima - quella centrale del parametro uniforme base - interamente affidata all'attribuzione di rigidi punteggi per variabili di tipo oggettivo-anagrafico; la seconda – quella della “personalizzazione” – retta su indicazioni di massima, solo abbozzate, circa i margini percentuali di incremento o decremento di alcune delle variabili anagrafiche.

Più nello specifico, a partire dal leading case n. 10579/2021 la Suprema corte ha posto quale premessa il seguente principio tratto da Cass. n. 12408/2011 (“sentenza Amatucci”): «quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa, di cui all'art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti uffici giudiziari».

Inoltre, la Cassazione ha ricordato che le “tabelle milanesi” sul danno biologico furono dalla stessa “nazionalizzate”, conseguendo «una sorta di efficacia para-normativa», in quanto tali da garantire la predetta uniformità non solo costituendo un paradigma «già ampiamente diffuso sul territorio nazionale», ma anche ed innanzitutto essendo la funzione di garanzia dell'uniformità delle decisioni «affidata al sistema del punto variabile», tecnica considerata cruciale.

In realtà, dalla “sentenza Amatucci” parrebbe ricavarsi come l'elevazione a parametro nazionale delle “tabelle milanesi” sulle menomazioni avesse trovato la sua unica giustificazione nella seguente “policy”: la «inopportunità che la Corte di legittimità contrapponga una propria scelta a quella già effettuata dai giudici di merito di ben sessanta tribunali, anche di grandi dimensioni (come, ad esempio, Napoli) che […] hanno posto a base del calcolo medio i valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano, dei quali è dunque già nei fatti riconosciuta una sorta di vocazione nazionale». In pratica, fu la condivisione da parte della stragrande maggioranza dei giudici del merito il fattore alla base del favor per la “tabella milanese” sulle menomazioni, consenso verificabile, a seguito dell'edizione 2009, pure per la “tabella congiunti”.

Ritenendo poi l'individuazione di un sistema a punti per il danno parentale costituire «il naturale sviluppo e la logica evoluzione di quanto era già presente, al livello di principio di diritto, in Cass. n. 12408 del 2011» (nonostante l'assenza di condivisione di tale modello da parte della giurisprudenza di merito), la Cassazione è giunta a preferire la “tabella romana” in quanto «basata sul sistema a punti, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione. In particolare, i requisiti che una tabella siffatta dovrebbe contenere sono i seguenti: 1) adozione del criterio “a punto variabile”; 2) estrazione del valore medio del punto dai precedenti; 3) modularità; 4) elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi punteggi».

Il rinvio alla “tabella romana”: solo questione di metodo o pure di parametri monetari?

È poi da comprendere se la Cassazione abbia indicato soltanto la sua preferenza per il metodo a punti connotante la “tabella romana” od anche per i suoi livelli risarcitori.

Questa questione rileva atteso che per i promotori dei nuovi parametri milanesi le pronunce della Suprema corte imporrebbero soltanto di “integrare” i range tradizionali con un sistema a punti, essendo indifferente l'outcome di questa modificazione sul livello delle liquidazioni di base e di quelle finali rispetto agli standard monetari romani.

Già solo a scorrere la prima sentenza del nuovo corso della Suprema corte si ricava come la questione monetaria non sia stata irrilevante: oggetto di censura era l'applicazione, da parte della corte territoriale, delle tabelle di Milano in luogo di quelle di Roma. Per la Cassazione l'interesse del danneggiato a sollevare la questione di quale tabella applicare derivava «dalla circostanza che il giudice di appello, facendo applicazione delle tabelle milanesi, [era] pervenuto alla liquidazione di un importo inferiore rispetto a quello di primo grado»; soprattutto, la sentenza n. 10579/2021 ha così inquadrato il problema che si poneva: «Ciò che deve essere valutato è se, con riferimento a tale tipologia di danno, le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma possano essere considerate recessive rispetto a quelle meneghine, per cui il parametro, ai fini della conformità a diritto della liquidazione, debba essere fornito dalle tabelle milanesi, rispetto alle quali quindi andrebbe apprezzata l'eventuale sproporzione della quantificazione del risarcimento».

Orbene, questa è stata la risposta della Cassazione: il parametro per il giudizio di conformità della liquidazione del danno parentale è da considerarsi offerto dalla “tabella romana”.

Dunque, il fatto che i nuovi criteri meneghini abbiano ripreso – solo in parte – la struttura della “tabella romana” per la determinazione dei parametri uniformi non mette automaticamente in scacco l'elevazione, da parte della Cassazione, della “tabella capitolina” a paradigma a valenza nazionale, a fortiori alla luce degli obiettivi perseguiti dalla Suprema Corte sul piano della concretizzazione dell'art. 1226 c.c. ed in considerazione della condivisione, da parte di diversi fori, della “tabella romana” nel corso dell'ultimo anno (da Trieste a Catania passando per Veneto e Toscana).

Profili critici del “metodo per sommatoria di punteggi”

Ricordato quanto sopra ed essendo indiscutibile come in precedenza la giurisprudenza di merito avesse preferito alla “tabella romana” la più duttile “tabella milanese a forbice”, già all'indomani di Cass. n. 10579/2021 si sarebbero imposte - anche all'Osservatorio di Milano - alcune riflessioni sulla possibilità di condividere la via capitolina, come suggerito da taluna dottrina (cfr. R. Pardolesi e R. Simone, Il danno da perdita del rapporto parentale: giudice (-legislatore?) in fuga da Milano, Foro it., 2021, I, 2035-2042; P. Ziviz, Verso un nuovo metodo di conversione in denaro del danno da perdita del rapporto parentale?, in ridare.it, 24 maggio 2021; M. Hazan, Rc auto, danno parentale, dalla Cassazione un «assist» alle tabelle di Roma, 4 maggio 2021; M. Rodolfi, La fine della tabella di Milano per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale (o danno da morte)? Conseguenze e riflessi, in ridare.it, 28 Aprile 2021; cfr. poi P. Ziviz, La perdita del figlio non ancora nato? in Resp. civ. prev., 2022, n. 1-2, 445-447).

Delle riflessioni sull'approdo della Cassazione al “modello romano” erano più che opportune a fortiori proprio dinanzi alla prospettiva, in seno al “Gruppo 3”, di inculcare nel modello milanese “a forbice” il divergente “criterio della sommatoria di punteggi da zero”. Peraltro, per l'Osservatorio milanese il punto di partenza – finito nel dimenticatoio – non lasciava presagire mutamenti di rotta, così criticandosi il (poi imitato) modello romano: «la principale criticità delle Tabelle [romane] consiste nella considerazione che esse sono troppo “ingessate”, perché prevedono il valore dei punti che devono essere obbligatoriamente riconosciuti. […] Per l'Osservatorio di Milano non esistono invece scorciatoie, rimanendo imprescindibile il rispetto degli oneri di allegazione e prova che gravano sulle parti» (D. Spera, Roma-Milano ancora più distanti: le due Tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale a confronto, in ridare.it, 17 dicembre 2019).

Metodo ineccepibile?

Innanzitutto, si pone il dilemma circa l'ammissibilità per i danni non patrimoniali parentali - sulla scia di quello operante per le lesioni personali - di un modello “perfetto” nell'attribuzione di punti a sofferenze interiori e sconvolgimenti esistenziali. All'indomani di Cass. n. 10579/2021 la questione veniva così posta: «si è così sicuri che una voce risarcitoria così peculiare come quella del danno da perdita del rapporto parentale […] possa essere ridotta ad un automatismo di punti come previsto dal sistema romano?» (M. Rodolfi, La fine della tabella di Milano per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale (o danno da morte)? cit.).

Al riguardo sovvengono queste ovvietà: l'impatto - morale ed esistenziale (o dinamico-relazionale-sociale) - di variabili quali la convivenza o la composizione del nucleo famigliare come anche l'età dei soggetti coinvolti varia da famiglia a famiglia, da persona a persona; trattasi di diversità insuscettibili di venire incasellate in precisi punteggi, al massimo ipotizzabili – nel nome della natura convenzionale dei risarcimenti dei danni non patrimoniali e della uniformità– in un modello tale da relativizzare le rispettive incidenze delle singole variabili in una visione di insieme, cioè con le diverse incidenze presunte ponderate fra loro.

Qualche riflessione critica non sarebbe guastata sull'applicazione matematico-meccanica di inflessibili punteggi fondati su coordinate esigue, inaffidabili ed inidonee a fotografare, sia pure a soli fini risarcitori, la dimensione di una tragedia.

Del resto, critica era l'idea della Suprema Corte (n. 10579/2021) della possibilità di esportare il sistema a punti sviluppato per il danno biologico da i.p. al diverso campo del danno parentale: il sistema di stima del danno biologico trova fondamento nel noto metodo valutativo medico-legale delle menomazioni, imperniato su indicazioni percentuali legate - questa caratteristica è basilare - ad un unico ed omogeno parametro, costituito dalla gravità delle ripercussioni funzionali delle lesioni; con riferimento alla stima del danno parentale non è ipotizzabile una scala di tale tipo; viceversa concorrono alla sua determinazione circostanze di fatto per nulla conglobabili fra loro in un'unica scala valutativa e cangianti da una realtà famigliare all'altra.

Ricorrono poi questi altri profili critici del “metodo a punti per sommatoria”:

  • il sistema di cui alla “tabella romana” - come anche il nuovo paradigma milanese - non incentiva i magistrati a realizzare il consolidato precetto - ricordato da Cass. civ., Sez. III, 11 aprile 2022, n. 11689 non senza contraddizione rispetto al contestuale rinvio al “modello romano” - per cui, premesso che per danno parentale s'intende «un danno che, per sua natura, richiede la specifica considerazione delle singole occorrenze dei rapporti parentali individualmente considerati, senza che possa soddisfare, a tal fine, il mero richiamo a considerazioni che attengono all'esame di altre realtà familiari», occorre che il giudice «provveda a valutare analiticamente - senza ricorrere ad apodittiche affermazioni che riducono la motivazione ad una sostanziale dimensione di apparenza - tutte le singole circostanze di fatto che risultino effettivamente specifiche e individualizzanti, allo scopo di non ricadere nel vizio consistente in quella surrettizia liquidazione del danno non patrimoniale in un danno forfettario o (peggio) in re ipsa che caratterizza tanta parte dello stile c.d. “gabellare” in tema di perdita del rapporto parentale»; queste (giuste) considerazioni collidono con l'idea di una tabella a punti, che, come quella romana (ed ora, in larga misura, il nuovo modello milanese), attribuisca il risarcimento dinanzi alla ricorrenza di determinati indici o parametri anagrafici;
  • il “metodo romano” (adottato ora dall'Osservatorio milanese) - basato, salve correzioni in via equitativa, su un sistema a punti incrementali retto sull'attribuzione di questi in ragione della ricorrenza di fattori oggettivi (età di vittima e superstite, grado di parentela, convivenza) - valorizza eccessivamente le (labili) presunzioni associate a questi elementi; la loro ricorrenza, infatti, non implica, in ciascun caso, pregiudizi morali e dinamico-relazionali in effetti corrispondenti, in termini di esistenza e/o gravità, al punteggio complessivo; cioè non ricorre alcuna corrispondenza suscettibile di generalizzazioni, sul piano fenomenologico, tra punteggi e grado di incidenza - puramente convenzionale e privo di qualsiasi base scientifica - delle singole variabili;
  • questo sistema ridimensiona l'importanza di allegazioni e prove circostanziate, tali da consentire una distinzione tra situazioni meritevoli di trattamenti il più possibile personalizzati e situazioni – sulla scorta dei predetti fattori – solo apparentemente tali;
  • il “modello romano” - come il nuovo “metodo milanese” - non contempla un'unica “scala di gravità” (o “scala di intensità”); al contrario somma diverse indicazioni su gravità/intensità del danno parentale, dunque senza contemperarle fra loro come, invece, andrebbe fatto in un'ineluttabile visione d'insieme qual è la realtà fenomenologica della perdita di un congiunto; di per sé può contemplarsi, in alternativa ad un'unica scala, un modello, in cui ciascuna variabile (convivenza, età delle parti, ecc.) è rapportata ad una sua scala di intensità (contemplante punteggi assimilabili o motivatamente distinti); sennonché anche in questa prospettiva alla fine dovrebbe operarsi una media tra i vari punteggi assegnati, ossia un contemperamento equitativo; la sommatoria di punti è un metodo eccessivo nella cristallizzazione di inaffidabili generalizzazioni operate su altrettanto inattendibili regole di esperienza.

Infine, le seguenti statuizioni recate da Cass. n. 10579/2021, riprese dai successivi precedenti di legittimità, sollevano le seguenti perplessità:

  • è davvero fondato ritenere che i correttivi (la “personalizzazione”) possano e debbano avere luogo sull'«importo finale» e non già sui punteggi attribuiti alle singole variabili?
  • può accettarsi che la “personalizzazione” sia da concepirsi alla stregua del mero apporto di un qualche “correttivo” al punteggio complessivo dato unicamente dai punti assegnati per l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza?
Finzioni dell'estrazione del valore del punto dai precedenti

Ferme tali criticità, occorreva anche verificare l'esatto significato da attribuirsi al requisito - posto dalla Cassazione - dell'estrazione del “valore medio del punto” dai precedenti. Questa condizione, infatti, non considera in primis come in realtà i precedenti, intervenuti sotto modelli “a forbice” o su approcci equitativi, siano lungi dal permettere tale estrazione: semplicemente le liquidazioni ivi rinvenibili non si sono formate secondo punteggi a sommatoria con partenza da zero.

Inoltre, la questione dell'aderenza alla casistica giurisprudenziale non riguarda soltanto la fissazione del valore “medio” (rectius “indicativo”?) del punto, bensì anche la misura di incidenza attribuita alle singole variabili rispetto al quadro complessivo. Per es. nella “tabella romana” manca la dimostrazione circa la ricorrenza nei precedenti, considerati dai suoi redattori, di una costante incidenza della convivenza pari al valore di 4 punti: verosimilmente i punti furono distribuiti tra le variabili individuate come “portanti” con in mente degli obiettivi di standard risarcitori, ciò secondo “policy of law” rimaste ignote con un serio problema di trasparenza.

Il tema dell'estrazione del “valore medio” del danno parentale dal case-law imporrebbe poi ulteriori riflessioni tali da sollevare altri seri dubbi sull'attendibilità tanto della “tabella romana” che delle nuove “tabelle milanesi”.

Infatti, il riferimento a precedenti liquidazioni dovrebbe soggiacere ad una puntuale metodologia di lavoro, retta su questionari il più possibile dettagliati, omogenei e resi pubblici, la quale faccia fronte ad una serie di esigenze tra le quali:

-) la selezione (neutrale) di un numero sufficiente di precedenti;

-) l'aggiornamento all'attualità dei valori passati anche in ragione del differente potere di acquisito in ragione del vieppiù grave fenomeno inflattivo;

-) l'attenuazione dell'impatto di eventuali difetti di allegazione, deduzioni probatorie e formulazione delle domande risarcitorie imputabili ai difensori degli attori nei precedenti considerati, vizi senz'altro tali da poter incidere anche pesantemente sul quantum;

-) la valorizzazione di eventuali underperformances (se non negligenze) dei magistrati (si pensi al giudice il quale, pur senza alcun fondamento probatorio, presuma che il coniuge sopravvissuto si sia rifatto una vita; più in generale sovviene il giudice il quale operi abbondanti “tagli” ai capi di prova attorei).

Il problema degli errori e delle underperformances dei plaintiffs' lawyers e dei giudici - questione distinta dalla tendenza all'undercompensation che affligge ormai diversi fori - è un dato rilevante: rischia di riverberarsi sui risultati del “monitoraggio” e sulla tutela risarcitoria dei danneggiati, esposti a subire standard nettamente inferiori a causa di inettitudini altrui.

Un “monitoraggio” non accompagnato da validi criteri conduce a “valori medi” inattendibili e generalmente al ribasso. Sta di fatto che il “mito” del “valore medio” estratto dai precedenti è lungi dal tenere conto di tali sue debolezze.

In relazione alla “tabella romana” senz'altro difettava un qualsiasi corredo a dimostrazione della qualità metodologica dell'estrazione del “valore medio” (difetto, per inciso, ora riscontrabile anche con riferimento al nuovo paradigma milanese).

Quali alternative al “modello a punti per sommatoria di punteggi da zero”?

Dunque, all'indomani della “svolta capitolina” della Cassazione, in ordine alla possibilità di condividere il “metodo a sommatoria di punteggi” - ora accolto a braccia aperte a Milano - si potevano e si possono nutrire plurimi dubbi, meritevoli di esame anche per il loro impatto sulla tutela risarcitoria di diritti fondamentali di persone già colpite da gravi tragedie. In altri termini, permanevano - come tuttora insistono - molteplici ragioni per ritenere degna di supporto l'impostazione di cui alla tradizione milanese “a forbice”, imperniata su range liquidativi (indicativi) tali da permettere al giudice, senza i lacciuoli di presunzioni altamente imperfette, di attribuire ad ogni singola variabile un suo valore specifico con riferimento al caso concreto (in una ideale scala di gravità) e così di accostarsi al caso.

Tale modello ha sempre fatto i conti con il rischio di applicazioni arbitrarie o, comunque, labili nelle motivazioni, assistendosi non di rado a liquidazioni persino di molto sotto ai “minimi” tabellari (malgrado le opposte indicazioni fornite dalla Suprema corte più volte intervenuta a ribadire che sì non possono darsi “minimi garantiti”, ma la deroga ai parametri “base” - «se non intende del tutto privarsi di significato la richiamata opzione della giurisprudenza di legittimità per l'adozione di un tale uniforme parametro» - «deve poter avvenire solo quando la specifica vicenda presa in considerazione non rientri nell'ambito dell'ordinario», Cass. civ., Sez. III, 23 febbraio 2016, n. 3505; cfr. pure: Sez. III, 17 ottobre 2016, n. 20925; Sez. III, 14 novembre 2019, n. 29495; Sez. VI-3, Ord., 29 maggio 2019, n. 14746; Sez. III, 18 marzo 2021, n. 7770).

Sennonché, la tradizionale “tabella milanese” – non affetta (al pari della “tabella veneta”) dalle criticità rilevabili nella “tabella romana” e, più in generale, nel “metodo a sommatoria per punti da zero” – non era da buttarsi alle ortiche: essa poteva (e tuttora può) venire affinata per scongiurare suoi abusi, ciò senza la necessità di stravolgerla “romanizzandola”.

Si consideri in primis come l'applicazione della tabella “a forbice” sia tendenzialmente consistita nella determinazione di un livello di gravità/intensità - poi rappresentato in concreto dalla misura dell'ammontare finale individuato tra i parametri “minimi” e “massimi” - stabilito attraverso la valutazione di più variabili riscontrate caso per caso sulla base sia di prove presuntive discendenti da fattori oggettivi-anagrafici, sia di prove testimoniali/documentali in ordine al concreto atteggiarsi dei rapporti affettivi e relazionali-esistenziali (intensità delle frequentazioni, attività comuni, dipendenza economica o assistenziale, ecc.); in altri termini, le liquidazioni operate sulla base del metodo tradizionale milanese sono per lo più scaturite da plurime e contestuali considerazioni, di tipo innanzitutto probatorio, ed associate stime (in termini di gravità/intensità) circa determinate circostanze fattuali, con una sintesi/media finale di tali singole valutazioni determinante il valore complessivo all'interno tra gli estremi. In pratica, il “metodo di lavoro” è consistito nell'operare caso per caso, a livello di processo mentale, una media tra le indicazioni di intensità del danno parentale recate dai singoli fattori. Trattasi del “metodo per media tra livelli di intensità/gravità” o metodo della media della intensità/gravità delle circostanze di fatto”).

Questo modello poteva affinarsi sviluppando una delle seguenti alternative: dando luogo ad un sistema costruito sullo sviluppo di tabelle a punti per le variabili ritenute portanti, con –caratteristica fondamentale - media finale (non già sommatoria!) tra i diversi punteggi; oppure, come proposto da Patrizia Ziviz, costruendo una scala di gravità con graduazione di carattere descrittivo, eventualmente anche scandita attraverso una misurazione a punti.

La prima alternativa - avanzata da taluni nel “Gruppo 3” e subito scartata dal “gruppo ristretto” senza alcun autentico confronto (al punto da non essere neppure posta all'ordine del giorno) - si sviluppava sulla base di quattro fasi (la proposta, nella sua versione iniziale, si trova pubblicata all'indirizzo simlaweb.it; una versione “short” successiva veniva in seguito fatta circolare):

  • primo step: attribuzione di un punteggio da 0 a 10 a ciascuno dei “fattori portanti” in base alle relative tabelle (tabella 1: prossimità di vita convivenza, vicinanza geografica, frequentazioni di persona, contatti di altro tipo; tabella 2: età della vittima primaria; tabella 3: età del congiunto superstite; tabella 4: condivisione attività dinamico-relazionali; tabella 5: intensità del rapporto affettivo);
  • secondo step: determinazione del “punteggio di sintesi” (= media tra i punteggi calcolati in relazione ai “fattori portanti”);
  • terzo step: determinazione del valore monetario di riferimento sulla base dei valori tratti dalla suddivisione dei range recati dalla tradizionale tabella in 10 fasce con valori iniziali i valori di base e valori ultimi i valori massimi;
  • quarto step: eventuali ulteriori personalizzazioni in incremento o diminuzione.

Questa impostazione mantiene il riferimento – avente valore soltanto indicativo-orientativo – ai “valori di base” e “valori massimi” di cui alla tradizionale “tabella milanese” e preserva le predette caratteristiche/logiche portanti dell'impostazione milanese tradizionale (media tra i diversi livelli di intensità/gravità delle variabili), con conseguente aderenza alla casistica precedente (stesse logiche di selezione del quantum fra gli estremi, pari risarcimenti); al contempo, si scongiura che singole circostanze/variabili anagrafiche (per esempio, l'età o la convivenza) rilevino meccanicamente senza contemperarsi caso per caso con le altre variabili.

Critiche nel merito alla nuova impostazione ambrosiana

L'operazione meneghina non è consistita nell'osservare, razionalizzare e precisare meglio il “diritto vivente”, ossia la tabella tradizionale; al contrario, si è assistito alla formulazione para-normativa non già di una sola tabella, bensì, a seconda del rapporto famigliare, di due distinte tabelle in concorrenza con la “tabella romana” (con la differenza, in seno alle prime, di un netto abbassamento dell'asticella di partenza sul piano dei valori monetari uniformi di base); si potrebbe, altresì, rilevare come la proposta proveniente da una parte del “Gruppo 3” non soddisfi neppure le indicazioni provenienti dalla Cassazione (diversamente da quanto opinato da P. Ziviz, Il nuovo sistema milanese di misurazione a punti del danno da perdita del rapporto parentale, in ridare.it, 18 luglio 2022).

La trasformazione della tradizionale tabella in un divergente paradigma: “a different beast”

Sin dalla prima riunione (28 maggio 2021) del “Gruppo 3” post Cass. n. 10579/2021 tra i coordinatori risultò netta la decisione di sviluppare una tabella sì alternativa a quella romana ma al contempo ispirata alle stesse logiche di base di quest'ultima; in effetti il risultato finale è quello di un inedito set di tabelle, lungi dal costituire un affinamento/aggiornamento/restyling della precedente tabella, viceversa annoverandosi importanti modifiche strutturali tali da sovvertire del tutto l'impianto e le logiche del precedente modello “a forbice”.

Anzi, più che di stravolgimento della precedente “tabella” occorre disquisire di uno scenario in tutto e per tutto nuovo sul piano della tecnica giuridica: il passaggio dal metodo “a forbice” al metodo “a punti per sommatoria” (secondo l'impostazione romana, ancorché con diverse valorizzazioni delle variabili in giuoco) impedisce– nonostante intenti e declamazioni – di attribuire una qualsivoglia continuità sostanziale rispetto al passato, come del resto dimostrato dalla prospettiva di liquidazioni divergenti.

Il nuovo paradigma per il danno parentale tradisce sul piano metodologico e giuridico la tradizione ambrosiana sotto almeno tre profili: 1) non si assumono più a riferimento di base i range milanesi tra minimi e massimi indicativi (ciò vale soprattutto per i minimi); 2) le variabili (convivenza, relazioni parentali, età di vittime e congiunti, ecc.) rilevano per sommatoria (esattamente come avviene in seno alla “tabella romana”) e non già più per media (logica quest'ultima che, come si è innanzi riferito, da sempre ha connotato nella sostanza l'applicazione della tabella tradizionale); 3) vincono automatismi e presunzioni, che, invece, sarebbero stati da attenuarsi anche alla luce dei noti orientamenti della Cassazione (la quale – con il filone inaugurato da Cass. n. 10579/2021- ha tradito la sua posizione avverso “automatismi risarcitori”).

In breve, risulta sviante e financo sorprendente la seguente affermazione recata dalla sezione «Domande & Risposte» del documento illustrativo della nuova proposta: «Non si tratta quindi di “nuove tabelle” ma delle stesse tabelle milanesi integrate con unsistema a punti» (sic!).

Questa “rappresentazione” è semplicemente smentita da sé stessa. Difatti, come pure colto dai primi commentatori della sentenza Cass. n. 10579/2021 (A. Palmieri, Quantificazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale: dalle tabelle predisposte dagli uffici giudiziari alla tabella da scrivere sotto la dettatura della Cassazione?; in Foro it., 2021, I, 2033-2034), un modello tabellare “a forbice”, quale quello della tradizione ambrosiana, non può essere integrato, senza così mutare strutturalmente (rectius geneticamente), da un “modello a sommatoria di punti”, tantomeno da un sistema tabellare “per somma di punti partendo da zero”. L'inserimento di un siffatto sistema genera un modello tabellare diverso, una “different beast” affetta innanzitutto da tutte quelle criticità delle quali si è già riferito con riferimento alla “tabella romana”.

Tale tentativo di “mascherare” la reale portata dell'operazione presentandola alla stregua di un mero maquillage appare senz'altro singolare, ancor più essendo più volte stata denunciata durante i lavori del “Gruppo 3” la significativa differenza tra, da un lato, il “romanizzare” la tabella della tradizione milanese (ossia trasformala in un paradigma strutturalmente diverso) e, dall'altro lato, l'affinarla individuando tra i “minimi” ed i “massimi” forme di graduazione di intensità/gravità del complesso sofferenziale-esistenziale sostanziante il danno parentale (affinamenti operabili secondo le due strade sopra illustrate).

Questa netta discontinuità tra “vecchia” tabella e nuovi paradigma milanese assume rilievo ai fini del dilemma circa l'applicazione di quest'ultimo oppure della “tabella romana”: l'adesione al nuovo modello ambrosiano non potrà reggersi su una sua (insussistente) corrispondenza con la precedente impostazione e la diffusione di quest'ultima a livello nazionale; essa dovrà giocarsi su altro terreno, quello della “tabella romana”; ossia dovrà risultare più convincente rispetto a quest'ultima nel merito e quanto all'attuazione dei principi guida fissati dalla Suprema corte a partire da Cass. n. 10579/2021 circa le modalità redazionali della tabella per il danno parentale (posto che in questa contesa non si decida di rimettere in competizione il modello “a forbice” della tradizione milanese, affinato o meno).

Come si illustrerà, non pare che la nuova “tabella milanese” presenti meno profili critici rispetto a quella romana; anzi, potrebbe essere il contrario.

Due sottosistemi tabellari invece che uno

Il nuovo paradigma milanese non solo contempla valori del punto distinti tra i due gruppi di congiunti già delineati nella versione precedente (previsione giustificata dal rispetto della tradizione, sebbene meritevole di revisione per il vizio d'origine già rinvangato), ma altresì fissa punteggi diversi, tra i due set di parenti, per le medesime variabili; sicché, per es., con riferimento a nonni-nipoti-fratelli ricorrono punti inferiori per l'età (della vittima primaria e secondaria) rispetto a quelli fissati per i parenti di primo grado/coniuge ed assimilati; parimenti la convivenza riceve una valutazione maggiore per i parenti di secondo grado.

Al riguardo, non si riesce a comprendere in base a quale criterio valoriale (nel senso più ampio ed interdisciplinare di questa espressione) le età anagrafiche di vittima primaria e di vittima secondaria siano tali - sul piano esperienziale generale - da “valere” diversamente, in termini di punteggi, a seconda della relazione parentale. Inoltre, la convivenza, elevata a presunzione di una più intensa sofferenza, non dovrebbe avere un “peso” cangiante a seconda dei congiunti coinvolti. Queste questioni forse potranno apparire eccessivamente filosofiche, ma si pone un considerevole problema sul piano della base fenomenologica di tali punteggi.

Il perché la convivenza tra un nonno ed un nipote debba valere di più rispetto a quella tra un genitore ed un figlio maggiorenne rimane un mistero: si potrebbe pensare che ciò sia associato alla infrequenza, nella nostra società, della coabitazione tra nonni e nipoti, il che, però, nulla indica circa una maggiore intensità sofferenziale rispetto alla comunanza di domicilio tra parenti di primo grado. Altra spiegazione potrebbe rinvenirsi nella necessità di “fare tornare i conti” rispetto ai “valori medi” ricavati dal “monitoraggio” (per la serie della “estrazione fittizia”).

Questi interrogativi, ferme in radice le perplessità sul metodo tabellare impiegato, inducono a ritenere preferibile l'impostazione romana, che per le predette variabili prevede medesimi punti per tutti congiunti.

I nuovi valori monetari e dilemmi sulla corrispondenza alla tradizione

Sulla possibilità di attuare l'estrazione del “valore medio” del punto da precedenti, che si sono formati sulla diversa base di un modello “a forbice” con ampi spazi per l'equità, è dato dubitare.

A prescindere, comunque, da tale dilemma generale, qualche interrogativo si pone circa l'effettiva corrispondenza tra l'estrazione teorizzata dalla Cassazione e l'operazione compiuta dai promotori del nuovo paradigma milanese, consistita nel prendere i due importi massimi previsti dalla tabella “a forbice” e dividerli per cento così conseguendo gli importi dei punti-base per le nuove tabelle (€ 3.365,00 e di € 1.461,20 rispettivamente per il caso di perdita di genitori/figli/coniuge/assimilati e per il caso di perdita di fratelli/nipoti).

Indubbia, infatti, è l'assenza di corrispondenza tra precedenti e valori monetari attribuiti alle singole variabili: per es., in nessun precedente si rinviene conferma dell'attribuzione – suscettibile di generalizzazione - dell'importo di € 53.840 al fattore della convivenza; né è dato rinvenire nella giurisprudenza pregressa una costante indicazione in questo senso.

In breve, come pure osservabile con riferimento alla “tabella romana”, nel passaggio ad un modello nettamente diverso (quello della “sommatoria per punti partendo da zero”) la continuità con la tradizione e con il precedente case-law è più apparente che reale: sotto i “massimi” la tradizione è svuotata di ogni sua pregressa sostanza.

Certo, bisogna dare atto ai promotori della nuova tabellazione di un intenso sforzo per “fare tornare i conti”, avendo questi più volte ricalibrato le proprie proposte per scongiurare divergenze, anche significative (al ribasso), da taluni casi tratti dal “monitoraggio”; nondimeno si può dubitare - in primis per l'assenza di una metodologia di classificazione e selezione dei dati - dell'affidabilità della disamina casistica su cui si sono rette tali operazioni di aggiustamento.

Il monitoraggio, inoltre, non è stato particolarmente esaustivo, tra l'altro annoverando una disamina piuttosto limitata su fori eppure importanti (per es., una decina di sentenze da Torino in un arco di tempo di oltre sei anni).

Contro un'aderenza degli attuali valori al quadro pregresso si registra anche la seguente indicazione: i “valori medi” desumibili dai punteggi minimi e massimi (ossia con personalizzazione massima) con riferimento agli esempi di calcolo risarcitorio, di cui all'Allegato 1 del nuovo documento, risultano tendenzialmente inferiori rispetto ai “valori medi” (o “medie”) indicati dal monitoraggio, ferma, come si riferiva, la possibile inattendibilità (al ribasso) di questi ultimi.

La convivenza senza “scala” ed altre criticità connesse alle variabili

Il maggior difetto imputabile al “sistema a sommatoria di punteggi” è quello per cui ciascun set di punti cristallizza la variabile considerata in un valore fisso in termini di incidenza sull'economia del punteggio complessivo, dunque attribuendogli una rigida valenza, che invece, in una visione naturalisticamente unitaria del fenomeno “danno non patrimoniale parentale”, dovrebbe perlomeno venire smussata con un'operazione finale di contemperamento tra i vari fattori (esattamente quell'operazione che può riscontrarsi nel “modello per media tra punteggi” e che purtroppo nel documento «Domande & Risposte» risulta svalutata, del tutto superficialmente, quale “annacquamento” delle singole variabili).

Ciò ribadito, se si compara il peso fisso attribuito alla variabile “convivenza” (16 punti per la perdita di figli/genitore/coniuge; 20 per la perdita di fratelli/nonni/nipoti incrementabili a 25 punti nel caso di convivenza per oltre 30 anni ed a 30 punti nell'ipotesi di convivenza per oltre 40 anni) rispetto alla quota attribuita alla “personalizzazione” (30 punti), si potrebbe ricavare un'eccessiva importanza, uguale per tutti i casi, assegnata a tale fattore meramente anagrafico. Spicca soprattutto l'assenza di punteggi sequenziali ai predetti in relazione ad altre situazioni sempre relative alla prossimità/frequentazione tra congiunti (fatta eccezione per l'attribuzione, discutibile in termini numerici, di 8 punti nel caso di abitazione nello stesso stabile o complesso condominiale).

Questa radicale alternativa tra valutazione piena della convivenza anagrafica (o nella misura di 8 punti per stesso stabile) e lo zero attribuito ad ogni altra prospettiva di vicinanza (pur anche se dimostrabile anagraficamente, come anche solo il domicilio nella stessa strada o piazza), senza la previsione di parametri intermedi (per es. in ragione della vicinanza delle abitazioni o, a prescindere dalla prossimità geografica, di frequentazioni ripetute) o l'apprestamento di mitigazioni dello zero in considerazione di particolari ragioni di allontanamenti “anagrafici” (da es., ragioni di lavoro, di studio o di terapie) lascia alquanto perplessi. Invero, sorprende l'assenza di una qualsivoglia previsione circa la possibilità di attribuire i punti in questione (o equitativamente altri nella medesima scarna scala) per situazioni equiparabili (si pensi al figlio di genitori separati che risulti domiciliato presso l'abitazione di un genitore ma alterni periodi di convivenza non anagrafica presso l'altro genitore) o al caso in cui un figlio si è appena distaccato dal focolaio domestico o, ancora, a chi non possa permettersi il “lusso” della coabitazione, essendo costretto a cercare lavoro altrove (il rifugiato o il migrante economico), laddove l'incidenza, in termini di punti, attribuita alla convivenza rischia di divenire punitiva verso chi attraversi in barcone il Mediterraneo e finisca a vivere sotto i ponti per dare da vivere alla propria (obtorto collo lontana) famiglia.

Vero è che tali situazioni potrebbero venire in rilievo ai fini della “personalizzazione” (30 punti totali), dato che frequentazioni/contatti assurgono a parametri teoricamente incrementativi. Però sta di fatto che, per es., chi dimostri una frequentazione giornaliera (tuttavia senza convivenza anagrafica) sia discriminato rispetto a chi abbia dimostrato tale coabitazione: un conto è partire da 16 punti (più le altre variabili sempre di natura anagrafica), altra prospettiva è trovarsi con uno zero in relazione a tale fattore (la differenza che potrebbe ricorrere tra genitori separati o figli di separati a seconda dei casi).

Si potrebbe obiettare come, forse, nel primo caso (convivenza anagrafica) la “vittima secondaria” non potrà aspirare ad ulteriori punti in sede di “personalizzazione” in relazione al fattore “frequentazioni/contatti”; tuttavia - in assenza di indicazioni in ordine a questa ipotesi - si registra nella nuova impostazione un indubbio problema di coordinamento tra “punteggi prestabiliti/di base/anagrafici” e “punteggi personalizzanti”, nello specifico prospettandosi aree di variabili/pregiudizi in teoria fra loro sovrapponibili, con possibili trattamenti discriminatori a seconda di chi applichi le nuove tabelle; si potrebbe pure osservare come chi abbia ottenuto il punteggio prestabilito per la convivenza anagrafica possa aspirare alla “personalizzazione” del quantum di base che in nessun modo considera il livello di soddisfazione (ossia la “qualità esistenziale”) della condivisione di abitazione e di momenti della vita.

In breve, il nuovo modello meneghino pone dinanzi a seri dubbi sulle nozioni e funzioni (sul piano dell'attribuzione dei “punteggi personalizzanti”) di “convivenza”, “frequentazione” e “contatti”.

Questi dilemmi parrebbero di gran lunga attenuati nella più semplicistica “tabella romana”, ove al contrario la “convivenza” si inserisce in una scala con diversi gradi di intensità, pure concepita - sul piano dei pregiudizi sostanziali considerati - diversamente in quanto riferita alla “composizione del nucleo famigliare”. Proprio a quest'ultimo riguardo, peraltro, potrebbe rilevarsi nelle nuove “tabelle milanesi”, rispetto alla “tabella romana”, l'assegnazione di un eccessivo peso alla presenza di altri congiunti sopravvissuti.

La sensazione è che, operandosi continui aggiustamenti dei punteggi per conseguire una qualche corrispondenza con i casi selezionati dal “monitoraggio”, si sia persa di vista la necessità di una qualche riflessione - da condursi a livello interdisciplinare - sul peso attribuibile, con ampie generalizzazioni, alle variabili ed ai contenuti del margine di 30 punti per la “personalizzazione”.

Una “personalizzazione” erosiva del quantum uniforme di base rispetto alla “tabella romana”: asticelle di partenza più basse

Il sistema a punteggi milanese, diversamente dal “modello romano”, si estende anche alla “personalizzazione”, i cui relativi punti disponibili (fino al massimo di 30 su 100 concretamente riconoscibili atteso questo “cap”) comportano, rispetto alla “tabella capitolina”, una portata minore del 30%, in termini risarcitori, di quanto conseguibile sulla base dei dati oggettivi-anagrafici.

In pratica, considerato che nel “modello romano” il giudice dovrebbe procedere ad incrementi o decrementi una volta assegnati tutti i punti a disposizione sulla base dei dati anagrafici (punteggi idonei a comportare, fatta eccezione per alcuni casi, risarcimenti corrispondenti ai parametri massimi “milanesi”, se non oltre), nel nuovo “modello milanese” si abbassa di molto l'asticella di partenza del trattamento base rispetto alla “tabella romana” (elevata dalla Cassazione a parametro di riferimento).

Questo livellamento verso il basso, oltre sollevare questioni di “policy of law”, non pare irrilevante alla luce degli obiettivi perseguiti dalla Suprema corte a partire da Cass. n. 10579/2021, che mirava a superare a livello nazionale le disparità nella liquidazione del danno parentale; ciò andrà pure ad impattare in peius sulla tutela risarcitoria (in primo luogo in sede stragiudiziale).

Inoltre, le indicazioni fornite dal nuovo schema ambrosiano per quanto concerne la “personalizzazione” sono piuttosto generiche e pure confusive. Esse, infatti, consistono, come già lamentato nel “Gruppo 3”, in un affastellamento di “fattori personalizzanti”, senza gradazioni e, quindi, senza alcun “criterio modulare”; soprattutto, come già anticipato sopra, in tale messe di variabili/circostanze si creano, almeno in apparenza, potenziali sovrapposizioni tra “variabili anagrafiche” e “variabili personalizzanti”, con un difetto di coordinamento tra “punti anagrafici” e “punti personalizzanti”, quindi con il rischio di un appiattimento verso il basso proprio potendosi addurre la ricomprensione di conseguenze pregiudizievoli “personalizzanti” nella prima fase.

Pertanto, rispetto alla “tabella romana” - eppure anch'essa priva di indicazioni stringenti (ma con una “personalizzazione” tale da non intaccare il trattamento uniforme di base, questa la differenza) - si ha come nel “modello milanese” l'assenza di criteri-guida per la “personalizzazione” (al di fuori del tetto dei 30 punti), unitamente a tale mancato coordinamento, comporti evidenti rischi di incertezze, discriminazioni e pure autentiche svalutazioni dei danni (ciò rispetto agli standard risarcitori conseguibili con la “tabella romana”, come l'esperienza sviluppatasi su questa già dimostra).

Insomma, se proprio si desiderava pervenire all'impostazione poi adottata, la fase della “personalizzazione” avrebbe necessitato di essere più puntualmente concepita ed organizzata, scongiurandosi equivoci concettuali sulle categorie in gioco e, quindi, il rischio di sostanziali svuotamenti della portata monetaria del 30% ascritta a tale fase.

Ad onore di cronaca in seno al “Gruppo 3” si suggeriva proprio di prevedere criteri «più puntuali», al contempo «escludendosi fattori già ricompresi nei precedenti punteggi»; si aggiungeva - sempre invano - come fosse «da verificare se questo non [fosse] il caso della frequentazione, laddove la voce convivenza è già ricompresa, oppure della “sofferenza” che parrebbe già costitutiva dei precedenti punteggi, se non per la quota associata ai profili funzionali alla personalizzazione».

Dunque, la prospettiva della “personalizzazione” risulta altamente evanescente.

Infine: perché il 30% (in origine, peraltro, erano stati previsti 32 punti invece che 30) e non già il 50% od oltre? La giustificazione addotta dai promotori delle nuove “tabelle milanesi” è che l'indicazione dei 30 punti su 100 (il massimo conseguibile) corrisponde alla misura recata dall'art. 138 Cod. Ass.; sennonché la percentuale normativa – introdotta dal legislatore in manifesto contrasto con una diversa e più generosa impostazione giurisprudenziale – non può costituire un valido riferimento per il danno da perdita del rapporto parentale; senz'altro tale misura non risulta supportata dal “monitoraggio”, eppure elevato ad imprescindibile parametro dai redattori delle nuove tabelle.

L'assurda previsione di un “cap”

Come si rinviene nel “report cronologico” che accompagna il nuovo paradigma ambrosiano, ancora in occasione della riunione del “Gruppo 3” del 5 aprile 2022 il suo coordinatore riprendeva per l'ennesima volta il mantra per cui «non esiste un minimo garantito». Dinanzi a questa declamazione risulta difficile comprendere come allora possa essere stato concepito un “massimo garantito”, tale da imporre la decurtazione di punti pur conseguibili attraverso l'applicazione del nuovo sistema.

Difatti, un dato caratterizzante le nuove “tabelle milanesi” risiede nella previsione – motivata con la necessità di un adeguamento agli esiti del “monitoraggio” nel rispetto dei valori monetari delle precedenti tabelle – che, nonostante i punti attribuibili secondo le due tabelle siano superiori a 100 punti (rispettivamente 118 e 116), le liquidazioni finali siano da contenersi entro i valori monetari “massimo” delle precedenti “forbici” (corrispondenti a 100 punti nelle due nuove “tabelle”, ossia, nella prima, € 336.500,00 e, nella seconda, € 146.120,00), salva la ricorrenza di - non meglio specificate – “circostanze eccezionali”.

A parte il fatto che questa impostazione conferma come i punteggi siano stati attribuiti non già in base ad una criteriologia particolare, bensì all'esclusiva insegna, del tutto alchemica, di “far tornare i conti”, nonché tralasciando come il “monitoraggio” stesso non avvallasse affatto il “cap” in questione (equivalente ad una sottrazione di punti nel contesto di un “modello a sommatoria di punteggi”), si è innanzitutto dinanzi ad un grave paradosso: infatti, il magistrato, il quale, dinanzi a tutte le variabili e prove del caso, pervenga a ritenere l'attribuzione del maggior numero di punti a disposizione (118 punti per la perdita di figli/genitore/coniuge, 116 per la perdita di fratelli/nonni/nipoti), dovrebbe poi ridimensionare la liquidazione a 100 punti complessivi nonostante la ritenuta gravità del danno.

Orbene, questa costituisce una livella del tutto assurda sul piano logico nel momento in cui si è optato per un sistema per sommatoria di punti e, soprattutto, venendo essa in rilievo per i casi eppure giudicati più gravi, così penalizzati.

Questa decurtazione risulta ancora più grave, se si considera la contestuale pretesa (a sua volta, per quanto consta, non supportata dal “monitoraggio”) di inserire a viva forza nella contingentata “personalizzazione” pure la liquidazione della «agonia/penosità/particolare durata della malattia della vittima primaria laddove determini una maggiore sofferenza nella vittima secondaria», voce che non concerne l'evento uccisione del congiunto, bensì la precedente violazione della salute della “vittima primaria” con tutte le conseguenze, sofferenziali e dinamico-relazionali, per i famigliari associate al “danno catastrofale” (su questa distinzione v. M. Bona, Morti da amianto sul lavoro: il punto su responsabilità e risarcimenti, in Resp. Civ. Prev., 2021, n. 2, 632-633; da ultimo v. Trib. Roma, Sez. II, 21 giugno 2022, n. 9864, G.U. Patruno, che ha ribadito, liquidandoli distintamente, che il «risarcimento del danno da “lesione” del rapporto parentale non coincide con il danno da “perdita” del rapporto parentale», il primo consistendo nello «sconvolgimento dell'esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, dovuto alle gravi lesioni subìte dal parente»; «diversi sono i fatti costitutivi posti alla base delle due pretese, consistenti rispettivamente nella lesione del bene della salute del congiunto e nel decesso dello stesso. E così, sebbene in linea di pura astrazione gli stessi possano “fondersi” nonostante tutto in una valutazione unitaria, semmai mediante aggravamenti e specificazioni costruite sulle previsioni tabellari del danno da perdita parentale, […] appare opportuno fruiscano di una valutazione distinta»).

La previsione ambrosiana del draconiano cap” di 100 punti, peraltro, non risulta in armonia con l'obiettivo e l'idea stessa della “riparazione integrale”: se un giudice ritiene, a fortiori in applicazione di un “sistema per sommatoria di punti”, che una certa somma (ossia un determinato numero di punti) sia quella più idonea a rappresentare un risarcimento equo e completo, va da sé che anche un solo centesimo di euro in meno infici, tanto sul piano logico che a livello di conformità all'art. 1226 c.c. costituzionalmente interpretato, il risarcimento poi decurtato in ragione del “cap”, non costituendo una full compensation e pure configurandosi la violazione dell'art. 3 Cost.

Ad incrementare l'assurdità del “cap” si ha come esso – operante con sottrazione di punti assegnati con un rigido “sistema a sommatoria” – sia previsto in una tabella giurisprudenziale: spetterebbe al legislatore fissare eventuali tetti risarcitori, fermo poi il giudizio sulla loro costituzionalità.

Infine, sussiste il rischio che la previsione del “cap” possa finire, nei casi più gravi, con il comportare, occultamente, una sistematica riduzione dei punti ascritti alla “personalizzazione”, atteso che i giudici, laddove al contrario esplicitassero le decurtazioni comportate dal “cap”, si troverebbero esposti ad inevitabili censure. In altri termini, si è dinanzi alla possibilità di “effetti occulti” del “cap” inficianti quella trasparenza che una tabella dovrebbe garantire; nelle ipotesi più gravi il sospetto di aggiustamenti ad hoc sarà sempre dietro l'angolo.

L'applicazione sottotraccia del “cap” non è un elemento trascurabile quanto ad impatto su una effettiva e trasparente tutela risarcitoria, il che rende decisamente più critico il nuovo paradigma meneghino rispetto alla - sotto questo profilo - più cristallina “tabella romana”.

Tutto ciò risulta discutibile sul piano della “policy of law” perseguita dai redattori delle nuove tabelle, a fortiori dovendosi evidenziare come l'introduzione del “cap” sia stata eppure avversata in seno al “Gruppo 3” dai pochi “attivisti” presenti.

Risarcimenti al ribasso e “policy of law”

Diverse indicazioni portano a ritenere che le nuove “tabelle milanesi” possano livellare verso il basso i risarcimenti reclamabili dai congiunti, pure potendo aggravare il contenzioso.

Riassumendo emerge il seguente quadro:

  • operando una comparazione tra la “tabella romana” e le nuove “tabelle milanesi” risulta come per lo più i parametri uniformi di base – retti sulle circostanze “anagrafiche” (dunque a prescindere da ogni “personalizzazione”) – in queste ultime conducano a punti di partenza e, in potenza, a liquidazioni inferiori e, peraltro, in tutta una serie di casi pure al di sotto dei “minimi” tabellari del modello milanese precedente (cfr., per es., App. Venezia, n.1577/2022, cit., che, applicando i nuovi punti milanesi, ha fissato il parametro base in € 124.505 relativamente ad un figlio di 42 anni per la morte del padre non convivente di 83 anni, con ulteriore ridimensionamento a € 100.000 in ragione di una residua aspettativa di vita fra 2 e 5 anni, ciò a fronte di un valore “minimo” precedente di € 168.250); ciò non può che suscitare serie preoccupazioni innanzitutto con lo sguardo rivolto alle trattative stragiudiziali ed al deflazionamento del contenzioso, nota essendo la tendenza delle imprese assicuratrici a livellare le loro disponibilità conciliative sui parametri base;
  • questa prospettiva già di per sé negativa per i danneggiati si aggrava ulteriormente in relazione a congiunti quali i fratelli, di nuovo penalizzati nel contesto milanese; infatti, le ultime tabelle non sono andate a rimediare - come sarebbe stato possibile stante la scelta di sovvertire l'impostazione tradizionale con un nuovo strumento di liquidazione – alla decisione, occorsa nel 2009, di non “aggiornare” - in relazione a fratelli, sorelle, nonni e nipoti - i valori monetari, di cui alla tabella 2008, al modello “danno morale da lutto + danno esistenziale-parentale” affermato dalle Sezioni Unite dell'11 novembre 2008 (nel 2008 il range per la perdita di un fratello era da € 21.275 a € 127.651; nel 2009 la forbice partiva da € 21.711 andando a € 130.266), revisione, invece, intervenuta per genitori, figli e coniugi, in relazione ai quali si passò, nel segno del “danno non patrimoniale unitario” e con un significativo balzo in avanti, dal range da € 106.376 a € 212.752 (versione 2008) alla forbice da € 150.000 a € 300.000 (versione 2009); la reiterazione del divario tra congiunti e l'ulteriore irrigidimento verso il basso del quantum del danno risarcibile a fratelli, nonni, nipoti ed altri congiunti assimilabili distanzia molto le nuove “tabelle milanesi” dai valori monetari base riconosciuti dalla “tabella romana”;
  • la previsione del “cap” a 100 punti comporterà un livellamento al ribasso del danno parentale nei casi più gravi in relazione ai quali potranno registrarsi divari anche significativi tra ricorso alla “tabella romana” ed applicazione delle “tabelle milanesi”.

Questi scenari possono sollevare interrogativi circa la “policy of law” dell'iniziativa dei “tabellatori” milanesi, questioni che non possono trascurarsi tanto più dinanzi al ruolo para-normativo attribuito dalla Cassazione alle tabelle di osservatori o tribunali.

In particolare, il nuovo paradigma ambrosiano, innanzitutto se posto al confronto con la concorrente “tabella romana”, reca dei risultati affatto neutri per i danneggiati: le nuove “tabelle milanesi” non depongono a favore delle vittime, impacchettate in rigide griglie valutative con livelle al ribasso.

Questa prospettiva sarebbe stata meritevole di approfondimento in seno al “Gruppo 3”, come pure ivi suggerito, soprattutto alla luce di critiche pervenute da taluni membri proprio in merito alla direzione “politica” intrapresa, i quali, peraltro, non mancavano di sottoporre comparazioni fra la “tabella romana” e le “tabelle milanesi” in fieri.

Si rimane con l'impressione che le nuove “tabelle milanesi”, a prescindere dagli intenti, rientrino nel trend, rilevabile in seno ad una parte della magistratura (oltre che nel legislatore), di un ridimensionamento quantitativo e qualitativo degli spazi effettivi di attuazione del diritto al risarcimento integrale dei danni (trend rilevato da R. Pardolesi, Il futuro del danno non patrimoniale, cit., 634).

Questa sensazione trova alimento nell'apprestamento in seno all'Osservatorio milanese di tabelle esecrabili sul piano tecnico-giuridico (oltre che medico legale), quali quella sui casi di premorienza e quella sui “danni terminali-catastrofali”, tabelle, come già illustrato (v. M. Bona,Tabelle milanesi oltre il seminato: critica ai parametri per i danni da premorienza e terminali, in ridare.it, 17 Aprile 2018), rilevatesi favorevoli ai defendant ed alla compagine assicurativa (il che non significa che questo fosse l'obiettivo dei redattori); può pure menzionarsi l'increscioso inserimento nella versione 2018 della tabella sul danno parentale dell'aggettivo “medio” accanto al valore base dei due range contemplati (aggettivo poi eliminato con le note “precisazioni” da parte dell'Osservatorio, ma nelle more subito sfruttato dalle imprese assicuratrici per liquidazioni al ribasso).

Realizzato da Milano il modello indicato dalla Cassazione?

La “filosofia” perseguita dalla “tabella romana”, apprezzata dalla Suprema corte, è quella di garantire, attraverso un sistema a punti imperniato sui dati anagrafici, un punto di partenza comune a tutti già idoneo a realizzare direttamente i “massimi tabellari” (pertanto la soluzione finale), salvi correttivi in decremento o in aumento: dunque, nel “modello capitolino” l'uniformità - in una prospettiva più positiva per i danneggiati - è garantita letteralmente al massimo livello.

Viceversa, le nuove “tabelle milanesi” disattendono lo scenario - promosso dalla Suprema Corte - di una base uniforme di questo tipo (impostata sui massimi) «con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione» (così Cass. n. 10579/2021).

In particolare, se ne discostano non solo sul piano del quantum dell'asticella dell'uniformità base, ma anche a livello strutturale: ai punteggi sui dati anagrafici (sistema caldeggiato dalla Cassazione) si affianca un set di punti per la “personalizzazione” (con decurtazione dei punti sopra il “cap” di 100), quando invece, come indicato dalla Suprema corte e rinvenibile nella “tabella romana”, doveva prevedersi la “correzione” dell'outcome complessivo “massimo” tratto dalle variabili anagrafiche.

In breve, anche senza ravvisarsi un rinvio da parte della Cassazione ai valori monetari recati dalla “tabella romana”, strutturalmente le nuove “tabelle milanesi”, pur imitandolo in larga misura, non hanno riprodotto fedelmente il modello delineato dalla “sentenza Scoditti”, ispirato a quello romano anche sul fronte della tecnica con la quale strutturare la “personalizzazione” nel contesto di un sistema a punti per sommatoria.

Il nuovo paradigma milanese non sembra rispondere al modello idealizzato dalla “sentenza Scoditti”.

Critiche al (non) metodo di lavoro e rilievi sulla “condivisione”

Una tabella, che aspiri a concretizzare su scala nazionale il principio di equità ex art. 1226 c.c., andrebbe valutata per la sua effettiva capacità di rappresentare le diverse realtà territoriali: ciò non vale né per la “tabella romana” (ancorché ora possa vantare una notevole diffusione), né tantomeno per le nuove “tabelle milanesi”, che, al di là di discutibili narrazioni, sono lungi dal porsi in un solco di continuità con la tradizione, anche solo per il fatto di partire al di sotto dei precedenti “minimi tabellari” e di ragionare per sommatore di punteggi, quindi secondo logiche inedite.

Qualsiasi tabella andrebbe pure - anzi prioritariamente - scrutinata per la sua qualità nella realizzazione di un ideale modello di “giusto risarcimento”. Ossia il giudizio sul merito di una tabella dovrebbe imporsi sulla sua eventuale diffusione territoriale: una seguitissima tabella potrebbe risultare incorretta (si pensi, per es., alla “tabella milanese” sul “danno catastrofale”: essa, anche fosse plaudita da tutti, il che fortunatamente non avviene, rimarrebbe censurabile innanzitutto sul piano fenomenologico e medico-legale, giacché non si ha affatto che dal centesimo giorno la vittima si stabilizzi o persino migliori arrivando in allegria al decesso).

Invece il metodo di lavoro dovrebbe contare di meno, sebbene, essendo in gioco scelte “politiche” (per es., se agevolare o meno i danneggiati, risarcirli di più o di meno, ecc.), dovrebbero comprendersi le dinamiche del gruppo, il suo approccio metodologico, “conflitti di interessi”, ecc.

Il fatto, tuttavia, è che negli scontri ultimi tra tabelle si tende a porre sul tavolo - per validare questa o quella soluzione - condivisioni, unanimità di vedute e pure sforzi di componimento tra divergenti posizioni. In altri termini, il metodo di lavoro è presentato come un punto di forza, tra i motivi principali per cui giudici, corti ed avvocati dovrebbero tutti convincersi ad aderire ad una determinata soluzione. Ed allora il tema in questione va affrontato.

Per quanto concerne la “tabella romana” si ignorano il metodo di lavoro e le basi giurisprudenziali alle sue origini, il che preclude una valutazione compiuta. Nondimeno, da parte capitolina la metodologia impiegata oppure la condivisione delle idee in seno ad una data aggregazione di giuristi, magistrati ed avvocati non sono state addotte quali punti di forza della tabella.

Sul versante delle nuove “tabelle milanesi”, invece, parrebbe dalla presentazione delle stesse e dal “report cronologico” emergere una prospettiva diversa, quasi da “consensus conference”.

Sul punto spicca la prima sentenza ad avere dato attuazione alle nuove “tabelle milanesi” (Trib. Milano, 11 luglio 2022, n. 6059, cit.), che pone quale fiore all'occhiello di queste proprio l'iter che le ha precedute, bollando la “tabella romana” innanzitutto per i seguenti motivi: -) in quanto «non aveva estratto il valore del punto dai precedenti» (affermazione smentita dai magistrati romani, fermo restando che all'epoca in cui fu redatta – 2007 – la frammentazione tra fori non poteva che condurli a tenere conto della sola giurisprudenza capitolina); -) «non era il frutto del confronto tra le componenti dei giudici e degli avvocati (delle vittime e delle compagnie assicuratrici) ma era nata in una riunione ex art. 47-quater Ordinamento giudiziario tra i giudici di tre sezioni civili e della sezione lavoro del Tribunale di Roma».

Il problema è che, sotto tali profili, le nuove “tabelle milanesi” sono state un'occasione persa:

  • malgrado le sollecitazioni, è difettato un vero e proprio confronto sul “metodo di lavoro”, ivi compresi i criteri di “certificazione” del consenso;
  • è mancata un'analisi critica delle diverse alternative a livello di tecniche redazionali di una tabella per il danno parentale; non è stata affrontata con la dovuta attenzione la condivisibilità o meno dell'impostazione promossa dalla Cassazione, sì guidata da obiettivi fondati ed apprezzabili, pur tuttavia agganciati ad un modello meritevole di riflessioni e di ripensamenti; inoltre, non è stata affrontata la questione se fosse corretta la redazione di una nuova tabella con metodi valutativi opposti a quelli caratterizzanti la tradizionale impostazione ambrosiana;
  • si sarebbe dovuto comprendere se fosse responsabile dare luogo ad una nuova competizione tra tabelle (affette da comuni punti deboli) e, quindi, riflettere sulle ricadute - in termini di certezza del diritto ed uniformità di trattamenti risarcitori - discendenti dalla riproduzione di un modello già presente (quello romano) con importi e limiti diversi.

Più volte tali riflessioni sono state sollecitate in seno al “Gruppo 3”, però invano.

Ciò posto, un “osservatorio”, almeno secondo la concezione che ispira il termine stesso, dovrebbe “osservare” i precedenti e razionalizzarli. Nulla preclude che un osservatorio affianchi a questo suo gravoso ruolo quello di “inventore” di regole e parametri: ma l'operazione, a questo punto, è diversa in quanto diviene “politica”, così imponendosi che il consenso ed il lavoro, che validano l'“invenzione”, si siano correttamente sviluppati.

Innanzitutto, un consenso validante un documento del genere - proteso ad assurgere non già a “soft law”, bensì a “judicial law” o dato paranormativo - necessita di un gruppo di persone determinate e qualificate, non già estremamente “liquido”, quasi “volatile”, con apparizioni altalenanti, di volta in volta, di soggetti sconosciuti ai più, partecipanti visibili solo on-line ad intermittenza (pure con telecamera spenta) e silenti. In secondo luogo, dovrebbero esserci delle votazioni con regole e composizioni ripetute di volta in volta, su documenti circolati con largo anticipo. In terzo luogo, trattandosi di delicate “policy of law”, occorrerebbe rendere trasparenti potenziali “conflitti di interesse”, dovendo emergere l'eventuale prevalenza nel “gruppo” di professionisti più vicini ai danneggiati oppure alle compagnie assicuratrici.

Tutto ciò è quanto mai necessario, altrimenti si finisce con l'approdare ad indicazioni numeriche circa consensi all'interno del gruppo di lavoro del tutto inidonee a rappresentare l'effettività di un consenso validante.

Sennonché tali basilari di un qualsiasi “consensus document” - più volte rimarcati in seno al “Gruppo 3” soprattutto da parte della medicina legale presente e più esperta dei giuristi quanto a criteriologia dei “lavori di consenso” – non sono stati rispettati.

Può serenamente affermarsi come - non adottati tali criteri e neppure fatta la conta dei partecipanti e dei loro “conflitti” (la sensazione è che nella maggior parte degli incontri vi sia stata una prevalenza di fiduciari di assicurazioni) - in relazione alle nuove “tabelle milanesi” non si possa parlare di un “documento consensuale”, almeno secondo le convenzioni scientifiche; nel corso delle sei riunioni del “Gruppo 3” diversi suoi membri esprimevano reiteratamente critiche sia sul piano generale, sia nel merito, sia sulla metodologia di lavoro, sia sui “diari” delle riunioni; non sono neppure mancati rilievi sulla circolazione all'ultimo di documenti con effetti spiazzanti.

Ovviamente si possono avere distinte percezioni dell'humus delle riunioni e del livello di “condivisione”. Almeno per chi scrive l'esperienza alla base delle nuove “tabelle milanesi” è stata percepita nel senso di una costante “canalizzazione” dei lavori - da parte di un “gruppo ristretto” - verso la soluzione finale, senza concrete chance di indirizzare il percorso su binari diversi.

In conclusione, se il nuovo paradigma milanese per i danni uccisione possiede una sua validità, questa - come nel caso del “modello romano” - va ricercata non già nel percorso che l'ha prodotta, bensì nel merito, e sul punto si rinvia a quanto innanzi osservato.

Conclusioni

In estrema sintesi il quadro è il seguente:

  • sul metodo della sommatoria di punteggi per variabili differenti partendo da zero occorre riflettere attentamente; diverse ragioni militano per la precedente impostazione milanese (rinvenibile anche nella “tabella veneziana”), impostazione per certo affinabile;
  • le nuove “tabelle milanesi” - né nel merito, né nel “metodo di lavoro” che le ha precedute – non primeggiano affatto sulla “tabella romana”:
  • le prime escono da un “laboratorio” e non possono vantare alcun passato, non ponendosi in linea di continuità con la precedente tabella; sono tutt'altra questione, metodologicamente e monetariamente; la loro conformità ai valori monetari precedenti è solo apparente, al massimo parziale; perlomeno, la “tabella romana”, che per ora gode dell'avvallo della Cassazione, annovera già una sua sperimentazione, da quasi vent'anni nei fori intorno alla Capitale e da oltre un anno in tutta Italia, annoverandosi diversi fori che si sono accostati ad essa;
  • il nuovo paradigma ambrosiano presenta a sua volta e forse ancora di più della “tabella romana” delle rilevanti criticità;
  • si possono nutrire dubbi circa la corrispondenza tra il modello ritenuto ideale dalla Cassazione a partire dalla “sentenza Scoditti” (individuato nella “tabella romana”) e la nuova impostazione milanese;
  • le nuove “tabelle milanesi” abbassano l'asticella di partenza del trattamento uniforme di base rispetto alla “tabella romana”, il che potrebbe a sua volta non collimare con gli obiettivi perseguiti dalla Suprema corte;
  • la nuova competizione tra tabelle non gioverà affatto alle vittime e,più in generale, a tutti i soggetti coinvolti, a vario titolo, nel “sistema risarcitorio”.

Si rimane pertanto in attesa di indicazioni da parte della Cassazione, auspicando una sua apertura a riconsiderare a 360° quale sia il modello ideale per la liquidazione del danno parentale. Purtroppo, dinanzi a due tabelle entrambe a sommatoria di punti da zero – il rischio è che la Suprema Corte lasci la scelta ai giudici del merito, potendo estendersi anche a questo caso il principio “salvagente” di cui a Cass. n. 10579/2021, per cui «bisogna guardare al profilo dell'effettiva quantificazione del danno, a prescindere da quale sia la tabella adottata, e, nel caso di quantificazione non conforme al risultato che si sarebbe conseguito seguendo una tabella basata sul sistema a punti secondo i criteri […] indicati, a quale sia la motivazione della decisione».

Una soluzione del genere non risolverebbe il problema della uniformità base sul territorio nazionale, così prospettandosi tutte le premesse per un intervento legislativo, questa ipotesi essendo remota solo per le note difficoltà del legislatore nella produzione di soluzioni accettabili e condivise (la storia delle tabelle ex art. 138 Cod. Ass. docet).

Sommario