Rifiuto di atti d'ufficio e profili di responsabilità degli amministratori locali per l'inquinamento da smog

Priscilla Bertagna De Marchi
18 Agosto 2022

L'elaborato analizza le potenzialità applicative del reato di rifiuto di atti d'ufficio in relazione al possibile stato di inquinamento aereo da questo derivante. Attraverso l'esame di alcuni casi giurisprudenziali concernenti delle condotte inoperose degli amministratori locali, l'autore delinea i profili del delitto, mettendo in luce l'opportunità di utilizzare tale strumento in un'ottica di maggior tutela della popolazione dai negativi effetti dello smog.
La rilevanza del fenomeno dello smog in ambito europeo e italiano

Il presente contributo trae spunto dalla recente conclusione delle indagini nei confronti degli amministratori regionali piemontesi e del Comune di Torino, in capo ai quali si è ipotizzata una responsabilità penale per la perdurante inerzia dimostrata nel contrasto al fenomeno dello smog. A prescindere dagli esiti processuali del caso particolare, ci si è chiesti quali sono gli strumenti approntati dall'ordinamento per affrontare la problematica dell'inquinamento atmosferico dal punto di vista degli amministratori locali, con particolare riguardo al diritto penale.

A livello europeo la rilevanza del fenomeno è sancita da più di un decennio: risale, infatti, al 2008 la Direttiva Europea n. 50 (Dir. 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa), nell'ambito della quale si è sottolineata l'importanza di mettere in atto misure efficaci contro la concentrazione di particelle inquinanti (denominate pm10 e pm2,5 per via del loro diametro). La problematica, infatti, è di crescente rilievo poiché recenti studi sulla mortalità causata dalla concentrazione di polveri sottili nell'aria mostrano l'alto numero di disturbi sanitari e di decessi a queste collegate. Se la generale situazione europea in tema di polveri nell'aria è diffusamente preoccupante, in Italia questa precipita: ad ulteriore riprova di ciò, si pone anche una pronuncia della Corte Europea di Giustizia del 2020 la quale ha condannato l'Italia nell'ambito di una procedura di inadempimento per aver sistematicamente violato la Direttiva Europea sopra citata nel periodo corrente dal 2008 al 2017. In tale pronunciasi valorizza il ruolo della politica focalizzando l'attenzione sul Governo Italiano, responsabile di non avere adottato le misure appropriate per adeguarsi ai valori disposti a livello europeo. Invero, pur sussistendo una formale adesione ai principi europei, esplicatasi nel d.lgs. n. 155/2010 e nel d.m. del 26 gennaio 2017, a tali emanazioni non è seguita una concreta attuazione sul territorio, situazione che ha creato i presupposti per la condanna di cui sopra.

In materia di emissioni nell'atmosfera, inoltre, l'ordinamento italiano anteriormente al 2008 contemplava tra le sue fonti il d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Testo Unico Ambiente) il quale, nella parte V, imponeva a determinati impianti ed attività economiche valori di emissione, prescrizioni, metodi di campionamento e di analisi dei risultati raccolti, oltre a criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai limiti di legge; a questo vanno aggiunti i decreti legislativi nn. 183/2017 e 81/2018, integranti nuove prescrizioni atte a limitare le emissioni di particolari sostanze nocive quali l'ossido di azoto e l'ossido di zolfo.

Merita, infine, un accenno la recentissima riforma costituzionale approvata con seconda votazione l'8 febbraio 2022 e incidente sugli artt. 9 e 41 Cost.: in virtù di tale modifica è stata, infatti, inserita in Costituzione la tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, “anche nell'interesse delle future generazioni” con una formulazione che pare mettere in correlazione la salvaguardia degli ambienti con la (salubre) sopravvivenza della specie umana (art. 9 Cost.). In un'ottica similare si pone anche la modifica all'art. 41 Cost., disciplinante l'iniziativa economica privata, la quale in futuro dovrà evitare di recare danno alla salute e all'ambiente, oltre che alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Quest'ultimo articolo, in particolare, può costituire un ulteriore stimolo per i cittadini e per i loro amministratori a prestare maggiore attenzione all'impatto che le attività umane possono avere sul territorio anche in termini di inquinamento atmosferico.

Alla luce di tale quadro giuridico-normativo deve, dunque, valutarsi i possibili profili di rilevanza penale della condotta tenuta da amministratori comunali e regionali inerti di fronte agli obblighi sanciti dalle fonti normative.

L'assetto dei poteri attribuiti agli amministratori locali e regionali nell'ambito della tutela della salute e dell'ambiente

Alla figura del sindaco, innanzitutto, quale rappresentante dell'amministrazione statale che intrattiene il contatto più stretto con il cittadino, sono attribuiti specifici poteri per far fronte alla problematica dell'inquinamento atmosferico, distinguibili in due categorie:poteri di tipo ordinario, consistenti nella programmazione sulla destinazione e l'uso del territorio, al recupero e riqualificazione di aree degradate e alla regolazione della viabilità e del traffico veicolare; e poteri straordinari, esplicabili tramite ordinanze di necessità e d'urgenza in caso di rischi per la salute (art. 50 comma 5 TUEL).

Il sindaco, tuttavia, può anche delegare agli assessori comunali all'ambiente i compiti di natura più tecnica e gestionale, purché il loro svolgimento avvenga in armonia con gli indirizzi di politica ambientale stabiliti dal capo dell'amministrazione comunale; qualora ciò accada, si assisterà al trasferimento della responsabilità penale sull'assessore-delegato, salvo il caso in cui il sindaco-delegante non ottemperi al proprio obbligo residuale di vigilanza (in quest'ultima eventualità la responsabilità sarà concorsuale tra delegante e delegato).

Per quanto riguarda gli amministratori regionali, in base all'art. 5 TUEL, questi sono dotati di un potere di indicazione degli «obiettivi generali della programmazione economico sociale e territoriale», il quale si realizza tramite una legge regionale esplicitante i criteri e le procedure attuative della pianificazione. In questo ambito intervengono anche le province (art. 20 TUEL), le quali coordinano la partecipazione dei comuni al procedimento ed adottano il «piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio» (comma 2).

La modalità di esercizio dei poteri appena descritti deve avvenire in conformità con il principio costituzionale della buona amministrazione, dando così luogo a provvedimenti logici, adeguati agli scopi e coordinati tra loro.

Oltre ai piani assunti in ottemperanza degli articoli sopracitati, le Regioni possono agire efficacemente per il contrasto all'inquinamento atmosferico anche attraverso la loro ordinaria attività legislativa: l'art. 117 Cost., infatti, pur qualificando l'“ambiente” come materia di legislazione esclusiva statale, attribuisce alle Regioni la potestà legislativa concorrente in materia di “tutela della salute” e di “governo del territorio”; saranno allora questi i settori all'interno dei quali potranno inserirsi delle strategie regionali tese sia a diminuire la mortalità e le malattie correlate all'inquinamento, sia ad agire sulle attività che lo generano. In particolare, per attuare gli obiettivi elencati nelle leggi regionali appena citate, è frequente il ricorso a piani di programmazione ambientale che individuano gli ambiti più urgenti di intervento e le conseguenti misure necessarie.

Le tutele di fronte all'inerzia degli amministratori, con particolare attenzione al versante penalistico

In presenza di una reiterata e palese inerzia nei confronti della tutela della qualità dell'aria o nel caso in cui siano state intraprese azioni manifestamente inadeguate in tal senso da parte degli amministratori locali, vi sono due soluzioni: da un lato, l'attivazione della tutela civilistica approntata dall'art. 2043 c.c., in base al quale può essere richiesto un risarcimento in forma specifica o per equivalente qualora dall'inerzia sia conseguito un danno ingiusto; dall'altro, nel caso in cui tale comportamento omissivo integri una fattispecie di reato, sarà ipotizzabile l'avvio di un procedimento penale. In questa eventualità, una figura di rilievo è il reato di rifiuto di atti d'ufficio ex art. 328 c.p. della quale si esaminerà di seguito la fattispecie e l'applicazione giurisprudenziale.

Il reato di rifiuto di atti d'ufficio ex art. 328 c.p.

La fattispecie d'interesse ai fini della presente disamina è prevista dal comma primo e descrive l'ipotesi di un indebito rifiuto da parte di un pubblico ufficiale, o di un incaricato di pubblico servizio, di un atto la cui adozione si rende necessaria “per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità” e che dunque va compiuto senza ritardo.

Il riferimento testuale alle esigenze “di igiene e sanità” e la qualità di reato proprio forniscono i primi sostegni all'ipotesi sull'applicabilità della norma anche alle situazioni di inerzia amministrativa in ambito atmosferico: infatti, il primo elemento può essere associato all'adozione di qualsiasi atto teso a tutelare sia la salute fisica che quella psichica dei cittadini (Cass. pen., sez. VI, n. 3599/1997); il secondo ben si attaglia alle figure dell'amministrazione alle quali si richiede, sia singolarmente che collegialmente, tale azione (nel caso qui esaminato sono da qualificare come pubblici ufficiali ex art. 357 c.p. il Sindaco, gli Assessori comunali e regionali e i Dirigenti; mentre sono riconducibili alla qualifica di incaricato di pubblico servizio ex art. 358 c.p. gli impiegati comunali che non svolgono semplici mansioni di ordine o che non prestano un'opera meramente materiale).

In riferimento, invece, all'oggetto della condotta “negatoria”integrante il reato, la giurisprudenza afferma che al termine “atto d'ufficio” va attribuito un significato più ampio di quello tradizionale: saranno quindi rilevanti ai fini dell'applicabilità dell'articolo non solo gli atti di amministrazione attiva (deliberazioni e provvedimenti), la formulazione di richieste o di proposte e l'emissione di pareri, ma anche la tenuta di una condotta meramente materiale o il compimento di atti di diritto privato (Cfr. Cass. pen., sez. VI, n. 38698/2006) sempre che risultino compatibili con la pubblica funzione o il pubblico servizio.

Quanto all'elemento psicologico a cui fa riferimento l'avverbio “indebitamente”, questo non va riferito ad un tipo di dolo specifico, ma solo alla necessaria consapevolezza di agire violando gli obblighi imposti.

Un ultimo aspetto da esaminare riguarda la consumazione del reato: tradizionalmente l'art. 328 c.p. è classificato quale reato istantaneo, essendo sufficiente per la sua integrazione il solo rifiuto dell'atto (Cass. pen. sez. VI, n. 19551/2012); tuttavia, in giurisprudenza viene appoggiata anche l'opposta prospettiva di delitto continuato la quale presenta il pregio, particolarmente prezioso in ambito ambientale, di rendere rilevanti anche situazioni di inerzia prolungata: la tesi è stata infatti adottata in circostanze in cui «a fronte di formali sollecitazioni ad agire rivolte al pubblico ufficiale rimaste senza esito, la situazione potenzialmente pericolosa continui a esplicare i propri effetti negativi e l'adozione dell'atto dovuto sia suscettibile di farla cessare» (Cass. pen. sez. VI, 16 gennaio 2020, n. 1657, p. 4).

Il reato ex art. 328 c.p. nella giurisprudenza in tema di smog cittadino: il caso del comune di Palermo (2009)

Particolarmente significativo è il caso giurisprudenziale che ha visto imputati il sindaco di Palermo, gli assessori all'ambiente e al traffico e i dirigenti responsabili del servizio ambiente ed ecologia dello stesso Comune in carica tra il 2001 e il 2007, in quanto ritenuti responsabili di non aver posto in essere i provvedimenti necessari per contrastare il peggioramento della qualità dell'aria del capoluogo siciliano (Tribunale di Palermo - Uff. G.u.p., 10 marzo 2009).

Nella disamina effettuata in occasione dell'udienza preliminare sono emersi alcuni aspetti rilevanti ai fini dell'imputabilità del reato di cui all'art. 328 c.p.: in primo luogo, si è ribadito che la situazione allarmante della qualità dell'aria di Palermo, provata anche dai dati delle centraline e ulteriormente confermata dall'attribuzione al sindaco delle funzioni di commissario straordinario (Cfr. OPCM del 29 novembre 2002 n. 3255), integrava una condizione di urgenza “di igiene e sanità” conforme a quanto prescritto dall'articolo del Codice. Il G.u.p. ha così chiarito che per fondare un'obbligatorietà di azione degli amministratori è sufficiente che «il livello raggiunto dall'inquinamento sia tale da comportare rischi o realizzi già danni alla salute della cittadinanza, […], di tutti indistintamente anche se in grado diverso o soltanto di talune fasce più cagionevoli […]»: in presenza di tale assetto, è quindi compito del pubblico ufficiale o degli incaricati dei pubblici servizi «agire per porvi rimedio nei più brevi tempi tecnici con tutti gli strumenti normatici a loro disposizione operando scelte tecniche e mettendole in atto».

Una volta appurata la sussistenza del requisito dell'urgenza sanitaria, si sono esaminate le relazioni degli esperti nominati dalla Procura - le quali dal 2001 riferivano la presenza di «una cronica, quotidiana saturazione dell'aria palermitana delle particelle più inquinanti» - e gli studi scientifici disponibili al tempo della sentenza sugli effetti dell'inquinamento aereo sulla salute umana: questi erano tutti concordi nell'assegnare il ruolo di fattore scatenante principale al traffico veicolare. Ad ulteriore convalida dell'allarmante situazione, si è dato rilievo alla ciclica rinnovazione con provvedimenti governativi dello stato di emergenza ambientale della città.

A fronte di una sicura realizzazione del presupposto emergenziale descritto dall'articolo, si è poi ricercata la base normativa alla quale ancorare l'obbligatorietà di un'azione amministrativa in tema di salubrità atmosferica: innanzitutto, si è sottolineata la centralità del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351, il quale prevedeva che le Regioni effettuassero la valutazione preliminare della qualità dell'aria utile per individuare le aree nelle quali applicare i Piani di azione (art. 7 d.lgs. 351/99), i Piani di Risanamento (art. 8 d.lgs. 351/99) e di Mantenimento (art. 9 d.lgs. 351/99). A questo si è aggiunto il d.m. n. 261/2002, con il quale sono state introdotte delle linee guida per la redazione dei suddetti piani, e il d.lgs. 21 maggio 2004, n. 183 recante nuovi limiti per il controllo dell'ozono e le conseguenti misure da adottare in caso di un loro superamento: denominatore comune dei testi legislativi citati è costituito dal prospettare un ruolo importante in capo agli Enti Locali, attribuendo loro le attività di valutazione dell'aria, individuazione di aree ad alto inquinamento e l'adozione di misure utili per rientrare nei parametri violati.

Solo dopo aver considerato i dati confermativi di una situazione di urgenza sanitaria e le basi normative di riferimento, il giudice ha proceduto ad analizzare in concreto gli atti amministrativi e le azioni intraprese dagli Enti siciliani preposti nel corso del periodo considerato (2001-2005): dall'esame complessivo è emersa l'assenza di una decisa azione sul punto poiché gli organi preposti non hanno mai delineato un piano di riforme per la salubrità dell'aria, infatti dalla pronuncia si apprende che «l'assessorato Ambiente ed Edilizia del Comune di Palermo ha adottato sostanzialmente solo provvedimenti di tipo puntuale, limitati nel tempo […] e non strutturali».

Da queste premesse, il G.u.p. ha poi qualificato il contesto sussistente a Palermo come una situazione pienamente rientrante nello spazio di competenza del Sindaco e degli Assessori, i quali avevano la concreta possibilità, data la dotazione di poteri di governo del territorio, di intervento in caso di urgenza e di programmazione per poter invertire la tendenza negativa della qualità dell'aria. In tale impresa gli amministratori palermitani avrebbero potuto seguire, inoltre, le indicazioni formate da servizi di gestione di rifiuti e associazioni come AMIA e Lega Ambiente Palermo comprendenti suggerimenti pratici e facilmente attuabili. Da qui il giudice ha ribadito che la possibilità di emanare ordinanze contingibili e urgenti, ma anche il potere di redigere piani per la programmazione della destinazione dei territori comunali, fonda la responsabilità delle stesse istituzioni locali in merito al delitto di rifiuto di atti d'ufficio poiché «da questa esclusività di potere d'intervento in testa alle amministrazioni territoriali deriva un intenso grado di responsabilità da omissioni o insufficienti interventi, direttamente proporzionale alla gravità dei danni alla salute, che da decenni ormai diversi settori delle scienze mediche conclamano immediatamente causati da certi tipi e livelli di tossicità dell'aria urbana».

Il caso della regione Sicilia (2014): l'art. 328 c.p. come reato di pericolo e il tema della discrezionalità amministrativa

Una seconda pronuncia che si pone in continuità con il caso appena esaminato è quella emessa nel 2014 dal G.i.p. presso il Tribunale di Palermo (G.i.p. c/o Tribunale di Palermo, sent. 13 novembre 2014) ed avente come oggetto l'ipotesi di responsabilità penale degli organi della Regione Sicilia per non aver adottato, tra il 2004 e il 2014, seri provvedimenti in tema di qualità dell'aria. Nel corso di tale procedimento, infatti, a diversi assessori all'ambiente e dirigenti del dipartimento ambiente sono stati imputati i reati ex artt. 328 comma 1 e 674 c.p. In particolare, ricorre qui speciale interesse intorno al primo capo d'imputazione.

Innanzitutto, in considerazione degli ampi sforamenti nelle concentrazioni di polveri sottili registrati, si è accertata la presenza di una situazione rientrante tra quelle previste dal d.lgs. 351/1999 quale presupposto per la messa a punto da parte di regioni e province di piani di risanamento e mantenimento della qualità dell'aria (art. 7), inoltre, si è ritenuto sussistente l'obbligo di redazione dei piani per il raggiungimento dei valori limite definiti dallo stesso testo legislativo (art. 8) e il conseguente dovere informativo nei confronti del Ministero dell'Ambiente in caso di superamento delle soglie d'allarme (art. 10).

Dopo aver individuato il riferimento normativo al quale ancorare l'applicabilità dell'art. 328 c.p., il giudice ha messo in luce la ratio sottostante la cogenza delle leggi di settore, riconducendo tali obblighi alla natura degli effetti dello smog sulla salute umana poiché questi si caratterizzano per la loro non immediata visibilità, qualità che li porta a rimanere oggetto di discussione privilegiato di scienziati e giuristi, fino a quando le conseguenze non diventino talmente gravi da coinvolgere l'intera collettività: per questo motivo non va sottovalutata l'efficacia dell'intervento amministrativo in materia, e, a contrariis, nemmeno la gravità del suo mancato esplicarsi.

Chiarita, dunque, l'applicabilità della fattispecie anche nel settore ambientale - atmosferico, il giudice si è soffermato sulla natura del reato qualificandolo come un reato di pericolo che richiede per la sua integrazione un danno anche solo potenziale al bene protetto. A sostegno di tale posizione si citano dei precedenti conformi della Cassazione i quali ribadiscono che il delitto in questione «si perfeziona ogni qual volta venga denegato un atto non ritardabile, incidente su beni di valore primario tutelati dall'ordinamento, indipendentemente dal nocumento che in concreto possa derivarne» (Cass. pen., sez. VI, 19 settembre 2008 n. 38386; Cass. pen., sez. VI, 4 luglio 2006, n. 34066). L'adesione a tale orientamento permette allora una sua applicazione anche nel caso in cui si riscontri solo successivamente una mancanza di effettiva pericolosità. L'idea che emerge è che, in presenza di esigenze talmente importanti come quelle citate al comma 1, si debba agire in via preventiva e che le verifiche ex post che dovessero eventualmente smentire la supposta pericolosità delle concentrazioni di polveri sottili nell'aria non valgono ad escludere l'imputabilità del reato ex art. 328 c.p. per gliamministratori locali(Cass. pen., sez. VI, 12 febbraio 2009 (dep. 19 marzo 2009), n. 12147). Nella vicenda siciliana i pericoli per la salute derivanti dagli sforamenti non sono stati confutati da studi successivi, anzi, loro pregnanza ai fini del peggioramento della qualità dell'aria è stata confermata anche dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 19 dicembre 2012 (Corte di Giustizia Europea, sentenza 19 dicembre 2012, Commissione europea contro Repubblica italiana) che ha condannato l'Italia per le stesse mancate adozioni dei piani di risanamento e dei provvedimenti urgentinelle città di Palermo e Catania, integrando così, la certa violazione della direttiva 1999/30/CE.

Posta la gravità degli sforamenti, la sentenza del G.i.p. non manca di tracciare un quadro delle inadempienze amministrative poiché si rivela fondamentale nell'ambito di un delitto contro la P.A. circoscrivere chiaramente il novero degli atti rifiutati ai fini di una corretta individuazione dei responsabili e dell'esame della loro oggettiva capacità di riconoscere l'urgenza e attivarsi di conseguenza. Nel caso di specie, invero, è stata richiesta l'archiviazione per alcuni degli imputati in relazione ai quali si è provata l'oggettiva impossibilità di provvedere in modo effettivo; mentre, nei confronti di altri responsabili degli uffici della Regione siciliana siè riconosciuta la responsabilità ex art. 328 c.p. per aver «sempre avuto consapevolezza dei loro correlativi obblighi» (provati anche da numerose note ufficiali) e «avendo costoro […] omesso di compiere atti del loro ufficio, cui erano oltretutto obbligati a provvedere con urgenza anche a causa dei ripetuti sforamenti dei limiti consentiti dalle normative».

In chiusura, il magistrato non si è sottratto dal trattare il delicato tema della sindacabilità degli atti amministrativi degli assessori e dei dirigenti da parte del giudice penale, chiarendo che«la natura discrezionale di un atto amministrativo non è di per sé di ostacolo al suo sindacato da parte di un giudice ordinario, anche penale, soprattutto quando la discrezionalità riguardi solo il contenuto e non l'an dell'azione, quando cioè l'adozione di un atto discrezionale sia obbligatoria». Questo è precisamente il caso qui valutato, in quanto l'urgenza di salvaguardare la salute umana nella Regione era evidente e più volte provata dall'applicazione di normative nazionali più stringenti e, addirittura, dall'imposizione dello stato di emergenza per la città di Palermo. Il sindacato del giudice penale, perciò, è ammissibile a patto che realizzi un controllo “di legalità” dell'atto discrezionale, limitandosi «ad una valutazione della logicità e congruenza intrinseca ed estrinseca dell'atto, in base a quelle regole imprescindibili di generale ragionevolezza e logicità, che devono sorreggere qualsiasi atto delle autorità» ed evitando di sostituirsi all'amministrazione.

Brevi cenni alla vicenda relativa all'assessore all'ambiente della regione veneto (2005-2010)

Una vicenda analoga alla precedente ha coinvolto l'assessore regionale all'Ambiente della Regione Veneto in carica dal 2005 al 2010: a quest'ultimo, infatti, è stato rimproverato di non aver messo in atto i Piani regionali di tutela e risanamento dell'atmosfera prescritti dalla legislazione nazionale (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e d.lgs. 13 agosto 2010, n. 155) a fronte di un'“emergenza smog” confermata anche dai rilevamenti di polveri sottili condotti in tutta la Regione, motivo per cui si è ritenuta praticabile nei suoi confronti un'ipotesi di responsabilità ex art. 328 c.p.

La vicenda giudiziaria si è articolata in due gradi: dapprima di fronte al Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Venezia; in seguito, presso la Corte di Cassazione. In primo grado, all'esito dell'udienza preliminare, è stata disposta l'assoluzione dell'imputato; mentre la Cassazione ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso proposto dalla Pubblica Accusa ex art. 569 c.p.p. (Cass. pen., sez. VI, 14 novembre 2012, n. 11028).

Tralasciando ora l'epilogo della vicenda giudiziaria, l'iniziativa dell'accusa che vi ha dato origine fornisce un utile spunto per l'analisi della fattispecie, dal momento che si è data rilevanza penale al mancato adeguamento ad un piano ambientale regionale quale fonte di obblighi non ritardabili in presenza di un inquinamento atmosferico molto grave in base ai parametri normativi (d.m. 60/2002) e così ingenerando una situazione talmente grave da richiedere ulteriori provvedimenti per la tutela della sanità pubblica.

In sede di giudizio di primo grado è stata, tuttavia, pronunciata l'assoluzione dell'imputato (subito impugnata dalla Pubblica accusa), e nel successivo giudizio in Cassazione si è assistito al definitivo rigetto del ricorso a causa della genericità dei motivi addotti. Dalla lettura della seconda pronuncia emerge che la Corte, pur ritenendo la causa mossa da “acuta sensibilità e autentica tensione per la tutela dell'ambiente e da genuina preoccupazione per la salute dei cittadini” non è nella posizione di decidere qualora manchi «l'indicazione dei concreti doverosi provvedimenti che l'autorità regionale avrebbe dovuto adottare» a nulla valendo i generici richiami operati dal p.m. nel ricorso all' “inerte condotta dell'imputato”. La pronuncia della Cassazione, quindi, offre delle indicazioni per i futuri ricorsi in materia di rifiuto di atti di ufficio in ambito ambientale, ribadendo che a fronte di un'astratta tutelabilità dell'intento del pubblico ministero non è prescindibile un'accurata elencazione dei provvedimenti che l'autorità amministrativa coinvolta avrebbe dovuto porre in essere, specie se si considera la difficoltà dei magistrati nell'interpretare le norme penali quando applicate a fenomeni umani non inerenti responsabilità singole e ben definite ma – per così dire - “soffuse” e incapaci di sostanziarsi in condotte univoche.

La nozione di “rifiuto di atto d'ufficio” come condotta omissiva permanente

A valle di quanto esposto nei paragrafi precedenti emerge un iniziale ostacolo alla pacifica applicazione della figura prevista dall'art. 328 comma 1 c.p. ai casi di inerzia in materia ambientale: in particolare, la fattispecie ivi delineata, essendo l'unica delle due previste nel medesimo articolo a poter offrire una minima base all'ipotesi di responsabilità degli amministratori pubblici inadempienti in caso di gravi situazioni di inquinamento atmosferico presenta una difficoltà interpretativa fin dal titolo della rubrica. Definire, infatti, l'ipotesi del comma 1 come“rifiuto”diun'attività qualificata da particolari esigenze limita la potenzialità applicativa della fattispecie penale. Le situazioni di smog che possono fondare una responsabilità dei vertici amministrativi spesso non sono il frutto di una puntuale rinuncia a compiere un atto, quanto invece uno stratificarsidi condotte inerti nei confronti delle esigenze di salute e igiene pubblica, che nel loro persistere impermeabili ai dati rilevati dalle centraline urbane o ai provvedimenti del Governo contribuiscono a far peggiorare di giorno in giorno i livelli di polveri sottili con inevitabili ricadute sulla salute della popolazione.

A questa difficoltà è possibile porre rimedio considerando il presente delitto come un reato eventualmente permanente, tale prospettiva permetterebbe infatti di annoverare tra le condotte perseguibili anche quella costituita da una continua inerzia amministrativa mantenuta pur a fronte di dati scientifici e comunicazioni istituzionali stimolanti misure di contenimento e diminuzione della problematica.

Il possibile concorso con l'art. 452-bis c.p.

Un ulteriore dubbio sull'efficacia di una imputazione di rifiuto d'atti d'ufficio in materia ambientale sorge se si rivolge l'attenzione alla figura di cui all'art. 452-bis c.p. (inquinamento ambientale): si tratta di un reato comune di evento a forma libera che nella fattispecie descritta al n. 1 assegna rilevanza alla condotta di chiunque “abusivamente” cagioni una «compromissione o un deterioramento significativo e misurabile delle acque o dell'aria». Sul tema la dottrina ritiene che l'avverbio “abusivamente” stia a segnalare un agire contra legem (in violazione cioè di «disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificamente poste a tutela dell'ambiente» ma anche di norme tutelanti beni come la sicurezza sul lavoro, il paesaggio, il territorio «considerati dalla giurisprudenza ontologicamente diversi»): si tratta di una situazione compatibile con l'inerzia amministrativa di fronte ad obblighi nazionali (provenienti dalle fonti legislative e non di cui al primo paragrafo) e internazionali (si pensi agli Accordi sul clima ratificati anche dallo Stato italiano), motivo per cui sembrerebbe più agevole imputare questo delitto al posto del reato di cui all'art. 328 c.p., stante la maggior ampiezza della base normativa rilevante. Tuttavia, la figura del rifiuto di atti d'ufficio mantiene una peculiarità nei confronti dell'art. 452-bis c.p.: il primo, infatti, si propone di offrire tutela alla salute e all'igiene pubblica (fra i vari interessi citati dal comma 1), mentre la nuova norma del 2016 appare maggiormente legata alla tutela dell'integrità dell'ecosistema in sé considerato. Non vi è quindi una esatta sovrapposizione tra i due delitti, di conseguenza ben si potrà realizzare un concorso tra le due imputazioni.

Il nesso di causalità

Nei confronti dei fattori scatenanti una situazione di smog è arduo tracciare un chiaro nesso di causalità tra l'omissione amministrativa e il pericolo per la salute, stante la numerosità delle leggi scientifiche coinvolte sul punto. Proprio il nodo dell'accertamento del nesso di causalità in presenza di condotte omissive attinenti al campo della scienza (in particolare della medicina) è stato a lungo discusso in diritto penale, arrivando alla conclusione che, stante la necessità di ricorrere a delle leggi scientifiche per spiegare il collegamento tra l'omissione e l'evento, ciò non comporta che una legge, pur dotata di alto coefficiente di attendibilità statistica, provi in modo sicuro il nesso causale, ma anzi, occorre sempre valutare la tenuta dell'enunciato scientifico alla luce del fatto concreto (Cass. pen., sez. un., n. 30328/2002).

Di conseguenza, nell'ambito dell'analisi dell'art. 328 comma 1 c.p., avente natura di reato di pericolo, l'assunzione di una chiara modalità di accertamento del nesso causale è preclusa ulteriormente dall'oggettiva difficoltà di definire quando lo stato di pericolo si possa dire raggiunto e a quali comportamenti od omissioni sia direttamente riconducibile con alta probabilità. La soluzione della questione potrebbe arrivare, in primo luogo, da un costante aggiornamento delle normative ambientali in armonia con i più recenti e autorevoli studi del settore e, in secondo luogo, dal ricorso a sistemi di monitoraggio più sofisticati in grado di tracciare dei grafici e mettere in relazione tra loro i periodi di inerzia amministrativa con gli eventuali aumenti di concentrazione delle sostanze pericolose. In questo modo si potrà procedere con più sicurezza all'accertamento dell'eziologia del fenomeno atmosferico e valutarne la portata sanitaria.

Brevi cenni ai maggiori orientamenti giurisprudenziali esteri sul punto

Ad oggi non è ancora possibile registrare nella giurisprudenza italiana una presa di posizione univoca sui profili penali della mancata azione di contrasto allo smog tenuta dagli amministratori locali. Tale dato è, probabilmente, giustificato dalla novità della sensibilità sviluppata sul tema, a differenza di quanto accade nell'ambito delle altre giurisdizioni europee ove si tende ad una maggiore apertura sia pure nella direzione di una responsabilità solo civile, in capo agli amministratori in relazione al peggioramento delle condizioni di salubrità di acqua, aria e paesaggio in connessione con l'aumentare dell'incidenza di malesseri e patologie: ne costituisce un esempio il giudizio civile intrapreso tra il 2017 e il 2018 da diverse associazioni nei confronti dei ministri del Governo inglese, conclusosi con l'adesione alle tesi dei cittadini ricorrenti e con il conferimento agli avvocati di questi della possibilità “eccezionale” di proporre ricorso al Tribunale se il Governo fallirà ulteriormente nell'adeguarsi alle normative ambientali.

In Germania,invece,è stato instaurato un processo amministrativo nei confronti dei governatori della Baviera perché rifiutatisi di porre in essere delle misure concordi con quanto prescritto dalla direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (si trattava di provvedimenti tesi alla riduzione del traffico già ordinati in passato dall'autorità giudiziaria amministrativa di primo grado). Il supremo giudice amministrativo tedesco, dopo essere stato investito dalla questione ha rimesso la stessa alla Corte di Giustizia Europea esponendo in tale sede i propri dubbi sulla possibilità di ordinare delle misure coercitive della libertà personale nei confronti degli amministratori bavaresi a lungo inadempienti. La Corte, con sentenza del 19 dicembre 2019 (Corte giust. UE, Grande Sezione, 19 dicembre 2019, C-752/18, Deutsche Umwelthilfe eV contro Freistaat Bayern), ha confermato tale possibilità affermando, tuttavia, che ciò è ammissibile quando vi sia «un persistente rifiuto di un'autorità nazionale di conformarsi ad una decisione giudiziaria che le ingiunge di adempiere un obbligo chiaro, preciso e incondizionato derivante da tale diritto» e «nelle disposizioni di diritto interno, vi sia un fondamento giuridico per l'adozione di una siffatta misura [coercitiva n.d.r.] che sia sufficientemente accessibile, preciso e prevedibile». In tale sede si è assistito, dunque, alla esplicitazione di una tesi che apre alla possibilità di riconoscere rilevanza penale ai comportamenti inerti degli amministratori, stante l'applicazione di misure coercitive personali (sanzioni che per la loro natura si accostano più al diritto penale che a quello civile o amministrativo).

A fronte delle esperienze inglese e tedesca appena citate si riconosce che a livello europeo vi è una tendenziale apertura nei confronti della tutelabilità in sede giudiziaria della salute pubblica in quanto connessa alla salubrità dell'aria, d'altro canto però non si è ancora osservata una chiara identificazione di una responsabilità penale personale degli amministratori inoperosi in presenza di emergenze “silenziose” come quella atmosferica. La sensibilità sulle delicate tematiche in esame è in progressiva e costante espansione e - complici anche i sempre più frequenti moniti provenienti dagli studi scientifici – una più forte tutela nei confronti dell'inquinamento da smog non potrà che trovare sempre più accoglienza nelle aule di giustizia.

In conclusione

Il quadro tracciato appare caratterizzato dalla tensione dell'ordinamento italiano ed europeo ad una crescente consapevolezza sul tema delle emissioni dannose in atmosfera e sul loro impatto sanitario; la tutela di queste esigenze, quindi, pone l'ordinamento italiano, in particolare dal punto di vista penalistico, di fronte alla necessità di individuare degli strumenti idonei a tale scopo: la disamina dell'art. 328 c.p. appena compiuta rappresenta allora un tentativo di risposta alle istanze di protezione della salute della popolazione mettendo in luce il ruolo decisivo degli amministratori locali di fronte al problema dello smog e delineando i possibili profili della loro responsabilità.

Riferimenti
  • Di Nicola V., art. n. 328 - Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione, in Codice Penale Commentato, Giuffrè;
  • Romano M., I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano 2013, p. 372, come riportato da Di Nicola V., art. n. 328 - Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione, in Codice Penale Commentato, Giuffrè;
  • Sabbatini C., La delega funzioni nel settore pubblico, in www.lexambiente.it; Trinci A., Art. 452 bis Codice Penale - Inquinamento ambientale, Codice Penale Commentato, Giuffrè.

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