L'esecuzione in forma specifica: prassi e questioni

14 Settembre 2022

L'esecuzione di cui agli artt. 612 – 614 c.p.c. rientra fra le forme di esecuzione in forma specifica ed ha come finalità quella di realizzare l'adempimento coattivo dell'obbligo di fare o non fare contenuto nel titolo esecutivo ex art. 2931 e 2933 c.c.
L'esecuzione in forma specifica: principi generali. a) Titolo esecutivo e sua interpretazione

Come anticipato, una volta ottenuto un titolo esecutivo che contenga una condanna ad un facere o non facere, il creditore potrebbe ottenere la prestazione spontaneamente dal soggetto obbligato. Diversamente, non potendo provvedere egli stesso alla realizzazione del risultato in cui si concreta l'obbligo (stante il divieto di autotutela), dovrà ricorrere alla tutela giudiziaria. Come per le altre forme di esecuzione, l'avvio della procedura sarà preceduto dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto. L'esecuzione vera e propria inizierà con il deposito di un ricorso, rivolto al Giudice dell'esecuzione, con il quale il creditore chiederà che vengano determinate le modalità dell'esecuzione stessa. Nonostante l'art. 612 c.p.c. faccia espressamente riferimento ad una “sentenza di condanna”, è pacifico in giurisprudenza ed in dottrina che la norma in questione vada interpretata in maniera estensiva, ricomprendendo nel suo ambito di applicazione qualsiasi provvedimento giudiziale che contenga una condanna ad un facere o non facere. Nonostante gli iniziali dubbi, sembra oggi altrettanto incontroverso che l'esecuzione ex art. 612 c.p.c. possa essere avviata anche sulla scorta di un titolo esecutivo stragiudiziale quale il verbale di conciliazione purché in presenza dei requisiti che lo rendano tale.

In sede esecutiva, il Giudice si troverà spesso innanzi ad una serie di problematiche concrete, anche di natura tecnica (talvolta scaturenti dal mutamento dello stato dei luoghi nel corso del giudizio di merito) che richiederanno una non sempre agevole interpretazione del titolo esecutivo e ciò al fine di perseguire lo scopo ultimo della sua esecuzione. L'interpretazione del titolo è, tuttavia, anche il limite dei poteri del Giudice dell'esecuzione e ciò sia che il titolo sia passato in giudicato sia che lo stesso non sia ancora definitivo. Come sottolineato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. sez. III, sent., 29 agosto 2013, n. 19877) “Il giudice dell'esecuzione per obblighi di fare deve emettere un provvedimento ordinatorio idoneo a dar corso alla coattiva realizzazione delle opere ritenute conformi - o ancora conformi - al titolo esecutivo azionato, eventualmente limitando le operazioni materiali da eseguire in concreto in relazione all'interpretazione data al titolo medesimo, ma non può sostituirlo o integrarlo con altro titolo da lui emesso, così gravando il creditore dell'onere di porre in esecuzione un separato comando, impartito al debitore in aggiunta o sostituzione di quello recato dal titolo originario” . Spetta al Giudice, dunque, accertare la portata sostanziale della sentenza di cognizione e determinare le modalità di esecuzione dell'obbligazione idonee a ricondurre la situazione di fatto alla regolamentazione del rapporto ivi stabilita, nonché verificare la corrispondenza a tale regolamentazione del risultato indicato dalla parte istante nel precetto, e, se del caso, disporre le opere necessarie a realizzarlo (cfr. Cass. Civ. sez. VI, ord., 12 dicembre 2018, n. 32196) ma in nessun caso, in sede esecutiva, il Giudice può “correggere il tiro”, nemmeno ove emerga in maniera palese l'inattuabilità dell'obbligo di fare, a causa di profili non esaminati dal Giudice del merito o valutati in maniera erronea. Naturalmente, nell'interpretazione del titolo, il Giudice potrà avvalersi della documentazione prodotta dalle parti e già allegata in sede di merito nonché della consulenza tecnica d'ufficio che spesso è richiamata nel dispositivo (con formule del tipo: “condanna Tizio ad eseguire le opere descritte nelle pagine 3 e 4 della consulenza tecnica…”) o parzialmente riportata nella motivazione della decisione. Resta fermo che, in alcuni casi, appare imprescindibile l'integrazione del titolo ove la situazione di fatto esistente al momento dell'esecuzione sia differente rispetto a quella presa in considerazione dal Giudice del merito all'epoca dell'emanazione della decisione. Un caso frequente ed esemplificativo è quello in cui, alle opere già esistenti di cui sia stata ordinata la distruzione, il debitore aggiunto ulteriori opere nuove non contemplate dal titolo (in quanto successive). Se il comando contenuto nella sentenza ha, ad oggetto, la riduzione in pristino e l'interesse del creditore è quello alla restituzione di un'area libera dalle opere esistenti, non vi è dubbio che la demolizione dovrà essere relativa anche alle ulteriori e diverse opere nelle more realizzate dal debitore, non potendosi immaginare che il creditore sia costretto all'avvio di un nuovo giudizio per i manufatti nelle more realizzati dal debitore. Resta fermo, comunque, che l'esecuzione degli obblighi di fare o non fare debba svolgersi in perfetta aderenza e nei limiti del dettato del titolo esecutivo, senza estendersi all'esecuzione di opere ulteriori non previste dal titolo stesso, anche se necessarie od opportune a tutela dei diritti dell'esecutato, ove questi abbia la facoltà e quindi l'onere di provvedervi direttamente (Cass. Civ. sez. III, ord., 11 aprile 2017, n. 9280).

b)La fungibilità dell'obbligo

E' pacifico che l'esecuzione ex art. 612 c.p.c. possa avere ad oggetto solo obblighi fungibili. Ciò comporta che potranno essere oggetto di esecuzione in forma specifica solo quelle prestazioni che potrebbero essere realizzate indifferentemente dal debitore o da terzi, con identica soddisfazione del titolare del diritto contrapposto. L'infungibilità dell'obbligo è tendenzialmente da ricondurre al carattere intuitu personae della prestazione ma, ancor più frequentemente, alla circostanza che la prestazione sia possibile solo con la collaborazione e, quindi, con la condotta del soggetto obbligato. Il principio in questione è stato affermato dalla giurisprudenza della Cassazione in maniera univoca già dal 1978 (Cass. Civ sez. un., sent., 9 gennaio 1978, n. 50) e ribadito anche da recente (Cass. Civ. sez. VI-3, del 16 maggio 2018, n. 12030; Cass. Civ. sez. VI, ord., 10 luglio 2019, n. 18572) con riferimento a fattispecie quali la condanna alla reintegra sul posto di lavoro o alla iscrizione del lavoratore, in qualità di bracciante agricolo, negli elenchi di variazione di cui al D.L. 1 ottobre 1996. All'evidenza il creditore, impossibilitato ad ottenere, in tal caso, l'esecuzione in forma specifica, potrà agire per il risarcimento del danno causato dal mancato adempimento. Preventivamente, nel caso di facere infungibile, potrà essere richiesta al Giudice del merito l'applicazione dell'art. 614-bis c.p.c. che, invece, in nessun caso potrà – ad oggi- essere richiesta al Giudice dell'esecuzione (come si evince peraltro dal chiaro tenore della norma). La condanna ex art. 614-bis c.p.c. (sulla quale non è possibile in questa sede soffermarsi, stante l'ampiezza dell'argomento) era considerata strettamente connessa proprio all'infungibilità dell'obbligo oggetto di condanna quanto meno sotto il vigore della versione originale della norma (cfr. A.M Soldi, “Manuale dell'esecuzione forzata” , CEDAM, 2016). Detta conclusione oggi potrebbe essere messa in discussione alla luce della modifica normativa dello stesso art. 614-bis c.p.c., con la quale il legislatore ha espressamente eliminato il riferimento agli obblighi infungibili per introdurre una formula molto più generica (“adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro”); appare evidente, tuttavia, che l'ambito di applicazione, per così dire, “privilegiato” della norma resti proprio quello degli obblighi infungibili, per i quali non esiste l'alternativa dell'esecuzione forzata.

Anche la più recente giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ., ord., 9 dicembre 2019, n. 32023) ha affermato la piena legittimità di una sentenza di condanna ad un fare infungibile e dall'altro ha ribadito la sua ineseguibilità attraverso l'esecuzione in forma specifica. Affermano, infatti, i giudici di legittimità : “questa Corte ha osservato, con riferimento al tema dell'impossibilità dell'esecuzione in forma specifica della prestazione infungibile di fare (nemo praecise ad factum cogi potest) che ciò non incide sull'interesse del creditore ad ottenere la condanna, in vista di un congruo risarcimento per equivalente, eventualmente assistito da garanzia ipotecaria, suscettibile di levitazione progressiva in caso di persistente inadempimento del debitore (…) ogni dubbio sull'ammissibilità, in subiecta materia, di una pronuncia di condanna è stato eliminato ex post dal legislatore con l'introduzione, nel terzo libro del codice di rito dedicato al processo di esecuzione, dell'art. 614-bis c.p.c..

Va ulteriormente precisato che la giurisprudenza esclude l'eseguibilità in forma specifica di obblighi consistenti in un'attività negoziale o nel compimento di atti giuridici. E' particolarmente discussa, invece, l'applicabilità del procedimento ex art. 612 c.p.c. per quanto concerne la consegna dei minori e delle persone incapaci, sulla quale il dibattito è molto ampio e non può essere riportato interamente in questa sede. Volendo semplificare, si può osservare che la dottrina prevalente appare nel senso della possibilità di esecuzione coattiva sotto il controllo del Giudice dell'esecuzione, ritenendo che quest'ultimo, con ordinanza, possa fornire le indicazioni attuative a tutela dell'interesse preminente del minore. Pare indispensabile, ove si propenda per tale tesi, la necessità dell'intervento di soggetti specializzati nella qualità di ausiliari, come ad esempio psicologi e assistenti sociali, al fine di evitare possibili impatti negativi sulla psiche del minore. Altra parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene invece che il procedimento ex art. 612 c.p.c. mal si attagli all'obbligo di consegna del minore e che la norma da applicare sia piuttosto l'art. 709-ter c.p.c. che, per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento, individua la competenza del giudice del procedimento in corso.

Quanto all'oggetto dell'obbligo, resta da precisare che la condanna al pagamento di una somma di denaro, che indichi specifiche modalità di adempimento, non può in alcun modo essere qualificata come condanna relativa ad un obbligo di fare e, pertanto, l'esecuzione ad essa relativa può trovare attuazione solo attraverso il procedimento di espropriazione forzata - che implica necessariamente l'aggressione coatta al patrimonio del debitore e la sua liquidazione - e non invece attraverso il procedimento di cui all'art. 612 c.p.c., che consente soltanto di fissare le modalità di attuazione di una determinata condotta materiale fungibile in sostituzione del debitore (in tal senso Cass. Civ. sez. VI, ord., 2 ottobre 2018, n. 23900).

c)Soggetto attivo e passivo dell'esecuzione ex art. 612 c.p.c.

La legittimazione attiva a promuovere l'esecuzione spetta naturalmente al soggetto che, dal titolo, appaia come l'avente diritto alla prestazione (o al successore a titolo particolare o universale). Quanto invece alla legittimazione passiva, la giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. sez. III, 18 agosto 2017, n. 20167) ha precisato che “Nell'esecuzione forzata in forma specifica la qualità di parte del processo esecutivo è collegata agli effetti dell'esecuzione, sicché, sia nell'esecuzione per obblighi di fare, sia nell'esecuzione per consegna e rilascio, la parte nei cui confronti va rivolta l'azione esecutiva è il soggetto che si trova rispetto al bene nella situazione di possesso o di detenzione che gli consente di adempiere al comando contenuto nella sentenza di condanna. Pertanto, soggetto passivo dell'esecuzione per rilascio non può che essere colui che, nel momento in cui la sentenza è eseguita coattivamente, si trova a detenere il bene” e ciò anche quando detto soggetto non sia individuato come debitore nel titolo esecutivo.

E' evidente, infatti, che solo chi si trova nel possesso o nella detenzione del bene può essere chiamato ad eseguire la prestazione.

Il procedimento e le questioni maggiormente rilevanti affrontate dalla giurisprudenza. a) Inapplicabilità del procedimento ex art. 612 c.p.c. per l'attuazione di un provvedimento cautelare

Occorre fare chiarezza su un aspetto procedimentale che può apparire scontato ma che, ancora oggi, ingenera spesso confusione come dimostrato, almeno nell'esperienza di chi scrive, dal numero considerevole di ricorsi ex art. 612 c.p.c., destinati ad essere dichiarati inammissibili.

E', infatti, pacifico in giurisprudenza (cfr. Cass. Civ. sez. III, sent., n. 15761/2014) che l'attuazione di misure cautelari, aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, non avvia un separato procedimento di esecuzione ma costituisce una fase del procedimento cautelare in cui il giudice (da intendersi come ufficio), che ha emanato il provvedimento cautelare, ne determina anche le modalità di attuazione, risolvendo con ordinanza le difficoltà e le contestazioni sorte. In particolare, la Suprema Corte ha chiarito che l'ordinanza ex art 700 c.p.c. ha il carattere della esecutività, ma non dà luogo ad esecuzione forzata, atteso che, con essa, non si realizza un'alternativa tra adempimento spontaneo ed esecuzione forzata, ma un fenomeno intrinsecamente coattivo di esecuzione che si svolge ex officio iudicis; da ciò discende che l'esecuzione della misura deve avvenire omettendo l'osservanza delle formalità dell'ordinario processo di esecuzione, e, quindi, senza preventiva notificazione del precetto, bastando, nei confronti dell'intimato, che il provvedimento sia notificato in forma esecutiva (v. Cass. Civ., 12 gennaio 2006, n. 407). Va dunque nettamente distinta l'attuazione della misura cautelare dall'esecuzione ex art. 612 c.p.c.. La prima va richiesta al Giudice competente ex art 669-duodecies c.p.c. e non al Giudice dell'esecuzione, con conseguente inammissibilità del ricorso che dovesse essere proposto, che può essere dichiarata anche de plano, senza necessità di fissazione dell'udienza.

b)Il procedimento

L'esecuzione inizia con il deposito del ricorso ex art. 612 c.p.c., indirizzato al Giudice dell'esecuzione. Come già detto, essa è preceduta dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto atti che dovranno essere anch'essi depositati nel fascicolo dell'esecuzione.

Esaminato il ricorso, il Giudice dell'esecuzione fisserà udienza, assegnando un termine per la notifica del ricorso e del decreto alla parte esecutata. Quest'ultima naturalmente potrà proporre opposizione sia al fine di constatare la regolarità della procedura ex art. 617 c.p.c. sia per contestare il diritto di procedere ex art. 615 c.p.c.; opposizioni che verranno trattate e decise dal Giudice dell'esecuzione, limitatamente alla fase cautelare innanzi allo stesso. Accade di frequente che il debitore si costituisca (anche senza proporre opposizione) al fine di far rilevare di aver già adempiuto spontaneamente. Ove la correttezza dell'adempimento rispetto alle prescrizioni del titolo sia contestata dal creditore, al Giudice non resterà che investire l'Ufficiale Giudiziario (ed eventualmente un ausiliario) al fine di verificare se l'esecuzione spontanea è conforme al titolo esecutivo; in caso contrario dovrà essere data esecuzione alla condanna, con l'indicazione delle modalità esecutive. Giova precisare che la necessità di un'autorizzazione amministrativa per il compimento dell'attività oggetto dell'obbligo non osta in alcun modo all'esecuzione ed anzi è da considerare come un presupposto imprescindibile rispetto alla corretta esecuzione del titolo. Il Giudice generalmente delegherà l'ausiliario all'acquisizione di tutte le autorizzazioni ed in genere della documentazione (ad esempio nulla osta della Sovraintendenza ai beni culturali) necessaria all'esecuzione delle opere di cui al titolo; soprattutto in ipotesi di opere complesse (si pensi a demolizioni o interventi su edifici di interesse storico) la fase di acquisizione delle autorizzazione potrebbe comportare un allungamento dei tempi della fase cd. “preparatoria”. L'ordinanza ex art. 612 c.p.c. sotto tale profilo potrà contenere delle indicazioni specifiche o un generico mandato, rivolto all'ausiliario nominato, con riferimento a tutta la documentazione preliminare. La nomina di un professionista, quale ausiliario, cui può essere demandato anche il conferimento dell'incarico dei soggetti tenuti alla realizzazione materiale dell'opera, appare indispensabile nella maggior parte delle fattispecie. Il Giudice dell'esecuzione, infatti, non ha la competenza tecnica per potere fornire indicazioni specifiche per la realizzazione di opere a regola d'arte.

E' prassi di alcuni Tribunali definire il procedimento ex art. 612 c.p.c. con l'emanazione del provvedimento contenente le modalità di esecuzione e la contestuale nomina, ove necessario, dell'ausiliario. La fase cd. “di tipo realizzativo” (cfr. A.M. Soldi, “Manuale dell'esecuzione forzata”, CEDAM, 2016) è infatti integralmente condotta dall'Ufficiale Giudiziario e dagli ausiliari, sulla scorta delle prescrizioni di cui all'ordinanza, ferma restando la possibilità per le parti e per lo stesso Ufficiale Giudiziario di richiedere l'intervento del Giudice ex art. 613 c.p.c. al fine di ottenere “le opportune disposizioni” per eliminare le difficoltà che sorgono nell'esecuzione.

Altra prassi (condivisa da chi scrive) è nel senso, invece, della contestuale fissazione di un'udienza di verifica dell'avvenuta esecuzione già nell'ordinanza ex art. 612 c.p.c. Ciò consente alle parti e all'ausiliario una interlocuzione con il Giudice più rapida, tramite il deposito di eventuali istanze nel fascicolo (ancora) pendente. Effettuate le verifiche ed acquisito il verbale dell'Ufficiale Giudiziario, il Giudice emetterà un'ordinanza conclusiva del procedimento, dichiarando l'improcedibilità o improseguibilità dell'esecuzione, stante l'avvenuta esecuzione del titolo, e provvedendo sulle spese (vedi infra).

Occorre evidenziare l'estrema varietà di contenuto che è possibile riscontrare nella materia che ci occupa, per cui non vi possono essere dubbi, come detto, sulla circostanza che l'eventuale tecnico nominato dal Giudice possa a sua volta avvalersi di un'impresa per la realizzazione delle opere. L'ausiliario nominato dal Giudice, infatti, nella maggior parte dei casi assumerà la veste di Direttore dei Lavori e allo stesso spetterà individuare l'impresa idonea per il compimento delle opere, di cui terrà anche la contabilità. Il tipo di obblighi da eseguire, infatti, va dalla semplice eliminazione di una piccola tettoia alla demolizione di interi edifici. Non è difficile, dunque, immaginare, l'estrema complessità dell'esecuzione ex art. 612 c.p.c. e del compito demandato al Giudice ex art. 613 c.p.c.

c)Possibili esiti del procedimento e regime delle impugnazioni

L'ordinanza con la quale il Giudice dell'esecuzione procede alla nomina delle persone indicate nel 1° comma dell'art. 612 o alla fissazione delle modalità dell'esecuzione, è impugnabile ex art. 617 c.p.c. e revocabile e modificabile dallo stesso Giudice ex art. 487 c.p.c. Secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. Civ. sez. III, ord., 20 ottobre 2021, n. 29025) “L'ordinanza resa ai sensi dell'art. 612 c.p.c. che illegittimamente abbia risolto una contesa tra le parti, così esorbitando dal profilo funzionale proprio dell'istituto, non è mai considerabile come una sentenza in senso sostanziale, decisiva di un'opposizione ex art. 615 c.p.c., ma dà luogo, anche qualora contenga la liquidazione delle spese giudiziali, ad una decisione soltanto sommaria, in quanto da ritenersi conclusiva della fase sommaria di un'opposizione all'esecuzione, rispetto alla quale la parte interessata può tutelarsi introducendo un giudizio di merito ex art. 616 c.p.c..”. Sotto tale profilo, si rappresenta che il principio espresso da ultimo è coerente con il mutamento di giurisprudenza (cfr. Cass. Civ. 21 luglio 2016, n. 15015; Cass. Civ. sez. III, sent., n. 8640/2016), concernente il regime di impugnabilità delle ordinanze del Giudice dell'esecuzione aventi contenuto decisorio. La precedente giurisprudenza (Cass. Civ. n. 19605/2010), infatti, riteneva al contrario che l'ordinanza avesse valore di sentenza in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, con conseguente appellabilità della stessa.

Analogamente, l'ordinanza conclusiva del procedimento è impugnabile ex art. 617 c.p.c. nel termine perentorio previsto da detta norma. La Cassazione ha precisato che “dal principio di irretrattabilità dei risultati del processo esecutivo discende la definitività della constatazione di chiusura della procedura esecutiva, contenuta nel verbale delle operazioni dell'ufficiale giudiziario, compiute in ottemperanza all'ordinanza del giudice dell'esecuzione, sempreché il verbale e l'ordinanza non siano stati impugnati per vizi concernenti la non conformità di quanto eseguito o disposto rispetto al titolo esecutivo. Ne consegue che, sopravvenuta la definitività della constatazione della chiusura della procedura esecutiva, al creditore procedente, che pure ritenga non perfettamente eseguito il comando giudiziale, resta preclusa la facoltà di azionare ulteriormente il medesimo titolo esecutivo (Cass. Civ n. 23182/2014).

Fra i possibili esiti definitori della procedura ex art. 612 c.p.c. vi è anche la pronuncia di improcedibilità per inattuabilità del titolo. Ciò può verificarsi quando, a seguito della nomina del tecnico, venga appurato che l'esecuzione del comando, così come prevista nel titolo, non è fattivamente realizzabile o che la sua realizzazione – pur tecnicamente possibile- non possa verificarsi se non con pregiudizio irreparabile per terzi. Si tratta di un'ipotesi non poco frequente: si pensi al caso della demolizione di edificio che possa comportare una seria compromissione della stabilità degli immobili limitrofi, di proprietà di terzi estranei alla procedura; oppure al caso in cui, il mutamento dei luoghi nelle more intervenuto renda non realizzabile l'obbligo come previsto nel titolo. Potrebbe, invero, verificarsi anche un'ipotesi di irrealizzabilità sotto il profilo giuridico, ove non sia possibile (per esempio per il verificarsi di una modifica normativa) ottenere le autorizzazioni necessarie all'esecuzione delle opere.

In tal caso al Giudice dell'esecuzione non resterà che dichiarare l'improcedibilità procedendo anche alla liquidazione delle spese, ferma restando l'impugnabilità del provvedimento definitorio ex art. 617 c.p.c.

Le spese e il decreto ingiuntivo ex art. 614 c.p.c.

L'art. 614 c.p.c. contiene una specifica disciplina concernente le spese del procedimento di esecuzione in forma specifica. Il Giudice dell'esecuzione, infatti, liquiderà le spese con decreto ingiuntivo esecutivo in danno del soggetto esecutato “al termine dell'esecuzione o nel corso di essa”. La circostanza che la liquidazione delle spese, normalmente contenuta nel provvedimento conclusivo, possa essere effettuata anche nel corso dell'esecuzione, non è casuale. Evidentemente il legislatore si è mostrato consapevole della circostanza che le spese che il creditore potrebbe dover anticipare potrebbero essere spesso ingenti. Non può tacersi che proprio l'impegno economico, spesso notevole, in non poche occasioni spinge l'esecutante a depositare istanza di rinuncia alla procedura, soprattutto quando il patrimonio del debitore non consenta un possibile recupero di quanto anticipato. Il decreto ingiuntivo, come può evincersi dalla norma, è provvisoriamente esecutivo ex lege; la ragione è che lo stesso si fonda su una prova scritta dotata di efficacia privilegiata costituita dalla nota delle spese redatta da parte istante e munita del visto dell'Ufficiale Giudiziario, cui spetta di attestare l'effettiva riconducibilità delle spese alle operazioni esecutive. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte “Le spese della esecuzione forzata di un obbligo di fare integrano un credito di colui che procede all'esecuzione nei confronti dell'esecutato, con la conseguenza, in tema di rimborso, che, trattandosi di debiti di valuta, l'importo non può essere maggiorato di rivalutazione e di risarcimento del danno da lucro cessante, in mancanza di domanda di parte” (cfr. Cass. Civ. sez. I, sent., 17 settembre 2003, n. 13666). Il Giudice liquiderà con separato decreto le spese degli ausiliari che – se corrisposte dal creditore (su cui certamente gravano in via provvisoria) - potranno anch'esse formato oggetto del decreto ingiuntivo ex art. 614 c.p.c. così come le spese e gli onorari del difensore.

Il decreto può essere opposto entro 40 giorni dalla sua emanazione, davanti al Giudice che lo ha emesso, trattandosi di competenza di carattere funzionale. Tuttavia, quanto alle censure proponibili, si rileva che con l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso ex art. 614 c.p.c. può contestarsi la sola congruità delle spese di cui si richiede il rimborso e la loro effettiva corresponsione (Cass. Civ. 3 dicembre 2009, n. 25394; Cass. Civ. n. 11270/1993), ma non la conformità dell'opera eseguita con quanto previsto nel titolo esecutivo, né eventuali ulteriori vizi dell'esecuzione. Tali contestazioni devono, infatti, essere sollevate con opposizione avverso l'ordinanza determinativa delle modalità di esecuzione o, al più tardi, avverso il provvedimento che ha dichiarato conclusa l'esecuzione. I rimedi esperibili dal debitore esecutato costituiscono, infatti, un “sistema chiuso” che implica la necessità che le opposizioni avverso l'esecuzione o gli atti esecutivi vengano avviate quando la procedura esecutiva è ancora in corso (o avverso il provvedimento conclusivo) non essendoci uno spazio residuale in altri giudizi per fare valere vizi o doglianze che costituiscono invece l'oggetto tipico delle opposizioni esecutive.

In conclusione

La brevità del contributo non consente di soffermarsi su alcune tematiche, appena accennate, che meriterebbero certamente un approfondimento maggiore sia con riferimento alla tipologia degli obblighi, anche di contenuto negativo, sia con riferimento ai problemi tecnici ed interpretativi che il Giudice dell'esecuzione si trova spesso ad affrontare nella prassi. A ciò si aggiunga che, nella l. delega 206/2021, l'art. 1, comma 12, lett. o, ha stabilito di “prevedere criteri per la determinazione dell'ammontare, nonché del termine di durata delle misure di coercizione indiretta di cui all'art. 614-bis c.p.c. prevedere altresì l'attribuzione al g.e. del potere di disporre dette misure quando il titolo esecutivo sia diverso da un provvedimento di condanna oppure la misura non sia stata richiesta al giudice che ha pronunciato tale provvedimento”, con conseguente prospettive di ampliamento del potere del Giudice dell'esecuzione anche (e soprattutto) ove sia quest'ultimo a dover applicare la misura, in luogo del Giudice del merito.

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