I presupposti dell'estradizione al vaglio della Corte di cassazione

Cristina Ingrao
19 Settembre 2022

La questione oggetto della decisione in esame è: che tipo di accertamento e che elementi deve valutare il giudice con riguardo alla sussistenza della condizione ostativa prevista dall'art. 698, comma 1, c.p.p.?
Massima

In tema di estradizione di un cittadino di uno Stato membro, ai fini dell'accertamento della condizione ostativa del pericolo di trattamenti inumani o degradanti prevista dall'art. 698 comma 1 c.p.p. il giudice dello Stato richiesto deve valutare, ex art. 4 CDFUE, in base ad elementi oggettivi, attendibili e aggiornati, l'affidabilità della garanzia proveniente dallo Stato richiedente circa il rispetto degli standard convenzionali relativi al trattamento dei detenuti durante il percorso rieducativo seguito negli istituti penitenziari, anche in assenza di allegazioni difensive al riguardo.

Il caso

Il caso in esame trae origine da una sentenza della Corte di Appello di Milano, con cui si dichiaravano sussistenti le condizioni per la estradizione processuale alla Federazione Russa di un cittadino greco A.K., alias K.A., con riguardo ad un ordine di cattura del Tribunale di Syktyvkar del 15 marzo 2012, in relazione ai reati di partecipazione ad organizzazione criminale, partecipazione ad un gruppo armato stabile e ad assalti da esso perpetrati, nonché per il reato di omicidio, di cui agli artt. 210, par. 2; 209, par. 2; 105, par. 2, pp. g) e h) c.p. russo.

Avverso detta sentenza il difensore di fiducia proponeva ricorso per cassazione, deducendo una pluralità di motivi.

Nella specie, con la prima doglienza lamentava la violazione di legge ex art. 700 comma 2 lett. c) c.p.p. nonché degli artt. 703, 704 e 705 c.p.p., in relazione all'omessa analisi dei rilievi dattiloscopici di confronto necessari per accertare l'identità della persona richiesta, avendo il giudice di secondo grado omesso di raffrontare quelli trasmessi dallo Stato richiedente in relazione alla persona del K. con quelli eseguiti sulla persona dell'A. Peraltro, gli atti inviati dalla Federazione russa non presentavano riferimenti relativi alla persona dell'A., ma solo alla persona del K.

Con il secondo motivo di ricorso, invece, lamentava la violazione di legge ex art. 705, comma 2, lett. a) e c), art. 698 c.p.p. e art. 4, par. 2, CDFUE per l'omessa valutazione del trattamento carcerario e sanzionatorio cui l'estradando sarebbe stato sottoposto nello Stato richiedente, avendo il giudice di appello ritenuto sufficienti le indicazioni fornite dallo stesso, nonostante la loro genericità e la nota condizione drammatica in cui versano gli istituti penitenziari russi.

Infine, con la terza doglianza, la difesa lamentava analoghi vizi in relazione agli artt. 18, 20 e 21 TFUE, alla luce della mancata informazione alla Grecia, quale Stato di cittadinanza dell'estradando, dell'avvenuta ricezione della richiesta di estradizione proveniente da uno Stato terzo, con la conseguente omessa motivazione sull'eccezione difensiva al riguardo formulata.

La questione

La questione oggetto della decisione in esame involge l'istituto dell'estradizione, di cui agli artt. 697 ss. c.p.p., e dei suoi presupposti di operatività. Nella specie, ci si chiede: che tipo di accertamento e che elementi deve valutare il giudice con riguardo alla sussistenza della condizione ostativa prevista dall'art. 698, comma 1, c.p.p.?

Posto che, tale disposizione, rubricata “Reati politici. Tutela dei diritti fondamentali della persona”, in particolare, prevede al citato comma 1 che «non può essere concessa l'estradizione per un reato politico né quando vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona».

Le soluzioni giuridiche

In relazione al caso di specie, la Suprema Corte ritiene fondato il ricorso sottoposto alla sua attenzione.

In particolare, la Sesta sezione accoglie il primo motivo di doglianza, con cui la difesa lamentava la violazione di legge in relazione all'omessa analisi dei rilievi dattiloscopici di confronto necessari per l'accertamento della identità della persona richiesta, avendo il giudice di appello omesso di raffrontare quelli trasmessi dallo Stato richiedente in relazione alla persona del K. con quelli eseguiti sulla persona dell'A.

I giudici di legittimità, in particolare, sottolineano la circostanza che quanto affermato nella sentenza di appello, da un lato, non risolve i profili di doglianza relativi all'accertamento della reale identità del soggetto di cui si richiede l'estradizione, e, dall'altro, non analizza le puntuali eccezioni formulate dalla difesa sul punto.

In relazione a ciò, infatti, è bene precisare che, ai fini dell'attribuzione dell'identità del K. al ricorrente, la decisione impugnata ha ritenuto sufficiente il contenuto di una missiva inviata dallo Stato richiedente, da cui emergeva che la persona dell'A. non era registrata con passaporto russo, né era cittadino della Federazione russa, in apparente contrasto con quanto attestato dal certificato di nascita e matrimonio dei genitori dell'estradando (dallo stesso posseduti) e con quanto da lui dichiarato. Con riguardo a ciò, nella specie, il giudice di appello non teneva in considerazione l'errore nell'indicazione del nominativo dell'estradando, né le circostanze di fatto relative al mancato accertamento rispetto alla madre del ricorrente e al numero di passaporto russo verificato come non corrispondente al nominativo dell'A.

A ciò si aggiunga, infine, che sui rilievi dattiloscopici non veniva svolto alcun accertamento comparativo.

Elementi, questi, tutti puntualizzati dalla difesa.

I giudici di legittimità hanno, poi, nel provvedimento in esame proceduto alla disamina del terzo motivo di ricorso, ritenendolo fondato. Con esso la difesa lamentava la mancata informazione alla Grecia - Stato di cittadinanza dell'estradando - dell'avvenuta ricezione della richiesta di estradizione proveniente da uno Stato terzo, in violazione delle disposizioni contenute in materia nel TFUE.

In relazione a ciò, la Suprema Corte, innanzitutto, richiama le decisioni al riguardo pronunciate dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, unico giudice chiamato ad interpretare il diritto eurounitario. Secondo la Corte di Lussemburgo, in particolare, quando ad uno Stato membro dell'Unione Europea nel quale si sia recato un cittadino avente la cittadinanza di un altro Stato membro viene presentata una domanda di estradizione da parte di uno Stato terzo, esso è tenuto ad informare lo Stato membro del quale la persona reclamata ha la cittadinanza, al fine di consentire alle competenti autorità di quest'ultimo la possibilità di emettere un mandato d'arresto Europeo per la sua consegna ai fini dell'esercizio dell'azione penale (così, Corte di Giustizia, 6 settembre 2016, Petruhhin, C-182/15; Corte di Giustizia, 10 aprile 2018, Pisciotti, C.191/16; Corte di Giustizia, 17 dicembre 2020, BY, C-398/19).

A tale principio si è conformata anche la stessa Corte di Cassazione (Cass. pen, sez. VI, 26 maggio 2021, n. 26310).

Al fine attuare quanto detto e in conformità con il principio di leale cooperazione (ex art. 4, par. 3, comma 1, TUE), l'Unione Europea e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai Trattati, con la conseguenza che spetta allo Stato membro richiesto il compito di informare le autorità competenti dello Stato membro di cui la persona reclamata ha la cittadinanza dell'esistenza di una domanda di estradizione che la riguarda, nonché di tutti gli elementi comunicati dallo Stato terzo richiedente nell'ambito di tale domanda di estradizione, avendo cura, tali autorità, di rispettare la riservatezza di detti elementi laddove quest'ultima sia stata richiesta da detto Stato terzo, informato al riguardo.

Sempre in capo allo Stato membro richiesto dell'estradizione incombe l'obbligo di rendere edotte tali autorità relativamente ad ogni cambiamento della situazione in cui si trova la persona reclamata che risulti rilevante ai fini dell'emissione nei suoi confronti di un mandato d'arresto Europeo, in conformità con quanto affermato dalla Corte di giustizia nel caso BY.

Centrale, infine, per la questione oggetto del presente contributo è la soluzione accolta relativamente al secondo motivo di doglianza, con cui la difesa lamentava la violazione di legge ex art. 705, comma 2, lett. a) e c), art. 698 c.p.p. e art. 4, par. 2, CDFUE per l'omessa valutazione del trattamento carcerario e sanzionatorio cui l'estradando sarebbe sottoposto nello Stato richiedente, avendo il giudice di appello ritenuto sufficienti le indicazioni fornite dallo stesso, nonostante la loro genericità e la nota condizione drammatica in cui versano gli istituti penitenziari russi.

Riguardo a questo, nella specie, la Suprema Corte ribadisce quanto già precisato in precedenti provvedimenti, e cioè che, ai fini dell'accertamento della condizione ostativa prevista dall'art. 698 comma 1 c.p.p. è necessario valutare se sussiste un generale rischio di trattamento disumano o degradante nel Paese richiedente, utilizzando, a tal fine, elementi oggettivi, attendibili, precisi ed aggiornati in merito alle condizioni di detenzione vigenti in quel Paese, e, verificata la sussistenza di tale rischio, deve svolgere un'indagine mirata, anche attraverso la richiesta di informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto, l'interessato alla consegna sarà sottoposto, o meno, ad un trattamento inumano o degradante (così Cass. pen, sez. VI, n. 28822/2016; più di recente Cass. pen., sez. VI, n. 22818/2020).

Inoltre, sempre la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in tema di estradizione, in presenza di una situazione di rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, attestata da fonti internazionali affidabili, è onere della Corte di Appello, ai fini dell'accertamento della condizione ostativa di cui si è detto, richiedere informazioni integrative tese a conoscere il trattamento penitenziario cui sarà in concreto sottoposto l'estradando, ai sensi dell'art. 13 della Convenzione Europea di estradizione, anche in mancanza di allegazioni difensive al riguardo (Cass. pen., sez. VI, 23 luglio 2020, cit.).

Ciò premesso, la Suprema Corte afferma che, con riguardo al motivo di ricorso in esame, i giudici di secondo grado si sono conformati a tali principi, disponendo, in prima battuta, l'acquisizione, tramite il Ministero della giustizia, di informazioni integrative dalle competenti Autorità dello Stato richiedente, così da verificare le attuali condizioni di trattamento nei relativi istituti di pena. Successivamente, in base alla risposta fornita dal Ministero della giustizia, con cui si trasmettevano gli elementi di riscontro pervenuti dallo Stato richiedente, la stessa Corte interessata ha, però, ritenuto infondate le eccezioni difensive circa l'adeguatezza del trattamento detentivo, escludendo la sussistenza di violazioni di diritti fondamentali delle persone ristrette negli istituti penitenziari dello Stato richiedente, e sottolineando la circostanza che nella casa circondariale di destinazione dell'estradando non sussistessero condizioni di sovraffollamento carcerario, per l'idoneità degli spazi abitativi riservati a ciascuno, e fossero rispettati gli standard rilevanti (es. durata dell'esposizione a luce diurna o riscaldamento) richiesti dagli artt. 3 e 4 CEDU.

In tale contesto, l'Autorità giudiziaria dello Stato richiesto è tenuta anche a verificare l'affidabilità della garanzia proveniente dallo Stato richiedente circa la conformità degli standard convenzionali previsti, ai fini del rispetto dei principi stabiliti dalla CEDU, così come interpretati dalla Corte EDU (da ultimo v. Cass. pen., sez. VI, n. 9680/2022; Cass. pen., sez. VI, n. 31257/2020).

Sulla stessa lunghezza d'onda la Corte di Giustizia, la quale ha statuito che, lo Stato membro richiesto dell'estradizione (ex art. 4 CDFUE che vieta le pene o i trattamenti inumani e degradanti) non può limitarsi a prendere in considerazione le sole dichiarazioni dello Stato terzo richiedente o l'accettazione, da parte di quest'ultimo, di Trattati internazionali che garantiscono, in via di principio, il rispetto dei diritti fondamentali (Così Grande Sezione, 2 aprile 2020, C-897-19 PPU, I.N.).

Con riguardo a tali ultimi aspetti, tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, non pare essere stata esaminata dal giudice di secondo grado la documentazione prodotta dal ricorrente circa le recenti decisioni di condanna emesse dalla Corte EDU (per tutte, Sez. III, 19 gennaio 2021, Shlykov e altri c. Russia, nn. 78638/11) per violazioni connesse a trattamenti carcerari verificatesi nel territorio in cui ha sede l'istituto penitenziario di destinazione, né quella relativa alle risultanze offerte da una recente (13 gennaio 2022) inchiesta di un quotidiano italiano riguardo all'esistenza di pratiche di tortura e atti di violenza diffusi in numerosi istituti di pena dello Stato richiedente, ovvero agli esiti di una, altrettanto recente, visita ispettiva effettuata (dal 20 settembre al 4 ottobre 2021) in molti centri penitenziari russi dal Comitato di prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa (Council of Europe's Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT).

Peraltro, seguendo quanto affermato dalla stessa Suprema Corte in relazione ai criteri di verifica del pericolo di trattamenti disumani o degradanti (così, Cass. pen., sez. VI, n. 54467/2016), per l'accertamento della condizione ostativa prevista dall'art. 698 c.p.p., co. 1, il giudice nazionale può fondare la propria decisione circa la sussistenza di violazioni dei diritti umani nel Paese richiedente anche sulla base di documenti elaborati da organizzazioni non governative - quali, ad es., Amnesty International e Human Rights Watch -, se ritenute affidabili sul piano internazionale, secondo quanto affermato anche dalla giurisprudenza della Corte EDU (sent. Saadi c. Italia, 28 febbraio 2008). In relazione a ciò, dall'ultimo rapporto fornito da Amnesty International (2021-2022) emerge, con riferimento alle condizioni in cui versano gli istituti di pena della Federazione Russa, la persistenza di atti di tortura ed altri maltrattamenti in danno di persone ristrette in stato custodiale, e, al contempo, la scarsezza di procedimenti giudiziari avviati nei confronti degli autori di tali condotte.

Infine, a seguito del recente conflitto in Ucraina, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, preso atto (con la Risoluzione CM/Res del 16 marzo 2022) che il Governo della Federazione Russa, con comunicazione del 15 marzo 2022, ha informato il Segretario Generale del proprio recesso dal Consiglio d'Europa e della sua intenzione di denunciare la CEDU, che la Federazione Russa ha cessato di essere membro del Consiglio d'Europa dal 16 marzo 2022.

Poi, con la Risoluzione del 23 marzo 2022, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha statuito che la Federazione Russa, pur continuando ad essere parte contraente delle convenzioni e dei protocolli conclusi nell'ambito del Consiglio d'Europa, cui ha espresso il proprio consenso ad essere vincolata, e che sono aperti all'adesione di Stati terzi (come ad es. quella relativa all'estradizione), cesserà di essere un'Alta Parte contraente della CEDU il prossimo 16 settembre.

Secondo i giudici di legittimità si tratta di elementi che la Corte distrettuale sarà tenuta ad esaminare, insieme ai profili di criticità - già esposti - relativi al secondo motivo di ricorso, allo scopo di comprenderne in concreto l'incidenza, alla luce del fatto che nella domanda di estradizione le Autorità dello Stato richiedente hanno richiamato le disposizioni di cui agli artt. 3 e 6 CEDU quali parametri da rispettare per garantire l'estradando dal pericolo di torture o trattamenti inumani. Si tratta di disposizioni convenzionali, queste, che ricomprendono l'affermazione di principi fondamentali, sanciti in una Convenzione internazionale della quale lo Stato richiedente, tuttavia, cesserà, come detto, di far parte dal prossimo 16 settembre, in conseguenza del suo recesso dal Consiglio d'Europa e della sua intenzione di denunciare proprio quella Convenzione Europea.

Osservazioni

Nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione, dopo aver ricostruito la normativa di riferimento e le posizioni più rilevanti della giurisprudenza nazionale e sovranazionale in tema di estradizione, ha correttamente concluso nel senso dell'accoglimento dei motivi del ricorso, anche alla luce della attuale situazione geopolitica riguardante la Federazione russa, che è lo Stato richiedente, e le sue recenti posizioni in relazione all'adesione al Consiglio d'Europa e alla CEDU, che, come è noto, riconosce e tutela i diritti fondamentali della persona, anche se detenuta.

Particolarmente degno di nota è il ragionamento seguito dalla Suprema Corte con riguardo al secondo motivo di gravame, con cui la difesa lamentava la violazione di legge per l'omessa valutazione del trattamento carcerario cui l'estradando sarebbe sottoposto nello Stato richiedente.

Con riguardo a tale motivo, infatti, la Suprema Corte ritiene che in una prima fase la Corte distrettuale si sia adeguata ai principi elaborati ai fini dell'accertamento della condizione ostativa ex art. 698 c.p.p. Pertanto, per valutarela sussistenza di un generale rischio di trattamento disumano o degradante nel Paese richiedente, ha utilizzato elementi oggettivi, attendibili e aggiornati in merito alle condizioni di detenzione vigenti nel Paese richiedente.

Verificata la sussistenza di tale rischio, ha poi posto in essere un'indagine, anche attraverso la richiesta di informazioni integrative per il tramite del Ministero della giustizia, per accertare se, nel caso concreto, l'interessato alla consegna sarebbe stato sottoposto ad un trattamento inumano o degradante.

Una volta ottenute tali informazioni avrebbe dovuto verificare, l'affidabilità della garanzia proveniente dallo Stato richiedente circa la conformità degli standard convenzionali previsti, ai fini del rispetto dei principi stabiliti dalla CEDU. Tuttavia, con riguardo a tali ultimi aspetti, non pare che la Corte di Appello abbia esaminato la documentazione prodotta dal ricorrente circa le recenti decisioni di condanna emesse dalla Corte EDU per violazioni connesse a trattamenti carcerari verificatesi nel territorio in cui ha sede l'istituto penitenziario di destinazione, né quella relativa alle risultanze offerte da inchieste e visite ispettive effettuate in molti centri penitenziari russi dal Comitato di prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa.

A ciò si aggiunga che, dopo l‘avvio della guerra in Ucraina, il Governo della Federazione Russa ha deciso di recedere dal Consiglio d'Europa e manifestato la propria intenzione di denunciare la CEDU, con la conseguenza che la prima, pur continuando ad essere parte contraente delle convenzioni concluse nell'ambito del Consiglio d'Europa aperte all'adesione di Stati terzi (come quella relativa all'estradizione), cesserà di essere un'Alta Parte contraente della CEDU il prossimo 16 settembre. Le disposizioni della stessa CEDU, però, erano state richiamate dallo Stato richiedente quali parametri di riferimento da rispettare per garantire l'estradando dal pericolo di torture o trattamenti inumani.

Da quanto esposto deriva che quelle evidenziate sono circostanze che da sole giustificano l'accoglimento del ricorso in cassazione, non fosse altro che per consentire alla Corte distrettuale di valutarle ai fini della decisione sull'estradizione del soggetto interessato secondo i parametri fissati a livello nazionale e sovranazionale, di cui si è detto. Del resto, l'orientamento che oggi emerge dal quadro normativo e giurisprudenziale che è stato rappresentato sembra indirizzarsi nel senso di uno stop alle estradizioni verso la Federazione Russa alla luce dei trattamenti dalla stessa riservati ai propri detenuti.

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