Le prove digitali nei procedimenti della crisi coniugale: basi normative e prassi giurisprudenziali a confronto

Camilla Filauro
28 Settembre 2022

Il sistema delle prove nei procedimenti di crisi coniugale in tempi recenti ha visto l'introduzione delle c.d. prove digitali, (quali messaggi whatsapp o sms). Svariate sono le questioni applicative legate all'introduzione in giudizio e alla valutazione del giudice di cui si è occupata la giurisprudenza sia di merito che di legittimità.
Le prove atipiche nel processo civile

Al paragrafo secondo della sezione III del titolo I capo II del codice di procedura civile il legislatore ha disciplinato l'assunzione dei mezzi di prova, dettando alcune disposizioni comuni a tutti i mezzi di prova e alcune previsioni specifiche relative a determinate prove, sia documentali che orali. In passato in dottrina si è discusso se l'elencazione dei mezzi di prova contenuta agli artt. 210 ss. c.p.c. dovesse intendersi esaustiva e se, di conseguenza, le prove civili fossero un numerus clausus, ovvero se fossero ammissibili prove atipiche, come tali non specificatamente disciplinate nel codice di rito.

In senso contrario è stato osservato che nel processo civile manca una norma di chiusura come quella contenuta all'interno dell' art. 189 c.p.p., a mente del quale quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge il giudice può assumerla se idonea all'accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona.

Diversi argomenti hanno tuttavia da tempo orientato la dottrina e la giurisprudenza (ex plurimis Cass. 1315/2017) a ritenere pienamente ammissibili le prove atipiche nel processo civile: l'assenza di una norma di chiusura nel senso dell'indicazione del numerus clausus delle prove; l'oggettiva estensibilità contenutistica del concetto di produzione documentale di cui agli artt. 210 ss. c.p.c.; il diritto alla prova e il correlativo principio del libero convincimento del giudice.

Sulla scorta di tale indirizzo, la giurisprudenza ad oggi maggioritaria riconosce la piena utilizzabilità nel processo civile di prove acquisite in un altro procedimento civile, penale o amministrativo tra le stesse o tra altre parti, senza che rilevino le diverse regole di ammissione e assunzione delle prove (cfr. Cass. 25067/2018 e 13229/2015; Trib. Milano 19 gennaio 2022, n.311).

Le prove atipiche sono soggette alle medesime regole probatorie che governano le prove tipiche, ossia la valutazione di ammissibilità e rilevanza da parte del giudice e, quanto alle concrete modalità di acquisizione della prova, seguiranno le regole proprie delle prove documentali. Una volta entrate nel processo la loro efficacia probatoria sarà equiparabile a quella delle presunzioni semplici disciplinate dagli artt. 2729 ss. c.c. o degli argomenti di prova, come tali liberamente valutabili dal Giudice ai sensi dell'art. 116 c.p.c. (App. Roma 7821/2021; Cass. 10825/16; Trib. Firenze 3 luglio 2017; Trib. Roma, 16 giugno 2016), previa congrua motivazione del loro utilizzo (Cass. 4666/2003). Resta inteso che l'assunzione di una prova atipica non potrà mai essere funzionale ad aggirare divieti o preclusioni dettati da disposizioni sostanziali o processuali (Cass. 5440/2010; Trib. Milano, 8 aprile 2013; Trib. Bari 5 luglio 2016).

Le prove atipiche nei procedimenti di famiglia

Nell'ambito dei procedimenti di famiglia è da tempo pacifico che il giudice possa porre a fondamento della decisione di merito quelle prove atipiche rappresentate dalle risultanze probatorie acquisite in altri procedimenti: si pensi all'accertamento contenuto in una sentenza penale di condanna per il delitto di maltrattamenti in famiglia o di lesioni, che ben può essere valutato da parte del Tribunale al fine di accogliere la domanda di addebito della separazione a un coniuge (Cass. 24 febbraio 2004 n. 3626).

Un'ulteriore prova atipica intorno alla quale si è sviluppato negli anni un intenso dibattito giurisprudenziale è rappresentata dalle relazioni investigative. Di frequente un coniuge al fine di provare la domanda di addebito della separazione all'altro produce in giudizio una relazione redatta da un investigatore all'uopo incaricato che riferisce in merito alle attività svolte dal coniuge sottoposto ad osservazione.

La relazione investigativa non è disciplinata dal codice di rito e, in quanto tale, rappresenta una prova atipica.

La giurisprudenza di merito ha chiarito come, non potendo le prove atipiche aggirare divieti processuali, la prova è inutilizzabile in chiave testimoniale, dovendo la testimonianza scritta rispettare le forme di cui all'art. 257-bis c.p.c., mentre potrà essere liberamente apprezzata dal giudice ove la parte interessata a utilizzare la relazione chiami a testimoniare l'investigatore privato sui fatti dallo stesso direttamente appresi in fase di osservazione (Cass. 16735/2020; Cass. 24976/2017; Trib. Milano 1 luglio 2015; Trib. Milano 8 aprile 2013). Da un punto di vista strettamente processuale, in conclusione, la relazione investigativa costituisce una dichiarazione proveniente da un terzo che, per costante orientamento giurisprudenziale, ha valore indiziario ed è liberamente valutabile dal giudice (Cass. 38805/2021).

La relazione investigativa solleva taluni inconvenienti. In primo luogo, si tratta una prova che presenta dei costi piuttosto elevati, tenuto conto del fatto che può essere redatta solo da soggetti muniti di regolare licenza. In secondo luogo, può non essere determinante al fine di dimostrare i fatti posti a fondamento della domanda, p.e. nell'ipotesi non infrequente in cui sia relativa a un periodo temporale successivo al sopraggiungere della crisi coniugale.

Per tali ragioni negli ultimi anni alla prova investigativa sono sempre più di frequente preferiti altri mezzi di prova acquisiti dalle parti a mezzo di strumenti digitali, ovverosia le prove c.d. digitali.

Le prove digitali: tipologia, fondamento normativo e rilevanza nei procedimenti di famiglia

Le prove digitali appartengono al genere delle prove atipiche in quanto non disciplinate da alcuna norma di legge: si tratta di evidenze prodotte in giudizio in formato digitale o, comunque, il cui contenuto è stato acquisito, anche se non prodotto direttamente in giudizio, a mezzo di uno strumento digitale.

Le uniche prove «digitali» contemplate nel codice civile sono il telegramma (artt. 2705 secondo comma c.c.) e le riproduzioni meccaniche (art. 2712 c.c.).

Rispetto al 1942 sono molte le evoluzioni della documentazione in formato digitale: quando oggi si parla di prove digitali si fa riferimento alle e-mail, agli sms, ai messaggi whatsapp, al contenuto dei social network e alle registrazioni audio e video. Si è posto il problema della riconducibilità di tali nuovi documenti alla disciplina del codice civile ovvero a quella contenuta in leggi speciali.

La giurisprudenza maggioritaria ha ricondotto le “nuove” prove digitali alle riproduzioni meccaniche disciplinate all'art. 2712 c.c., a norma della quale le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti e alle cose medesime.

L'introduzione di una disciplina specifica per il c.d. documento informatico, quale documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti, da principio contenuta nel d.P.R. n. 513/1997 e attualmente nel d.lgs. n. 82/2005, ha sollevato dubbi circa la perdurante opportunità di ricondurre tutte le prove digitali alla disciplina di cui all'art. 2712 c.c.

Dal 2005 la questione non è priva di risvolti pratici. Nella originaria disciplina del documento informatico di cui al d.P.R. n. 513/1997 attuativo della legge 15 marzo 1997, n. 59 era infatti previsto che il documento informatico non sottoscritto con firma digitale, a condizione che fosse munito dei requisiti di legge, avesse la stessa efficacia di cui all'art. 2712 c.c., ovverosia facesse piena prova dei fatti e delle cose in esso rappresentati ove non disconosciuto. A norma dell'attuale art. 20 comma 1-bis d.lgs. 82/2005, al contrario, l'idoneità del documento informativo non sottoscritto con firma digitale o altra firma qualificata a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili dal giudice, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di sicurezza, integrità e immodificabilità.

Solo una parte minoritaria della dottrina e della giurisprudenza (Cass. 3540/2019 e Trib. Milano 18 ottobre 2016, n. 11402 con riferimento alla e-mail) hanno ricondotto le prove digitali alla disciplina del documento informatico.

La giurisprudenza e la dottrina maggioritarie anche dopo il 2005 hanno infatti continuato a ricondurre le prove digitali nell'alveo dell'art. 2712 c.c. In dottrina è stato infatti osservato come ove si aderisse alla tesi per cui le prove digitali non sottoscritte con firma digitale sono da ricondurre al d.lgs. n. 82/2005, si attribuirebbe al messaggio whatsapp un'efficacia probatoria addirittura superiore a quella prevista dall'art. art. 20 comma 1-bis d.lgs. 82/2005per il documento informatico fornito di firma, che fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritto se colui conto il quale è prodotto ne riconosce la sottoscrizione o se non è legalmente riconosciuta.

La questione assume un rilievo peculiare nei procedimenti di famiglia, in cui le prove digitali sono sempre più spesso impiegate al fine di provare le domande relative all'addebito della separazione, alla competenza genitoriale, alla capacità economica e alla ripartizione delle spese straordinarie tra i genitori. La rilevanza delle prove digitali nei procedimenti di famiglia è dovuta, da un lato, all'enorme diffusione degli strumenti digitali quali gli smart phone e al sempre più frequente impiego dei social network e, dall'altro, alla facilità con la quale i coniugi, mediante tali strumenti, riescono ad acquisire, senza sostenere costi, informazioni rilevanti per fondare le proprie domande in giudizio.

Le tre principali questioni che le prove digitali sollevano sono legate alla loro acquisizione al processo, alla contestazione e alla valutazione da parte del giudice.

L'acquisizione al processo

Quid iuris ove un coniuge intenda produrre uno scambio di sms, di whatsapp o di e-mail con l'altro coniuge o tra l'altro coniuge e un terzo ovvero una registrazione acquisita per mezzo di uno smartphone o di un registratore? Ove la parte interessata alla produzione abbia anche la disponibilità del dispositivo elettronico sul quale è contenuta la prova potrà produrlo in giudizio. Può tuttavia capitare che la parte non abbia la disponibilità del dispositivo, p.e. perché la registrazione è stata trasmessa da un terzo, ovvero che non possa produrre il dispositivo perché andato distrutto, smarrito o per altre cause, quali ragioni di privacy. In tali ipotesi, che sono poi le più frequenti nella prassi, le parti sono solite produrre in giudizio mere trascrizioni delle conversazioni o delle registrazioni. Quale valore deve essere riconosciuto alla riproduzione del documento informatico?

La giurisprudenza di merito, sul punto pressoché costante, ha chiarito come la mera trascrizione del contenuto di una chat o di una registrazione su un file in formato word non è sufficiente ai fini della qualificazione del documento quale prova digitale, essendo meramente riproduttivo del contenuto della principale prova documentale (cfr. in tema di registrazioni audio e video Cass. pen. 49016/2017; Trib. Milano sez. lav. 5 novembre 2020 n. 1818). Con riferimento alle registrazioni audio, una recente pronuncia di merito ha chiarito che non occorre la produzione del dispositivo elettronico che costituiva il supporto materiale della conversazione, essendo sufficiente la produzione della registrazione della conversazione (App. Reggio Calabria 11 maggio 2022, n. 345:nel caso di specie – in cui un coniuge intendeva valersi di registrazioni di conversazioni tra la moglie e il presunto amante acquisite tramite il telefono cellulare del figlio lasciato nell'auto dove la donna ha chiamato l'amante, la parte aveva prodotto la registrazione e riportato le parole oggetto della conversazione all'interno della comparsa di costituzione in giudizio. La parte, peraltro, in sede di interrogatorio aveva riconosciuto la propria voce).

Con specifico riferimento alle e-mail, agli sms e ai messaggi whatsapp, in giurisprudenza è stato chiarito come, in linea di principio, sia necessario il deposito del supporto contenente la registrazione al fine di verificare l'attendibilità della prova; se il messaggio non è supportato dal dispositivo elettronico ove è contenuto, parte della giurisprudenza ha ritenuto che la prova documentale vada integrata con quella testimoniale (Trib. Milano n. 1818/2020 cit.; in quest'ultima pronuncia il Tribunale meneghino, dichiarando l'inutilizzabilità della prova, ha osservato come la parte interessata alla produzione non avesse nemmeno chiesto la prove testimoniale sul contenuto della chat), altra parte ha ritenuto sufficiente la produzione dello screenshot del display (Trib. Novara, 13 agosto 2021 n. 566) e altra ancora la copia conforme e autenticata dei messaggi a uso legale (Trib. Reggio Calabria 10/2019 per cui “whatsapp, di email, di messaggi sms hanno valore come prova informatica nel processo solamente se viene acquisito anche il supporto contenente la registrazione, essendo la trascrizione una semplice riproduzione del contenuto della principale prova documentale. (…) Poiché non è sempre possibile depositare il dispositivo originale e dato che ormai in ambito digitale non esiste più il concetto di "originale" […] è possibile valutare il deposito della copia forense del dispositivo di registrazione”). In caso di contestazione la parte interessata potrebbe inoltre chiedere che sia disposta una CTU, che, tuttavia, richiede la produzione del dispositivo su cui è contenuta la chat.

La contestazione e la valutazione

Partendo dall'assunto per cui secondo la giurisprudenza dominante le prove digitali fanno piena prova dei fatti rappresentati se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti rappresentati, secondo quanto previsto dall'art. 2712 c.c., si è posto il problema di verificare a quali condizioni il disconoscimento possa spiegare effetti ai fini della valutazione della prova da parte del giudice.

La giurisprudenza ha chiarito come il disconoscimento debba essere qualificato, ossia chiaro, specifico e circostanziato, e consistere nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta (cfr. per quanto riguarda le registrazioni audio e video Cass. 2117/2011 e 8998/2001 e 1250/2018; Trib. Roma 7 maggio 2019; per i messaggi di posta elettronica e gli sms e i messaggi whatsapp Cass. 11606/2018 e 19155/2019 in materia di spese straordinarie per i figli). Tale assunto costituisce d'altronde logico corollario del principio di non contestazione codificato all'interno dell'art. 115 c.p.c., per cui la non contestazione specifica costituisce un comportamento univocamente rilevante, con effetti vincolanti per il giudice, il quale deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale.

Cosa accade ove la parte nei confronti della quale è prodotta una prova digitale ne disconosca in modo specifico e circostanziato il contenuto, p.e. contestando di essersi trovato a una data ora in un dato luogo per essersi trovato altro? La contestazione qualificata, pur privando il documento dell'efficacia di cui all'art. 2712 c.c., non priva di per sé il giudice della possibilità di utilizzarlo ai fini della decisione.

Come chiarito a più riprese dalla giurisprudenza, le prove digitali, pur entrando in giudizio sotto forma di scritture, non sono equiparabili alla scrittura privata che, ove disconosciuta, non può essere utilizzata in mancanza di istanza di verificazione e di esito positivo della stessa; nel caso delle prove digitali, anche in caso di disconoscimento, il giudice può accertare la rispondenza all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 5141/2019). Il disconoscimento qualificato, in conclusione, fa perdere alla riproduzione meccanica la qualità di prova e la fa degradare a presunzione semplice (Cass. 12794/2021 in tema di addebito della separazione; Trib. Terni 26 maggio 2021 n. 220).

Ove la parte interessata a utilizzare una prova digitale disconosciuta da controparte voglia rafforzarne l'efficacia probatoria, nei limiti delle preclusioni processuali, potrà chiedere l'escussione di testimoni o l'ammissione di una Consulenza Tecnica di Ufficio per verificare l'autenticità del documento. Il Tribunale, naturalmente, potrà ammettere l'ulteriore prova richiesta solo ove non sia meramente esplorativa, motivo per cui la parte interessata dovrà allegare precisi elementi a sostegno della propria istanza.

Spetterà in ogni caso al Tribunale valutare liberamente il contenuto della prova ai sensi dell'art. 116 c.p.c., tenendo conto della peculiarità della materia trattata nell'ambito dei procedimenti della crisi coniugale: in particolare in tema di registrazioni audio e video chi registra sa di farlo e potrebbe non essere spontaneo e porre domande capziose all'altra parte. Il giudice dovrà poi effettuare un più attento bilanciamento degli interessi in gioco ove la prova sia prodotta ai fini della valutazione delle competenze genitoriali.

Conclusioni

Le prove atipiche, in generale, e quelle digitali, in particolare, rappresentano ormai un'importante fonte di convincimento per il giudice della famiglia, chiamato sempre più spesso a valutare l'ammissibilità e l'utilizzabilità di screenshot di messaggi whatsapp, di messaggi di posta elettronica, di registrazioni audio e video e di contenuti di social network in relazione a domande di addebito della separazione, di valutazione delle competenze genitoriali e di ripartizione di spese straordinarie tra i genitori. Le prove digitali, infatti, hanno l'indubbio vantaggio rispetto alle prove “tradizionali”, quali la prova testimoniale, di essere nella immediata disponibilità delle parti e di “catturare” momenti della vita familiare cui spesso i terzi sono estranei. La giurisprudenza dominante riconduce tali prove alla disciplina di cui all'art. 2712 c.c. riconoscendovi efficacia di piena prova ove non disconosciute. In caso di disconoscimento la prova degraderà a presunzione semplice, nondimeno il giudice potrà sempre utilizzarla in concorso con ulteriori elementi probatori acquisiti al giudizio.

Nella valutazione della prova, nondimeno, il Tribunale dovrà sempre tenere a mente la peculiarità della materia trattata e operare un attento bilanciamento dei diritti in gioco.

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