È inesistente l'impugnazione inviata all'indirizzo PEC sbagliato

04 Ottobre 2022

E' corretta la declaratoria di inammissibilità del reclamo inviato a un indirizzo PEC sbagliato, ma assegnato al medesimo ufficio?
Massima

Il difetto della riferibilità all'ufficio giudiziario della casella di posta elettronica di destinazione dell'impugnazione trasmessa a mezzo PEC (perché diversa da quella indicata dal provvedimento del 9 novembre 2020 emesso dal direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, ai sensi del comma 4 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazione dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176) determina l'inesistenza giuridica dell'atto e, di conseguenza, l'inammissibilità dell'impugnazione.

Il caso

Il Magistrato di sorveglianza ha dichiarato inammissibile il reclamo formulato dal condannato avverso l'ordinanza con la quale era stata rigettata l'istanza di liberazione anticipata. Il Magistrato, in particolare, ha rilevato che il reclamo, proposto tramite posta elettronica certificata, non era stato inviato alla corretta casella PEC, cioè all'indirizzo indicato per l'ufficio che aveva emesso il provvedimento dal Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, ma ad un diverso indirizzo e-mail, peraltro relativo al medesimo Tribunale di sorveglianza.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il difensore del condannato, denunciando la violazione dell'art. 24, comma 6-sexies, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 in quando l'inammissibilità dell'impugnazione non conseguirebbe all'invio ad un indirizzo telematico diverso da quello indicato nel decreto ministeriale, ma assegnato al medesimo ufficio, come peraltro sarebbe stato già stabilito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 5, n. 24953 del 10 maggio 2021).

La questione

È inammissibile l'impugnazione inviata ad un indirizzo PEC diverso da quello indicato per l'ufficio che aveva emesso il provvedimento impugnato dal Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, ma comunque assegnato al medesimo ufficio giudiziario?

Le soluzioni giuridiche

1. La Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.

È stato premesso che l'art. 24, comma 6-sexies, del decreto-legge n. 137 del 2020, nel testo vigente a seguito della conversione disposta dalla legge n. 176 del 2020, stabilisce che l'impugnazione proposta a mezzo PEC è altresì inammissibile:

a) quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore;

b) quando le copie informatiche per immagine degli allegati non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformità all'originale;

c) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel Registro generale degli indirizzi certificati;

d) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è intestato al difensore;

e) quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'articolo 309, comma 7, cod. proc. pen.

In tal modo, sono state previste cause di inammissibilità dell'impugnazione, ulteriori rispetto a quelle enumerate dall'art. 591 cod. proc. pen., quando essa è proposta, con l'impiego del mezzo telematico in difetto di requisiti specifici previsti dall'art. 24 del decreto-legge citato.

Il legislatore, infatti, ha individuato alcuni requisiti tecnici essenziali, richiesti ad substantiam, per assicurare, mediante l'utilizzo delle più avanzate funzionalità delle moderne tecnologie della comunicazione e dell'informazione, la provenienza dell'impugnazione, l'originalità e completezza dell'atto e il tempestivo e completo recapito all'ufficio giudiziario destinatario.

Questi requisiti tecnici - in analogia a quanto già previsto per il processo civile telematico regolato dall'art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24 e dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44 - sono posti a presidio del rispetto delle garanzie sostanziali che la normativa processuale deve garantire alla valenza dell'atto informatico di parte trasmesso mediante la posta elettronica certificata.

Il difetto della riferibilità all'ufficio giudiziario della casella di destinazione (provvedimento dirigenziale contenente l'elenco degli indirizzi elettronici degli uffici giudiziari abilitati) – al pari della mancanza o irregolarità della certificazione informatica della riferibilità dell'atto al suo autore (firma digitale), della provenienza dell'atto da detto soggetto (intestazione della casella PEC), della abilitazione del difensore (presenza nel REG.IND.E. - registro informatico degli indirizzi elettronici, della completa e integrità degli atti inviati (firma digitale degli allegati) - determina l'inesistenza giuridica dell'atto, non ponendo soltanto in dubbio l'idoneità dello stesso al raggiungimento dello scopo processuale che la legge gli affida.

Tali carenze vulnerano la stessa esistenza dell'atto creato e spedito in forme diverse da quelle stabilite dalla normativa emergenziale che introduce una deroga, da interpretarsi quindi in senso restrittivo rispetto alle ordinarie regole processuali in ragione dell'eccezionalità delle condizioni che ne hanno giustificato l'adozione, ai normali schemi formali di proposizione dell'impugnazione, sicché può affermarsi che l'impugnazione che difetti di detti specifici requisiti non viene di fatto ad esistenza.

Correlativamente, l'accertata carenza di tali requisiti essenziali di esistenza dell'atto di impugnazione può giustificare la sanzione dell'inammissibilità.

2. Il legislatore dell'emergenza, invero, ha previsto una particolare e giustificata, deroga all'ordinario regime di declaratoria dell'inammissibilità dell'impugnazione nei casi previsti dall'art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137 del 2020, attribuendola al giudice a quo.

Il legislatore, ben conscio che l'impugnazione proposta telematicamente è ricevuta dall'ufficio che ha emesso l'atto impugnato e che, mancando un repository centrale ove custodirla, la stessa è archiviata elettronicamente nei sistemi informatici dell'ufficio ricevente - tanto che è previsto l'inserimento di copia analogica (cartacea) dell'atto nel fascicolo processuale unitamente all'attestazione di cancelleria degli estremi di ricezione (art. 24, comma 5, del d.l. cit.) – ha attribuito al giudice a quo il potere di dichiararne l'inammissibilità.

Il giudice ad quem, infatti, non riceve l'atto informatico ed il messaggio di posta che lo contiene, sicché gli è di fatto impedita la possibilità di compiere le verifiche tecniche imposte dall'art. 24, comma 6-sexies, del d.l. n. 137 del 2020.

Nel caso di specie, pertanto, correttamente, il Magistrato di sorveglianza, ricevuta l'impugnazione avverso il proprio provvedimento, riscontrato il mancato rispetto di uno dei requisiti tecnici fissati dalla normativa emergenziale, ne ha dichiarato l'inammissibilità a norma dell'art. 24, comma 6-septies, d.l. n. 137 del 2020, conformemente all'indirizzo della giurisprudenza di legittimità al quale ha chiarito che “nel vigore della disciplina emergenziale pandemica da Covid-19, l'inammissibilità per mancanza di valida sottoscrizione digitale dell'atto di impugnazione, ai sensi dell'art. 24, comma 6-sexies, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in deroga alla competenza indicata all'art. 591, comma 2, cod. proc. pen., deve essere dichiarata, anche d'ufficio, dal giudice del provvedimento impugnato, ferma restando l'attribuzione al giudice ad quem del vaglio di ammissibilità quanto agli altri profili” (Cass. Sez. 4, n. 7097 del 25 gennaio 2022).

La giurisprudenza di legittimità ha, difatti, precisato che, “in tema di disciplina emergenziale per la pandemia da Covid-19, nei procedimenti cautelari è inammissibile la richiesta di riesame trasmessa ad un indirizzo di posta elettronica certificata non compreso nell'elenco allegato al provvedimento del 9 novembre 2020 del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, ai sensi del comma 4 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazione dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, seppur indicato come utilizzabile dal provvedimento organizzativo adottato dal presidente del tribunale, non potendo questo derogare alla previsione di legge” (Cass. Sez. 6, n. 46119 del 9 novembre 2021).

3. La Corte, infine, ha ritenuto non pertinente il richiamo di un precedente di legittimità (Cass. Sez. 5, n. 24953 del 10 maggio 2021), poiché tale decisione ha per oggetto la diversa questione della trasmissione dell'atto ad un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dell'ufficio giudiziario diverso da quello indicato come abilitato dal provvedimento organizzativo del capo dell'ufficio giudiziario, mentre nel caso in esame l'indirizzo non rientra affatto tra quelli riportati nell'elenco allegato al provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, contenente l'individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.

Osservazioni

1. La sentenza si segnala perché, con estrema chiarezza, ha spiegato le ragioni della previsione dell'inammissibilità dell'impugnazione inviata a mezzo PEC non rispettando i requisiti tecnici essenziali dell'atto come fissati dall'art. 24 del d.l. n. 137 del 2020, convertito in legge n. 176 del 2020.

Il difetto della riferibilità all'ufficio giudiziario della casella di destinazione (provvedimento dirigenziale contenente l'elenco degli indirizzi elettronici degli uffici giudiziari abilitati), la mancanza o l'irregolarità della certificazione informatica della riferibilità dell'atto al suo autore (firma digitale), il difetto della provenienza dell'atto dal soggetto legittimato (intestazione della casella PEC), il difetto della abilitazione del difensore (presenza nel REG.IND.E. - registro informatico degli indirizzi elettronici), il vizio della completezza e integrità degli atti allegati inviati (firma digitale degli allegati) determinano l'inesistenza giuridica dell'atto di impugnazione.

Tali vizi, infatti, non pongono soltanto in dubbio l'idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo processuale che la legge gli affida, ma vulnerano la stessa esistenza dell'atto creato e spedito in forme digitali.

I requisiti tecnici sono stati fissati dal legislatore a presidio di garanzie sostanziali, costituendo presupposti ad substantiam dell'atto, in quanto assicurano la provenienza dell'impugnazione dal soggetto legittimato, l'originalità e la completezza dell'impugnazione e dei suoi allegati, il tempestivo e completo recapito all'ufficio giudiziario destinatario.

L'attribuzione del potere di dichiarare l'inammissibilità dell'impugnazione al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato e che riceve il gravame proposto con mezzi telematici è stata ritenuta pienamente giustificata.

L'impugnazione proposta telematicamente è ricevuta dall'ufficio che ha emesso l'atto impugnato. In mancanza dell'istituzione nel processo penale del fascicolo informatico, “mancando un repository centrale” ove custodire l'atto, lo stesso è archiviata elettronicamente nei sistemi informatici dell'ufficio ricevente, tenuto a realizzare una copia analogica (cartacea) dell'atto per garantire la continuità del fascicolo processuale.

Il giudice ad quem, pertanto, non ricevendo l'atto informatico ed il messaggio di posta che lo contiene, non potrebbe compiere le verifiche tecniche imposte dall'art. 24, comma 6-sexies, del d.l. n. 137 del 2020 per le ragioni sostanziali dapprima descritte.

2. Nella sentenza impugnata è stato ritenuto non pertinente il richiamo di un precedente della stessa Corte di cassazione (Cass. Sez. 5, n. 24953 del 10 maggio 2021). La sentenza richiamata nel ricorso è stata così massimata: “In tema di disciplina pandemica da Covid-19, nei procedimenti cautelari, non costituisce causa di inammissibilità dell'impugnazione la sua trasmissione ad un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dell'ufficio giudiziario diverso da quello indicato come abilitato dal provvedimento organizzativo del presidente del tribunale, ma compreso nell'elenco allegato al provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, contenente l'individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in quanto tale sanzione processuale è prevista dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. e), d.l. cit. esclusivamente in caso di utilizzo di indirizzi PEC di destinazione non ricompresi neppure nell'allegato del citato provvedimento direttoriale”.

In tale caso, dunque, l'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dell'ufficio giudiziario che ha ricevuto l'atto di impugnazione era diverso da quello indicato come abilitato dal provvedimento organizzativo del presidente del tribunale, ma comunque era compreso nell'elenco allegato al provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, contenente l'individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137. La Corte di cassazione, nella sentenza indicata, ha ritenuto che “il legislatore avrebbe potuto prevedere tale potere integrativo o avrebbe potuto indicare come causa di inammissibilità il far ricorso agli indirizzi contenuti nel provvedimento direttoriale DGSIA, dando indicazioni per distinguerli quanto meno per le istanze in materia cautelare; ma così non è stato” (così, Cass. Sez. 5, n. 24953 del 10 maggio 2021).

In mancanza della espressa previsione della sanzione da parte della legge, la Corte ha escluso che l'inosservanza di un provvedimento del capo dell'ufficio giudiziario, che nella specie pare abbia diviso gli indirizzi di posta elettronica in base alla tipologia di atti ricevibili, potesse determinare l'inammissibilità dell'impugnazione. “Se, pertanto, i dirigenti degli uffici giudiziari ritengono di individuare, tra quelli loro assegnati dal provvedimento del Direttore DGSIA, degli indirizzi "dedicati" da destinare alla ricezione di talune categorie di atti — possibilità legittima, non vietata dal punto di vista normativo — tali disposizioni assumono valenza solo organizzativa interna, benché resa pubblica con modalità di comunicazione esterne da parte degli uffici, e non possono assurgere a disciplina integrativa di quella di legge in materia di deposito delle impugnazioni con valore legale, né tantomeno essere causa di inammissibilità” (così, Cass. Sez. 5, n. 24953 del 10 maggio 2021).