Se il giudice non si pronuncia sulla misura di sicurezza, il P.M. a chi deve impugnare?
17 Ottobre 2022
La sentenza di condanna emessa a seguito di giudizio abbreviato che in materia di stupefacenti abbia omesso di statuire in ordine alla misura di sicurezza dell'espulsione non è appellabile dal pubblico ministero, ma impugnabile con ricorso per cassazione. Qualora la Suprema Corte annulli la sentenza di prime cure che all'esito del giudizio abbreviato nulla disponga sulla suddetta misura di sicurezza dell'espulsione, gli atti verranno trasmessi allo stesso Tribunale (sia pure ad un giudice diverso di quella che ha pronunciato e scritto la cassata sentenza in parte qua) e non alla Corte di Appello.
La fattispecie concreta. Questi i due principi di diritto enucleati dalle Sezioni Unite chiamate a pronunciarsi da un ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di Appello di Torino lamentando, quale unico motivo di impugnazione che il GIP presso il tribunale torinese, nel condannare un imputato straniero per spaccio lieve entità di droghe leggere (in due occasioni avrebbe ceduto sostanza stupefacente, nel primo caso di tipo hashish e nel secondo marijuana) abbia omesso di disporre a carico dell'accusato la misura di sicurezza obbligatoria dell'espulsione dal territorio dello Stato, prevista dall'art. 86, comma 1, del d.p.r. n. 309/1990. E ciò nonostante nel corpus motivazionale abbia espresso un giudizio di pericolosità dell'imputato in ordine all'abitualità dello spaccio, all'esistenza di precedenti specifici e di elementi personologici a suo favore.
A quale giudice rivolgersi? L'orientamento prevalente. In questi casi ci si chiede quale sia il mezzo di impugnazione e il giudice a cui il gravame va rivolto: appello o ricorso in cassazione? Per l'orientamento maggioritario è esperibile il ricorso per cassazione – stante la portata derogatoria dell'art. 443, comma 3, c.p.p. (che non consente al pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di condanna, salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo del reato), rispetto alle disposizioni che prevedono la competenza del tribunale di sorveglianza in ordine all'appello riguardante le misure di sicurezza diverse dall'appello – aggiungendo che il tribunale in sede di rinvio debba essere lo stesso che ha pronunciato il provvedimento impugnato (pur se il giudice deve essere diverso da quello che lo ha emesso), proprio a causa dell'inappellabilità della sentenza di condanna emessa in sede di abbreviato.
La posizione minoritaria. La terza sezione di legittimità che ha rimesso, con ordinanza n. 4332/2021, la questione alle Sezioni Unite, rileva però l'esistenza di altra posizione di legittimità assunta sul punto da qualche recente arresto secondo la quale, escludendo la portata derogatoria dell'art. 443, comma 3, c.p.p. (essendo norma eccezionale e di stretta interpretazione), e per effetto del combinato disposto degli artt. 579, comma 2, e 680, comma 2, c.p.p., ritiene che la cognizione delle impugnazioni delle sole disposizioni contenute nella sentenza gravata riguardanti l'applicazione di misure di sicurezza è devoluta al Tribunale di sorveglianza; per cui l'eventuale ricorso per cassazione va riqualificato come appello dinanzi ai giudici di sorveglianza. Tale indirizzo interpretativo avrebbe trovato un avallo sistemico dalla soluzione adottata dalle Sezioni Unite Gialluisi (Cass. pen., n. 3423/2021) laddove ha evidenziato l'autonomia delle vicende processuali correlate alle impugnazioni sulle misure di sicurezza disposte con sentenza di condanna irrevocabile sull'accertamento del reato e alla determinazione della relativa pena.
La posizione delle Sezioni Unite. Il Supremo Collegio ritiene di aderire all'orientamento maggioritario. Muovendo dall'esegesi dell'art. 443, comma 3, c.p.p., i giudici del massimo consesso ricordano che la giurisprudenza è orientata ad una interpretazione notevolmente ampia del concetto di “mutamento del titolo del reato” ammettendo ad esempio l'appello del pubblico ministero qualora la sentenza di condanna, contraddicendo una contestazione di concorso formale di reati, stabilisca l'assorbimento della fattispecie meno grave in quello più grave; oppure che riqualifichi in eccesso colposo di legittima difesa l'originaria contestazione di omicidio preterintenzionale; senza che sia in generale necessario che l'appello della parte pubblica sia finalizzato al ripristino dell'originaria imputazione, essendo ammissibili motivi subordinati al mancato accoglimento del motivo principale.
L'intenzione del legislatore: accelerare tempi di definizione del giudizio abbreviato. Passando ad esaminare la relazione preliminare al c.p.p., gli ermellini ricordano come anche nell'intenzione del legislatore l'art. 443 comma 3 c.p.p. assume un ruolo centrale all'interno dell'obiettivo generale di imprimere cadenze acceleratorie al giudizio speciale, sia in primo grado che in sede di impugnazione, onde addivenire celermente alla celebrazione del processo.
L'interpretazione letterale: la sentenza si riferisce a tutte le statuizioni, penali e non. Pure l'esegesi letterale della disposizione del rito penale è univoca nel riferire la preclusione della proponibilità dell'appello alle “sentenze” di condanna, escludendo che si possa circoscrivere la proponibilità del gravame ai soli capi penali della sentenza. Rimane il fondamentale canone ermeneutico in claris non fit interpretatio, il quale prescrive di attenersi, ove a lettera della legge non sia oscura, a una interpretazione fedele al tenore testuale della norma. Pertanto, il termine sentenze fa riferimento al complesso delle statuizioni contenute nel provvedimento giurisdizionale.
Il versante logico-sistematico. Le Sezioni Unite respingono anche l'argomento sistemico che, secondo la posizione minoritaria di legittimità, consentirebbe di appellare le sentenze di condanna nella parte relative alle misure di sicurezza. Infatti, la sentenza Gialluisi (Cass. pen. n. 3423/2021) ha affermato la diversità e l'autonomia delle statuizioni in materia di pena e di quelle relative alle misure di sicurezza sul diverso tema del giudicato progressivo e non ha nulla a che fare con l'assoggettabilità delle statuizioni inerenti alle misure di sicurezza, in materia di giudizio abbreviato, a un regime impugnatorio diverso da quello dei capi penali della sentenza.
Non rileva la competenza funzionale del tribunale di sorveglianza. Il Supremo Collegio ritiene infine che argomenti a sostegno della tesi favorevole all'ammissibilità dell'appello di fronte al tribunale di sorveglianza non può trarsi dalla competenza funzionale in materia di sicurezza. Invero, occorre distinguere tra il momento in cui il giudice dispone la misura personale da quello in cui essa ha la sua concreta esecuzione. È solo quest'ultima fase quella che gli artt. 679 e 680 c.p.p. affidano in via esclusiva le relative determinazioni alla magistratura di sorveglianza. Ma anche a voler circoscrivere tale competenza funzionale al giudizio di impugnazione, l'opzione ermeneutica collide con l'art. 579 comma 1 c.p.p. che consente l'appello contro tutte le sentenze per ciò che concerne le misure di sicurezza se l'impugnazione viene proposta anche per un altro capo della sentenza che non riguardi esclusivamente gli interessi civili (riprendendo in questi casi vigore la regola generale che attribuisce la competenza al giudice della cognizione).
Il giudice di rinvio è lo stesso Tribunale (e non la Corte d'Appello). Una volta statuito il primo principio di diritto – se il Pubblico ministero vuole impugnare la statuizione della sentenza di condanna solo con riferimento alla misura di sicurezza non può proporre appello ma ricorso per cassazione – si poneva un secondo problema di quale fosse in giudice del rinvio (in quanto la valutazione della pericolosità ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza attiene al merito).
Per le Sezioni Unite, non essendo il pubblico ministero abilitato ad appellare la sentenza pronunciata in sede di rito abbreviato, se non nei casi espressamente previsti dall'art. 443, comma 3, c.p.p., il ricorso per cassazione dal medesimo proposto avverso la predetta decisone che abbia omesso di statuire sulla misura di sicurezza dell'espulsione non può essere considerato ricorso per saltum (e quindi il giudice del rinvio non può essere quello competente per l'appello). Ne deriva che il giudice del rinvio è lo stesso organo che ha omesso il provvedimento impugnato.
*Fonte: DirittoeGiustizia |