ImputabilitàFonte: Cod. Pen Articolo 85
20 Luglio 2015
Inquadramento
L'imputabilità (capo I, Titolo IV del Libro I del codice penale; artt. 85-98 c.p) rappresenta un elemento costitutivo della colpevolezza e, segnatamente, il presupposto di essa. Esso individua le condizioni soggettive essenziali perché il fatto di reato possa essere attribuito (imputato, per l'appunto) al soggetto agente. Il codice penale identifica l'imputabilità con la capacità di intendere e volere dell'autore al momento del fatto. Tuttavia, non si tratta di un rapporto strettamente biunivoco in quanto, se da un lato, è certamente vero che un soggetto capace di intendere e volere al momento del fatto è anche imputabile, dall'altro lato, non è altrettanto vero che una persona incapace di intendere e volere (intesa in senso naturalistico) sia sempre e comunque non imputabile (si pensi a chi commetta un reato in stato di piena ubriachezza, non dovuto a caso fortuito o forza maggiore). La formula “capacità di intendere e volere” non rappresenta un'endiadi, intercorrendo una profonda differenza tra le due attitudini: la “capacità di intendere” rappresenta l'idoneità del soggetto a rendersi conto del valore delle proprie azioni, ad “orientarsi nel mondo esterno secondo una concezione non distorta della realtà”, e quindi si identifica nella capacità di rendersi conto del significato del proprio comportamento e valutarne conseguenze e ripercussioni, ovvero di proporsi “una corretta rappresentazione del mondo esterno e della propria condotta” (Cass. pen., Sez. I, n. 13202/1990); la “capacità di volere” consiste, invece, nella idoneità del soggetto medesimo “ad autodeterminarsi, in relazione ai normali impulsi che ne motivano l'azione in modo coerente ai valori di cui è portatore”, “nel potere di controllare gli impulsi ad agire e di determinarsi secondo il motivo che appare più ragionevole o preferibile in base ad una concezione di valore”, nella attitudine a gestire “una efficiente regolamentazione della propria, libera autodeterminazione” (Cass. pen., Sez. I, n. 3202/1990,). In assenza di imputabilità nessuna pena può essere irrogata all'autore del fatto (art. 85 c.p.). L'art. 88 c.p. individua la prima causa di esclusione dell'imputabilità, ovvero quella della totale infermità di mente dell'autore del reato. Si tratta di una causa di esclusione della colpevolezza di natura soggettiva (art. 70, comma 1, n. 2, c.p.) che esime da pena il soggetto a cui la stessa si riferisce, lasciando impregiudicata la punibilità dei concorrenti nel medesimo reato (art. 119, comma 1, c.p.), compresa l'applicazione delle aggravanti previste in caso di concorso di persone (art. 112, comma 4, c.p.). L'art. 89 c.p., disciplina, invece, il vizio parziale di mente, cioè quell'infermità mentale che, sebbene non escluda la capacità di intendere e volere del soggetto (e quindi la sua imputabilità), sia tuttavia idonea a scemarla grandemente. Tale vizio, dunque, non può essere annoverato tra le cause di esclusione della imputabilità, poiché per espressa previsione normativa l'autore “risponde del reato commesso” (art. 89 c.p.), bensì tra le circostanze attenuanti comuni di natura soggettiva “inerenti alla persona del colpevole”, come inequivocabilmente stabilito dall'art. 70, comma 2, c.p. La qualificazione del vizio parziale di mente alla stregua di una circostanza attenuante comune, fa si che la stessa possa essere oggetto di c.d. bilanciamento (art. 69 c.p.), laddove concorra con altre circostanze eterogenee (Cass. pen., Sez. I, 27 ottobre 2010, n. 40812). Il vizio parziale di mente è compatibile col dolo, anche nelle sue forme più intense (Cass. pen., Sez. III, 7 aprile 2005, n. 19248); per la compatibilità tra il vizio parziale di mente e il dolo eventuale si veda in particolare: Cass. pen., Sez. V, 19 settembre 2014, n. 14548.
Gli stati emotivi e passionali, invece, non escludono, né attenuano l'imputabilità, sebbene possano influire, dal punto di vista naturalistico, sulla capacità di intendere e volere del soggetto (art. 90 c.p.). Ciò non significa, tuttavia, che l'ordinamento ne sancisca una totale irrilevanza ai fini penalistici, ciò in quanto essi rileveranno:
La regola generale posta dal codice penale è quella della generale irrilevanza dello stato di alterazione o incapacità dovuta ad assunzione di alcool o sostanze stupefacenti ai fini dell'imputabilità e, perciò, della punibilità dell'agente (artt. 92, comma 2, e 93 c.p.). Tuttavia, è esclusa la punibilità del fatto qualora il reato sia commesso da soggetto che versi in stato di “piena ubriachezza”, tale cioè da escludere la capacità di intendere e volere, quando essa sia dovuta a caso fortuito o forza maggiore (art. 91, comma 1, c.p.); qualora, invece, la ubriachezza, pur se dovuta a caso fortuito o forza maggiore, non sia “piena” ma sia tale da “scemare grandemente” la capacità di intendere e volere del soggetto agente, la punibilità di questi non è esclusa ma la pena è diminuita. La giurisprudenza di legittimità ha opportunamente chiarito che lo stato di ubriachezza accidentale di cui all'art. 91 c.p. ricorre solo quando esso sia involontario nella causa, con l'esclusione di ogni partecipazione dolosa o colposa della volontà dell'agente (Cass. pen., Sez. VI, 17 luglio 2012, n. 35543).
Per quanto attiene, poi, alla cronica intossicazione da alcool o sostanze stupefacenti, il codice (art. 95 c.p.) prevede l'applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 88 e 89 c.p. Per la giurisprudenza consolidata, affinché si possa ritenere esclusa o diminuita l'imputabilità dell'agente, l'intossicazione deve essere caratterizzata dalla permanenza e dall'irreversibilità e, cioè, da condizioni psichiche che permangono indipendentemente dal rinnovarsi dell'assunzione o meno di alcool o sostanze stupefacenti (Cass. pen., Sez. II, 15 ottobre 2013, n. 44337). Inoltre, la recente giurisprudenza ha chiarito che il richiamo effettuato dall'art. 95 c.p. alle norme che regolano la (totale o parziale) incapacità di intendere e volere per infermità di mente comporta che l'intossicazione “può influire sulla capacità di intendere e di volere soltanto qualora, per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilità di guarigione, provochi alterazioni psicologiche permanenti configurabili quale vera e propria malattia, dovendo escludersi dal vizio di mente di cui agli artt. 88 e 89 c.p. anomalie non conseguenti ad uno stato patologico” (Cass. pen., Sez. VI, 24 ottobre 2013, n. 47078). Il sordomutismo
L'art. 96 c.p. prevede una disciplina specifica dell'imputabilità in caso di soggetto affetto da sordomutismo, prevedendo una regolamentazione del tutto simile a quella previsto per l'infermo di mente. Il codice, infatti, distingue l'ipotesi di fatto commesso da sordomuto totalmente privo, a causa di tale infermità, della capacità di intendere e volere al momento del fatto, da quella di reato consumato da soggetto dotato di tale capacità, sebbene grandemente scemata: nel primo caso, in assenza della necessaria imputabilità, è esclusa la punibilità del soggetto; nel secondo, è semplicemente diminuita la pena. La Suprema Corte ha opportunamente chiarito che il codice non ravvisa nel sordomutismo uno stato necessariamente psicopatologico, costituendo altrimenti l'art. 96 c.p. un inutile duplicato degli artt. 88 e 89 c.p., ma richiede che nel sordomuto tanto la capacità quanto l'incapacità formino oggetto di un necessario e specifico accertamento, da compiersi, cioè, caso per caso. Infatti, il sordomutismo non costituisce una vera e propria malattia della mente, valendo soltanto eventualmente ad impedire o ad ostacolare lo stato di sviluppo della psiche e, dunque, la maturità psichica dell'agente (Cass. pen., Sez. VI, 3 luglio 1996, n. 8817, principio recentemente ribadito da Cass. pen., Sez. VI, 4 dicembre 2013, n. 49369).
Il codice penale ricollega la sussistenza o meno dell'imputabilità anche all'età del soggetto agente, prevedendo:
Aspetti processuali
Proscioglimento per difetto di imputabilità In caso di difetto di imputabilità il soggetto agente deve essere prosciolto:
Perizia La perizia rappresenta lo strumento principale per l'accertamento della sussistenza della capacità di intendere e volere del soggetto al momento del fatto. Ciò è desumibile anche dalla lettura dell'art. 220 c.p.p. che – sebbene escluda in generale la possibilità per il giudice di ricorrere a perizia “per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche” fa eccezione per quelle “dipendenti da cause patologiche”; inoltre, ammette esplicitamente la perizia per l'accertamento di tali aspetti “ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza”. Come già detto, sebbene opportuno, non è tuttavia necessario l'esperimento di apposita perizia, in quanto l'accertamento delle predette capacità non è vincolato a particolari accertamenti tecnico-specialistici, essendo invece affidato alla diretta valutazione del giudice, con ogni mezzo a sua disposizione e con riferimento al caso concreto; proprio per tale motivo, il giudice ben può discostarsi dagli esiti della perizia, nel caso in cui ne sia stata disposta una (Cass. pen., Sez. II, 11 ottobre 2013, n. 43923). La perizia è poi espressamente per accertare l'effettiva età dell'autore in caso di incertezza su di essa (art. 8, d.P.R. 448/1988).
Misure di sicurezza personali In caso di accertata incapacità di intendere e volere al momento del fatto, totale o parziale, è possibile – ove ricorra il requisito essenziale della pericolosità sociale dell'autore del fatto – l'applicazione di una misura di sicurezza personale. La pericolosità sociale dell'autore (art. 203 c.p.) deve essere concreta – ovvero effettivamente sussistente in relazione allo specifico fatto di reato (o quasi reato ex artt. 49 e 115 c.p.) che legittima la sottoposizione del soggetto a misura di sicurezza – ed attuale –persistente cioè al momento dell'applicazione ed esecuzione della misura stessa – così come richiesto dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 27 luglio 1982, n. 139). Le misure di sicurezza tipiche dei soggetti connotati da cause di esclusione o attenuazione della imputabilità sono:
In particolare, le misure di sicurezza possono essere applicate in via definitiva, con sentenza di condanna o proscioglimento (art. 205 c.p.), ai seguenti soggetti:
In base all'art. 206 c.p., così come interpolato dalle sentenze Corte cost. 29 novembre 2004, n. 367 e Corte cost. 24 luglio 1998, n. 324, e all'art. 312 c.p. possono essere applicate misure di sicurezza personali, anche in via provvisoria, all'imputato incapace di intendere e volere, se connotato da attuale pericolosità sociale. In ordine alla applicazione di misure di sicurezza detentive e, segnatamente, quelle proprie dell'autore non punibile psichiatrico e pericoloso (ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e in casa di cura e custodia) devono evidenziarsi importanti novità introdotte con alcune recenti riforme. Anzitutto, con la l. 9/2012 (conv. del d.l. 211/2011, art. 3-ter) si sanciva il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, come luogo di esecuzione delle misure detentive per i soggetti assolti per vizio totale di mente: in luogo degli ospedali psichiatrici sono state previste le c.d. R.E.M.S. (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza). Inoltre con l. 81/2014 (conv. del d.l. 52/2014) è stata innovata profondamente la disciplina delle misure di sicurezza psichiatriche, mediante introduzione –insieme a nuovi criteri per l'accertamento della pericolosità sociale – di principi garantisti, propri dell'applicazione della sanzione penale, tra i quali spiccano:
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