Filtro nel giudizio di cassazione

Fabrizio Amendola
30 Marzo 2016

Negli anni '90 la Cassazione civile pronunciava all'incirca 10.000 sentenze all'anno. In una risoluzione espressa dal Consiglio Superiore della Magistratura si stimava tale dato numerico come un «non senso» rispetto alla funzione di nomofilachia esercitata dalla Corte e si parlava di «soffocamento quantitativo» e «svuotamento qualitativo». Già all'epoca autorevole dottrina giudicava quelle 10.000 sentenze come un «dato allarmante». In questi ultimi anni le sentenze civili pronunciate dalla Corte sono in media 30.000. Con una sopravvenienza annua di più o meno 30.000 processi l'arretrato è costante e si attesta ormai oltre le 100.000 cause.

Le ragioni di un «filtro» d'accesso alla corte di cassazione

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Negli anni '90 la Cassazione civile pronunciava all'incirca 10.000 sentenze all'anno. In una risoluzione espressa dal Consiglio Superiore della Magistratura sulla «bozza Brancaccio-Sgroi di provvedimenti urgenti sul giudizio di cassazione» (in Foro it., 1990, V, 263 e ss.) si stimava tale dato numerico come un «non senso» rispetto alla funzione di nomofilachia esercitata dalla Corte e si parlava di «soffocamento quantitativo» e «svuotamento qualitativo». Già all'epoca autorevole dottrina giudicava quelle 10.000 sentenze come un «dato allarmante».

In questi ultimi anni le sentenze civili pronunciate dalla Corte sono in media 30.000. Con una sopravvenienza annua di più o meno 30.000 processi l'arretrato è costante e si attesta ormai oltre le 100.000 cause.

Se in documenti ufficiali si legge - e autorevoli studiosi del processo confermano - che per una Corte di legittimità pronunciare 10.000 sentenze all'anno è un «non senso» ne deriva che, essendo le sentenze triplicate, è lecito dubitare che la Corte Suprema sia posta in grado di assolvere all'alto magistero della nomofilachia. Constatato che essa rappresenta un unicum privo di riscontri nel panorama europeo, è diffusa l'opinione che si sia trasformata in un giudice di terza istanza del caso singolo, divenuto da luogo di persuasione per il futuro, luogo di incertezze e disorientamento per gli operatori, con conseguenze sulla effettività della tutela dei diritti dei cittadini.

Il problema ultradecennale è stato affrontato dal legislatore ordinario con periodici e reiterati interventi riformatori sul processo di cassazione, ma nessuno di essi sembra aver prodotto gli effetti auspicati. Anche perché resta fermo il principio costituzionale dettato dall'art. 111, comma 7, Cost.per il quale contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge. Pertanto ogni «filtro» preventivo che sia davvero tale, e cioè limiti realmente alla fonte il numero dei processi che giunge alla Corte, solleva inevitabilmente seri dubbi di compatibilità costituzionale.

Dal d.lgs. n. 40/2006, passando per la l. n. 69/2009 , sino a giungere alla più recente l. n. 134/2012, il legislatore - raccogliendo sollecitazioni provenienti dalla stessa Corte - ha inteso rafforzare la funzione nomofilattica della Cassazione di assicurare l'osservanza e l'uniforme interpretazione della legge da parte dell'organo di vertice di ogni giurisdizione, con priorità rispetto alle esigenze dello ius litigatoris.

Ha così conformato il processo civile di cassazione a quella che è stata definita una «forma debole» dello stare decisis. Nel nostro ordinamento una regola che imponga il vincolo del precedente, come nei sistemi di common law, è preclusa dall'art. 101 Cost. secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge, per cui non può esservi una gerarchia delle pronunce. Tuttavia vi è un altro principio che pure ha rilievo costituzionale: quello della certezza del diritto quale proiezione del principio di eguaglianza. Una accentuata mutevolezza dei principi di diritto e della loro applicazione pratica sarebbe sì formalmente rispettosa dell'art. 101 Cost. ma genera sofferenza nel principio di eguaglianza, il quale mal si concilia con l'evenienza che fattispecie analoghe siano decise in termini diversi.

In tale prospettiva le Sezioni unite civili (sent., 31 luglio 2012, n. 13620) hanno avuto modo di affermare che lo stare decisis «costituisce un valore o, comunque, una direttiva di tendenza immanente all'ordinamento, in base alla quale non ci si può discostare da una interpretazione del giudice di legittimità … senza delle forti ed apprezzabili ragioni giustificative»; dunque «una diversa interpretazione giurisprudenziale di una norma di legge rispetto a quella precedentemente affermatasi non ha ragion d'essere allorché entrambi siano compatibili con la lettera della legge, essendo da preferire l'interpretazione sulla cui base si è formata una certa stabilità di applicazione». Non può – conclude la Corte – «l'utente del servizio giustizia essere esposto al rischio di frequenti modifiche degli indirizzi giurisprudenziali con evidenti gravi ripercussioni sulle effettiva tutela dei propri diritti pure garantita dall'art. 24 della Costituzione».

L'art. 360-bis c.p.c.

Nell'alveo del processo riformatore la

l.

18 giugno 2009, n. 69, art. 47

,

ha introdotto nuove modifiche nella disciplina del ricorso per cassazione, modifiche destinate a valere per l'impugnazione dei provvedimenti pubblicati a partire dal 4 luglio 2009 data d'entrata in vigore della legge (v. art. 58, lett. b). Ne è risultata abrogata la disciplina del filtro al ricorso per cassazione, introdotta dal

d.lgs.

n. 40/

2006

, incentrata sull'onere del ricorrente di concludere i motivi di ricorso, a pena di inammissibilità, mediante la formulazione di un apposito quesito (

ex

art. 366-

bis

c.p.c.

). Vi è stata sostituita una disciplina di filtro al giudizio di legittimità, affidata alla disposizione, dettata da un art. 360-bis c.p.c., rubricato «inammissibilità del ricorso», che, collocato di seguito all'art. 360, descrive le condizioni di rilevanza delle critiche consegnate ai motivi di ricorso.

L'

art. 360

-bis

c.p.c.

così stabilisce: «Il ricorso è inammissibile:

1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della cassazione e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa;

2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo».

La disciplina è completata da una serie di disposizioni, che riformulano le precedenti, relative all'organizzazione del procedimento preordinato all'applicazione del filtro (i novellati

artt. 375,

376

e

380

-bis

c.p.c.

).

Il canone di selezione per l'accesso al giudizio di legittimità, così costruito dalla l. n. 69/2009, non diversamente dal filtro a quesito contestualmente abrogato, nella prima interpretazione offerta all'

art. 360

-bis

c.p.c.

dalle Sezioni unite (

Cass. civ.,

ord. 6 settembre 2010, n. 19051

)

rappresenta il risultato di una opinione largamente condivisa: «doversi attuare, in nome del principio di effettività della tutela giurisdizionale, un adeguato bilanciamento tra diritto delle parti al ricorso per cassazione per violazione di legge, affermato dall'

art. 111 Cost.

, e concreta possibilità di esercizio della funzione di giudice di legittimità, garanzia a sua volta del principio di eguaglianza del cittadino di fronte alla legge (

art. 3 Cost.

). Adeguato bilanciamento conseguibile solo con un impiego economico della risorsa di questa articolazione della giurisdizione, che per ragioni intrinseche alla funzione richiede d'essere esercitata da un numero di giudici tale da consentire e non impedire la formazione di indirizzi interpretativi dotati, oltre che di persuasività, di tendenziale stabilità. Adeguato bilanciamento che impone il ricorso a tecniche di esame, di decisione e di motivazione proporzionate alla novità e difficoltà delle questioni di diritto prospettate dai litiganti».

L'inammissibilità per conformità della decisione impugnata alla giurisprudenza della corte

Il n. 1 dell'

art. 360-bis c.p.c.

preclude il ricorso quando «il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della cassazione e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa».

Esso evoca l'idea che la giurisprudenza di legittimità confina con le fonti del diritto, quale formante dell'esperienza giuridica; tale giurisprudenza, una volta che si afferma nell'interpretazione di una norma - che è anche definizione del suo effettivo contenuto - dovrebbe costituire un indirizzo stabile per chi tale norma è chiamato ad applicare, dai cittadini ai giudici. Sicché l'esegesi non dovrebbe cambiare sino a quando il dialogo ed il confronto consapevole con la giurisprudenza di merito, la dottrina e le parti non offrano elementi che impongano il mutamento dell'orientamento medesimo.

Il primo problema che si è posto è se, nel caso in cui il ricorso per cassazione non offra elementi tali da riaprire la questione di diritto, la formula terminativa della pronunzia della Corte abbia il valore di una decisione di «inammissibilità», così come previsto dalla lettera della legge.

Gran parte della dottrina si è subito pronunciata nel senso di palesare la contraddittorietà di una declaratoria di inammissibilità sulla base di valutazioni di merito, inquadrando dunque la pronuncia

ex

art. 360

-bis

n. 1 c.p.c.

in una fattispecie di manifesta infondatezza, rendendola così omogenea a quella resa

ex

art. 360, n. 2, c.p.c.

.

In tal senso si sono orientate le Sezioni unite civili, nella pronuncia già citata (n. 19051/2010), parendo che «non sopporti di essere qualificato come di inammissibilità il risultato del giudizio, se verta su un oggetto, di cui la prima componente, in funzione dell'accertamento di un vizio di violazione di norma di diritto, sia la relazione di conformità o difformità tra interpretazione accolta dal giudice di merito a proposito delle norme applicate ed interpretazione delle stesse, quale risulta dalla giurisprudenza di legittimità».

Secondo la Suprema Corte questo giudizio non può essere formulato altrimenti che avendo riguardo allo stato della giurisprudenza al momento della decisione sui ricorso, non al momento della decisione di merito né a quello in cui il ricorso è proposto. Sicché, constatato che alla stregua della propria attuale giurisprudenza la decisione impugnata presenta il vizio di violazione di norma di diritto assunta a motivo di ricorso, la Corte non può che arrestarsi a questo momento del processo logico della decisione, dichiarare esistente il vizio e accogliere il ricorso. Invero, acquisito al giudizio questo dato, cessa di essere rilevante se il ricorso contenesse o no argomenti utili per il mutamento di giurisprudenza, perché la circostanza, che tali elementi manchino nel contesto dell'argomentazione svolta dal ricorrente a sostegno del motivo, è destinata ad assumere rilievo solo nel diverso quadro di un persistente parallelismo tra decisione di merito ed orientamento della giurisprudenza di legittimità.

Concludono le Sezioni Unite che, ove dal raffronto tra decisione di merito e stato della giurisprudenza della Corte al momento della decisione emerga invece la corrispondenza tra l'una e l'altro e l'argomentazione a sostegno della censura di vizio di violazione di norme di diritto non offra spunti per rimettere in discussione l'interpretazione ancora seguita, il ricorso non potrà essere dichiarato inammissibile, ma dovrà essere rigettato e rigettato perché si sarà rivelato manifestamente infondato.

Nonostante l'assunto sia stato ribadito (

Cass. civ.,

SS.UU.,

19 aprile 2011, n. 8923

;

Cass. civ.,

SS.UU., 16 aprile 2012, n. 5941

), all'interno della stessa Corte si registrano resistenze (ad esempio v.

Cass. civ.,

sez. VI, 27 gennaio 2011, n. 2018

, non massimata).

In particolare, da ultimo,

Cass. civ.,

sez. V, 18 novembre 2015, n. 23586

, ha osservato che l'attuale disciplina dell'

art. 360

-bis

c.p.c.

, mantenendosi nel solco del filtro di accesso alla corte, indica una vera e propria ragione di inammissibilità, «dal momento che il rigetto suppone una valutazione di pieno merito, e dal momento che non può esistere, invece, un filtro di merito», mentre «la categoria generale richiamata nella rubrica dell'art. 360-bis c.p.c. evoca un presupposto processuale (l'inammissibilità), a petto della valutazione del quale interessa l'argomentazione del ricorrente rispetto alla situazione presa a parametro».

Da ultimo nella pronuncia si considera che la corretta formula definitoria del giudizio è «questione solo formale», evidenziata dal collegio per un'esigenza di rigore concettuale, non incidendo sull'esito sostanziale del giudizio rispetto alla parte che ha ragione, per cui si è ritenuto di poter decidere il ricorso nel senso della declaratoria di inammissibilità senza per questo dover previamente rimettere la questione alle sezioni unite.

In realtà occorre evidenziare che la questione non è solo nominalistica, atteso che l'impugnazione principale dichiarata inammissibile potrebbe recare pregiudizio al ricorrente incidentale tardivo, per cui non è chiaro se la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, perché manifestamente infondato ai sensi dell'

art. 360

-bis

c.p.c.

secondo le pronunce delle Sezioni Unite, renda inammissibile anche l'impugnazione incidentale.

Ciò premesso, altro aspetto di indiscusso rilievo è quello di decifrare quando vi sia un orientamento della Corte che possa fungere da parametro e quando la sentenza impugnata abbia deciso in modo conforme ad esso.

Invero non può tacersi che, nella sovrapproduzione di sentenze di legittimità, individuare orientamenti realmente inequivoci, al di là degli arresti delle Sezioni unite civili, appare compito improbo, troppo spesso regnando sostanziale discordia, nonostante l'ossequio formale, o quantomeno avvicendandosi una pluralità di indirizzi sotto il profilo temporale.

In ogni caso, anche laddove la sentenza impugnata presti più o meno manifesta adesione ad un orientamento della Corte, sì da consentirne astrattamente il sindacato

ex

art. 360

-bis

c.p.c.

, assai difficilmente, a parte il contenzioso seriale, le fattispecie risultano totalmente coincidenti e quasi mai il ricorso pone solamente una unica questione di diritto scrutinabile con detta disposizione. Quindi, nella maggioranza dei casi sottoposti al lavoro quotidiano dei consiglieri della Corte, è sufficiente che solo uno dei motivi di gravame non rientri nell'ambito di applicazione dell'

art. 360

-bis

c.p.c.

per escludere la possibilità che l'intero ricorso venga dichiarato inammissibile a mente di detta disposizione.

All'indomani dell'introduzione del nuovo «filtro» si era giustamente sostenuto dall'interno della Corte che, per avere stabili ed apprezzabili risultati deflattivi-selettivi, la Cassazione avrebbe dovuto assumere il primario compito di una ricognizione delle vere «statuizioni parametro», cioè di quelle dotate di stabilità acquisita e di meritevole resistenza al mutamento. Occorreva cioè isolare, nel variegato ed immane coacervo delle sentenze di legittimità, quelle che, secondo una equilibrata ponderazione tra dati cronologici, numerici e qualitativi, rappresentassero una soluzione o che condensasse una risposta costante e ferma ovvero anche un pronunziato unico, ma munito di persuasività ed autorevolezza, oppure un orientamento più recente, che però costituisse un approdo condiviso e meritevole di conferma.

Nonostante innegabili sforzi ed il supporto dell'Ufficio del Massimario della Corte, l'ingovernabile afflusso di affari rende l'opera di difficile costruzione.

Tra le poche pronunce che si sono misurate con il profilo in esame occorre segnalare

Cass. civ.,

sez. VI, 25 marzo 2013, n. 7450

, secondo cui l'

art. 360

-bis

c

.p.c.

si applica non solo laddove la giurisprudenza della Corte di cassazione già abbia giudicato nello stesso modo della sentenza di merito la specifica fattispecie proposta dal ricorrente, ma anche quando il caso concreto non sia stato deciso e, tuttavia, si presti palesemente ad essere facilmente ricondotto, secondo i principi applicati da detta giurisprudenza, a casi assolutamente consimili, e comunque in base alla logica pacificamente affermata con riguardo all'esegesi di un istituto nell'ambito del quale la vicenda particolare pacificamente si iscriva.

Poco più numerose le sentenze che hanno valutato in che modo l'esame dei motivi debba offrire «elementi per confermare o mutare l'orientamento» della giurisprudenza della Cassazione cui la sentenza impugnata abbia prestato adesione, onde traversare indenni la griglia di ammissibilità.

Secondo

Cass. civ.,

sez. VI, 16 giugno 2011, n. 13202

, per l'

art. 360

-bis

n. 1 c.p.c.

, applicabile anche all'istanza di regolamento di competenza, è necessario offrire argomenti che siano univocamente rivolti a provocare un superamento dell'orientamento contestato attraverso valutazioni critiche dell'indirizzo predetto, non essendo sufficiente il riferimento ad altri non uniformi orientamenti della Corte stessa. Il motivo è dunque inammissibile allorquando, pur dichiarando di porsi in contrasto con la giurisprudenza della Corte, non si premura di individuare le decisioni che essa esprimono e di considerare gli argomenti su cui essa si fonda, onde non offre elementi che possano indurre a mutarla, atteso che, quando si vuole mettere in discussione la giurisprudenza della Corte di Cassazione, com'è normale in ogni caso in cui si debba criticare un postulato, è indispensabile considerare gli argomenti sui quali il postulato si basa (

Cass. civ.,

sez. VI, 8 febbraio 2011, n. 3142

). All'opposto il ricorso basato su un consolidato orientamento della Corte di legittimità non può ritenersi "manifestamente fondato", ai fini dell'applicabilità della procedura prevista dall'art. 360-bis c.p.c., quando il controricorrente adduca validi argomenti critici a sostegno della tesi accolta dal giudice di merito, ed in contrasto con quella adottata dalla Cassazione (

Cass. civ.,

SS.UU., 19 giugno 2012, n. 10027

).

La dottrina - condivisibile il rilievo che, tra i molteplici motivi che possono essere prospettati da chi redige il ricorso per superare lo scoglio dell'inammissibilità, si pongono elettivamente i mutamenti del complessivo quadro normativo come pure la sopravvenienza delle pronunce delle Alte Corti – ha evidenziato come il letterale riferimento contenuto nell'

art. 360

-bis

c.p.c.

agli elementi che non solo mutino ma che anche confermino l'orientamento di legittimità sia da intendere nel senso che la Suprema Corte, pur decidendo di non accogliere nel merito il ricorso, scelga l'opzione nomofilattica di una pronuncia motivata più diffusamente rispetto ad una declaratoria di manifesta infondatezza, al fine di meglio precisare la portata dell'orientamento che si intende confermare.

L'inammissibilità per infondatezza della pretesa violazione dei principi regolatori del giusto processo

Il n. 2) dell'

art. 360-bis c.p.c.

predica l'inammissibilità del ricorso «quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo».

Si è già evidenziato il tratto comune con l'ipotesi di cui al n. 1) dello stesso articolo quanto ad una condizione di rilevanza dell'inammissibilità che si palesa mediante la manifesta infondatezza della censura.

L'esplicito rinvio alla violazione di regole processuali rende chiaro che il motivo di doglianza deve riguardare un vizio di attività del giudice e, quindi, un error in procedendo.

Esso si colloca nell'ambito delle censure in rito ricomprese nel più ampio genere di cui al n. 4 del primo comma dell'

art. 360 c.p.c.

, che sanziona l'inosservanza della norma processuale che comporti la nullità della sentenza o del procedimento.

Tale collocazione appare confermata da talune pronunce della Corte (cfr.

Cass. civ.,

sez. lav., 29 ottobre 2012, n. 18551

) che hanno avuto cura di precisare che la «violazione dei principi regolatori del giusto processo», di cui all'art. 360-bis c.p.c., non integra un nuovo motivo di ricorso accanto a quelli previsti dall'

art. 360,

comma 1,

c.p.c.

, in quanto il legislatore ha unicamente segnato le condizioni per la sua rilevanza mediante l'introduzione di uno specifico strumento con funzione di filtro, sicché sarebbe contraddittorio trarne la conseguenza di ritenere ampliato il catalogo dei vizi denunciabili. Si è altresì affermato (

Cass. civ.,

sez. II, 15 maggio 2012, n. 7558

) che il ricorso può essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell'

art. 360-bis, n. 2, c

.p.c.

, se è manifestamente infondata la censura concernente la violazione delle regole processuali, ma non già quando sia manifestamente infondata la censura concernente il vizio di motivazione della sentenza impugnata, proposta ai sensi dell'

art. 360,

comma 1,

n. 5, c.p.c.

. Di talché va sostenuta l'opinione che il vizio della decisione impugnata in cassazione che riguardi la ricostruzione della vicenda storica come effettuata dai giudici del merito esula totalmente dall'ambito di applicabilità dell'

art. 360

-bis

c.p.c.

, considerato altresì che il n. 1 di esso espressamente riguarda «le questioni di diritto».

Nel delineare i rapporti tra

art. 360-bis, n. 2, c.p.c.

ed

art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.

,

ferma la comunanza ontologica circa la natura dei vizi scrutinati, mutano in modo davvero poco percepibile le conseguenze, anche se solo ove essi siano manifestamente infondati sarà possibile il percorso camerale e la pronuncia di inammissibilità

ex

art. 360

-bis

c.

p.c.

In proposito occorre infatti sottolineare che le differenze sono nella sostanza quasi evanescenti, posto che l'

art. 380

-bis

c.p.c.

, in combinato disposto con il n. 5, comma 1, dell'

art. 375 c.p.c.

, consente comunque la pronuncia in camera di consiglio quando si riconosce di dovere «accogliere o rigettare il ricorso principale e l'eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza», evidentemente anche nel caso di errores in procedendo.

Altra differenza è che per pronunciarsi espressamente ai sensi dell'

art. 360

-

bis

, n. 2, c.p.c.

, occorre individuare quali siano «i principi regolatori del giusto processo». Il riferimento al «giusto processo» consente di fare patrimonio dei principi costituzionalmente asseverati dall'

art. 111 Cost.

, anche alla stregua delle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in materia di equo processo, per cui tali garanzie – secondo una condivisibile elencazione – possono ravvisarsi: nell'attuazione della giurisdizione mediante il giusto processo regolato dalla legge; nello svolgimento del processo nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale; nella ragionevole durata del processo; nella motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.

Poiché però il passaggio dai principi alla proteiforme varietà dei singoli casi processuali non è sempre agevole, non può stupire che la Corte privilegi, in luogo dell'inammissibilità

ex

art. 360-

bis

, n. 2, c.p.c.

, la più comoda strada della pronuncia camerale a mente dell'

art. 375, n. 5, c.p.c.

, stante la tenue divergenza delle conseguenze applicative (probabilmente solo nel caso, peraltro dubbio, di ricorso incidentale tardivo).

Può invece sostenersi che il maggior portato precettivo della disposizione in discussione sia, in definitiva, proprio la benefica influenza esercitabile sull'interpretazione del vizio di cui al n. 4, comma 1,

art.

360 c.p.c.

.

Sulla base dell'

art. 360

-bis

c.p.c.

non ogni violazione processuale apre le porte del giudizio di cassazione, ma solo quella che si mostri in concreto capace di alterare le garanzie del giusto processo. Si è detto che la norma è il segno della volontà del legislatore di recuperare la funzione della Cassazione che non è affatto quella di custodire una regolarità dell'andamento processuale fine a se stessa.

Così si è sostenuto, con riflessione di carattere generale, che il nuovo

art. 360

-bis

c.p

.c.

ridimensiona l'

art. 360, comma

1, n. 4, c.p.c.

, limitando le nullità processuali denunciabili in sede di legittimità a quelle che abbiano determinato in concreto una violazione dei principi regolatori del giusto processo.

In ogni caso ne esce rafforzato l'orientamento già consolidato in seno alla Corte che ha trovato un'eco autorevole anche nella sentenza delle Sezioni Unite 17 febbraio 2009, n. 3758, secondo cui la lesione delle norme processuali non è invocabile in sé e per sé, essendo viceversa sempre necessario che la parte che deduce siffatta violazione adduca anche, a dimostrazione della fondatezza, la sussistenza di un effettivo pregiudizio conseguente alla violazione medesima (conf., tutte in materia di osservanza delle norme sul rito,

Cass. civ.,

sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22325

;

Cass. civ.,

sez. III, 27 gennaio 2015, n. 1448

).

Sovente si trova dichiarato che dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume quello per cui la denunzia di vizi dell'attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell'

art. 360 c.p.c.

, comma 1, n. 4), non tutela l'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l'eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio (cfr.,

Cass

. civ.

, sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26157

, la quale aggiunge che l'annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata; in materia di impugnazioni civili:

Cass. civ.,

sez. III,

23 febbraio 2010, n. 4340

; in materia di provvedimento declinatorio della competenza:

Cass. civ.,

sez. VI, 9 luglio 2014, n. 15676

; sulla dichiarazione di contumacia:

Cass. civ.,

sez. II, 27 settembre 2013, n. 22289

; in caso di omissione dell'avvertimento a comparire:

Cass. civ.,

sez. II, 30 dicembre 2011, n. 30652

; in caso di decisione prima della scadenza dei termini di cui all'

art. 190 c.p.c.

:

Cass. civ.,

sez.

II, 9 aprile 2015, n. 7086

e

Cass. civ.,

sez.

III,

23 febbraio 2006, n. 4020

; tra le precedenti, in generale, si segnalano:

Cass. civ.,

sez. I, 21 febbraio 2008, n. 4435

e

Cass. civ.,

sez. I, 30 giugno 1997, n. 5837

).

In analoga prospettiva si è affermato autorevolmente che l'

art. 360-

bis

, n. 2, c.p.c.

richiama l'attenzione dell'interprete sulla circostanza che gli errores in procedendo possono condurre alla cassazione della sentenza solo se la norma procedimentale violata abbia alla radice inciso sulla base fattuale della decisione.

Il procedimento per la delibazione dell'inammissibilità

Dal punto di vista procedurale l'

art. 376 c.p.c.

, come modificato dall'

art. 47, comma

1, lett. b), l. n. 69/2009

, ha previsto che, una volta depositato qualsiasi ricorso per cassazione avverso provvedimenti pubblicati successivamente al 4 luglio 2009, il Primo Presidente, tranne quando ricorrono le condizioni per una pronuncia a sezioni unite, «assegna i ricorsi ad apposita sezione».

Tale sezione – la sesta civile – della Corte ha sostanzialmente istituzionalizzato la già presente «struttura unificata» per l'esame preliminare dei ricorsi in materia civile, creata con decreto del Primo Presidente del 9 maggio 2005.

Detta sezione è chiamata alla «verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375, comma 1, numeri 1) e 5)».

Con queste disposizioni la Corte è abilitata a pronunciarsi con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere: «dichiarare l'inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall'art. 360» (art. 375, comma 1, n. 1, c.p.c.), ovvero di «accogliere o rigettare il ricorso principale e l'eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza» (art. 375, comma 1, n. 5, c.p.c.).

Pertanto, anche nei casi in cui si verifichi la possibilità di una pronuncia ai sensi dell'

art. 360

-bis

c.p.c.

, potrà essere seguito tale procedimento camerale.

Il «procedimento per la decisione sull'inammissibilità del ricorso e per la decisione in camera di consiglio» è regolato dall'

art.

380

-bis

c.p.c.

, come sostituito dall'

art. 47, comma

1, lett. c), l. n. 69/2009

.

Si prevede che il relatore della sezione «filtro» al quale viene assegnato il ricorso, se appare possibile definire il giudizio ai sensi dell'art. 375, comma 1, nn. 1 e 5, c.p.c. depositi in cancelleria «una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia».

Si tratta di una proposta di decisione, destinata ad essere discussa in sede di adunanza camerale della Corte, fissata dal Presidente della sezione con decreto. Almeno venti giorni prima della data stabilita il decreto e la relazione depositata in cancelleria dal consigliere sono notificati agli avvocati delle parti «i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima, e di chiedere di essere sentiti, se compaiono».

All'esito dell'adunanza camerale può accadere che il giudizio venga definito, con una pronuncia con la quale il collegio di cinque giudici aderisca o meno alla relazione già depositata dal singolo consigliere.

Ove invece il collegio ritenga insussistenti i presupposti per una decisione camerale ai sensi dell'

art. 375 c.p.c.

, «gli atti sono rimessi al primo Presidente, che procede all'assegnazione alle sezioni semplici» (art. 376, comma 1, ult. parte, c.p.c.).

La rimessione degli atti al primo presidente può avvenire anche immediatamente, allorquando in sede di prima verifica preliminare del ricorso non si riscontrano i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio.

In entrambi i casi di giudizio non definito dalla sezione «filtro» è da ritenere che il collegio, all'esito dell'udienza pubblica, possa valutare il ricorso alla stregua dell'

art. 360

-bis

c.p.c.

e quindi giudicarlo inammissibile in base a detta disposizione, nonostante l'apposita sezione, eventualmente anch'essa in formazione collegiale, non abbia ritenuto sussistente le condizioni per la declaratoria di inammissibilità.

Fugando dubbi di legittimità costituzionale della procedura camerale,

Cass. civ.,

sez. I, 16 aprile 2007, n. 9094

– premesso che la scelta del legislatore appare chiaramente mirata a perseguire al contempo la tutela di due degli interessi costituzionali alla base del giusto processo (

art. 111 Cost.

, comma 2), quello della formazione della decisione all'esito del pieno e consapevole dispiegarsi del contraddittorio e quello della celerità della decisione – ha rilevato che la relazione delineata dall'art. 380-bis c.p.c. non è né un segmento di decisione (pur revocabile) sottoposto alla approvazione del Collegio né una qualificata opinione versata agli atti: «essa è una proposta di definizione processuale accelerata che trae le mosse dalla ricorrenza delle condizioni normative di cui all'

art. 375 c.p.c.

, nn. 1 - 2 - 3 - 5 ed indica alle parti ed al Collegio l'ipotesi di siffatta ricorrenza». Pertanto, può essere utilizzata o meno (in tutto in parte) come elemento di formazione della decisione, ferma restando la possibilità di rinviare la causa alla pubblica udienza, ove non sia ravvisata la sussistenza delle predette condizioni (

Cass. civ.,

sez. I, 5 ottobre 2007, n. 20965

)

A ribadire la conformità al principio di terzietà del giudice del descritto modello processuale di definizione camerale, in sede di legittimità si è altresì sottolineato (

Cass. civ.,

sez. I,

2 luglio 2008, n.

18047

) l'innegabile vantaggio per la difesa della parte rappresentato dalla conoscenza preventiva della relazione, posto che il collegio deve comunque confermarla, ove lo ritenga, a seguito del contraddittorio tra le parti e l'intervento del P.G.. Si è dunque in presenza di un procedimento bifasico per il quale possono valere le considerazioni già svolte dalla Corte costituzionale nei casi di provvedimento cautelare autorizzato ante causam e di successiva cognizione piena in sede di giudizio di merito (

Corte Cost., sentenza,

n. 326/1997

), di decisione emessa ex art. 186-quater c.p.c. (Corte Cost., ordinanza, n. 168/2000), di rinvio cosiddetto restitutorio

ex

art. 354 c.p.c.

(

Corte cost.,

sentenza n. 341/1998

).

Efficacia del filtro e prospettive di riforma

Conclusivamente può ritenersi che, dal dettaglio della disciplina, risulti come assai difficilmente l'

art. 360

-bis

c.p.c.

, ed il meccanismo procedimentale ad esso connesso, costituiscano strumento idoneo di per sé a realizzare la semplificazione e, quindi, l'accelerazione del giudizio di cassazione.

Invero, già in precedenza, con la riforma del d.lgs. n. 40/2006, la Corte poteva decidere nei casi di manifesta infondatezza del ricorso nelle forme più snelle del procedimento in camera di consiglio. Ma anche con la

l. n. 69/2009

la pronuncia con ordinanza in camera di consiglio sarebbe stata possibile nei casi di inammissibilità dei ricorsi ovvero di manifesta fondatezza od infondatezza dei medesimi a prescindere dall'introduzione dell'

art. 360

-bis

c.p.c.

.

Nella realtà operativa la più celere definizione dei ricorsi per cassazione mediante la procedura camerale è legata a fattori – quali il numero ed il contenuto dei motivi e la loro agevole delibazione – non indissolubilmente legati alla ricognizione delle condizioni di inammissibilità poste dall'

art. 360

-bis

c.p.c.

.

Così certa dottrina ha sottolineato il senso «ideale» o «pedagogico» di detta norma, tesa a riaffermare il ruolo guida della Cassazione, sanzionando con l'inammissibilità i ricorsi non adeguatamente motivati contro i provvedimenti in linea con gli orientamenti della Corte, con l'avviso che, per provocare mutamenti, occorrono censure adeguatamente supportate.

Occorre segnalare che il 10 marzo 2016 la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge di iniziativa governativa n. 2284 che contiene la «delega al governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile». Con tale delega si abilita il governo ad adottare novelle al codice di rito «in funzione degli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile».

In materia di giudizio di cassazione è espressamente prevista, tra l'altro, la «revisione della disciplina del giudizio camerale, attraverso l'eliminazione del procedimento di cui all'art. 380-

bis

c.p.c., e previsione dell'udienza in camera di consiglio, disposta con decreto presidenziale, con l'intervento non obbligatorio del procuratore generale e la possibilità, nei casi previsti dalla legge, di requisitoria in forma scritta e di interlocuzione, parimenti per iscritto, da parte dei difensori».

Si tenta la strada di una più generalizzata cameralizzazione del processo di cassazione, disposta su semplice decreto presidenziale, con intervento del procuratore generale in forma scritta solo ove necessario e l'interlocuzione dei difensori pure per iscritto; naturalmente occorrerà attendere i decreti delegati per verificare come tali criteri direttivi troveranno attuazione, anche per formulare attendibili giudizi di congruità rispetto alle finalità espresse.

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art. 360

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