Diritto alla libertà, alla segretezza della corrispondenza e ad altre forme di comunicazione e danno da sua lesioneFonte: Cod. Civ. Articolo 2059
03 Settembre 2014
Nozione La libertà di corrispondere e comunicare segretamente è contemplata dall'art. 15 della Cost. che, al primo comma, ne sancisce l'inviolabilità ed, al secondo comma, ne ammette la limitazione solo per atto motivato dell'autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge (Baldassarre A., I diritti inviolabili, Enc. Giur. Vol. XI Roma, 1989; Carretti P., Corrispondenza (libertà di), in Dig. Disc. Pubbl., vol. IV, Torino, 1989; Sperti A., La libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni tra vecchie e nuove prospettive di tutela dei diritti fondamentali, in AA. VV. Il rispetto delle regole. Studi degli allievi in onore di A. Pizzorusso, Torino, 2005; Donati F., art. 15, in Bifulco R., Celotto A., Olivetti M. (cura di), Commentario alla Costituzione, vol. 1, Torino, 2006). Elemento distintivo e caratterizzante della fattispecie è il profilo dinamico: perché sia configurabile vi deve essere un messaggio che un soggetto (mittente) voglia fare pervenire nella sfera giuridica di altro soggetto (destinatario) senza ingerenze o frapposizione di ostacoli nel rapporto comunicativo, da parte di terzi (Gianfrancesco E., Profili ricostruttivi della libertà e segretezza di corrispondenza e comunicazione, in Dir. Soc.,2008). La libertà prevista dall'art. 15 della Cost. si diversifica concettualmente dalla libertà di manifestazione del pensiero, sancita dall'art. 21 Cost., in quanto, la prima ha carattere intersoggettivo e personale mentre la seconda non ha connotazione privata bensì pubblica (Valastro A., I rapporti tra l'art. 15 e l'art. 21 della Costituzione, in R. Zaccaria, (a cura di), Informazione e telecomunicazione, Padova, 1999; Salerno G., La protezione della riservatezza e l'inviolabilità della corrispondenza, in R. Nania (a cura di), I diritti costituzionali, Torino, 2001; Caruso C., La libertà di espressione in azione, Contributo a una teoria costituzionale del diritto pubblico, Bologna, 2013) (artt. 15 e 16 Cost.). Non pare potersi condividere l'orientamento secondo cui la libertà di comunicazione sia sottospecie della libertà di manifestazione del pensiero, finendo per confondersi, in tal caso, l'analogo aspetto materiale delle due libertà, ossia “l'espressione del pensiero”, con il valore costituzionale oggetto di tutela (Esposito C., La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, 1958 in Diritto costituzionale vivente. Capo dello Stato ed altri saggi, Milano, 1992). La libertà di comunicare segretamente è dunque una situazione giuridica, inquadrabile nello schema del diritto soggettivo, con effetti che si ripercuotono nei rapporti tra privati ed è volta a tutelare la segretezza del contenuto della corrispondenza rispetto a terzi (Italia V., Libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, Milano, 1963). Ad essa si accorda protezione non solo attraverso i principi costituzionali, ma anche tramite la legislazione ordinaria dello Stato, operante sia in ambito civile che penale, essendo possibile domandare il risarcimento del danno in caso di lesione del diritto de quo ed essendo prevista l'applicazione, in determinate ipotesi, di sanzioni afflittive di natura penale (P. Perlingeri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2006; E. Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996; U. Natoli, Diritti fondamentali e categorie generali, Milano, 1993). Vengono anche in considerazione l'art. 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che prevede che nessun individuo possa “essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata..., nella sua corrispondenza” e gli artt. 8.1 CEDU e 7 CDFUE che sanciscono il “diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e comunicazioni” (Rossi C., Il rispetto della corrispondenza nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Le intercettazioni nella legislazione italiana, in Riv. Int. Dir. Uomo, 1994). Elemento oggettivo La legge tutela la libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, quale ne sia il contenuto, purché la stessa sia riservata per animus del mittente, attuale e diretta a destinatari determinati e determinabili (Manzini, Trattato di diritto penale, rist., 1985, VIII, 918; Troiso, Corrispondenza (libertà e segretezza della), Enc. Giur. Vol. XI, Roma, 1988); Barile-Cheli, Corrispondenza (libertà di), Enc. D., 745; Mazziotti, Lezioni di diritto costituzionale, II, 1993, 259). La comunicazione, inoltre, può essere effettuata per via epistolare, telefonica, informatica o telematica o con ogni altro mezzo di comunicazione a distanza – es. e-mail, sms, voip – (Carri A., Telecomunicazioni e diritti fondamentali, in Dir. inf., 1996; Costanzo P., Le nuove forme di comunicazione in rete: internet, in Zaccaria R. (a cura di), Informazione e telecomunicazione Padova, 1999; Valastro A., La libertà di comunicazione e nuove tecnologie: inquadramento costituzionale e prospettive di tutela delle nuove forme di comunicazione interpersonale, Milano, 2001; Caruso C., L'individuo nella rete: i diritti della persona al tempo di Internet, in Teruel Lozano G. M., Pèrez Miras A., Raffiotta E. C., Desafìos para los derechos de la persona ante el siglo XXI: Internet y nuevas tecnologìas, Madrid, 2013; Rodotà S., Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Editori Laterza, Roma-Bari, novembre 2004, Introduzione, Tra passato e futuro). Al segreto della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione si riconduce:
Per soggetto titolare del diritto deve intendersi qualsiasi persona fisica, inclusi gli stranieri e gli apolidi o persona giuridica. È prevista poi una disciplina particolare in relazione a determinati status soggettivi:
La violazione della riservatezza della corrispondenza, in mancanza di un consenso almeno implicito sia del mittente che del destinatario - entrambi tutelati dall'art. 15 della Cost. - può configurare ipotesi di illecito sia civile che penale. Le due forme di responsabilità, in assenza delle limitazioni contemplate dall'art. 15 Cost. e delle esimenti volte ad escludere l'antigiuridicità delle condotte incriminate dagli artt. 616 - 620 c.p., consentono a chi sia stato vittima di un pregiudizio, di domandarne il ristoro. Elemento soggettivo Per tutte le fattispecie di reato in cui l'interesse oggetto di tutela è la segretezza e inviolabilità della corrispondenza, l'elemento soggettivo che rileva è costituito dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di tenere una delle condotte descritte dalle relative norme. Viene in considerazione, invece, il dolo specifico, allorché il comportamento punito consista: nell'installare apparati o strumenti al fine di intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche (art. 617 bis c.p.); nell'alterare o sopprimere il testo originale di una conversazione o comunicazione al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno (art. 617 ter c.p.); nell'installare apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere conversazioni informatiche o telematiche (art. 617 quinquiesc.p.); nell'utilizzare il testo falsificato o alterato di comunicazioni informatiche o telematiche al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri un danno (art. 617 sexiesc.p.). In ipotesi di illecito civile, configurabile ex art. 2043 c.c. allorché da un fatto sia derivato un danno ingiusto, ossia contra ius, l'elemento soggettivo potrà consistere non solo in una condotta dolosa, bensì anche in quella attenuata della colpa. Dolo e colpa sono due figure autonome e non due specie del medesimo genere ed il giudizio di colpevolezza è un giudizio relazionale che deve tenere conto del comportamento che i vari soggetti coinvolti abbiano tenuto o avrebbero dovuto tenere, per impedire o ridurre il danno. Nesso di causalità e caso fortuito La fattispecie generatrice della responsabilità civile, codificata in via generale nell'art. 2043 c.c., esige la sussistenza di una relazione causale fra la condotta umana, commissiva od omissiva, soggettivamente caratterizzata dal dolo o dalla colpa e l'evento pregiudizievole antigiuridico; l'accertamento del nesso di causalità civilistica fra fatto illecito ed evento lesivo deve essere condotto sulla base di una valutazione probabilistica secondo la regola della prevalenza delle probabilità (“più probabile che non”) rispetto alle più severe regole dell'accertamento della causalità penalistica, per cui vale il principio dell' “oltre ogni ragionevole dubbio” (Cass. civ., S.U., sent. 11 gennaio 2008 n. 581; Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2007 n. 21619; Cass. civ., sez. III, 18 giugno 2012 n. 9927; Cass. civ., sez. III, sent. 18 luglio 2011 n. 15709). Poiché il codice civile non detta le regole per la determinazione del nesso causale, antica tradizione giuridica, conforme ai principi di unità complessiva dell'ordinamento, le ricava dalle disposizioni penalistiche e in particolare dall'art. 41 c.p. in tema di concorso di cause. In dottrina si giunge alla conclusione che il rapporto causale sia composto da due elementi, uno positivo ed uno negativo: il positivo è che l'uomo con la sua condotta abbia posto in essere una condizione dell'evento e cioè un antecedente senza il quale l'evento non si sarebbe verificato; il negativo è che il risultato non sia dovuto al concorso di fattori eccezionali. Il caso fortuito – che esclude la responsabilità del soggetto coinvolto in un fatto dannoso – consiste in un elemento imprevisto ed imprevedibile, che si inserisce nel processo causale al di fuori di ogni possibile controllo umano, rendendo inevitabile il verificarsi dell'evento, ponendosi come unica causa di esso (Cass. civ., sez. III, sent., 13 aprile1989, n. 1774). Onere della prova Il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l'art. 2059 c.c., si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito dall'art. 2043 c.c., ossia: condotta, nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione non giustificata di interessi meritevoli di tutela e del danno che ne consegue. La Cass., Sez. Un., con diverse sentenze del 2008, ha ribadito il principio, più volte espresso in precedenti pronunce, secondo cui il danno non patrimoniale (anche quando consiste in un pregiudizio di tipo esistenziale conseguente alla lesione di un diritto inviolabile della persona, non rappresenta un danno-evento, pertanto connesso necessariamente alla lesione (c.d. danno in re ipsa, in relazione alla lesione di valori della persona), ma costituisce un danno-conseguenza (pertanto eventuale) della lesione, che come tale va provato in giudizio da colui che lo deduce (Cass. civ., S.U., sent., 11 novembre .2008, n. 26972; Cass. civ., S.U, sent. 11 novembre 2008 n. 26973; Cass. civ., S.U, sent. 11 novembre 2008 n. 26974; Cass. civ., S.U, sent. 11 novembre 2008 n. 26975). L'attore deve fornire detta prova quale presupposto indispensabile per ottenere il risarcimento, anche nell'ipotesi in cui quest'ultimo venisse liquidato in via equitativa (Cass. civ., S.U., 24 marzo 2006, n. 6572). Per quanto concerne la dimostrazione in giudizio di danni riconducibili a pregiudizi di tipo esistenziale, seppure non sia da escludere il ricorso alla prova testimoniale o quella documentale, attenendo il pregiudizio “non biologico” ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri. La C. Cost. ha affermato che: “è infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., in quanto la norma codicistica va interpretata nel senso che il danno non patrimoniale, ove riferito all'astratta fattispecie di reato, è risarcibile anche nell'ipotesi in cui la colpa dell'autore del fatto risulti da una presunzione di legge, in riferimento all'art. 3 Cost. (C. cost., 11 luglio 2003, n. 233, in Danno e resp., 2003, 939). La prova per presunzione semplice, integra un apprezzamento di fatto che, se correttamente motivato non è censurabile in sede di legittimità (Cass. civ., lav., sent., 6 luglio 2002, n. 9834). Si rileva, inoltre, come, pur prevedendo l'art. 185 c.p., in caso di illecito penale, un obbligo risarcitorio a carico del colpevole, l'inesistenza di una pronuncia del magistrato penale non sia di ostacolo alla liquidazione del danno morale, potendo il giudice civile accertare incidentalmente la sussistenza di elementi costitutivi del reato (Cass. civ., Sez. III, 22 luglio1996, n. 6527; Cass. civ., sez. III, sent. , 3 marzo 2000, n. 2367 ; Cass. civ., sez. III, sent., 24 marzo 2000, n. 3536; Cass. civ., sez. I, sent., 15 marzo 2001, n. 3747). La parte potrà dunque fornire prova al giudice civile anche allorché detta prova non sia stata raggiunta nell'ambito del processo penale e dovrà allegare tutti gli elementi idonei a risalire dalla serie dei fatti noti al fatto ignoto rappresentato dal danno da provare; la controparte potrà ovviamente fornire prova contraria. Il Giudice potrà poi, ex art. 210 c.p.c., ad istanza di parte, ordinare all'altra parte o ad un terzo, l'esibizione di documenti di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo (Cass. civ., sez. V, sent., 29.0 marzo 2011, n. 35383; Cass. pen.,sez. V, sent., 4 ottobre 2013 – 9 gennaio 2014, n. 585). Aspetti medico-legali La Cass. Sez. Un. (Cass. civ., S.U., sent., 11 novembre 2008, n. 26972), dopo avere precisato che devono essere presi in considerazione solo ed esclusivamente i pregiudizi allegati e accertati, ha inteso porre in evidenza la necessità di evitare che il medesimo danno sia liquidato due volte: l'una come pregiudizio rientrante nella definizione normativa di danno biologico, l'altra come danno morale. Solo il danno derivante dalla lesione all'integrità psico-fisica (nei due profili di menomazione temporanea e permanente), la cui tutela viene fatta risalire al diritto alla salute previsto dalla Costituzione, può essere valutato attraverso consulenza medico legale; diversamente, il danno da intendersi come sofferenza psichica di carattere interiore, sfugge ad accertamento di tal tipo. Criteri di liquidazione Il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile – sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. - anche quando non sussista un fatto-reato, né ricorra alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: a) che l'interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale; b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità; c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, disappunti, ansie e insoddisfazioni (Cass. civ., Sez. III, sent., 18 dicembre 2009, n. 26777). La Corte di Cassazione, confermando quanto già stabilito in altre sentenze (Cass. civ., Sez. Un., sent., 11 novembre 2008, n. 26972 ; Cass. civ., sez. III, sent. 28 settembre 2012 n. 16516; Cass. civ., sez. III, sent. 17 aprile 2013 n. 9231; Cass. civ., sez. III, sent. 16 maggio 2013 n. 11950) ha precisato che “...la categoria del danno non patrimoniale attiene ad ipotesi di lesione di interessi inerenti alla persona, non connotati da rilevanza economica o da valore di scambio ed aventi natura composita, articolandosi in una serie di aspetti (o voci) con funzione meramente descrittiva (danno alla vita di relazione, danno esistenziale, danno biologico, ecc.): ove essi ricorrano cumulativamente occorre, quindi, tenerne conto, in sede di liquidazione del danno, in modo unitario, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie” (Cass. civ., sez. II, sent, 24 aprile 2014 n. 9283; Cass. civ., sez. III, sent. 15 maggio 2014 n. 10629) Per quanto tutti i pregiudizi di carattere non economico, concretamente patiti dalla vittima, rientrino nell'unica fattispecie del “danno non patrimoniale” di cui all'art. 2059 c.c. e non essendo dunque ammissibile l'automa categoria del “danno esistenziale”, resta ferma la necessità che il giudice di merito, nella personalizzazione della liquidazione, tenga conto di tutte le concrete conseguenze dannose del fatto illecito (Cass. civ. sez. III, sent., 14 ottobre 2008, n. 25157). Il danno non patrimoniale derivante dalle lesioni dell'integrità fisica del lavoratore, identificato nella sommatoria di danno biologico (all'integrità fisica) e danno morale (consistente nella sofferenza conseguente alle lesioni), non richiede, ai fini della risarcibilità, la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 185 c.p., essendo riferibile ai diritti della persona costituzionalmente garantiti. La liquidazione del danno biologico potrà essere effettuata dal giudice con il ricorso al metodo equitativo o attraverso l'applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, quali le cosiddette “tabelle”. La Cassazione civ., Sez. VI, con ordinanza del 4 gennaio 2013, n. 134, ha stabilito che, mancando criteri di liquidazione del danno biologico previsti dalla legge, i giudici di merito debbano attenersi, al fine di garantire l'uniformità di trattamento, a quello predisposto dal Tribunale di Milano, in quanto ampiamente diffuso sul territorio nazionale, salvo circostanze in concreto idonee a giustificarne l'abbandono. Per quanto concerne l'art. 2043 c.c. si rileva come, con l'attribuzione all'ingiustizia del danno in esso contemplata del ruolo di clausola generale, si sia ampliato il novero delle situazioni giuridiche oggetto di tutela, includendovi anche i diritti della personalità, tra cui il diritto alla riservatezza. Al fine di stabilire se sia configurabile o meno un diritto risarcitorio, spetterà all'interprete effettuare una comparazione tra interesse del presunto danneggiato e interesse perseguito dal danneggiante con il proprio comportamento. Aspetti processuali In ambito civile la forma di tutela approntata dal legislatore è duplice:
L'ambito applicativo dei provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. si estende a coprire casi di tutela aventi ad oggetto diritti fondamentali, quali quello della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. La tutela approntata dall'art. 700 c.p.c. può avere sia carattere strumentale rispetto alla decisione definitiva di merito, sia carattere autonomo, quale forma di prevenzione di un ulteriore danno. Il giudizio ordinario a cognizione piena, non sempre è utilmente azionabile con riferimento al diritto di cui all'art. 15 Cost., in quanto quest'ultimo, presenta una particolare natura. È infatti probabile che una volta verificatosi il fatto lesivo, il bene giuridico compresso, per il suo carattere non patrimoniale, non riacquisti più la sua dimensione originaria, con la conseguenza del rischio connaturato alle forme di tutela “classiche”, di rendere il pregiudizio derivato dalla violazione, irreparabile. Ciò fa apparire più conveniente il ricorso ad una tutela cautelare, volta ad impedire le disfunzioni provocate dal fattore tempo, connesso alla fisiologica durata del processo dei giudizi ordinari (G. Silvestri, La tutela dei diritti fondamentali nel processo civile, in Pol. Dir., 1993, 479). Occorre poi aggiungere che diverse sono le forme di tutela di tipo penalistico, dirette a sanzionare i comportamenti lesivi del diritto in parola, nelle sue molteplici esplicazioni. In tal caso diviene prevalente la c.d. pretesa punitiva pubblica rispetto alla pretesa personale del soggetto leso, solitamente coincidente - quest'ultima - con una richiesta risarcitoria secondo equità ancorata al paradigma dell'illecito aquiliano, riconducibile nell'ambito della bipolarità prevista dal codice vigente tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) (Cass. civ. Sez. III, sent., 31 maggio 2003, n. 8827 e 8828). Profili penalistici I delitti contro la inviolabilità della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, previsti dalla legge, sono i seguenti: L'art. 616 c.p.: punisce con multa o pene reclusive, a querela della persona offesa, chiunque sottragga, distrugga e sopprima la corrispondenza - telefonica, informatica, telematica o comunque effettuata con qualsiasi tecnica di comunicazione a distanza - o ne riveli senza giusta causa il contenuto; l'art. 617 c.p.: punisce, con pene reclusive fino a quattro anni, a querela della persona offesa, chiunque fraudolentemente prenda cognizione, interrompa o impedisca conversazioni telefoniche o telegrafiche fra altre persone o ne riveli il contenuto, con qualsiasi mezzo di informazioni al pubblico. La pena è aumentata ed è prevista la procedibilità d'ufficio qualora il reato sia commesso ai danni di un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio; gli artt. 617 da bis asexiesc.p.: introdotti con legge 547/1993 puniscono chiunque installi abusivamente sistemi di intercettazione e di falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni telefoniche, telegrafiche, informatiche e telematiche; l'art. 618 c.p.: punisce con multa o pene reclusive, a querela della persona offesa, chiunque, fuori dei casi previsti dall'art. 616 c.p., di cui costituisce ipotesi sussidiaria, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto di una corrispondenza a lui non diretta, che doveva rimanere segreta, senza giusta causa lo riveli, in tutto o in parte, sempre che dal fatto derivi nocumento; gli artt. 619 e 620 c.p.: puniscono l'addetto al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni, che violi, sottragga e riveli il contenuto di corrispondenza, senza che sia necessario che dal fatto sia derivato un nocumento. Il diritto di libertà di cui all'art. 15 Cost. può essere limitato in presenza della necessità di tutelare altri interessi ritenuti rilevanti per l'ordinamento. La tutela accordata a tale diritto, infatti, non è assoluta, ma può incontrare limitazioni laddove vengano in considerazione concorrenti interessi, individuali o collettivi, altrettanto meritevoli di tutela; “ciò che tuttavia occorre, perché le limitazioni siano legittime, è che le stesse siano previste dalla legge e siano disposte con atto motivato dell'autorità giudiziaria” (C. cost., sent., 16 luglio 1968, n. 100), poiché “nel precetto costituzionale trovano …protezione due distinti interessi; quello inerente alla libertà e segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della persona definiti inviolabili dall'art. 2 Cost., e quello connesso all'esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch'esso oggetto di protezione costituzionale” (C. cost., sent. 6 aprile 1973 , n. 35; C. Cost., sent., 30 dicembre 1994, n. 463). Il c.p.p., ad esempio, contempla alcune norme dedicate alle intercettazioni di conversazioni ambientali e/o telefoniche utilizzate dall'autorità giudiziaria, nell'attività di indagine volte alla repressione del crimine (Galantini N., Inutilizzabilità (dir. proc. pen.), Enc. Dir., Agg. I, Milano, 1998; Filippi L., Intercettazioni telefoniche (dir. Proc. pen.), in Enc. Dir., Agg. VI, Milano, 2002; Cordero F., Procedura Penale, Milano (VII ed.), 2003) (artt. 240 e 266-271c.p.p.). A presidio del diritto personale di carattere inviolabile di cui all'art. 15 Cost. è però stato stabilito che le intercettazioni telefoniche siano disposte con atto dell'autorità giudiziaria puntualmente motivato, che individui i soggetti da sottoporre a controllo e i fatti costituenti reato per i quali si procede e che possano essere utilizzate le informazioni acquisite solo se rilevanti ai fini del processo per cui è stata rilasciata l'autorizzazione, con divieto di farne uso e divulgarle successivamente (C. cost., 11-23 luglio 1991, n. 366; C. cost., sent., 30 dicembre 1994, n. 463). Casistica
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