Violenza privata e risarcimento del danno

Carlo Cecchetti
29 Aprile 2014

Integra il reato di violenza privata la coartazione, mediante violenza o minaccia, della volontà altrui. Il bene giuridico tutelato è quindi la libertà psichica o morale dell'individuo. Si tratta di un bene così fondamentale ed essenziale che esso viene considerato immanente all'ordinamento giuridico; si tratta infatti del diritto della singola persona alla legittima autodeterminazione (cfr. comma I art. 5 CEDU che prima di affrontare – nei commi successivi – la privazione della libertà intesa come libertà fisica, afferma solennemente "il diritto di ogni persona alla libertà"). Autore del reato e vittima dello stesso possono essere qualunque persona (non è dunque richiesta alcuna particolare qualità soggettiva per essere autori o vittime del reato, né di cittadinanza, né di ruoli pubblici o privati o altre qualità).

Nozione

Integra il reato di violenza privata la coartazione, mediante violenza o minaccia, della volontà altrui. Il bene giuridico tutelato è quindi la libertà psichica o morale dell'individuo. Si tratta di un bene così fondamentale ed essenziale che esso viene considerato immanente all'ordinamento giuridico; si tratta infatti del diritto della singola persona alla legittima autodeterminazione (cfr. comma I art. 5 CEDU che prima di affrontare – nei commi successivi – la privazione della libertà intesa come libertà fisica, afferma solennemente "il diritto di ogni persona alla libertà").

Autore del reato e vittima dello stesso possono essere qualunque persona (non è dunque richiesta alcuna particolare qualità soggettiva per essere autori o vittime del reato, né di cittadinanza, né di ruoli pubblici o privati o altre qualità).

La norma incriminatrice relativa alla violenza privata si pone quale norma di chiusura del sistema: vi sono infatti molte altre fattispecie di reato che riguardano la limitazione di specifiche libertà (nel sequestro di persona, la libertà di movimento; nella violenza sessuale la libertà sessuale; nella rapina e nella estorsione la libertà di disporre autonomamente dei propri beni etc.). La violenza privata svolge dunque una funzione sussidiaria (Cass. Pen. sez. II, sent. n. 275/1985), finalizzata a punire quelle forme (generiche) di coartazione della libertà morale che in virtù del principio di specialità (art. 15 c.p.) non sarebbero punite da altre e più specifiche fattispecie incriminatrici. A tale proposito si osservi fin d'ora che l'art. 612 c.p. contempla la più semplice fattispecie della minaccia, rispetto alla quale la violenza privata richiede non la semplice intimidazione ma l'intimidazione (minaccia) finalizzata alla coartazione della volontà. Più in generale, in tutte le altre ipotesi penalmente rilevanti, la violenza o la minaccia si pongono quali elementi costitutivi di fattispecie più complesse o quali circostanza aggravanti.

Elemento Oggettivo

L'elemento oggettivo della violenza privata può essere individuato in un “pati” cioè in un sopportare qualche cosa di ingiusto e, soprattutto, di contrario alla propria volontà di autodeterminazione. La vittima dunque, in contrasto con ciò che vorrebbe fare in virtù delle proprie determinazioni, si piega a “fare, tollerare o omettere qualchecosa”. All'origine di questo comportamento della vittima, comportamento divergente dalla sua libera volontà, si pone la costrizione dell'autore del reato, costrizione realizzata o mediante una violenza o mediante una minaccia. È dunque necessaria una condotta commissiva dell'autore della violenza privata, non essendo sufficiente ad integrare la costrizione una semplice omissione (Cass. Pen. sez. VI, sent. n. 2013/2010).

La violenza (da intendersi come qualsiasi forma di energia fisica idonea a vincere una resistenza) può manifestarsi nelle forme più diverse: quale classica violenza fisica dell'essere umano contro un altro essere umano ma anche quale uso di mezzi coercitivi (come l'apposizione di un lucchetto che impedisca l'uso di un bene o l'accesso allo stesso (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 11907/2010); o l'intenzionale posizionamento di un oggetto in modo ostruttivo (un'automobile che ostacola irrimediabilmente il passaggio; degli oggetti ingombranti che chiudono il passaggio; perfino la “guida intimidatoria” che costringe all'arresto o ad una certa manovra: Cass.

Pen., sez. V, sent. n. 16571/2006- contra Cass. pen., n. 21228/2001; Cass. pen. n. 44016/2010).

La minaccia, secondo la definizione più classica e condivisa, è costituita dalla prospettazione di un male ingiusto (Cass. Pen. sez. II, sent. n. 3609/2011). La prospettazione di un male produce quindi un'intimidazione nella vittima che, conseguentemente, si forza a tenere un certo comportamento (fare, omettere, tollerare) contrario alla sua reale volontà. La minaccia può essere fatta in forma esplicita ma anche essere percepita in virtù del contesto o delle condizioni soggettive dell'autore del reato (quando si tratti, ad esempio, di un noto pluripregiudicato (Cass. Pen., sez. V, sent. 7214/2006).

Sebbene sinteticamente, è però utile precisare che il comportamento che l'autore del reato riesce ad ottenere tramite la violenza o la minaccia deve essere un comportamento ingiusto: qualora l'agente avesse il diritto di pretendere quel dato comportamento e prospetti una conseguenza negativa ma lecita, non da luogo al reato di violenza privata (il pubblico ufficiale che prospetta di denunciare i sottoposti responsabili di un comportamento illecito non commette violenza privata: Cass. Pen., sez. V., sent. n. 32326/2010).

Non è necessario alcun particolare rapporto personale o giuridico tra autore del reato e vittima: la violenza privata può essere rivolta anche nei confronti di un numero indistinto di persone, anche completamente sconosciute all'agente (ipotesi di pietre gettate dal cavalcavia: Cass. Pen. sez. V, sent. n. 20749/2010).

Il reato di violenza privata è istantaneo e non richiede una condotta prolungata nel tempo (Cass. Pen., sez. V, sent. 3403/2003). La fattispecie è compatibile con il tentativo (la costrizione realizzata con violenza o minaccia - idonee ad una potenziale coartazione della volontà della vittima – non assecondata dalla vittima stessa); si tratta, infatti, di reato commissivo di danno (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 40782/2013; la sentenza precisa altresì che è sufficiente un potenziale ed oggettivo valore intimidatorio della minaccia, potendosi prescindere dal concreto timore suscitato nella vittima).

Elemento soggettivo

Il reato di violenza privata non richiede la volontà specifica di pretendere un particolare comportamento da parte della vittima; è quindi sufficiente il dolo generico, cioè la consapevolezza del dissenso della vittima e, dunque, la coartazione posta in essere dall'autore del reato (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 4526/2010).

Le aggravanti

È lo stesso art. 610 c.p., al comma 2, a prevedere quali aggravanti quelle dell'art. 339 c.p. (articolo che tratta delle aggravanti di una serie di reati compiuti con violenza o minaccia, analogamente alla violenza privata):

  • la condotta delittuosa aggravata dall'uso delle armi;
  • da persona travisata; da più persone riunite;
  • attraverso scritti anonimi;
  • con la forza intimidatrice di associazioni (realmente o no) segrete.

A proposito di quest'ultima ipotesi deve essere richiamata la specifica aggravante dell'intimidazione di stampo mafioso ( art. 71 d.lgs. n. 575/65; l'art. 7 decreto cit. contempla l'aggravante speciale (aumento della metà della pena) per il fatto commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione) e quella relativa alla violenza privata esercitata su persone sottoposte a protezione (art. 1 L. n. 107/1985).

Con riferimento all'all'aggravante relativa all'uso di un'arma, la giurisprudenza ha chiarito che si può trattare anche di arma impropria o di semplice strumento idoneo all'offesa (ad es. l'uso della pisola scacciacani - quella che fa solo rumore ma non lancia alcun tipo di proiettile - integra comunque l'aggravante a causa del rumore di esplosione che provoca e per la somiglianza con una vera pistola: Cass. Pen., sez. V, sent. n. 31473/2007). (in tema più generale di minaccia aggravata dall'uso di arma impropria v. Cass. Pen., sez. V, sent. n. 682/2006).

Rapporti con altre figure di reato

Il rapporto con il reato di minaccia (art. 612 c.p.) è particolarmente intenso perché la minaccia è elemento costitutivo della violenza privata; ciò che allora distingue i due reati (essendo evidente che la violenza privata rappresenta un quid pluris (ordinariamente ma non necessariamente) capace di assorbire la minaccia è l'ulteriore comportamento che la vittima non avrebbe tenuto in assenza della coartazione (Cass. Pen., sez. VI, sent. n. 14/2008). Quanto alla possibilità che i due reati possano o non possano concorrere sussiste contrasto in giurisprudenza (la sentenza appena richiamata si esprime in termini positivi, al contrario di Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 43219/2008 che esclude la possibilità del concorso dei due reati, optando per l'assorbimento delle minacce nella violenza privata).

L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.) rappresenta una figura potenzialmente molto prossima alla violenza privata (pur essendo il primo correttamente inserito nei delitti contro l'autorità delle decisioni giudiziarie). Da un punto di vista completamente empirico può essere utile ricordare come la vicinanza tra le due fattispecie determina non raramente fenomeni di riqualificazione giuridica del fatto: non è irrilevante, infatti, che l'esercizio arbitrario delle proprio ragioni è perseguibile a querela (con la conseguenza che un accordo sui profili risarcitori con la parte civile costituita o costituenda può consentire la rimessione della querela; diversamente, la violenza privata è procedibile d'ufficio e quindi il ristoro dei danni può attenuare la posizione dell'imputato ma non estinguere il reato o renderlo non procedibile). In entrambi i reati l'autore si propone di ottenere un risultato che la vittima non intende offrire spontaneamente. Tuttavia nel reato ex art. 393 c.p. l'agente vanta realmente un diritto ad un certo comportamento e invece di ricorrere all'autorità pubblica si fa giustizia da sé (con modalità inopportune ma che non integrano una vera e propria minaccia o violenza). Al contrario, nella violenza privata la condotta da inopportuna travalica in modo evidente i limiti dell'esercizio di un diritto ed arriva ad un comportamento di vera e propria costrizione della vittima (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 38820/2006).

L'estorsione e la violenza privata risultano accumunati dall'uso della violenza o delle minacce per ottenere qualcosa dalla vittima; l'estorsione, tuttavia, richiede quali ulteriori elementi costitutivi l'ingiusto profitto dell'autore del reato o di un terzo, profitto cui corrisponde il danno patrimoniale della vittima; l'aspetto patrimoniale del profitto e del danno caratterizzano dunque l'estorsione rispetto alla violenza privata (Cass. Pen., sez. II, sent. n. 46609/2009).

Analoga considerazione deve essere svolta quanto al rapporto della violenza privata con il delitto di rapina (con il quale anche condivide l'uso di violenza o minaccia a fini di coartazione): anche la rapina è un reato contro il patrimonio, nel quale profitto e depauperamento sono elementi costitutivi della fattispecie. La sottrazione temporanea di una res (ad es. uso momentaneo di un motorino) che rimane sotto il controllo della vittima o la sottrazione della pagina di un'agenda (in sé priva di apprezzabile valore economico) non integrano il delitto di rapina ma quello di violenza privata (v., rispettivamente, Cass.

Pen

.

, sez. II, sent n. 34905/2013

e

Cass

, sez. II, sent. n. 850/2011

).

Il delitto di danneggiamento (deterioramento di un bene altrui: art. 635 c.p.) è ipotizzato dal codice anche nella forma aggravata dall'uso di violenza o minaccia alla persona (comma II, §1 art. cit.). Anche in questo caso, tuttavia, occorre ribadire che si tratta di un reato contro il patrimonio (mentre la violenza privata è un reato contro la libertà morale della persona) e l'ipotesi della violenza o della minaccia riguarda comportamenti finalizzati al deterioramento del bene aggredito (non alla coartazione della volontà) o addirittura fine a se stessi (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 4791/1988).

Le percosse (reato contro la persona, ex art. 581 c.p.) si concretizzano in una violenza priva di effetti patologici (una violenza, dunque, che cagiona soltanto dolore senza lesioni). Qualora questa minima forma di violenza si accompagnasse alla coartazione della volontà altrui, il reato risulterebbe assorbito in quello di violenza privata (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 6430/2004).

Il sequestro di persona (art. 605 c.p.) e la violenza sessuale (art. 609 bis c.p.,) sono reati lesivi, rispettivamente, del bene della libertà di movimento e del bene della libertà sessuale. Il contenuto di coartazione della libertà morale inevitabilmente contenuto in quelle due fattispecie è compromesso in maniera molto più intensa e con danneggiamento di una libertà più specifica (si è già detto che la violenza privata è un reato sussidiario). Ciò non toglie che in un medesimo disegno criminoso i diversi reati possano concorrere (si pensi al caso del sequestratore che, con la minaccia di un arma, costringa la vittima a compiere ulteriori attività a questa sgradite: Cass. Pen., sez. VI, sent. n. 2780/1995).

L'elemento materiale del reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.) è costituito da comportamenti di ingiuria, minacce e violenze private; tali, singole fattispecie di reato sono quindi assorbite nel reato di maltrattamenti in famiglia (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 22790/2010).

Aspetti processuali

Arresto: facoltativo in flagranza di reato.

Fermo: non consentito.

Misure cautelari personali (compresa la custodia in carcere): consentita.

Procedibilità: d'ufficio.

Autorità competente: tribunale in composizione monocratica.

Trattandosi di reato per il quale l'azione penale viene esercitata con citazione a giudizio direttamente effettuata dal PM (cioè non è prevista l'udienza preliminare), la costituzione di parte civile per il risarcimento del danno deve avvenire prima dell'apertura del dibattimento.

Nesso di causalità

Tra il patimento (fare, omettere, tollerare qualcosa di non autenticamente voluto) e la coartazione della volontà ottenuta attraverso violenza o minaccia deve sussistere un nesso causale. Anche se l'autore del reato non dovesse riuscire nell'intento di ottenere la condotta da lui voluta, è sufficiente che la libertà psichica della vittima sia stata lesa. Si configurerà il solo tentativo se l'obiettivo non è stato raggiunto (in quanto la vittima ha percepito l'oppressione della violenza o della minaccia - con lesione della libertà psichica - ma non si è piegata alla costrizione; si configurerà invece il delitto consumato se la coartazione avrà prodotto l'effetto voluto dall'agente (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 4554/1987).

Criteri di liquidazione del danno

Il delitto di violenza privata si iscrive tra i delitti contro la persona (Titolo XII c.p.) e, più specificamente, tra quelli contro le libertà personali (Sez. III: delitti contro la libertà morale). La violazione della libertà morale produce un danno non patrimoniale e stessa natura avrà il conseguente risarcimento (trattandosi di danno morale).

L'entità del risarcimento della vittima andrà dunque commisurata, innanzitutto, all'entità degli elementi costitutivi della fattispecie: la gravità della violenza o della minaccia esercitate che avranno determinato (a seguito della costrizione conseguentemente subita) una certa lesione della libertà psichica. La sussistenza di eventuali aggravanti comporta un maggior turbamento della libertà di autodeterminazione e quindi il diritto ad un maggiore risarcimento. Nei casi più significativi il profilo inerente anche il solo turbamento conseguito alla minaccia o alla violenza (e quindi in modo distinto dalla compressione della libertà decisionale che si manifesta con l'atto compiuto dalla vittima quale risultato della coartazione) può essere valutato anche mediante un'indagine psicologica che consenta di misurare il predetto grado di turbamento.

Sebbene il fine ultimo perseguito dall'autore del reato non sia rilevante ai fini del perfezionamento dello stesso (v. sopra, con riferimento al dolo generico), tuttavia tale aspetto finalistico potrebbe essere rilevante ai fini del danno cagionato e del conseguente risarcimento. Trattandosi di reato di danno (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 6413/1974), l'entità della lesione alla libertà morale della vittima costituirà il più importante parametro per stimare il risarcimento dovuto. Contribuiranno poi a valutare la gravità del danno l'intensità del dolo e le motivazioni (di maggiore o minore disvalore etico – giuridico) che hanno indotto l'autore a costringere la vittima ad agire in modo difforme dalla propria e autentica volontà.

Casi pratici di liquidazione del danno nella più recente giurisprudenza

Per tutti i reati che non arrecano un danno patrimoniale (come tale più facilmente quantificabile), occorre ribadire il principio (già sopra implicitamente richiamato) secondo cui la liquidazione del danno non patrimoniale non potrà che essere di tipo equitativo (e quindi con ampia discrezionalità, da riferire al caso concreto). A tale proposito afferma Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 32463/2013: “Quanto alla somma liquidata dalla Corte territoriale […] Va anche rilevata la sua piena conformità alla forma equitativa: secondo un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, unica forma possibile di liquidazione di danni privi di caratteristiche patrimoniali è quella equitativa, in cui la dazione di somma di denaro non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico. E' quindi logicamente escluso che il giudice abbia l'obbligo - in assenza di parametri normativi di commutazione - di scandire gli specifici elementi valutativi da lui considerati nella quantificazione della entità del danno e della correlata dimensione del ristoro pecuniario, a fronte di accertati comportamenti, che inequivocabilmente sono da ritenere, secondo la comune esperienza e secondo consolidati criteri della civile convivenza - fonte di sofferenza per chi ne sia stato investito.”

Fatta questa premessa di carattere generale è utile rilevare che la sentenza di legittimità appena citata si riferiva proprio al caso di una condanna per violenza privata. La sentenza riguardava il caso di un dirigente pubblico che aveva costretto una sua sottoposta (che si era rivolta contro di lui con urla e strepiti) a fare rientro nel suo ufficio e a sedersi forzatamente alla sua scrivania. Tale comportamento, a giudizio della Suprema Corte, integra certamente il reato di violenza privata perché … i diritti del datore di lavoro alle prestazioni consistenti in un facere non sono coercibili sotto alcun profilo: né sul piano naturalistico, trattandosi di comportamenti personali volontari, né sul piano del diritto positivo, che prevede l'esecuzione coattiva degli obblighi di fare solo per comportamenti surrogabili, che non discendano da intuitus personae, mentre la tutela verso gli inadempimenti di obblighi incoercibili resta essenzialmente risarcitoria. Con riferimento a questa concreta ipotesi di violenza privata il Giudice di legittimità ha confermato la decisione di merito di liquidare il danno in euro 6.000,00, oltre alla rifusione delle spese processuali di parte civile (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 32463/2013).

Casistica

  • nel caso in cui la vittima di una successiva violenza sessuale venga costretta a salire a bordo di un'auto e ad assumere sostanza stupefacente, il reato di violenza privata concorre con quello di violenza sessuale (Cass. Pen., sez.III, sent. n. 37367/2013)
  • il rifiuto dell'azionista di maggioranza di firmare il bilancio prospettando conseguenze economiche pregiudizievoli non integra il reato di violenza privata (Cass. Pen., sez. VI, sent. n. 20414/2013)
  • costringere un soggetto ad assumere un dipendente integra il reato di estorsione e non di violenza privata in considerazione del valore patrimoniale della retribuzione (Cass. Pen., sez.II, sent. n. 49388/2012)
  • prospettare un “peggioramento della situazione” all'interlocutore affinché non sporga denuncia integra il reato di tentata violenza privata (Cass. Pen., Sez.V, sent. n. 8755/2012)
  • la richiesta di sottoscrizione di dimissioni o la prospettazione di lavorare in condizioni invivibili e in locali fatiscenti rivolta alla lavoratrice madre rientrata dall'astensione obbligatoria integra il delitto di tentata violenza privata (Cass. Pen., Sez.V, sent. n. 36332/2012)
  • il rifiuto di rimuovere l'auto parcheggiata ostruendo l'ingresso al garage condominiale integra il reato di violenza privata (Cass. Pen., Sez.V, sent. n. 603/2011)
  • il comportamento del datore di lavoro che costringe il proprio dipendente a tollerare una situazione di continua di denigrazione e deprezzamento delle sue qualità lavorative integra il reato di violenza privata (Cass. Pen., sez. VI, sent. n. 44803/2010)
  • il creditore che in carica della riscossione soggetti di cui conosce i metodi violenti e minacciosi per costringere il debitore all'adempimento non commette il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ma quello di violenza privata (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 26176/2010)
  • l'utilizzo di un'automobile per concretizzare comportamenti riconducibili al delitto di violenza privata nei consente il sequestro preventivo (Cass. Pen., Sez.V, sent. n. 11949/2010)
  • la costrizione a ritirare una denuncia non ha un contenuto tipicamente patrimoniale e non configura, quindi, il reato di estorsione ma quello di violenza privata (Cass. Penale, sez. II, sent. n. 46609/2009)
  • il medico che pratica un'operazione diversa da quella per la quale ha ottenuto il consenso e che sia stata effettuata nel rispetto delle regole dell'arte medica e con esito positivo non risponde del reato di violenza privata né di quello di lesioni personali (Cass. Pen., S.U., sent. n. 2437/2008)
  • la minaccia di “schiacciare il negro” per ottenere un determinato comportamento integra il reato di violenza privata aggravata dalla finalità di discriminazione razziale (Cass. Pen., Sez.V, sent. n. 38217/2008)
  • assistere ad atti osceni in luogo pubblico comporta, esclusivamente, il reato omonimo ex articolo 527 c.p. e non quello di violenza privata, non essendovi stata alcuna costrizione ad assistere all'atto (Cass. Pen., Sez.V, sent. n. 45025/2007)
  • l'automobilista che minaccia il pedone che ha occupato un parcheggio in attesa dell'arrivo di altra automobile commette il reato di esercizio arbitrario delle proprie per ragioni e non quello di violenza privata (Cass. Pen., Sez.V, sent. n. 43873/2007)
  • il datore di lavoro che costringe i lavoratori a sottoscrivere una lettera di dimissioni in bianco (pena la mancata assunzione) commette il reato di violenza privata (Cass. Pen., Sez.V, sent. n. 17444/2007)
  • il medico che (per obiettive esigenze mediche) esegue un'operazione chirurgica nonostante il rifiuto del trattamento da parte del paziente commette il reato di violenza privata e non di lesioni personali (Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 26446/2002).
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