Stalking e risarcimento del danno

Diego Munafò
29 Aprile 2014

L'ipotesi di reato comunemente indicata come stalking è contemplata dall'art. 612 bis c.p. ed è stata introdotta dall'art. 7 del d.l. 23 febbraio 2009 n. 11, convertito con modificazioni nella l. 23 aprile 2009 n. 38. Lo stalking, traducibile in italiano con la locuzione “fare la posta”, si concreta in atti persecutori - questo è appunto il titolo di reato indicato nel nostro codice - ripetuti nel tempo, che ingenerano nella vittima uno stato d'ansia, o di paura, per l'incolumità propria, o dei propri cari, e - più in generale - una condizione di soggezione, tale da costringerla in taluni casi a cambiare abitudini di vita. Detti atti si risolvono in comportamenti invadenti ed intrusivi nella sfera privata e/o professionale della vittima volti ad ottenerne il controllo e tali da limitarne - e spesso annullarne - la libertà; non è un caso se la cronaca sempre più spesso fa registrare casi di stalking tra ex coniugi e/o fidanzati, laddove il fine ultimo del molestatore è appunto quello di impedire che il molestato possa godere della propria libertà sentimentale. (Cfr. L'odioso reato di stalking, Avv. Francesca Maria Zanasi, Giuffrè Editore - Milano 2012).

Nozione

L'ipotesi di reato comunemente indicata come stalking è contemplata dall'art. 612 bis c.p. ed è stata introdotta dall'art. 7 del d.l. 23 febbraio 2009 n. 11, convertito con modificazioni nella l. 23 aprile 2009 n. 38.

Lo stalking, traducibile in italiano con la locuzione “fare la posta”, si concreta in atti persecutori - questo è appunto il titolo di reato indicato nel nostro codice - ripetuti nel tempo, che ingenerano nella vittima uno stato d'ansia, o di paura, per l'incolumità propria, o dei propri cari, e - più in generale - una condizione di soggezione, tale da costringerla in taluni casi a cambiare abitudini di vita.

Detti atti si risolvono in comportamenti invadenti ed intrusivi nella sfera privata e/o professionale della vittima volti ad ottenerne il controllo e tali da limitarne - e spesso annullarne - la libertà; non è un caso se la cronaca sempre più spesso fa registrare casi di stalking tra ex coniugi e/o fidanzati, laddove il fine ultimo del molestatore è appunto quello di impedire che il molestato possa godere della propria libertà sentimentale. (Cfr. L'odioso reato di stalking, Avv. Francesca Maria Zanasi, Giuffrè Editore - Milano 2012).

Elemento oggettivo

Le manifestazioni tipiche del reato di stalking sono rappresentate da pedinamenti, appostamenti, telefonate, invio di SMS, e-mail e messaggi su social network, molestie e minacce ed il discrimine rispetto alle singole fattispecie di reato nelle quali ognuna di queste condotte potrebbe concretarsi (art. 612 c.p.: minaccia, art. 660 c.p.: molestia, art. 594 c.p.: ingiuria …) è costituito dalla loro reiterazione, così che le stesse si inseriscano in un più ampio contesto persecutorio, specificamente volto ad intimidire la vittima, ingenerando in lei ansia e paura. La Cassazione, invero, è intervenuta più volte rispetto al concetto di reiterazione, precisando che per la configurazione del reato in parola sono sufficienti anche due soli episodi di minaccia e/o molestia, non essendo rilevante il loro numero, ma la forza intimidatrice che li caratterizza ed i loro effetti sulla vittima (Cass. pen., sez. III, n. 45648/2013).

L'ulteriore, imprescindibile, elemento costitutivo del reato di stalking è infatti integrato dall'effetto che le prefate condotte persecutorie debbono provocare sulla vittima, che può essere rappresentato - alternativamente - dall'insorgere di un grave e perdurante stato di turbamento emotivo, ovvero del fondato timore per l'incolumità propria, di un prossimo congiunto, o di persona legata alla medesima da una relazione affettiva, ovvero ancora dalla necessità di questa di alterare le proprie abitudini di vita.

Elemento soggettivo

Il reato di stalking presuppone il dolo dell'agente, che può essere anche generico, essendo sufficiente che questo sia consapevole dell'astratta idoneità delle sue condotte a produrre taluno degli effetti sopra descritti, senza che sia necessaria una sua rappresentazione anticipata del risultato finale.

Nesso di causalità

Trattandosi di un reato di danno e non di semplice pericolo, il delitto in esame presuppone la sussistenza di un effettivo e concreto nesso causale tra gli atti persecutori posti in essere dallo stalker e i sopra citati effetti sulla vittima, con verifica da effettuarsi ex post (Cass. pen, sez. V, n. 14391/2012).

Onere della prova

Gli atti persecutori possono causare alla vittima, sia danni patrimoniali, che non patrimoniali, e sul danneggiato che ne chiede il risarcimento incombe l'onere di provarne - come previsto dall'art. 2697 c.c. - la natura, l'entità e la riconducibilità causale alle condotte poste in essere dallo stalker, secondo lo schema generale di cui all'art. 2043 c.c.

Per quanto concerne i danni patrimoniali emergenti da stalking, l'onere probatorio gravante sul danneggiato deve essere assolto mediante idonee produzioni documentali. I tipici danni in discorso sono, infatti, rappresentati dalle spese affrontate dalla vittima per psicoterapia di sostegno e farmaci, assistenza legale, protezione domestica (impianti di allarme, videosorveglianza …) e della persona (servizi di security ...), variazione di domicilio (trasloco, acquisto di nuova abitazione, locazione …) e utenze (telefoniche, fax, mail …).

Sempre mediante produzioni documentali devono essere dimostrati i danni patrimoniali da lucro cessante, che possono concretarsi, nell'impossibilità della vittima di lavorare, e quindi produrre reddito, in una sua minore capacità di guadagno, o nella sopravvenuta incapacità di amministrare il proprio patrimonio; la prova di detti pregiudizi, tuttavia, deve essere particolarmente rigorosa, soprattutto per quanto concerne la sussistenza di un effettivo nesso causale con gli atti persecutori di cui il richiedente sia stato oggetto.

Ancor più complesso è l'assolvimento dell'onere probatorio gravante sul danneggiato rispetto ai danni non patrimoniali di cui reclami il risarcimento, salvo che questi si concretino in una menomazione dell'integrità psico-fisica della vittima, che sia passibile di accertamento medico-legale, sotto il profilo del danno biologico permanente e temporaneo. Diversamente la vittima del reato dovrà dare prova dell'effettiva lesione di un suo interesse costituzionalmente garantito e della gravità dell'offesa arrecatavi, dimostrando che detta lesione sia meritoria di tutela risarcitoria. Come noto, infatti, per costante giurisprudenza, nel solco di quanto indicato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 26972 (Cass. S.U. n. 26972/2008), anche quando il fatto illecito integri gli estremi del reato, la sussistenza del danno non patrimoniale non può mai essere ritenuta sussistente in re ipsa, ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici (Cass. civ., sez. III, n. 8421/2011).

A tal fine il danneggiato potrà ricorrere ai normali mezzi di prova utili a formare il convincimento del Giudice rispetto alla propria condizione di soggezione, dovendosi rilevare che l'onere di allegazione della vittima si rivela tanto più gravoso, quanto meno evidente appaia la lesione da lei patita, ragion per cui è necessario che il richiedente sia in grado di provare - per mezzo di dichiarazioni testimoniali, registrazioni audio-video, scritti, e-mail, SMS, fotografie (…) - l'invasività degli atti patiti, così da consentire al Giudice di percepirne l'effettiva consistenza, ove anche questa non si risolva in un danno biologico concretamente accertabile.

Aspetti medico-legali

Come già evidenziato, se gli atti persecutori hanno cagionato un danno concreto all'integrità psico-fisica della vittima, è necessario che venga disposta una consulenza tecnica d'ufficio al fine di accertare la durata e l'entità del pregiudizio biologico, temporaneo e permanente, derivatone.

Orbene, premesso che il reato di atti persecutori può pacificamente concorrere con quelli di percosse e lesioni personali, qualora gli atti persecutori si concretino, anche, in episodi di violenza fisica il medico legale dovrà accertarne gli effetti, sia sotto il profilo dell'invalidità permanente, che sotto quello della temporanea, ma per la valutazione dei danni da stalking - in linea generale - è assolutamente opportuno che il collegio peritale includa la figura dello psichiatra.

Invero è senza dubbio questo lo specialista più indicato ad accertare gli effetti degli atti persecutori sulla vittima, sia sotto il profilo psichico, che della vita di relazione e della sofferenza interiore, e sarà lui che dovrà fornire, al medico legale, gli strumenti per l'inquadramento del danno nei parametri tabellari, ed al Giudice, quelli per la valutazione sulla personalizzazione del risarcimento.

Criteri di liquidazione

La vittima di atti persecutori ha diritto al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti e la loro liquidazione non sfugge ai normali criteri indicati da dottrina e giurisprudenza in ambito civilistico.

Per quanto concerne i danni concretamente obbiettivabili e quindi suscettibili di valutazione medico legale, dovrà - pertanto - farsi applicazione delle tabelle per la liquidazione non patrimoniale rilevandosi che, anche in questo ambito, la Tabella milanese costituisce il punto di riferimento su base nazionale (Cass. civ., sez. III, sent., n. 12408/2011; Cass. civ., sez. III, sent. n. 8290/2011).

Quest'ultima, peraltro, come noto, consente di adeguare la liquidazione standard all'effettivo pregiudizio subito, così come provato in corso di causa, mediante la personalizzazione del valore tabellare.

Qualora, invece, come sovente avviene, il perturbamento patito dalla vittima non si risolva in una concreta diminuzione della sua integrità psico-fisica, dovrà procedersi ad una liquidazione puramente equitativa, ex art. 1226 c.c., e - pertanto - sarà necessario che il richiedente fornisca al Giudicante quanti più elementi possibili per consentirgli di apprezzare il proprio patimento interiore e l'invasività degli atti subiti.

Aspetti processuali

La vittima del reato di stalking può esercitare l'azione civile in sede penale, mediante costituzione di parte civile, ex art. 76 c.p.p., chiedendo quindi in tale ambito il risarcimento dei danni patiti e dimostrandone natura ed entità. Il tale ipotesi è buona norma chiedere che l'eventuale concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena in favore dello stalker venga subordinata al pagamento del dovuto, così da sfruttare l'ulteriore effetto connesso a tale statuizione. Sul punto, tuttavia, deve rilevarsi che in sede penale - quasi sempre - alle vittime vengono concessi dei semplici “acconti” a titolo di provvisionale, liquidati in via meramente equitativa e spesso in misura incongrua, così che la liquidazione definitiva del danno viene demandata al Giudice civile.

E' bene ricordare che la sentenza penale di condanna, pronunciata a seguito di dibattimento e divenuta irrevocabile, ha efficacia di giudicato anche in sede civile rispetto all'accertamento della sussistenza del fatto ed alla circostanza che l'imputato lo abbia commesso, ma la stessa non costituisce presupposto necessario per la proposizione della causa civile, posto che la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale trova fondamento non già in una sentenza di condanna penale, ma nella commissione di un fatto astrattamente previsto dalla legge come reato, come si desume dall'art. 2059 c.c. e dal suo coordinamento con gli artt. 189 e 198 c.p. (Trib. Viterbo, n. 456/2010).

In sede civile il giudizio segue gli ordinari criteri di competenza per valore e territorio e nell'atto introduttivo dovranno essere ben esplicitati, sia il petitum, che la causa petendi, ma - soprattutto - il richiedente dovrà adempiere all'onere probatorio su di lui gravante ex art. 2697 c.c., tanto in relazione alla sussistenza dei danni patiti, quanto in ordine alla loro riconducibilità causale agli atti persecutori subiti. Non solo il danneggiato, già con l'atto introduttivo del giudizio, dovrà dare evidenza di un contesto persecutorio preordinato che non si esaurisca nell'elenco dei singoli episodi occorsi, ma dia contezza del programma unitario perseguito dallo stalker. (Trib. Rovereto, 23 dicembre 2008).

Per contro, il convenuto dovrà difendersi contestando la prospettazione dei fatti offerta dalla vittima, la sussistenza di un effettivo nesso causale tra i pretesi danni e le sue condotte (solitamente su questo aspetto si incentrano le difese degli stalker laddove gli atti persecutori siano conclamati ed innegabili), nonché le specifiche voci di danno per cui venga preteso il risarcimento.

Profili penalistici

Il reato di stalking è procedibile a querela delle persona offesa da presentare entro il termine di sei mesi - invece che i tre ordinari - decorrenti dall'ultimo atto persecutorio subito dalla vittima, salvo venga commesso nei confronti di un minore, di persona con disabilità di cui all'art. 3 l. 5 febbraio 1992 n. 104, o quando il fatto sia connesso ad altro delitto procedibile d'ufficio.

Invero, considerata la natura personale ed intima degli interessi tutelati (e la “pubblicità” spesso connessa al procedimento penale), la vittima può scegliere se proporre, o meno, la querela dando così avvio al procedimento penale, decisione che - in ogni caso, come detto - non pregiudica la sua possibilità di svolgere direttamente l'azione in sede civile.

Casistica

  • Per alterazione delle proprie abitudini di vita, deve intendersi ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo dell'ordinaria gestione della vita quotidiana, indotto nella vittima dalla condotta persecutoria altrui (quali la utilizzazione di percorsi diversi rispetto a quelli usuali per i propri spostamenti; la modificazione degli orari per lo svolgimento di certe attività o la cessazione di attività abitualmente svolte; il distacco degli apparecchi telefonici negli orari notturni et similia), finalizzato ad evitare l'ingerenza nella propria vita privata del molestatore. Trattandosi di reato abituale di evento, è sufficiente ad integrare l'elemento soggettivo il dolo generico, quindi la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente necessari per l'integrazione della fattispecie legale e delle conseguenze che ne sono derivate sullo stile di vita della persona offesa (Cass. pen., sez. V, n. 20993/2012).
  • Particolare attenzione merita il quesito da sottoporre al CTU dovendo questi accertare “1) se la vittima abbia subito un danno biologico per effetto delle condotte contestate; 2) se, a parte le conseguenze fisiche di percosse e lesioni, i patimenti subiti a causa di tali condotte siano tali da integrare un'effettiva lesione della salute; 3) se comunque, la stessa abbia riportato dall'esperienza vissuta per i fatti di causa, conseguenze sull'assetto relazionale ed esistenziale e in definitiva sul corretto funzionamento mentale; 4) la durata della malattia conseguita e del periodo di incapacità di attendere alle normali occupazioni, in misura totale o parziale ed in che grado; 5) la sussistenza di eventuali postumi di carattere permanente e la loro percentuale di incidenza sull'integrità psicofisica in se' considerata e sulla capacità lavorativa specifica, tenuto anche conto della situazione preesistente; 6) quant'altro utile a fini di giustizia" (Trib.civ. Modena, sez. II, n. 752/2011).
  • La presenza di uno stato di conflittualità tra ex coniugi non impedisce di configurare la fattispecie di atti persecutori, qualora sussistano tutti gli elementi costitutivi del reato, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità. Ciò posto, il notevole flusso telefonico, dal contenuto minaccioso, proveniente dall'ex coniuge ai danni dell'altro è sicuramente sintomatico di una condotta assillante tale da ingenerare il menzionato stato psichico e appare assai rilevante, tanto più che l'art. 612 bis, al secondo comma, prevede come aggravante proprio l'esistenza di rapporti di coniugio o di pregressi rapporti affettivi tra le parti (Cass. pen., sez. III, n. 6384/2014,); non solo l'esistenza di una pregressa relazione consente al soggetto, che mette in essere l'abuso ed il comportamento penalmente rilevante, di sfruttare gli elementi di conoscenza con la vittima che sono maturati nel corso della relazione, risultando così più efficace nella provocazione dell'evento lesivo rispetto ad un estraneo (Trib. Roma , sez XII, n. 23351/2013).
  • La fattispecie di atti persecutori può configurarsi anche nel caso di reciprocità di atti molesti tra la vittima ed il reo. La reciprocità, invero, non vale ad escludere in radice la possibilità della rilevanza penale delle condotte persecutorie ex art. 612-bis c.p., occorrendo verificare se, nell'ipotesi di reciprocità delle minacce, vi sia una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due soggetti, tale da consentire di qualificare le iniziative minacciose e moleste come atti aventi natura persecutoria, e le conseguenti reazioni della vittima come esplicazione di un meccanismo di difesa diretto a sopraffare la paura. In una simile ipotesi la Suprema Corte ha infatti escluso che sussistesse una situazione di effettiva reciprocità, sebbene ricorressero determinati episodi nei quali la vittima avrebbe affrontato l'imputato in modo aggressivo (Cass. pen., sez. III, n. 45648/2013).
  • Si passa dalle molestie allo stalking condominiale qualora dopo una prima serie di condotte qualificabili come mere azioni di molestia o disturbo a danno di condomini, integranti la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p., le azioni persecutorie abbiano assunto le caratteristiche di quelle astrattamente previste dall'art. 612-bis c.p., poiché l'indagato ha volontariamente proseguito nella propria sistematica azione di molestia e disturbo, nonostante le numerose lamentele dei condomini e, per chi ha tentato di opporsi, è scattata la reazione minacciosa, diretta a questo o quel condomino, a volte a tutti indistintamente, comunque sempre con urla tali da farsi ben sentire da tutti, esternando, con assoluta sfrontatezza, il proprio programma criminoso, volto a intimidire e creare un clima di ansia e di paura, all'interno dell'edificio, nelle persone che vi abitano. (Trib. Padova, 15 febbraio 2013, n. 1222).
  • Cyberstalking. I messaggi inviati tramite Facebook possono integrare il reato di stalking, posto che gli atti persecutori possono essere realizzati non solo con il telefono, o lettere anonime, ma utilizzando le nuove tecnologie e quindi tramite i social network, per posta elettronica, con la messaggistica istantanea e strumenti affini. Inoltre la vittima può essere perseguitata controllandone i movimenti tramite la rete; si pensi a chi fa parte di un social network o ha un proprio blog o è iscritto a newsgroup, mailing list, ecc. (Cass. pen., sez. V, sent. n. 25488/2011).
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