Eccezioni di giudicato

Francesco Bartolini
04 Maggio 2017

La disciplina del giudicato costituisce una applicazione del principio processuale “ne bis in idem” e concerne la situazione in forza della quale nessun giudice può più pronunciarsi sul diritto che ha già costituito oggetto di una decisione divenuta irrevocabile. Il nostro ordinamento segue la regola del numero limitato delle impugnazioni possibili avverso il provvedimento del giudice: esaurito il quale il provvedimento diventa definitivo e non più modificabile (salve le eccezioni costituite dalle impugnazioni straordinarie e dai casi in cui la pronuncia è successivamente modificabile per jus superveniens o per fatti sopraggiunti).
Inquadramento

La disciplina del giudicato costituisce una applicazione del principio processuale “ne bis in idem” e concerne la situazione in forza della quale nessun giudice può più pronunciarsi sul diritto che ha già costituito oggetto di una decisione divenuta irrevocabile. Il nostro ordinamento segue la regola del numero limitato delle impugnazioni possibili avverso il provvedimento del giudice: esaurito il quale il provvedimento diventa definitivo e non più modificabile (salve le eccezioni costituite dalle impugnazioni straordinarie e dai casi in cui la pronuncia è successivamente modificabile per jus superveniens o per fatti sopraggiunti). L'aspetto che in modo più immediato risulta dal conseguente sistema normativo è l'effetto processuale di inibire interventi successivi, ad opera dello stesso giudice o di un giudice diverso. Il codice civile disciplina le conseguenze del giudicato sul piano sostanziale, per le parti, i loro eredi e i loro aventi causa. Si distingue, corrispondentemente, la cosa giudicata in senso formale dalla cosa giudicata in senso sostanziale.

La cosa giudicata in senso formale

Per cosa giudicata in senso formale si intende la pronuncia in ordine alla quale sono stati percorsi tutti i gradi di processo o per la quale sono scaduti i termini per proporre impugnazioni od ulteriori impugnazioni. In questo senso, il giudicato dipende dall'esaurimento dei mezzi di gravame consentiti o dalla decadenza dalla facoltà di proporre il gravame per l'avvenuta scadenza dei termini previsti dalla legge. Il rilievo del giudicato formale cede al rilievo della situazione processuale che lo precede, in linea logico giuridica, e che ne è la causa determinante: il rilievo d'ufficio o l'eccezione di parte riguardano, infatti, la condizione di inammissibilità dell'impugnazione che deriva dal detto esaurimento dei gradi di processo o dalla maturata scadenza dei termini di esercizio dell'azione di impugnazione. Quando viene proposta una impugnazione non consentita per l'intervenuto passaggio in giudicato della pronuncia che ne è oggetto, la sanzione predisposta dalla legge processuale è quella della inammissibilità della domanda: ed è questa inammissibilità a costituire la situazione da rilevarsi dal giudice o da denunciarsi dalla parte.

L'inammissibilità dell'impugnazione è rilevabile d'ufficio, in quanto è correlata alla tutela di interessi di carattere generale (Cass. Sez. Unite, 6983/2005); ed è insanabile. Nessun effetto di sanatoria potrebbe produrre, infatti, la costituzione in giudizio dell'interessato (Cass. 11666/2015). Neppure varrebbe a sanare l'inammissibilità la rinuncia della parte a proporre l'eccezione (Cass. 11570/1999). I fatti sui quali il rilievo è fondato devono, ovviamente, risultare dagli atti. In genere, non occorre per il rilievo d'ufficio che la parte lo solleciti o fornisca una qualche dimostrazione, posto che l'inammissibilità deriva da una constatazione di facile risultanza: il computo dei termini, la scelta errata del grado del giudice cui è presentato il gravame e simili. In taluni casi occorre, tuttavia, che la parte fornisca al giudice gli elementi necessari a far risultare la causa di inammissibilità e la conseguente formazione della cosa giudicata. Ciò avviene se una impugnazione, asseritamente presentata nell'osservanza del termine semestrale ex art. 327 c.p.c., avrebbe dovuto rispettare il termine breve, essendo avvenuta la notifica della sentenza. Spetta alla parte che eccepisce l'inammissibilità dimostrare, in questo caso, la circostanza con la produzione della copia ad essa notificata.

La cosa giudicata in senso sostanziale

L'art. 2909 c.c. dispone che la sentenza passata in giudicato «fa stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa». La norma descrive gli effetti della pronuncia e, insieme, i suoi limiti di ambito soggettivo. Sotto un profilo processuale, la stessa norma indica il valore che il giudicato assume come pronuncia che statuisce e che preclude rivisitazioni. Il giudicato costituisce una statuizione che determina conseguenze preclusive: il rilievo d'ufficio o l'eccezione di parte nel processo hanno ad oggetto precisamente questo effetto di impedimento di una nuova cognizione su domande e su questioni sulle quali è già stato definitivamente deciso.

Il giudicato può formarsi in uno stesso processo ove, nel succedersi dei gradi di giudizio, alcune delle domande formulate e decise non siano riproposte al giudice dell'impugnazione. La mancata impugnazione rende le domande e le questioni decise ormai passate in giudicato, che viene comunemente denominato giudicato interno (e, per il modo non espresso con il quale esso si forma, è detto anche implicito). In proposito le sezioni unite della Corte di cassazione hanno precisato che il detto tipo di giudicato richiede che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si asserisce essere preclusa per giudicato interno deve sussistere un rapporto di dipendenza indissolubile, tale da determinare l'assoluta inutilità di una decisione sulla seconda questione (sent. 6632/2003). Sulle questioni non esaminate dal giudice, perché ritenute assorbite dall'accoglimento di altre domande, non può formarsi alcun giudicato, il quale presuppone una decisione (Cass. 9303/2012); né il giudicato interno può, per la medesima ragione, formarsi sulle premesse logiche della pronuncia (Cass. 22863/2007; Cass. 10043/2006). Il giudicato si forma unicamente su capi autonomi della sentenza (Cass. 6304/2014).

Il giudicato interno è rilevabile d'ufficio dal giudice d'appello e dalla Corte di cassazione, posto che il suo accertamento costituisce un mero aspetto della conoscenza e valutazione degli atti (Cass. 21561/2010; Cass. 1672/1999; Cass. 2388/1998).

Diverse sono le considerazioni che riguardano il giudicato detto esterno. Esso riguarda due pronunce diverse e il loro confronto. La regola, sopra ricordata, del ne bis in idem, esige che ciò che è stato deciso con efficacia di giudicato non possa costituire oggetto di una nuova pronuncia. I limiti applicativi di questo principio risiedono nella prova, in un processo, della sussistenza dell'altra decisione; e la rilevabilità d'ufficio, o ad istanza di parte, di una tale sussistenza.

A lungo la giurisprudenza ha negato la rilevabilità d'ufficio del giudicato esterno. Si affermava che la questione riguardava il merito e che doveva, come tale, costituire oggetto di eccezione di parte; la parte era gravata dal relativo onere probatorio. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza 226/2001, mutarono il precedente orientamento e affermarono che il giudicato esterno era rilevabile anche d'ufficio e anche per la prima volta nel giudizio di legittimità, in quanto concernente una eccezione in senso lato. Da allora l'indirizzo interpretativo si è consolidato ed è stato precisato in alcuni aspetti di rilievo. Il vincolo derivante dal giudicato, si è affermato, partecipa della natura dei comandi giuridici e non costituisce patrimonio esclusivo delle parti; esso mira ad evitare il contrasto di pronunce e corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche (Cass. 8379/2009). Il giudicato va assimilato agli elementi normativi della fattispecie sì che la sua interpretazione va effettuata alla stregua dell'esegesi delle norme giuridiche; il giudice di legittimità può direttamente accertare l'esistenza e la portata del giudicato esterno, con cognizione piena che si estende al diretto esame degli atti processuali (Cass. Sezioni Unite, 24664/2007). Per consentire questa indagine, i documenti dai quali il giudicato risulta sono producibili nel giudizio di cassazione sino all'udienza di discussione, se la parte è regolarmente costituita (Cass. 11365/2015). I principi costituzionali del giusto processo impongono al giudice di rilevare d'ufficio il giudicato esterno, sia che questo risulti dagli atti del giudizio di merito sia nel caso in cui si formi successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata ed anche prescindendo da eventuali allegazioni in tal senso delle parti, purché risulti, dall'esame dei rispettivi scritti difensivi, che esse abbiano avuto piena conoscenza della pendenza di altro giudizio (Cass. 6102/2014).

Le Sezioni Unite 226/2001 non si erano pronunciate su una questione suscettibile di privare in parte notevole il rilievo pratico del principio che essa affermava e tuttora seguito. La questione riguardava l'allegazione e la prova, ad opera della parte interessata, della sussistenza della sentenza passata in giudicato in altro processo e preclusiva della cognizione delle domande proposte nel processo pendente. Cass. 3631/1999 e le sezioni unite della Corte suprema (sent. 1099/1998) si erano pronunciate nel senso che il giudicato doveva comunque risultare dagli atti e che la relativa allegazione era soggetta alle ordinarie preclusioni concernenti la proposizione delle eccezioni di merito. La questione si pone tuttora, anche se è mutato il contesto entro il quale essa va considerata. Innanzitutto, a norma dell'art. 101, secondo comma, quando ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevabile d'ufficio, il giudice deve riservarsi la pronuncia e assegnare alle parti un termine per il deposito in cancelleria di memorie contenenti le loro osservazioni. Per tal modo è evitata la decisione “a sorpresa”; e la questione rilevata d'ufficio diventa una questione controversa tra le parti, sulla quale il giudice pronuncia la sua decisione. Il principio, però, si applica al “dopo” che la questione è stata rilevata e lascia impregiudicato il quesito relativo alle preclusioni per le parti in ordine alla dimostrazione dell'esistenza della pronuncia che costituisce il giudicato, quando sono esse a formulare l'eccezione. La dottrina aveva stigmatizzato l'orientamento espresso dalla giurisprudenza affermativa della subordinazione alle preclusioni dell'eccezione di parte in quanto suscettibile di condurre a risultati inaccettabili a fronte della risultanza di palesi realtà diverse da quelle oggetto delle difese delle parti formulate nei ristretti tempi della fase introduttiva del giudizio. Con sentenza 7 maggio 2013, n. 10531, le sezioni unite della Corte hanno recepito le osservazioni dottrinarie ed hanno affermato, in linea generale, che il rilievo delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis. Il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe negato ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto. In questo senso si sono pronunciate anche Cass. Sezioni Unite 15661/2005; Cass. 21929/2009; Cass. 409/2012; Cass. 25858/2013.

Le pronunce che sopra abbiamo ricordato riguardanti in modo specifico l'eccezione di giudicato, quale rilevabile d'ufficio anche in cassazione e senza necessità di allegazioni di parte (in specie, Cass. 6102/2014), si inseriscono in questo indirizzo interpretativo che prescinde dal rispetto dei termini di decadenza previsti per le parti nelle fasi processuali dell'introduzione e della trattazione del giudizio. Gli unici limiti attualmente posti al potere officioso del giudice risultano pertanto essere il divieto della scienza privata del giudicante e l'osservanza del contraddittorio e del diritto di difesa imposta dal citato art. 101, secondo comma, c.p.c.

Riferimenti
  • ATTARDI, In tema di limiti oggettivi della cosa giudicata, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1990, 475 ss.;
  • MENCHINI, Regiudicata civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVI, Torino, 1997, 404 ss.;
  • PROTO PISANI, nota a sent. In Riv. dir. proc., 1990, 414;
  • A.A. ROMANO, Contributo alla teoria del giudicato implicito sui presupposti processuali, in Giur. it., 2001, 1292;
  • FITTIPALDI, Preclusioni processuali e giudicato esterno: verso un disimpegno della Cassazione dalle teorie dell'eccezione, in Corr. giur., 2001, 1462;
  • M. IOZZO, Eccezione di giudicato esterno e poteri del giudice (anche di legittimità), in Foro it., 2001, 2810;
  • G. SCARSELLI, Ancora in tema di cosa giudicata esterna e di rapporti tra preclusioni ed eccezioni rilevabili d'ufficio, in Foro it., 2006, 746 ss.