09 Dicembre 2016

L'eccezione di nullità, per quanto qui interessa da intendere specificatamente come «eccezione di nullità del contratto», si colloca nell'ambito della più ampia e generale figura della eccezione, intendendosi per tale qualsiasi richiesta che abbia, in senso lato, la funzione di contrastare la domanda dell'attore (o della controparte in genere).
Inquadramento

L'eccezione di nullità, per quanto qui interessa da intendere specificatamente come «eccezione di nullità del contratto», si colloca nell'ambito della più ampia e generale figura della eccezione, intendendosi per talequalsiasi richiesta che abbia, in senso lato, la funzione di contrastare la domanda dell'attore (o della controparte in genere).

Posto che l'eccezione ha, in generale, ad oggetto i fatti estintivi, impeditivi o modificativi dei fatti costitutivi addotti dall'attore a fondamento della propria domanda, proprio in tale alveo di allegazioni (dunque di segno contrario a quelle positivamente allegate dall'attore) si pone l'eccezione di nullità del contratto, alla luce dell' art. 1421 c.c. che espressamente stabilisce «Salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d'ufficio dal giudice».

La norma civilistica è invero rubricata «Legittimazione all'azione di nullità», ma pacificamente si ritiene che faccia riferimento non solo alla proposizione dell'azione, ma anche, appunto, alla proposizione dell'eccezione di nullità.

Rilevabilità d'ufficio

Nell'ambito della complessa teorizzazione, dottrinaria e giurisprudenziale, sulla natura dell'eccezione in generale, e soprattutto della sua rilevabilità d'ufficio nel silenzio del legislatore, ferme restando le specifiche disposizioni normative che espressamente configurano alcune eccezioni come ad esclusiva rilevabilità ad opera della parte, e dunque come eccezioni in senso proprio e stretto (eccezione di compensazione, di prescrizione), si è affrontata anche la questione della rilevabilità d'ufficio dell'eccezione di nullità.

Invero, l'art. 1421 c.c. enuncia chiaramente che la nullità può essere rilevata d'ufficio dal giudice, per cui, sulla scorta di tale dato testuale si dovrebbe ritenere che laddove sia promossa un'azione relativa al rapporto contrattuale, indipendentemente dal contenuto e dalla specifica funzione della domanda proposta (che sia di adempimento, risoluzione, o di annullamento del negozio), il giudice possa esercitare il suo potere di rilievo officioso della eventuale nullità.

Nonostante la lettera della legge, tuttavia, in giurisprudenza si è formato da tempo un consolidato orientamento nel senso per cui l'art. 1421 c.c. consente la rilevabilità d'ufficio della nullità nei soli giudizi in cui la parte agisce per l'adempimento del contratto; nelle controversie in cui si addiviene ad impugnare il contratto medesimo (di risoluzione, rescissione), invece, la nullità può costituire unicamente oggetto (se non di autonoma domanda) di eccezione in senso proprio della parte, con esclusione dunque della sua rilevabilità d'ufficio (v. Cass., Sez. Un., 25 marzo 1988, n. 2572; Cass., Sez. Un., 3 aprile 1989, n. 1611; Cass., 17 maggio 2002, n. 7215; Cass., 27 aprile 2011, n. 9395).

Alla base di un siffatto orientamento si pone proprio la riconducibilità dell'eccezione di nullità alla allegazione di un fatto impeditivo della efficacia e validità del contratto, che in quanto tale va considerata di segno opposto alla domanda attorea diretta a far valere gli effetti del negozio.

Laddove lo stesso attore agisca per far venir meno il rapporto contrattuale, dunque anch'egli per “neutralizzare” il contratto, la nullità non potrebbe essere rilevata d'ufficio, a pena di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c..

Si ritrova quindi costamente ribadito il principio per cui, in tal caso, «i poteri del giudice vanno coordinati con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c., sicchè solo se sia in contestazione l'applicazione e l'esecuzione di un atto la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda il giudice è tenuto rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio la nullità dell'atto indipendentemente dalla attività assertiva delle parti; per converso, qualora la domanda sia diretta a far dichiarare l'invalidità del contratto o a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento, la deduzione nella prima ipotesi di una causa di nullità diversa da quella posta a fondamento della domanda e nella seconda ipotesi di una qualsiasi causa di nullità o di un fatto diverso dall'inadempimento sono inammissibili, ostandovi il divieto di pronunciare ultra petita» (v. Cass., 11 marzo 1988, n. 2398, che anche preclude, qualora la domanda sia diretta a far dichiarare la nullità del contratto, la deduzione d'ufficio di una causa di nullità diversa da quella posta a fondamento dell'istanza dell'attore, in quanto l'azione di nullità è riconducibile alla categoria di quelle relative a diritti eterodeterminati: v. anche Cass., 8 gennaio 2007, n. 89; Cass., 28 gennaio 2008, n. 28424; Cass., 26 giugno 2009, n. 15093).

Non sono tuttavia mancati pronunciamenti di segno opposto, volti cioè ad affermare la rilevabilità d'ufficio della nullità, senza incorrere in vizio di ultra petizione, anche quando il giudizio sia stato promosso per chiedere la risoluzione del contratto, posto che anche la domanda di risoluzione, al pari di quella di adempimento, presuppone un contratto valido ed efficace (Cass., 22 marzo 2005, n. 6170; v. Cass., Sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095, secondo cui la difesa svolta dal convenuto tesa a rilevare determinati profili di nullità non preclude il potere officioso del giudice di indagare ed eventualmente di dichiarare, sotto qualsiasi profilo, la nullità del negozio).

L'insegnamento delle sezioni unite della Corte di Cassazione

Con le decisioni della Corte di Cassazione12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243 le Sezioni Unite tornano ad esaminare la questione della rilevabilità d'ufficio dell'eccezione di nullità, non solo allorché sia stata proposta domanda di adempimento o di risoluzione del contratto, ma anche nel caso in cui sia domandato l'annullamento del contratto stesso (cfr. l'ordinanza di remissione Cass., 27 novembre 2012, n. 21083), questione sulla quale erano già intervenute con l'ancora recente pronuncia 4 settembre 2012, n. 14828, che nella sua massima ufficiale aveva affermato il seguente principio di diritto:

«Alla luce del ruolo che l'ordinamento affida alla nullità contrattuale, quale sanzione del disvalore dell'assetto negoziale e atteso che la risoluzione contrattuale è coerente solo con l'esistenza di un contratto valido, il giudice di merito, investito della domanda di risoluzione del contratto, ha il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti ‘ex actis', una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso, purché non soggetta a regime speciale (escluse, quindi, le nullità di protezione, il cui rilievo è espressamente rimesso alla volontà della parte protetta); il giudice di merito, peraltro, accerta la nullità ‘incidenter tantum' senza effetto di giudicato, a meno che sia stata proposta la relativa domanda, anche a seguito di rimessione in termini, disponendo in ogni caso le pertinenti restituzioni, se richieste».

La decisione del 2012 aveva tuttavia lasciato irrisolta la problematica della rilevabilità d'ufficio dell'eccezione di nullità qualora la domanda originaria avesse ad oggetto non l'adempimento o la risoluzione del contratto, ma il suo annullamento o la rescissione, ovvero qualora fosse stata dedotta dalle parti una nullità differente da quella individuata dal giudice decidente; questo spiega dunque perché, poco dopo, la seconda sezione civile rimetteva nuovamente alle Sezioni Unite la questione se, appunto, l'eccezione di nullità sia rilevabile d'ufficio anche qualora l'attore abbia chiesto l'annullamento del contratto (nelle more va peraltro segnalata Cass., sez. I, 12 luglio 2013, n. 17527, che ha affermato la deducibilità per la prima volta in appello di un'eccezione di nullità differente da quella originariamente formulata in primo grado).

Con le sentenze del 2014, dunque, la Suprema Corte, confermando l'insegnamento già reso a Sezioni Unite nel precedente arresto del 2012, statuisce altresì che, qualunque sia l'azione che la parte abbia promosso, la nullità del negozio è sempre rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo.

Tale principio di diritto risulta coerente con la scelta effettuata espressamente dal legislatore con l'art. 1421 c.c. (volta cioè a qualificare l'eccezione di nullità quale eccezione in senso lato rilevabile d'ufficio) in un'ottica pubblicistica, cioè valorizzando il profilo per cui la nullità tutela interessi generali in maniera rispondente all'ordine pubblico.

Nella sentenza Cass. 12 dicembre 2014 n. 26243 le Sezioni Unite affrontano inoltre la questione della sussistenza o meno dei poteri officiosi di rilevazione di una causa di nullità in appello, posto che, se è noto che l'art. 345 c.p.c. detta il principio della inammissibilità, da dichiararsi d'ufficio, delle domande ed eccezioni nuove proposte dinanzi al giudice dell'impugnazione, la norma va tuttavia coordinata, nella sua portata precettiva, con il perdurante obbligo di rilevare di ufficio una causa di nullità negoziale imposto al giudice di appello (al pari di quello di legittimità) dall'art. 1421 c.c., che non conosce nè consente limitazioni di grado.

Da quanto sopra, secondo la Suprema Corte, consegue:

a) che al giudice di appello investito di una domanda nuova volta alla declaratoria di nullità di un negozio del quale in primo grado si era chiesta l'esecuzione, la risoluzione, la rescissione, l'annullamento (senza che il giudice di prime cure abbia rilevato nè indicato alle parti cause di nullità negoziale), è preclusa la facoltà di esaminarla perchè inammissibile;

b) che a quello stesso giudice è fatto obbligo di rilevare d'ufficio una causa di nullità non dedotta nè rilevata in primo grado, indicandola alle parti ai sensi dell'art. 101, comma 2 c.p.c.(norma di portata generale e dunque applicabile anche in sede di appello);

c) che tale obbligo deve ritenersi altresì attivabile da ciascuna delle parti ai sensi dell'art. 345 c.p.c., comma 2, che consente la proposizione di eccezioni rilevabili di ufficio;

d) che, conclusivamente, la coniugazione di tali distinti aspetti processuali conduce:

  1. Alla declaratoria di inammissibilità della domanda di nullità per novità della questione, che peraltro non ne impedisce (secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte) la conversione e l'esame sub specie di eccezione di nullità, legittimamente proposta dall'appellante in quanto rilevabile di ufficio;
  2. Alla (eventuale) rilevazione della nullità, nell'esercizio di un potere-dovere officioso, e alla indicazione del nuovo tema da esplorare in questa nuova fase del giudizio, se nessuna delle parti abbia sollevato la relativa eccezione.

In ultima analisi il giudice di appello «non potrà, pertanto, limitarsi ad una declaratoria di inammissibilità in ragione della novità della domanda di nullità - emanando una pronuncia che racchiuderebbe, in tal caso, un significante esplicito (l'inammissibilità della domanda) ed un implicito significato (la validità negoziale) -, ma deve, in conseguenza della conversione della domanda (inammissibile) in eccezione(ammissibile) di accertamento della nullità, esaminare il merito della questione».

Rilievo della nullità e giudicato

Nelle citate sentenze del 2014 le Sezioni Unite si pongono altresì il problema dei rapporti tra (tutte) le azioni di impugnativa negoziale e il disposto dell'art. 1421 c.c., e dell'idoneità delle relative decisioni a formare oggetto di giudicato implicito esterno rispetto ai successivi processi che abbiano ad oggetto questioni attinenti alla validità ed efficacia del medesimo negozio.

Porrebbe infatti delle problematiche, nell'ambito della “non illimitata risorsa- giustizia” (così espressamente le Sezioni Unite) valorizzare il potere del giudice adito, in ogni stato e grado del giudizio, di rilevare d'ufficio la nullità senza poi attribuire alla relativa e conseguente decisione idoneità a risolvere definitivamente la questione con il passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della nullità rilevata.

Dopo ampia argomentazione, tra l'altro fondata sulla constatazione per cui «oggetto del processo, oggetto della domanda giudiziale ed oggetto del giudicato risultano essere cerchi sicuramente concentrici, ma le cui aree non appaiono sempre perfettamente sovrapponibili», dal momento, oltretutto, che, a differenza della obbligatoria rilevazione d'ufficio della nullità, non sempre è obbligatoria una consequenziale pronuncia, potendo la decisione fondarsi su una cd. una ragione più liquida, di più pronta soluzione e più stabile tenuta nei successivi gradi di giudizio, per cui alcune questioni ben possono rimanere assorbite e non essere interessate da alcuna forma di giudicato (né esplicito né implicito), le Sezioni Unite precisano che solo se a seguito della rilevazione d'ufficio della nullità e della sua segnalazione ex art. 101 c.p.c. alle parti viene ad emergere una domanda delle parti medesime o comunque viene, a seguito del rilievo d'ufficio, ad essere emessa una espressa pronuncia di accertamento e declaratoria della nullità del negozio, con rigetto delle diverse domande di impugnazione negoziale proposte dalle parti (di risoluzione, annullamento ecc.), allora rispetto a tale declaratoria di nullità è possibile configurare il giudicato.

Può tuttavia invece accadere che la nullità non sia stata rilevata dal giudice oppure che essa non sia stata dichiarata nonostante il rilievo officioso (perché poi il vizio è stato escluso), ed allora la sentenza di merito è idonea a costituire giudicato implicito sulla validità del contratto; parimenti è configurabile giudicato implicito sulla validità del negozio se la domanda di adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento sia stata accolta.

Se poi la sentenza abbia contenuto di rigetto delle domande della parte di impugnazione del contratto, il giudicato implicito sulla validità del contratto medesima si forma, a meno che la decisione risulti fondata su una ragione più liquida e diversa (la prescrizione del diritto azionato, l'adempimento, la palese non gravità dell'inadempimento, l'eccepita compensazione legale).

In evidenza

Specificano altresì le Sezioni Unite che se, nonostante il rilievo d'ufficio della nullità da parte del giudice adito e l'indicazione della questione alle parti ex art. 101, comma 2, c.p.c., la parte non si avvale della facoltà (previa eventuale rimessione in termini) di formulare essa stessa domanda di nullità del contratto, al rilievo d'ufficio può comunque conseguire, come si è detto, l'accertamento sulla nullità è comunque idoneo al giudicato pieno nei termini sopra indicati, ma l'assenza di un'esplicita domanda che possa essere debitamente trascritta nei registri immobiliari impedisce alla pronuncia (pur annotabile ex art. 2655 c.c.) di produrre nei confronti dei terzi gli effetti previsti dall'art. 2652, cpv., n. 6, c.c.

Nullità di protezione

L'art. 1421 c.c. prevede testualmente il rilievo d'ufficio della nullità da parte del giudice, aggiungendo l'inciso «salve diverse disposizioni di legge».

Ebbene, nel loro ampio sforzo argomentativo e motivazionale, le sentenze del 2014 delle Sezioni Unite non potevano non fare anche riferimento alle cd. nullità di protezione.

Viene dunque affermato che anche tale tipologia di nullità è soggetta al rilievo officioso del giudice adito, secondo le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia europea (nella sentenza Pannon del 4 giugno 2009, in causa C-243/08, la Corte ha stabilito che il giudice deve esaminare di ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale e, in quanto nulla, non applicarla, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga, qualificando, in buona sostanza, in termini di dovere l'accertamento officioso del giudice circa il carattere eventualmente abusivo delle clausole contenute in siffatti contratti, sia pure con il limite, ostativo alla disapplicazione, dell'opposizione del consumatore).

Pertanto, anche il giudice nazionale ha il potere-dovere di rilevare la nullità della clausola abusiva, salvo pronunciarne sulla nullità solo se il contraente legittimato (nel cui interesse cioè è stabilita la nullità di protezione) gliene faccia apposita domanda.

La Suprema Corte insiste comunque sul fatto per cui «proprio in conseguenza degli interventi della Corte di giustizia sembra destinata a restare definitivamente sullo sfondo, senza assumere il rilievo che parte della dottrina ha cercato di attribuirvi, la nozione di nullità relativa intesa come realizzazione di una forma di annullabilità rafforzata (di cui è traccia nel non condivisibile decisum di questa Corte, nella sentenza 9263/2011) anzichè come species del più ampio genus rappresentato dalla nullità negoziale. Nullità che non a torto è stata definita, all'esito del sopravvento del diritto europeo, ad assetto variabile, e di tipo funzionale, in quanto calibrata sull'assetto di interessi concreto, con finalità essenzialmente conformativa del regolamento contrattuale, ma non per questo meno tesa alla tutela di interessi e di valori fondamentali, che trascendono quelli del singolo».

Riferimenti
  • PAGLIANTINI, A proposito dell'ordinanza interlocutoria 21083/2013 e dintorni: rilievo d'ufficio della nullità all'ultimo atto?, in Corr. Giur., 2013, 174;
  • CONSOLO, Postilla di completamento. Il giudicato ed il rilievo officioso della nullità del contratto: quanto e come devono essere ampi?, ibidem;
  • CONSOLO, Poteri processuali e contratto invalido, in Eur. dir. priv., 2010, p.941;
  • MONTICELLI, Fondamento e funzione della rilevabilità d'ufficio della nullità negoziale, in Riv. dir. civ., 1990, p. 701;
  • TURRONI, Nullità del contratto e rilevabilità d'ufficio: «istruzioni per l'uso» alla luce dell'orientamento più recente delle Sezioni Unite, in www. accademiaedu.it

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