Ricorso c.d. straordinario per cassazione

Pasqualina Farina
24 Marzo 2017

Contro le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge: in questi termini l'art. 111, comma 7, Cost., disciplina il ricorso «straordinario» davanti alla Suprema Corte e, ad un tempo, lo distingue da quello «ordinario», di cui all'art. 360 c.p.c.
Inquadramento

Contro le sentenze ed i provvedimentisulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge: in questi termini l'art. 111, comma 7, Cost., disciplina il ricorso «straordinario» davanti alla Suprema Corte e, ad un tempo, lo distingue da quello «ordinario», di cui all'art. 360 c.p.c.

Va subito anticipato che, a dispetto della denominazione, il rimedio di cui all'art. 111 Cost. costituisce un mezzo d'impugnazione «ordinario»; e che le differenze con il ricorso in Cassazionesi sono affievolite dopo le modifiche apportate dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 all'art. 360 c.p.c., in forza del quale «le disposizioni di cui al primo comma e terzo comma si applicano alle sentenze e ai provvedimenti diversi dalla sentenza contro i quali è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge».

In altre parole, se in passato il ricorso ordinario era ammesso contro le sentenze (art. 360, comma 1, c.p.c.) e il ricorso straordinario aveva ad oggetto provvedimenti con altre forme, purché idonei a definire il giudizio, anche tale differenza è venuta meno in ragione dell'espressa estensione, da parte dell'art. 360, comma 4, c.p.c., del ricorso per cassazione per violazione di legge ai provvedimenti diversi dalla sentenza.

In evidenza

Nonostante il dato normativo si riferisca esclusivamente alle sentenze, la tradizionale impostazione adottata dalla giurisprudenza di legittimità ha optato per un'interpretazione ampia di provvedimenti impugnabili in Cassazione ex art. 111 Cost. (Cass., sez. Unite, 30 luglio 1953, n. 2593; Cass., sez. lav., 20 aprile 1995, n. 4445, in Arch. civ., 1995, 12, 1569). Quanto alle sentenze non impugnabili con ricorso ordinario ai sensi dell'art. 360 c.p.c., va precisato che il numero è decisamente circoscritto alla decisione sull'opposizione agli atti esecutivi ex art. 618 c.p.c. (Cass., Sez. III, 19 luglio 1997, n. 6665; Cass., Sez. III, 30 giugno 2005, n. 13978) ovvero alle sentenze che, limitatamente al periodo tra il 1° marzo 2006 ed il 4 luglio 2009, definiva i giudizi di opposizione all'esecuzione (Cass., Sez. III, 23 ottobre 2012, n. 18161; Cass., Sez. VI-III, 10 dicembre 2015, n. 24920).

Sotto altro profilo col ricorso straordinario sono oggi invocabili tutti i motivi tipici stabiliti dall'art. 360 c.p.c. e non più soltanto la violazione di legge o la motivazione apparente o mancante. Non solo. A rendere omogenea la disciplina tra i due rimedi ha contribuito anche la l. 7 agosto 2012, n. 134 che ha eliminato il sindacato sulla motivazione, prevedendo oggi l'art. 360, comma, 1, n. 5, c.p.c. l'impugnazione «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».

Prima di passare all'esame dei provvedimenti che possono essere oggetto del rimedio straordinario di cui all'art. 111 Cost., resta da precisare che anche la forma ed i termini coincidono con quelli propri del ricorso ordinario.

I provvedimenti impugnabili

Per circoscrivere i provvedimenti ricorribili in Cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. è indispensabile avvalersi dei risultati raggiunti dalla giurisprudenza e dalla dottrina che a fronte di uno scarno dato normativo si sono avvalsi di due diverse direttive.

La prima. È riconducibile al canone della cd. espressa previsione di legge che consente di distinguere un ricorso ordinario da quello straordinario: se il dato normativo, a conclusione di un procedimento speciale, prevede il rimedio di legittimità, questo va qualificato come ordinario, pur in presenza di limitazioni ai motivi di ricorso. Il rimedio può, invece, dirsi straordinario se - ammesso in via interpretativa - assicura l'impugnazione del provvedimento, non prevista da un'espressa disposizione normativa.

Il secondo. È una diretta conseguenza della necessità di assicurare l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; sicché i provvedimenti giurisdizionali diversi dalla sentenza che pronunciano o comunque incidono con efficacia di giudicato su diritti soggettivio su status sono ricorribili ai sensi dell'art. 111 Cost., purché presentino i caratteri della decisorietà e della definitività, in quanto non altrimenti modificabili. Il provvedimento diverso dalla sentenza impugnabile in cassazione con il rimedio straordinario previsto dall'art. 111, comma 7, Cost. è necessariamente caratterizzato da decisorietà e definitività, intesi come requisiti distinti, non alternativi, che devono coesistere; tant'è che in mancanza di uno dei due il ricorso è inammissibile.

I presupposti: definitività e decisorietà

Se la decisorietà può essere definita come l'idoneità del provvedimento a conseguire l'efficacia di giudicato su diritti e status, la definitività attiene alla mancanza di rimedi impugnatori previsti dalla legge e, più precisamente, alla irrevocabilità e assoluta stabilità della situazione soggettiva decisa, stante l'impossibilità di riesame della medesima situazione soggettiva da parte di altro e superiore giudice. Il provvedimento è, dunque, definitivo ogni volta che la situazione sostanziale decisa dal giudice non possa tornare in qualunque forma oggetto di sindacato giurisdizionale: nonostante le modifiche apportate all'art. 360 c.p.c., l'art. 111, comma 7, Cost., può dirsi ancora oggi, norma di chiusura del sistema ed il ricorso straordinario conserva, pertanto, il carattere di extrema ratio.

Va ascritto alla dottrina il merito di aver sistemato e razionalizzato la congerie di decisioni rese dalla giurisprudenza di legittimità sul profondo rapporto esistente tra ricorso straordinario e definitività del provvedimento.

A titolo esemplificativo questo requisito è stato escluso in caso di:

  1. provvedimenti anticipatori di condanna, in quanto destinati a confluire nella sentenza, con conseguente possibilità di impugnazione unitamente a quest'ultima;
  2. ordinanze cautelari rese in sede di reclamo, strumentali rispetto alla domanda di merito che può sempre essere proposta;
  3. provvedimenti in materia di ricusazione ex art. 53 c.p.c., impugnabili nel giudizio di gravame avverso la sentenza emessa dal giudice ricusato;
  4. reclamo avverso il provvedimento di rigetto della domanda di fallimento che se accolto, giustifica il reclamo nei confronti della sentenza di fallimento, mentre se rigettato, consente la riproponibilità della domanda;
  5. ordinanze d'inammissibilità dell'azione di classe di cui all'art. 140-bis d.lgs 6 settembre 2005, n. 206, in quanto il diritto sostanziale dedotto rimane tutelabile attraverso l'azione individuale volta ad ottenere il risarcimento del danno (in quest'ultimo senso anche la recentissima Cass., Sez. Un., 1° febbraio 2017, n. 2670).

In una parola, il provvedimento è definitivo quando la situazione sostanziale decisa non può più essere oggetto di sindacato giurisdizionale. In questa accezione, il ricorso straordinario costituisce una vera e propria norma di chiusura del sistema perché consente all'autorità giudiziaria di valutare nuovamente quella determinata situazione soggettiva. Pertanto il ricorso straordinario trova spazio a tutela delle garanzie minime costituzionalmente protette, sempre che la tutela giurisdizionale non sia sufficientemente assicurata. Corollario di tale assunto è l'inammissibilità del ricorso qualora la domanda sia riproponibile, o il provvedimento ancora impugnabile, modificabile e/o revocabile attraverso eventuali fasi di opposizione.

L'altro presupposto indefettibile del ricorso straordinario è, come già anticipato, la decisorietà del provvedimento, caratterizzato dall'efficacia di giudicato di una controversia su diritti e status, a conclusione di un procedimento di natura contenziosa.

Sul punto dottrina e giurisprudenza sono solite distinguere la decisorietà in senso sostanziale da quella in senso processuale: in quest'ultimo casoi provvedimenti seppur produttivi di meri effetti processuali, senza incidere sulle posizioni sostanziali dedotte, risultano comunque lesivi del diritto di azione da cui scaturisce il processo: si tratta, ad esempio, delle pronunce in rito e, quindi, sulla giurisdizione, sulla competenza o su altri presupposti processuali ovvero di inammissibilità di un gravame.

In evidenza

Secondo la giurisprudenza di legittimità la ricorribilità ex art. 111 Cost. va valutata sul piano processuale (e non alla stregua di un provvedimento di merito), esaminando se il diniego di un riesame del tribunale, sulla ritenuta inammissibilità del reclamo, sia lesivo di diritti soggettivi di natura processuale, qualora l'ammissibilità del reclamo venga negata (Così Cass., sez. I, 16marzo 1993, n. 3127, in GC,1994, I, 2328).

Stando ad un diverso orientamento se il provvedimento è privo dei requisiti della decisorietà e definitività in senso sostanziale, il ricorso straordinario è inammissibile anche laddove il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione ed, in particolare, del diritto di riesame da parte di un giudice diverso (Cass., sez. Un., 15 luglio 2003, n. 11026, in GI, 2004, 1162).


Decisorietà in senso processuale e definitività vanno, peraltro, tenute ben distinte. Nel caso della definitività è la legge che non prevede la possibilità di un riesame nel merito del provvedimento giurisdizionale, per cui si giustifica l'accesso al rimedio straordinario; nel primo caso, invece, il ricorso ex art. 111, comma 7, Cost. si fonda sulla lesione del diritto soggettivo processuale del ricorrente al riesame del provvedimento giurisdizionale, negato dal giudice a ciò preposto.

I diritti soggettivi di natura processuale nella interpretazione della giurisprudenza

L'ammissibilità del ricorso ex art. 111, comma 7, Cost. per violazione di un diritto soggettivo di natura processuale è una conquista relativamente recente. Ed infatti, in passato la giurisprudenza si è, in linea di massima, orientata per negare l'autonoma rilevanza, ai fini dell'impugnabilità con il ricorso straordinario, dei diritti soggettivi di natura processuale.

In evidenza

Se il provvedimento è privo dei requisiti della decisorietà e definitività in senso sostanziale (come nel caso dei provvedimenti resi in tema di omologazione, iscrizione e pubblicazione di deliberazioni assembleari di società, secondo le previsioni degli artt. 2411 e 2436 c.c., nella disciplina anteriore all'entrata in vigore delle norme di semplificazione dettate dall'art. 32 l. 24 novembre 2000, n. 340), il ricorso straordinario è inammissibile anche laddove il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione ed, in particolare, del diritto di riesame da parte di un giudice diverso (Cass., Sez. Un., 3 marzo 2003, n. 3073, in GI, 2003,2016; Cass., sez. Un., 15 luglio 2003, n. 11026 cit.).

Stando a questa impostazione la Corte, adita in sede di ricorso straordinario, non avrebbe potuto verificare l'effettiva lesione della norma processuale, perché l'oggetto del giudizio sarebbe stato pregiudizialmente limitato alle lesioni del diritto sostanziale; sicché, solo in caso di esito positivo del giudizio sul diritto sostanziale, l'esame avrebbe potuto spostarsi sulla violazione della norma processuale, con conseguente limitazione della censurabilità degli errores in procedendo.

Nell'impostazione adottata dalla giurisprudenza di legittimità la sindacabilità degli errores in procedendo risultava subordinata al vaglio – positivo - sugli errores in iudicando, con conseguente tutela della situazione soggettiva di natura processuale solo unitamente alla situazione sostanziale, in quanto strumentale a quest'ultima. Né poteva essere trascurata un'altra rilevante considerazione: la negazione dell'autonoma tutelabilità del diritto soggettivo processuale sarebbe risultata incompatibile con tutte quelle pronunce in materia di competenza o giurisdizione, che presentano natura sostanziale di sentenza e, dunque, una indiscutibile attitudine al giudicato.

Le critiche della dottrina e la riforma di cui al d.lgs. n. 40/2006, che ha equiparato i motivi di ricorso per cassazione ordinario e straordinario, hanno contribuito ad incrinare la tenuta di tale orientamento. Ed infatti se il ricorso straordinario può proporsi per gli stessi motivi di cui all'art. 360 c.p.c. la distinzione tra errores in procedendo ed errores in iudicando rimaneva priva di qualsiasi giustificazione, sia di tipo pratico, sia sistematico.

A quest'ultimo riguardo va segnalato che la nomofilachia (sottesa al comma 7 dell'art. 111 Cost. ed intesa come assicurazione dell'esatta osservanza e uniforme interpretazione della legge), attiene in pari misura sia alla legge sostanziale, quanto a quella legge processuale. Per questa ragione la dottrina maggioritaria ha criticato le pronunce della Suprema Corte che hanno continuato a negare l'accesso al ricorso di cui all'art. 111 Cost. in caso di errores in procedendo.

Ed infatti anche la giurisprudenza successiva a tale riforma ha ribadito, in più occasioni, l'inammissibilità del ricorso di cui all'art. 111, comma 7, Cost., per tutelare il diritto soggettivo di natura processuale.

In evidenza

È inammissibile il ricorso straordinario avverso la pronuncia della corte d'appello, sezione minorenni, riguardante un provvedimento provvisorio ed urgente, emerso, in corso di procedimento, in tema di affidamento del figlio naturale ai sensi dell'art. 317-bis c.c. «stante la natura strumentale ed il carattere revocabile di tale provvedimento che non vengono meno neanche quando l'oggetto delle censure del ricorrente riguardi la lesione di situazioni aventi rilievo processuale»(Cass., sez. I, 14 maggio 2010, n. 11756; Cass., sez. VI-I, 20 novembre 2010, n. 23578, in Guida Dir.,2010, 34 ss.). A conclusioni opposte, in forza della dell'equiparazione di tali procedimenti a quelli di separazione e divorzio, è invece giunta la più recente Cass., sez. VI-I, 16 settembre 2015 (ord.), n. 18194.

Per la non impugnabilità ex art. 111 Cost., del decreto, reso dal tribunale in sede di reclamo, che, in forza di una clausola dell'atto istitutivo di un trust, ha autorizzato il protector a revocare il trustee nominandone un altro, in quanto«provvedimento di volontaria giurisdizione, modificabile e revocabile in ogni tempo, e, pertanto, privo dei caratteri della decisorietà e definitività in senso sostanziale», cfr. Cass., sez. I, 1° febbraio 2016, n. 1873.

A questo orientamento va ricondotta anche l'arresto di inammissibilità del ricorso straordinario avverso il decreto emesso dalla corte d'appello che ha escluso la reclamabilità del decreto di nomina del liquidatore di società personale (Cass., sez. VI-I, 7 luglio 2011 (ord.), n. 15070). Stesse conclusioni sono state raggiunte per il decreto con il quale la corte d'appello ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del tribunale di approvazione della delibera di revoca dei sindaci, ai sensi dell'art. 2400, comma 2, c.c. (Cass., sez. I, 20 febbraio 2015, n. 3449).

In linea più generale va segnalato che la giurisprudenza di legittimità è, alquanto, ondivaga sulla compatibilità dei provvedimenti camerali con l'impugnazione di cui all'art. 111 Cost..

Come noto questi provvedimenti non risolvono conflitti tra diritti collocati sul medesimo piano e sono sempre revocabili, modificabili ed inidonei al giudicato. Ciononostante l'orientamento più garantista (riconducibile a Cass., sez. I, 11 febbraio 1997, n. 1278) ha riconosciuto, anche in caso di provvedimenti modificativi, ablativi o restitutivi della potestà genitoriale, l'ammissibilità del ricorso straordinario sul presupposto che consente il vaglio del diritto soggettivo «al rispetto delle regole processuali che sono rivolte a garantire il doppio grado di giudizio; diritto la cui intangibilità non viene meno per il solo fatto della revocabilità e modificabilità, in ogni tempo, dei provvedimenti di volontaria giurisdizione». Questa significativa apertura è stata ulteriormente sviluppata pochi anni dopo, quando la Corte ha ammesso il ricorso straordinario, in relazione al decreto della corte d'appello di inammissibilità del reclamo ex art. 739 e 742 c.p.c. (sui provvedimenti emessi dal tribunale): in questo caso la Suprema Corte ha espressamente riconosciuto che l'oggetto del ricorso straordinario è dato dalla sussistenza del «diritto processuale al riesame della decisione da parte di un giudice sovraordinato»(Cass., sez. I, 15 dicembre 2000, n. 15834, in GC, 2001, I, 632).

In evidenza

Movendo da questi precedenti la suprema Corte si è altresì pronunciata, per l'ammissibilità del ricorso straordinario avverso le ordinanze, idonee a definire il giudizio, che hanno statuito su una questione pregiudiziale attinente al processo. In particolare è stato ammesso il ricorso straordinario contro l'ordinanza che dichiara improcedibile il ricorso con cui viene proposto appello avverso una sentenza di separazione per omessa notifica nel termine assegnato e omessa tempestiva richiesta di proroga. Qui la decisorietà è individuata nel passaggio in giudicato della sentenza e la definitività nella mancanza di ulteriori e successivi provvedimenti dello stesso o di altri giudici (Cass., sez. I, 29 marzo 2007, n. 7790).

A ribadire l'apertura della giurisprudenza in materia di ricorso straordinario in Cassazione e provvedimenti camerali, un recente arresto della Corte in forza del quale il provvedimento ablativo della responsabilità genitoriale, pronunciato dal giudice minorile ex art. 330 e 336 c.c., è idoneo al giudicato rebus sic stantibus, non essendo revocabile o modificabile, salva la sopravvenienza di fatti nuovi. Sicché il decreto della corte di appello che conferma revoca o modifica tale decisione è ricorribile in Cassazione ex art.111 Cost. (Cass., sez. I, 21 novembre 2016, n. 23633, in FI, 2016, I, 3749; ma già in tal senso Cass., sez. I, 17 maggio 2012, n. 7770, in Fam.dir., 2013 586).

Ciononostante non difettano pronunce di segno contrario, ferme nell'individuare i caratteri peculiari della volontaria giurisdizione nella non decisorietà su diritti e, conseguentemente, nella non impugnabilità dei relativi provvedimenti ex art. 111 Cost..

In evidenza

Significativa in tal senso una sentenza della Corte che nega il ricorso straordinario contro i provvedimenti,resi ai sensi degli artt. 317 bis, 330, 332, 333 c.c. (nella formulazione anteriore alla riforma sulla filiazione) perchéinerenti la sola cura di interessi tipica della volontaria «giurisdizione» e non incidenti su diritti soggettivi (Cass., sez. I, 13 settembre 2012, n. 15341, in Fam. dir., 2013, 586).

A questo medesimo filone interpretativo va ricondotta altra coeva decisione che nega il ricorso in cassazione contro il provvedimento che definisce, in sede di reclamo, il procedimento per la revoca dell'amministratore di condominio ex art. 1129 c.c. e 64 att. c.c. Anche in questo caso l'inammissibilità del ricorso straordinario è una conseguenza del fatto che si tratti di volontaria giurisdizione (Cass., sez. VI-II, 27 febbraio 2012, n. 2986). Parimenti è stato ritenuto inammissibile il ricorso straordinario in Cassazione contro il provvedimento reso su denuncia di gravi irregolarità nella gestione di una società per azioni ai sensi dell'art. 2409 c.c., in quanto volto alla tutela di interessi e non di diritti soggettivi (Cass., sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30052).

Il ricorso straordinario e l'ordinanza d'inammissibilità dell'appello

Una significativa inversione di rotta nella giurisprudenza della Suprema Corte è statafornita da un recente arresto delle Sezioni Unite, diretto a comporre il contrasto sull'impugnabilità, con ricorso straordinario, dell'ordinanza di inammissibilità dell'appello resa ex artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.

Ordinanza d'inammissibilità dell'appello: orientamenti a confronto

L'ordinanza di inammissibilità dell'appello ex art. 348 ter c.p.c., se emanata per manifesta infondatezza nel merito del gravame, non è ricorribile per cassazione, non avendo carattere definitivo, giacché il terzo comma del medesimo art. 348 ter consente di impugnare per cassazione il provvedimento di primo grado. Viceversa, tale ordinanza è ricorribile per cassazione ove dichiari l'inammissibilità dell'appello per error in procedendo (nella specie, per genericità dei motivi), avendo, in tal caso, carattere definitivo e valore di sentenza, in quanto la declaratoria di inammissibilità dell'appello per questioni di rito non può essere impugnata col provvedimento di primo grado e, ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c., deve essere pronunciata con sentenza(Cass., ord., sez. VI-II, 27 marzo 2014, n. 7273, in GI, 2014 1110e in RDP, 2014, 1582).

Secondo una diversa interpretazione, tale ordinanza difetta del presupposto della definitività che accede invece solo a quella che ha ad oggetto la situazione giuridica sostanziale dedotta nel processo. Con la conseguenza che finché quest'ultima sia modificabile (nella specie, con il ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado), difetterebbe la definitività idonea a giustificare il ricorso straordinario (Cass., ord., sez. VI - III, 17 aprile 2014, n. 8940).

Sussiste il presupposto della “decisorietà” con riferimento alle pronunce sull'osservanza delle norme processuali se queste sono emesse nell'ambito di processi su diritti soggettivi, senza che da tali principi possano trarsi argomenti a sostegno di una accezione ristretta del diverso e concorrente presupposto della “definitività”, o che possa indurre a diverse conclusioni l'estrapolazione, dalle sentenze citate, di singole affermazioni in assenza di considerazione del contesto (peraltro in entrambi i casi non contenzioso) di riferimento. Né potrebbe sostenersi un'interpretazione riduttiva del comma 7 dell'art. 111 Cost., perché finirebbe per ridurre l'ambito della denunciabilità, ai sensi dell'art. 111 comma 7 Cost., delle violazioni della legge processuale; con il rischio di sovrapporre il concetto di definitività di cui all'art. 360, comma 3, c.p.c. con quello di definitività, inteso come non modificabilità, previsto per il ricorso straordinario (Cass., Sez. Un.,2 febbraio 2016, n. 1914, in CG, 2016, 1125 ss., e in Giur. it., 2016, 1371 ss.).

Stando alla decisione delle Sezioni Unite, la ricorribilità ex art. 111 Cost. sembra una conseguenza necessaria per rimediare all'imperfetto meccanismo realizzato dagli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. ed alla particolare natura della decisione impugnata. Ed infatti, diversi dubbi sussistono sulla natura decisoria di tale provvedimento sotto il profilo sostanziale; pur incidendo su diritti soggettivi, in sede di impugnazione, si discute unicamente della questione processuale ritenuta non sufficiente ai fini del ricorso straordinario.

Parimenti difetta la natura definitiva perché, sebbene non modificabile dal giudice che l'ha pronunciata o da altro giudice, la situazione soggettiva è suscettibile di riesame, stante l'impugnabilità in Cassazione della sentenza di primo grado.

Ciononostante, preso atto che il soccombente - cui è negata l'impugnazione per asserti errores in procedendo del giudice di appello - può solo contestare in cassazione l'ordinanza filtro per ottenere una revisione nel merito del giudizio di primo grado, le Sezioni Unite hanno preferito percorrere la strada più garantista, legittimando l'appellante al ricorso straordinario avverso l'ordinanza di inammissibilità per vizi propri costituenti violazioni della legge processuale. Del resto, a ritenere diversamente sarebbe rimasta priva di qualsiasi controllo la decisione del giudice d'appello sulla revisione del giudizio di primo grado.

In definitiva l'arresto delle Sezioni Unite del 2016 prende le distanze da criteri rigidi e predeterminati, per privilegiare la peculiarità della situazione concreta e delle ricadute di tipo pratico conseguenti all'(in)ammissibilità del ricorso straordinario.

Il ricorso straordinario ed i provvedimenti del tribunale fallimentare

Quanto alla compatibilità del ricorso straordinario con le decisioni rese dal tribunale fallimentare, la Cassazione ha generalmente assunto posizioni restrittive.

È il caso del provvedimento della corte d'appello che rigetta l'istanza di fallimento perché, seppure conclusivo del procedimento, non ha carattere di definitività, né è suscettibile di incidere su diritti soggettivi (così, ad esempio, Cass., sez. I, 10 novembre 2011 n. 23478).

Quanto alla decisorietà è stato escluso che l'istruttoria prefallimentare costituisca una forma di giurisdizione contenziosa su diritti soggettivi, posto che il creditore non è portatore del diritto al fallimento del proprio debitore (Cass., sez. I, 9 ottobre 2015, n. 20297; Cass., sez. I, 2 aprile 2015, n. 6683).

Con riferimento al processo di fallimento, la giurisprudenza ha limitato la legittimità del ricorso straordinario ai casi in cui il provvedimento adottato sia immediatamente e direttamente lesivo dei diritti soggettivi delle parti (fallito, creditori, ecc. ), purché non emesso in una fase endoprocessuale o, comunque, non sia riproponibile. Con la precisazione che, se sono coinvolti i diritti delle parti, il ricorso di cui all'art. 111, comma 7, Cost. può tutelare unicamente le situazioni sostanziali, e non anche quelle processuali.

In particolare si tratta: 1) del decreto del tribunale pronunciato in sede di reclamo avverso il provvedimento di liquidazione dei compensi, al difensore della procedura ovvero al consulente (Cass., sez. I, 29 marzo 2007, n. 7782, in Il fall., 2007, 838); 2) del decreto emesso dal tribunale in sede di reclamo avverso un provvedimento ex art. 46 l. fall., che determinava il salario (Cass., sez. I, 26 novembre 1999, n. 13171, in Il fall., 2000, 1361) o la pensione (Cass., sez. I, 7 febbraio 2008, n. 2939, in Il fall., 2008, 604) per le esigenze del fallito e della sua famiglia; 3) dei decreti del tribunale fallimentare resi sui reclami avverso i provvedimenti di autorizzazione alla vendita, incidenti su diritti soggettivi di natura sostanziale (ad es., sull'accertamento di diritti reali gravanti sul bene da liquidare) e non su questioni connesse alla regolarità della liquidazione dell'attivo (Cass., sez. I, 15 aprile 2011, n. 8768, in Il fall., 2011, 949); 4)deldecreto del tribunale che, ex art. 30 d.lgs. n. 270/1999, dichiara il fallimento in alternativa alla amministrazione straordinaria, decreto cui è stato riconosciuto carattere decisorio, in quanto incide sul diritto soggettivo dell'imprenditore alla regolazione dell'insolvenza secondo i tempi, le forme e le modalità di cui alla legge speciale per le grandi imprese, e definitivo, non essendo più modificabile la prosecuzione della procedura, in difetto di impugnazione, (Cass., sez. I, 17 febbraio 2009, n. 3769, in Il fall., 2010, 28).

Non così per la domanda di estensione della procedura di amministrazione straordinaria al gruppo di imprese di cui fa parte la società ammessa alla procedura, che è sempre riproponibile; pertanto il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma il rigetto della suddetta domanda è direttamente ricorribile in Cassazione (Cass., sez. I, 19 marzo 2015, n. 5526, in Il fall., 2015, 654).

Con particolare riguardo ai rapporti tra ricorso straordinario e decreto d'inammissibilità del concordato preventivo sussistevano due diversi orientamenti.

Se l'inammissibilità di tale ricorso è pacifica, quando, contestualmente al provvedimento negativo, sia stato dichiarato il fallimento, perché in tal caso la tutela del debitore è affidata al reclamo ex art. 183 l. fall., non così in difetto di dichiarazione d'insolvenza (Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in Corr. giur., 2013, 633; e in Società, 2013, 442).

Sul punto la giurisprudenza di legittimità era divisa.

Orientamenti a confronto

Stando ad una impostazione, l'ammissibilità del ricorso straordinario è consentita contro il provvedimento negativo in materia di concordato preventivo sempre che non venga dichiarato il fallimento (Cass., 25 settembre 2013, n. 21901, in www.ilcaso.it; Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860, in Il fall., 2011, 167; Cass. 02 aprile 2010 n. 8186, Il fall., 321, 2011).

Per altro orientamento, il ricorso ex art. 111 Cost. è ammissibile quando il decreto di rigetto (o revoca) risulti fondato sulla insussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi propri della procedura concordataria. Al di fuori di queste particolari ipotesi ilprovvedimento di inammissibilità del concordato non avrebbe potuto dirsi definitivo, stante la facoltà del debitore di depositare una nuova domanda (Cass., sez. I,08 maggio 2014, n. 9998, in www.giustciv.com)

Sullo sfondo, si staglia, ancora una volta la distinzione tra il rigetto per vizi formali (che, non intaccando l'ammissibilità di quella originaria, consente il deposito di nuova domanda) e quello dovuto alla mancanza dei presupposti (sostanziali) oggettivo e/o soggettivo. Se i primi riguardano il difetto di sottoscrizione, il mancato deposito di documenti o la violazione di specifiche norme di legge, l'accertamento sulla qualità di imprenditore commerciale del debitore o sullo stato di crisi, (come pure sui debiti scaduti e non pagati inferiori a trentamila euro di cui all'art. 15, comma ultimo, l. fall.) preclude una diversa valutazione; di qui l'asserita decisorietà del provvedimento, posto che al debitore viene negato l'accesso allo strumento concordatario ed impedisce la proposizione della stessa domanda sulla medesima prospettazione in punto di fatto.

A comporre il contrasto sono di recente intervenute le Sezioni Unite con una rigorosa pronuncia, indirettamente volta a contrastare l'abuso dello strumento concordatario, che ha disatteso tutte le precedenti decisioni sul punto, per affermare il seguente principio:

In evidenza

Il decreto con cui il tribunale dichiara inammissibile la proposta di concordato, ex art. 162, comma 2, l. fall. (anche eventualmente a seguito della sua mancata approvazione ai sensi dell'art. 179, comma 1), ovvero revoca l'ammissione alla procedura concordataria, giusta l'art. 173 l.fall., senza emettere sentenza di fallimento del debitore, non è ricorribile per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. (Cass., Sez. Un., 28 dicembre 2016, n. 27073 in www.giustciv.com).

Quanto al decreto di inammissibilità della proposta di concordato, seppur non soggetto a reclamo ex art. 162, comma 2, l. fall., la Corte ha escluso il carattere della decisorietà, perché definisce un procedimento privo di carattere contenzioso. Tant'è che:

  • non v'è attuazione di sorta del principio del contraddittorio;
  • in difetto di una controversia risulta inidoneo ad incidere sui diritti soggettivi di parti contrapposte e, conseguentemente, al giudicato.

A conferma di tale assunto, la Corte segnala che, pur ad ammettere un ipotetico ricorso straordinario, il contraddittore destinatario della notifica viene solitamente individuato dal ricorrente nel p.m. e nei creditori che hanno votato contro la proposta, senza considerare che la legittimazione passiva del p.m. sussiste nei limiti di cui all'art. 72 c.p.c., e che la formulazione dell'art. 162, comma secondo, l. fall., conduce a ritenere il debitore l'unico ed esclusivo contraddittore.

Secondo le Sezioni Unite, il carattere decisorio è invece proprio del decreto che chiude il giudizio di omologazione, conseguente all'approvazione della proposta. Tale giudizio ha natura contenziosa, posto che l'art. 180 l. fall. prevede un'apposita udienza in cui viene attuato il principio del contraddittorio tra le parti, il commissario giudiziale e gli eventuali creditori dissenzienti; né la riconosciuta natura decisoria può essere scalfita dalla circostanza che il tribunale neghi o conceda l'omologa. Tuttavia, neppure tale provvedimento è ricorribile in cassazione perché privo del carattere della definitività, stante la reclamabilità dello stesso in corte d'appello ex art. 183 l. fall. Correttamente, dunque, le Sezioni Unite limitano l'ammissibilità del rimedio di cui all'art. 111 Cost. al solo decreto della corte d'appello che conclude il giudizio di reclamo, analogamente a quanto previsto, per il concordato fallimentare, dall'art. 131 l. fall..

Parimenti viene escluso il rimedio del ricorso straordinario per contestare la revoca dell'ammissione alla procedura ex art. 173 l. fall. Sul punto i Giudici hanno opportunamente precisato che il giudizio – antecedente alla revoca - ha carattere contenzioso, e quindi può dirsi decisorio, solo qualora siano state presentate istanze di fallimento. Di qui la conclusione che la revoca ex art. 173 ha natura decisoria solo se contestuale alla sentenza di fallimento; con la precisazione che, in quest'ultimo caso, l'impugnazione è quella prevista dall'art. 183 l. fall. ed il ricorso straordinario è, dunque, consentito solo nei confronti del provvedimento reso dalla corte di appello.

Riferimenti
  • A. Carratta, Processo camerale (diritto processuale civile), in Enc. dir., Annali, III, 2010, 1017 ss.;
  • Id., Sulla tutela del diritto soggettivo di natura processuale “inciso” dal provvedimento camerale, in Giur.it., 1996, 751;
  • C. Mandrioli – A. Carratta, Diritto processuale civile24, II, Torino 2015;
  • L. Montesano, Sull'efficacia, sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei provvedimenti non contenziosi dei giudici civili, in Riv. dir. civ., 1986, I, 597 ss.;
  • ID., Giudizi camerali su atti e gestioni di società e tutela giurisdizionale di diritti e di interessi, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, 824 ss.;
  • A. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c.: appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla gestione di interessi devoluta al giudice, in Riv. dir. civ., 1990, I, 393;
  • R.Tiscini, Gli effetti della riforma del giudizio di cassazione sul ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost., in Riv. dir. proc., 2008, 1597 ss.;
  • Id., Il ricorso straordinario per cassazione, Torino 2005;
  • Id., Le Sezioni Unite restringono la decisorietà ex art. 111 Cost. alle statuizioni di consistenza sostanziale, in Corr. giur., 2004, 1215 ss.
Sommario