Ricorso c.d. straordinario per cassazione
24 Marzo 2017
Inquadramento
Contro le sentenze ed i provvedimentisulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge: in questi termini l'art. 111, comma 7, Cost., disciplina il ricorso «straordinario» davanti alla Suprema Corte e, ad un tempo, lo distingue da quello «ordinario», di cui all'art. 360 c.p.c. Va subito anticipato che, a dispetto della denominazione, il rimedio di cui all'art. 111 Cost. costituisce un mezzo d'impugnazione «ordinario»; e che le differenze con il ricorso in Cassazionesi sono affievolite dopo le modifiche apportate dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 all'art. 360 c.p.c., in forza del quale «le disposizioni di cui al primo comma e terzo comma si applicano alle sentenze e ai provvedimenti diversi dalla sentenza contro i quali è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge». In altre parole, se in passato il ricorso ordinario era ammesso contro le sentenze (art. 360, comma 1, c.p.c.) e il ricorso straordinario aveva ad oggetto provvedimenti con altre forme, purché idonei a definire il giudizio, anche tale differenza è venuta meno in ragione dell'espressa estensione, da parte dell'art. 360, comma 4, c.p.c., del ricorso per cassazione per violazione di legge ai provvedimenti diversi dalla sentenza.
Sotto altro profilo col ricorso straordinario sono oggi invocabili tutti i motivi tipici stabiliti dall'art. 360 c.p.c. e non più soltanto la violazione di legge o la motivazione apparente o mancante. Non solo. A rendere omogenea la disciplina tra i due rimedi ha contribuito anche la l. 7 agosto 2012, n. 134 che ha eliminato il sindacato sulla motivazione, prevedendo oggi l'art. 360, comma, 1, n. 5, c.p.c. l'impugnazione «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti». Prima di passare all'esame dei provvedimenti che possono essere oggetto del rimedio straordinario di cui all'art. 111 Cost., resta da precisare che anche la forma ed i termini coincidono con quelli propri del ricorso ordinario. I provvedimenti impugnabili
Per circoscrivere i provvedimenti ricorribili in Cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. è indispensabile avvalersi dei risultati raggiunti dalla giurisprudenza e dalla dottrina che a fronte di uno scarno dato normativo si sono avvalsi di due diverse direttive. La prima. È riconducibile al canone della cd. espressa previsione di legge che consente di distinguere un ricorso ordinario da quello straordinario: se il dato normativo, a conclusione di un procedimento speciale, prevede il rimedio di legittimità, questo va qualificato come ordinario, pur in presenza di limitazioni ai motivi di ricorso. Il rimedio può, invece, dirsi straordinario se - ammesso in via interpretativa - assicura l'impugnazione del provvedimento, non prevista da un'espressa disposizione normativa. Il secondo. È una diretta conseguenza della necessità di assicurare l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; sicché i provvedimenti giurisdizionali diversi dalla sentenza che pronunciano o comunque incidono con efficacia di giudicato su diritti soggettivio su status sono ricorribili ai sensi dell'art. 111 Cost., purché presentino i caratteri della decisorietà e della definitività, in quanto non altrimenti modificabili. Il provvedimento diverso dalla sentenza impugnabile in cassazione con il rimedio straordinario previsto dall'art. 111, comma 7, Cost. è necessariamente caratterizzato da decisorietà e definitività, intesi come requisiti distinti, non alternativi, che devono coesistere; tant'è che in mancanza di uno dei due il ricorso è inammissibile. Se la decisorietà può essere definita come l'idoneità del provvedimento a conseguire l'efficacia di giudicato su diritti e status, la definitività attiene alla mancanza di rimedi impugnatori previsti dalla legge e, più precisamente, alla irrevocabilità e assoluta stabilità della situazione soggettiva decisa, stante l'impossibilità di riesame della medesima situazione soggettiva da parte di altro e superiore giudice. Il provvedimento è, dunque, definitivo ogni volta che la situazione sostanziale decisa dal giudice non possa tornare in qualunque forma oggetto di sindacato giurisdizionale: nonostante le modifiche apportate all'art. 360 c.p.c., l'art. 111, comma 7, Cost., può dirsi ancora oggi, norma di chiusura del sistema ed il ricorso straordinario conserva, pertanto, il carattere di extrema ratio. Va ascritto alla dottrina il merito di aver sistemato e razionalizzato la congerie di decisioni rese dalla giurisprudenza di legittimità sul profondo rapporto esistente tra ricorso straordinario e definitività del provvedimento. A titolo esemplificativo questo requisito è stato escluso in caso di:
In una parola, il provvedimento è definitivo quando la situazione sostanziale decisa non può più essere oggetto di sindacato giurisdizionale. In questa accezione, il ricorso straordinario costituisce una vera e propria norma di chiusura del sistema perché consente all'autorità giudiziaria di valutare nuovamente quella determinata situazione soggettiva. Pertanto il ricorso straordinario trova spazio a tutela delle garanzie minime costituzionalmente protette, sempre che la tutela giurisdizionale non sia sufficientemente assicurata. Corollario di tale assunto è l'inammissibilità del ricorso qualora la domanda sia riproponibile, o il provvedimento ancora impugnabile, modificabile e/o revocabile attraverso eventuali fasi di opposizione. L'altro presupposto indefettibile del ricorso straordinario è, come già anticipato, la decisorietà del provvedimento, caratterizzato dall'efficacia di giudicato di una controversia su diritti e status, a conclusione di un procedimento di natura contenziosa. Sul punto dottrina e giurisprudenza sono solite distinguere la decisorietà in senso sostanziale da quella in senso processuale: in quest'ultimo casoi provvedimenti seppur produttivi di meri effetti processuali, senza incidere sulle posizioni sostanziali dedotte, risultano comunque lesivi del diritto di azione da cui scaturisce il processo: si tratta, ad esempio, delle pronunce in rito e, quindi, sulla giurisdizione, sulla competenza o su altri presupposti processuali ovvero di inammissibilità di un gravame.
Decisorietà in senso processuale e definitività vanno, peraltro, tenute ben distinte. Nel caso della definitività è la legge che non prevede la possibilità di un riesame nel merito del provvedimento giurisdizionale, per cui si giustifica l'accesso al rimedio straordinario; nel primo caso, invece, il ricorso ex art. 111, comma 7, Cost. si fonda sulla lesione del diritto soggettivo processuale del ricorrente al riesame del provvedimento giurisdizionale, negato dal giudice a ciò preposto. I diritti soggettivi di natura processuale nella interpretazione della giurisprudenza
L'ammissibilità del ricorso ex art. 111, comma 7, Cost. per violazione di un diritto soggettivo di natura processuale è una conquista relativamente recente. Ed infatti, in passato la giurisprudenza si è, in linea di massima, orientata per negare l'autonoma rilevanza, ai fini dell'impugnabilità con il ricorso straordinario, dei diritti soggettivi di natura processuale.
Stando a questa impostazione la Corte, adita in sede di ricorso straordinario, non avrebbe potuto verificare l'effettiva lesione della norma processuale, perché l'oggetto del giudizio sarebbe stato pregiudizialmente limitato alle lesioni del diritto sostanziale; sicché, solo in caso di esito positivo del giudizio sul diritto sostanziale, l'esame avrebbe potuto spostarsi sulla violazione della norma processuale, con conseguente limitazione della censurabilità degli errores in procedendo. Nell'impostazione adottata dalla giurisprudenza di legittimità la sindacabilità degli errores in procedendo risultava subordinata al vaglio – positivo - sugli errores in iudicando, con conseguente tutela della situazione soggettiva di natura processuale solo unitamente alla situazione sostanziale, in quanto strumentale a quest'ultima. Né poteva essere trascurata un'altra rilevante considerazione: la negazione dell'autonoma tutelabilità del diritto soggettivo processuale sarebbe risultata incompatibile con tutte quelle pronunce in materia di competenza o giurisdizione, che presentano natura sostanziale di sentenza e, dunque, una indiscutibile attitudine al giudicato. Le critiche della dottrina e la riforma di cui al d.lgs. n. 40/2006, che ha equiparato i motivi di ricorso per cassazione ordinario e straordinario, hanno contribuito ad incrinare la tenuta di tale orientamento. Ed infatti se il ricorso straordinario può proporsi per gli stessi motivi di cui all'art. 360 c.p.c. la distinzione tra errores in procedendo ed errores in iudicando rimaneva priva di qualsiasi giustificazione, sia di tipo pratico, sia sistematico. A quest'ultimo riguardo va segnalato che la nomofilachia (sottesa al comma 7 dell'art. 111 Cost. ed intesa come assicurazione dell'esatta osservanza e uniforme interpretazione della legge), attiene in pari misura sia alla legge sostanziale, quanto a quella legge processuale. Per questa ragione la dottrina maggioritaria ha criticato le pronunce della Suprema Corte che hanno continuato a negare l'accesso al ricorso di cui all'art. 111 Cost. in caso di errores in procedendo. Ed infatti anche la giurisprudenza successiva a tale riforma ha ribadito, in più occasioni, l'inammissibilità del ricorso di cui all'art. 111, comma 7, Cost., per tutelare il diritto soggettivo di natura processuale.
In linea più generale va segnalato che la giurisprudenza di legittimità è, alquanto, ondivaga sulla compatibilità dei provvedimenti camerali con l'impugnazione di cui all'art. 111 Cost.. Come noto questi provvedimenti non risolvono conflitti tra diritti collocati sul medesimo piano e sono sempre revocabili, modificabili ed inidonei al giudicato. Ciononostante l'orientamento più garantista (riconducibile a Cass., sez. I, 11 febbraio 1997, n. 1278) ha riconosciuto, anche in caso di provvedimenti modificativi, ablativi o restitutivi della potestà genitoriale, l'ammissibilità del ricorso straordinario sul presupposto che consente il vaglio del diritto soggettivo «al rispetto delle regole processuali che sono rivolte a garantire il doppio grado di giudizio; diritto la cui intangibilità non viene meno per il solo fatto della revocabilità e modificabilità, in ogni tempo, dei provvedimenti di volontaria giurisdizione». Questa significativa apertura è stata ulteriormente sviluppata pochi anni dopo, quando la Corte ha ammesso il ricorso straordinario, in relazione al decreto della corte d'appello di inammissibilità del reclamo ex art. 739 e 742 c.p.c. (sui provvedimenti emessi dal tribunale): in questo caso la Suprema Corte ha espressamente riconosciuto che l'oggetto del ricorso straordinario è dato dalla sussistenza del «diritto processuale al riesame della decisione da parte di un giudice sovraordinato»(Cass., sez. I, 15 dicembre 2000, n. 15834, in GC, 2001, I, 632).
A ribadire l'apertura della giurisprudenza in materia di ricorso straordinario in Cassazione e provvedimenti camerali, un recente arresto della Corte in forza del quale il provvedimento ablativo della responsabilità genitoriale, pronunciato dal giudice minorile ex art. 330 e 336 c.c., è idoneo al giudicato rebus sic stantibus, non essendo revocabile o modificabile, salva la sopravvenienza di fatti nuovi. Sicché il decreto della corte di appello che conferma revoca o modifica tale decisione è ricorribile in Cassazione ex art.111 Cost. (Cass., sez. I, 21 novembre 2016, n. 23633, in FI, 2016, I, 3749; ma già in tal senso Cass., sez. I, 17 maggio 2012, n. 7770, in Fam.dir., 2013 586). Ciononostante non difettano pronunce di segno contrario, ferme nell'individuare i caratteri peculiari della volontaria giurisdizione nella non decisorietà su diritti e, conseguentemente, nella non impugnabilità dei relativi provvedimenti ex art. 111 Cost..
Una significativa inversione di rotta nella giurisprudenza della Suprema Corte è statafornita da un recente arresto delle Sezioni Unite, diretto a comporre il contrasto sull'impugnabilità, con ricorso straordinario, dell'ordinanza di inammissibilità dell'appello resa ex artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.
Stando alla decisione delle Sezioni Unite, la ricorribilità ex art. 111 Cost. sembra una conseguenza necessaria per rimediare all'imperfetto meccanismo realizzato dagli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. ed alla particolare natura della decisione impugnata. Ed infatti, diversi dubbi sussistono sulla natura decisoria di tale provvedimento sotto il profilo sostanziale; pur incidendo su diritti soggettivi, in sede di impugnazione, si discute unicamente della questione processuale ritenuta non sufficiente ai fini del ricorso straordinario. Parimenti difetta la natura definitiva perché, sebbene non modificabile dal giudice che l'ha pronunciata o da altro giudice, la situazione soggettiva è suscettibile di riesame, stante l'impugnabilità in Cassazione della sentenza di primo grado. Ciononostante, preso atto che il soccombente - cui è negata l'impugnazione per asserti errores in procedendo del giudice di appello - può solo contestare in cassazione l'ordinanza filtro per ottenere una revisione nel merito del giudizio di primo grado, le Sezioni Unite hanno preferito percorrere la strada più garantista, legittimando l'appellante al ricorso straordinario avverso l'ordinanza di inammissibilità per vizi propri costituenti violazioni della legge processuale. Del resto, a ritenere diversamente sarebbe rimasta priva di qualsiasi controllo la decisione del giudice d'appello sulla revisione del giudizio di primo grado. In definitiva l'arresto delle Sezioni Unite del 2016 prende le distanze da criteri rigidi e predeterminati, per privilegiare la peculiarità della situazione concreta e delle ricadute di tipo pratico conseguenti all'(in)ammissibilità del ricorso straordinario. Il ricorso straordinario ed i provvedimenti del tribunale fallimentare
Quanto alla compatibilità del ricorso straordinario con le decisioni rese dal tribunale fallimentare, la Cassazione ha generalmente assunto posizioni restrittive. È il caso del provvedimento della corte d'appello che rigetta l'istanza di fallimento perché, seppure conclusivo del procedimento, non ha carattere di definitività, né è suscettibile di incidere su diritti soggettivi (così, ad esempio, Cass., sez. I, 10 novembre 2011 n. 23478). Quanto alla decisorietà è stato escluso che l'istruttoria prefallimentare costituisca una forma di giurisdizione contenziosa su diritti soggettivi, posto che il creditore non è portatore del diritto al fallimento del proprio debitore (Cass., sez. I, 9 ottobre 2015, n. 20297; Cass., sez. I, 2 aprile 2015, n. 6683). Con riferimento al processo di fallimento, la giurisprudenza ha limitato la legittimità del ricorso straordinario ai casi in cui il provvedimento adottato sia immediatamente e direttamente lesivo dei diritti soggettivi delle parti (fallito, creditori, ecc. ), purché non emesso in una fase endoprocessuale o, comunque, non sia riproponibile. Con la precisazione che, se sono coinvolti i diritti delle parti, il ricorso di cui all'art. 111, comma 7, Cost. può tutelare unicamente le situazioni sostanziali, e non anche quelle processuali. In particolare si tratta: 1) del decreto del tribunale pronunciato in sede di reclamo avverso il provvedimento di liquidazione dei compensi, al difensore della procedura ovvero al consulente (Cass., sez. I, 29 marzo 2007, n. 7782, in Il fall., 2007, 838); 2) del decreto emesso dal tribunale in sede di reclamo avverso un provvedimento ex art. 46 l. fall., che determinava il salario (Cass., sez. I, 26 novembre 1999, n. 13171, in Il fall., 2000, 1361) o la pensione (Cass., sez. I, 7 febbraio 2008, n. 2939, in Il fall., 2008, 604) per le esigenze del fallito e della sua famiglia; 3) dei decreti del tribunale fallimentare resi sui reclami avverso i provvedimenti di autorizzazione alla vendita, incidenti su diritti soggettivi di natura sostanziale (ad es., sull'accertamento di diritti reali gravanti sul bene da liquidare) e non su questioni connesse alla regolarità della liquidazione dell'attivo (Cass., sez. I, 15 aprile 2011, n. 8768, in Il fall., 2011, 949); 4)deldecreto del tribunale che, ex art. 30 d.lgs. n. 270/1999, dichiara il fallimento in alternativa alla amministrazione straordinaria, decreto cui è stato riconosciuto carattere decisorio, in quanto incide sul diritto soggettivo dell'imprenditore alla regolazione dell'insolvenza secondo i tempi, le forme e le modalità di cui alla legge speciale per le grandi imprese, e definitivo, non essendo più modificabile la prosecuzione della procedura, in difetto di impugnazione, (Cass., sez. I, 17 febbraio 2009, n. 3769, in Il fall., 2010, 28). Non così per la domanda di estensione della procedura di amministrazione straordinaria al gruppo di imprese di cui fa parte la società ammessa alla procedura, che è sempre riproponibile; pertanto il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma il rigetto della suddetta domanda è direttamente ricorribile in Cassazione (Cass., sez. I, 19 marzo 2015, n. 5526, in Il fall., 2015, 654). Con particolare riguardo ai rapporti tra ricorso straordinario e decreto d'inammissibilità del concordato preventivo sussistevano due diversi orientamenti. Se l'inammissibilità di tale ricorso è pacifica, quando, contestualmente al provvedimento negativo, sia stato dichiarato il fallimento, perché in tal caso la tutela del debitore è affidata al reclamo ex art. 183 l. fall., non così in difetto di dichiarazione d'insolvenza (Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in Corr. giur., 2013, 633; e in Società, 2013, 442). Sul punto la giurisprudenza di legittimità era divisa.
Sullo sfondo, si staglia, ancora una volta la distinzione tra il rigetto per vizi formali (che, non intaccando l'ammissibilità di quella originaria, consente il deposito di nuova domanda) e quello dovuto alla mancanza dei presupposti (sostanziali) oggettivo e/o soggettivo. Se i primi riguardano il difetto di sottoscrizione, il mancato deposito di documenti o la violazione di specifiche norme di legge, l'accertamento sulla qualità di imprenditore commerciale del debitore o sullo stato di crisi, (come pure sui debiti scaduti e non pagati inferiori a trentamila euro di cui all'art. 15, comma ultimo, l. fall.) preclude una diversa valutazione; di qui l'asserita decisorietà del provvedimento, posto che al debitore viene negato l'accesso allo strumento concordatario ed impedisce la proposizione della stessa domanda sulla medesima prospettazione in punto di fatto. A comporre il contrasto sono di recente intervenute le Sezioni Unite con una rigorosa pronuncia, indirettamente volta a contrastare l'abuso dello strumento concordatario, che ha disatteso tutte le precedenti decisioni sul punto, per affermare il seguente principio:
Quanto al decreto di inammissibilità della proposta di concordato, seppur non soggetto a reclamo ex art. 162, comma 2, l. fall., la Corte ha escluso il carattere della decisorietà, perché definisce un procedimento privo di carattere contenzioso. Tant'è che:
A conferma di tale assunto, la Corte segnala che, pur ad ammettere un ipotetico ricorso straordinario, il contraddittore destinatario della notifica viene solitamente individuato dal ricorrente nel p.m. e nei creditori che hanno votato contro la proposta, senza considerare che la legittimazione passiva del p.m. sussiste nei limiti di cui all'art. 72 c.p.c., e che la formulazione dell'art. 162, comma secondo, l. fall., conduce a ritenere il debitore l'unico ed esclusivo contraddittore. Secondo le Sezioni Unite, il carattere decisorio è invece proprio del decreto che chiude il giudizio di omologazione, conseguente all'approvazione della proposta. Tale giudizio ha natura contenziosa, posto che l'art. 180 l. fall. prevede un'apposita udienza in cui viene attuato il principio del contraddittorio tra le parti, il commissario giudiziale e gli eventuali creditori dissenzienti; né la riconosciuta natura decisoria può essere scalfita dalla circostanza che il tribunale neghi o conceda l'omologa. Tuttavia, neppure tale provvedimento è ricorribile in cassazione perché privo del carattere della definitività, stante la reclamabilità dello stesso in corte d'appello ex art. 183 l. fall. Correttamente, dunque, le Sezioni Unite limitano l'ammissibilità del rimedio di cui all'art. 111 Cost. al solo decreto della corte d'appello che conclude il giudizio di reclamo, analogamente a quanto previsto, per il concordato fallimentare, dall'art. 131 l. fall.. Parimenti viene escluso il rimedio del ricorso straordinario per contestare la revoca dell'ammissione alla procedura ex art. 173 l. fall. Sul punto i Giudici hanno opportunamente precisato che il giudizio – antecedente alla revoca - ha carattere contenzioso, e quindi può dirsi decisorio, solo qualora siano state presentate istanze di fallimento. Di qui la conclusione che la revoca ex art. 173 ha natura decisoria solo se contestuale alla sentenza di fallimento; con la precisazione che, in quest'ultimo caso, l'impugnazione è quella prevista dall'art. 183 l. fall. ed il ricorso straordinario è, dunque, consentito solo nei confronti del provvedimento reso dalla corte di appello. Riferimenti
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