Riforma processo civile: le misure coercitive indirette

19 Ottobre 2022

In questo focus l' interesse è centrato sulla modifica della disciplina delle c.d. astreintes, di cui all'art. 614-bis c.p.c.
Premessa

Il 28 luglio scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, due decreti legislativi di attuazione della legge delega n. 206/2021 di riforma del processo civile; tra le numerose misure contenute nello schema di decreto legislativo finalizzate a «realizzare il riassetto “formale e sostanziale” della disciplina del processo civile di cognizione, del processo di esecuzione, dei procedimenti speciali e degli strumenti alternativi di composizione delle controversie, mediante interventi sul codice di procedura civile, sul codice civile, sul codice penale, sul codice di procedura penale e su numerose leggi speciali» particolare interesse desta quello relativo alla modifica della disciplina delle c.d. astreintes, di cui all'art. 614-bis c.p.c.

Come è noto, si tratta di una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, accessoria a un provvedimento di condanna, che ha lo scopo di incentivare l'adempimento spontaneo di quest'ultimo. Tale strumento, introdotto nel tessuto del codice di rito per effetto della mini riforma attuata dalla l. 69/2009, ha subito una lieve modifica già nel 2014, essendo stata estesa la sua applicazione non solo ai provvedimenti di condanna all'adempimento di obblighi di fare infungibile, ma anche a tutti gli obblighi (di fare, consegna e rilascio) diversi da quelli volti al pagamento di una somma di denaro.

Constatato il buon funzionamento della misura, il legislatore delle future riforme sceglie di intervenire ancora una volta sull'art. 614-bis c.p.c. all'evidente scopo di perfezionarla e di implementarne il funzionamento.

Fonte: ilprocessocivile.it

Natura giuridica della misura coercitiva

Prima di procedere alla disamina delle modifiche prospettate dal legislatore delegante e recepite nello schema di decreto legislativo, appare tuttavia utile chiarire la natura giuridica dello strumento di attuazione contenuto nell'art. 614-bis c.p.c., non sembrando ormai dubbio che la richiesta di misura coercitiva integri un vero e proprio diritto soggettivo ad una prestazione aggiuntiva (non risarcitoria), a titolo di condanna in futuro o comunque condizionata.

Questa conclusione interpretativa pare essere suffragata anche dalla comparazione con il sistema dell'astreinte francese: nell'ordinamento d'oltralpe, il giudice della cognizione munisce il proprio provvedimento di condanna di una astreinte provisoire, costituente una mera minaccia volta a dissuadere in via preventiva dall'inadempimento; successivamente ad esso, o all'esaurimento del periodo di ritardo nell'adempimento, si procede, con apposita fase processuale, alla liquidazione della astreinte definitive. Ebbene, la prima, poiché è solo una minaccia pro futuro, non è suscettibile di appello e non costituisce cosa giudicata, al contrario della seconda, la quale è invece definitiva in relazione alla sua appellabilità e al suo passaggio in giudicato.

Il nostro sistema prevede invece solo una misura preventiva, a carattere definitivo: «la mancanza di una seconda fase di liquidazione definitiva della misura dopo l'inadempimento consente di ritenere che appellabilità e giudicato siano attributi propri dell'unico provvedimento che dispone la misura» (Amadei, Una misura coercitiva generale per l'esecuzione degli obblighi infungibili, in RTPC, 2010, 356).

Tale carattere rende allora assai difficile sostenere che possa essere configurata quale mero accessorio “processuale”, non essendo revocabile in dubbio che essa costituisca un vero e proprio provvedimento di condanna.

Inoltre, per ottenere la misura occorre, ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c., una apposita istanza di parte, tanto che – attualmente – se la parte omette di chiederla nel giudizio cui la misura coercitiva si riferisce, potrà formulare la medesima domanda anche in un distinto giudizio, trattandosi di un diritto autonomo.

Questa conclusione pare essere suffragata anche dalla lettura dell'art. 3, comma 44 dello schema di decreto legislativo licenziato dal CdM lo scorso 28 luglio, che nel modificare l'art. 614-bis c.p.c. ha confermato la regola secondo cui la concessione della misura è subordinata all'istanza di parte; va pertanto escluso che essa possa essere emanata d'ufficio e ciò anche alla luce del principio della domanda ex artt. 2907 c.c. e 99 c.p.c., nonché, soprattutto, del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c.

Il riformatore, tuttavia, non prende posizione sulla questione, molto dibattuta in dottrina, circa la sussistenza di una precisa barriera preclusiva per la sua proposizione, per cui resta discusso se l'istanza sia o meno soggetta ai termini di decadenza previsti per la proposizione delle domande; al riguardo, la circostanza che la misura coercitiva non è diretta a conseguire un'ulteriore tutela di merito e, come tale, non è in grado di incidere sull'oggetto del giudizio, come confermerebbe la futura possibilità di richiedere la misura anche al giudice dell'esecuzione, deve spingere a ritenere ammissibile la proposizione dell'istanza anche oltre i termini per la proposizione delle nuove domande di cui all'art. 183 c.p.c. (e - per il prossimo futuro - dell'art. 171-ter c.p.c., il quale ricalca con alcune differenze il testo dell'attuale sesto comma dell'art. 183 c.p.c.).

I criteri per la determinazione della misura

Stando all'attuale tenore letterale della norma, all'atto dell'adozione del provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro, il giudice adito, sempre che vi sia stata la richiesta della parte, determina la somma dovuta tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile; ciò sempre che non ritenga la richiesta della parte manifestamente iniqua.

La norma attuale, dunque, indica al giudice quali indici utilizzabili per la fissazione della misura coercitiva il valore della controversia, la natura della prestazione, il danno quantificato e prevedibile e “ogni altra circostanza utile”, tra i quali in genere si prendono in considerazione le condizioni personali e patrimoniali dell'obbligato. Tuttavia, non fornisce elementi per individuare le modalità operative della misura, né risulta disciplinata la modulazione dell'entità della misura, se fissa o crescente in ragione dell'aumento dei comportamenti illeciti o al protrarsi dell'inadempienza.

Al riguardo, la legge delega n. 206/2021 è intervenuta prevedendo all'art. 1, 12° comma, lett. o) della l. 206-2021 il seguente principio direttivo: «prevedere criteri per la determinazione dell'ammontare, nonché del termine di durata delle misure di coercizione indiretta di cui all'art. 614-bis del c.p.c.».

Si tratta, come è evidente, di criteri aggiuntivi rispetto a quelli già disciplinati dall'attuale art. 614-bis c.p.c., i quali, invero, non pongono particolari problemi interpretativi.

Il novellato testo dell'art. 614-bis c.p.c. per come attualmente licenziato dal Governo integra la norma vigente affidando al giudice il compito di determinare la decorrenza della misura, nonché prevedendo la possibilità per il tribunale adito di «fissare un termine di durata della misura, tenendo conto della finalità della stessa e di ogni circostanza utile». Come precisato dalla Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo, poiché «l'esecuzione indiretta ha la finalità di indurre l'obbligato all'adempimento volontario, […], essa per «essere effettiva, deve essere commisurata principalmente rispetto a questo parametro». Non è stato invece considerato quale criterio utile per la determinazione della misura il danno che l'inadempimento produce nella sfera giuridica dell'avente diritto, così confermandosi l'idea che l'esecuzione indiretta di cui all'art. 614-bis c.p.c., non sostituisce il risarcimento del danno prodotto dall'inadempimento, ma si aggiunge ad esso.

Come appena riportato, il legislatore ha poi previsto la possibilità per il giudice di fissare la durata massima della misura, integrando «il primo comma della norma con un ultimo periodo, che consente al giudice di fissare un termine di durata della misura» (così la Relazione illustrativa). Tale norma, invero, rileva nei soli casi di inadempimento di un obbligo avente come contenuto una prestazione, mentre non ha rilevanza ove si tratti di un obbligo di astensione; in tale ultima ipotesi, la misura coercitiva è utile solo laddove l'obbligo di astensione sia stato violato tramite l'adozione di un comportamento attivo, per cui non vi è necessità di assicurare che l'entità della somma da corrispondere non divenga esorbitante.

Ciò posto, resta fermo, oggi come in futuro, l'obbligo per il creditore di indicare in modo compiuto e specifico nel precetto non solo il titolo esecutivo, ma anche gli inadempimenti contestati che giustificano l'intimazione all'adempimento e il preavviso dell'azione esecutiva.

Il potere del g.e. di disporre la misura coercitiva

La seconda parte della norma di delega attribuisce al legislatore delegato il compito di prevedere «l'attribuzione al giudice dell'esecuzione del potere di disporre dette misure quando il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna oppure la misura non è stata richiesta al giudice che ha pronunciato tale provvedimento».

Tali principi direttivi sono il frutto dei lavori della Commissione per l'elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile presieduta dal prof. Luiso.

Ora, nella Relazione di accompagnamento presentata dalla Commissione Luiso il 24 maggio 2021 al Ministero della Giustizia si legge che poiché attualmente la pronuncia della misura coercitiva è integralmente affidata al giudice della cognizione, in presenza di un titolo esecutivo stragiudiziale, quale ad esempio un accordo negoziale, vi è la necessità di promuovere un processo dichiarativo al solo fine di ottenere un provvedimento che deve essere ascritto alla giurisdizione esecutiva, con un'evidente sproporzione del mezzo rispetto allo scopo. Allo scopo di evitare un'inutile duplicazione di processi, il legislatore della riforma ha delegato il Governo a prevedere l'attribuzione al giudice dell'esecuzione del potere di disporre l'adozione dell'astreinte di cui all'art. 614-bis c.p.c.

Verrà così inserito nel corpo dell'attuale art. 614-bis c.p.c. il seguente comma: «Se non è stata richiesta nel processo di cognizione, ovvero il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza, o ritardo nell'esecuzione del provvedimento è determinata dal giudice dell'esecuzione, su ricorso dell'avente diritto, dopo la notificazione del precetto. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui all'articolo 612».

Precisa la Relazione illustrativa che la nuova disposizione «è volta a porre rimedio ad una lacuna della normativa vigente che attribuisce al solo giudice» della cognizione il potere di concedere la misura coercitiva, così evitando di imporre all'avente diritto alla prestazione risultante da un titolo esecutivo stragiudiziale di instaurare un processo ad hoc. Per la Relazione illustrativa lo stesso può ripetersi per il lodo arbitrale.

Ora, se in linea generale la previsione merita sicuramente approvazione, vi è però da chiedersi se debba ricorrersi al giudice dell'esecuzione per l'irrogazione di una misura coercitiva accessoria ad un lodo arbitrale o se invece ciò non sia necessario, potendo lo stesso collegio arbitrale provvedervi; per dare un'opportuna risposta a tale quesito appare opportuno distinguere tra lodo rituale e lodo irrituale.

Quanto al primo, si è in presenza di un provvedimento al quale la legge attribuisce efficacia di sentenza e richiede l'omologazione soltanto per l'attribuzione allo stesso dell'efficacia di titolo esecutivo. Stante la ormai indiscussa natura giurisdizionale del lodo, pare allora che sia ben possibile per gli arbitri rituali irrogare le misure coercitive di cui all'art. 614-bis c.p.c., come d'altronde si afferma già da tempo in dottrina.

Peraltro, è venuto meno anche l'ostacolo fatto valere da quella parte della dottrina (Chiarloni, L'esecuzione indiretta ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c.: confini e problemi, in GI, 2014, 731 ss.) contraria ad ammettere in capo agli arbitri rituali il potere di irrogare misure coercitive indirette e consistente nell'impossibilità per questi ultimi di concedere provvedimenti cautelari. La legge n. 206/2021, infatti, all'art. 1, 15° co., lett. c) delega il Governo a prevedere «l'attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell'ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge». Se, allora, come pare, gli arbitri potranno adottare misure cautelari, vi è da chiedersi per quale motivo si dovrebbe negare loro la possibilità di emettere misure coercitive; opinare in senso contrario rappresenterebbe senza dubbio una soluzione non conforme all'equilibrio sistematico venutosi di recente a creare per effetto dell'attribuzione all'arbitrato del carattere di procedimento giurisdizionale alternativo a quello statuale.

Discorso diverso deve essere condotto riguardo all'arbitrato irrituale. Con tale strumento, infatti, gli arbitri decidono la controversia secondo una determinazione contrattuale, per cui se le obbligazioni accertate dal lodo irrituale restano inadempiute occorrerà instaurare un giudizio a tutela dei corrispondenti diritti nel quale il giudice adito potrà, su istanza della parte interessata, emanare una misura coercitiva; la necessità di ricorrere al giudizio di merito, allora, pone fuori gioco il giudice dell'esecuzione che dunque sarà carente di legittimazione ad adottare un provvedimento di tal fatta.

Come già accennato, il ricorso al g.e. si renderà necessario in presenza di un verbale di conciliazione giudiziale; in tal caso la parte interessata potrà rivolgersi al giudice dell'esecuzione affinché provveda a garantire l'attuazione del comando contenuto nel titolo esecutivo tramite l'irrogazione di una misura coercitiva.

E' ovvio che in tanto l'istanza del g.e. deve ritenersi ammissibile se ed in quanto i verbali di conciliazione non abbiano ad oggetto somme di danaro, perché altrimenti sarebbero eseguibili nelle sole forme del libro III del codice di procedura civile a causa della limitazione contenuta nell'art. 614-bis c.p.c. Si tratterà dunque delle conciliazioni avvenute innanzi al giudice o di quelle realizzatesi in via stragiudiziale e aventi ad oggetto obblighi diversi dal pagamento di una somma di danaro. Solo in tal caso, dunque, le parti potranno rivolgersi al g.e.

Invero, le parti potrebbero evitare il ricorso al giudice dell'esecuzione tramite l'inserimento all'interno dell'accordo di una clausola penale a garanzia dell'adempimento delle obbligazioni diverse dal pagamento della somma di denaro; ammettendo tale possibilità, però, l'attribuzione al giudice dell'esecuzione di siffatto potere finisce per apparire ultronea e forse anche inopportuna.

Tale riflessione ne origina un'altra di carattere più generale: come da sempre si insegna, il giudice dell'esecuzione non ha il compito di pronunciare provvedimenti di condanna, ma solo quello di permettere l'attuazione coattiva dei diritti consacrati in un titolo esecutivo. Al contrario, come già osservato, la misura coercitiva di cui all'art. 614-bis c.p.c. è stata costruita dal legislatore quale diritto soggettivo autonomo, sebbene accessorio ad un altro diritto consacrato in un provvedimento di condanna. Se ciò è vero, allora, l'attribuzione del potere di irrogare tale misura anche al giudice dell'esecuzione pone seri dubbi di natura sistematica.

Essa, inoltre, determina il sorgere anche di alcune questioni pratiche che dovranno essere affrontate dal legislatore delegato.

In primo luogo, si pone un problema di competenza, in quanto l'attribuzione del potere al giudice dell'esecuzione di fissare tali misure comporta la necessità di individuare il magistrato competente per la loro adozione, sia sotto il profilo della competenza per territorio, sia sotto quello attinente al valore, in considerazione delle modifiche alla competenza del giudice di pace che avverranno verosimilmente negli anni a venire.

Secondariamente, vi è da chiedersi se il g.e. possa provvedere all'irrogazione della misura coercitiva anche d'ufficio. Parte della dottrina (Crivelli-Mercurio, Annotazioni sulla legge di delegazione per la riforma del codice di rito, con riferimento alle disposizioni in tema di processo esecutivo, in REF, 2021, 1015 ss., in part. 1035) è per la soluzione positiva, argomentando dall'interesse pubblico all'efficienza del processo esecutivo e dal principio di economia delle risorse ad esso assegnate. In tal senso sembrerebbe poi deporre il tenore della disposizione che espressamente delega il Governo a prevedere l'«attribuzione al giudice dell'esecuzione del potere di disporre dette misure».

In realtà, oltre al fatto che dall'attribuzione al g.e. del potere di irrogare la misura coercitiva indiretta non è affatto possibile desumere l'assegnazione in via diretta ed automatica di tale potere in via ufficiosa, occorre considerare che nel nostro ordinamento opera in via tendenziale il principio della domanda. Ora, se è vero che sono ben ammesse eccezioni al principio, in termini di mere limitazioni del potere sostanziale del titolare del diritto e di vere deroghe, è del pari vero che siffatte limitazioni e deroghe devono trovare il loro fondamento in apposite previsioni di legge che, invece, in tale caso mancano.

A conforto di quanto appena osservato vi è la lettera mm del 23° co. dell'art. 1 della legge delega, la quale espressamente prevede la possibilità di adottare anche d'ufficio - previa instaurazione del contraddittorio - provvedimenti ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c. per permettere l'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. Se “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, allora, deve ritenersi che tale possibilità è stata ammessa solo nell'ambito dei procedimenti in materia di affidamento della prole dove l'intervento ufficioso del giudice è giustificato dalla delicatezza delle situazioni giuridiche coinvolte.

Ancora. L'attribuzione al g.e. del potere di irrogare misure coercitive crea la necessità di prevedere anche uno strumento di contestazione esperibile contro il provvedimento del giudice, che la Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo delegato individua nell'opposizione agli atti esecutivi. Sennonché, potrebbe accadere che il giudice dell'esecuzione, nell'adottare le misure coercitive, ponga in essere delle misure che sono diverse o in contrasto con quelle fissate nel titolo esecutivo; al riguardo, come osservato da autorevole dottrina (Costantino, La riforma della giustizia civile. Prospettive di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, Bari, 2022, 350 ss.) si porrà un fenomeno analogo a quello che avviene nell'ambito del procedimento di esecuzione degli obblighi di fare, in cui il g.e. potrebbe adottare misure determinative delle modalità esecutive in contrasto con il contenuto del titolo esecutivo.

Infine, come anticipato, il giudice dell'esecuzione può disporre misure coercitive quando la misura non è stata richiesta al giudice che ha pronunciato il provvedimento.

Potrebbe però accadere che la misura coercitiva, pur domandata dalla parte, non sia stata emessa dal giudice in violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; la sentenza così emanata sarà allora impugnabile e la misura potrà essere disposta dal giudice d'appello. Sennonché, stando al testo di futura vigenza di cui all'art. 614-bis c.p.c. ben potrà la parte domandare la misura anche al giudice dell'esecuzione, con una possibile duplicazione di tutela. Bene, allora, avrebbe fatto il legislatore a prevedere un meccanismo di raccordo tra l'impugnazione della sentenza e l'istanza del giudice dell'esecuzione.

Come si vede, numerose sono le questioni di ordine pratico e sistematico che originano dal dettato normativo contenuto nella legge delega e nello schema di decreto delegato. Quelle appena accennate sono solo alcune.

Molte sono poi le occasioni perdute; si pensi alla mancata estensione della norma alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato ed ai rapporti di collaborazione coordinata continuativa di cui all'art. 409 c.p.c. e più, in generale, alla mancata generalizzazione della misura, che anche per il legislatore della riforma non potrà applicarsi alle condanne aventi ad oggetto somme di danaro. Si tratta invero di una limitazione irrazionale e priva di fondamento, come comprova la circostanza che in altri ordinamenti, come quello francese, le astreintes possono venir comminate anche con riferimento ad obblighi eseguibili per surrogazione», comprese dunque le somme di danaro.

Riferimenti bibliografici

Chiarloni, L'esecuzione indiretta ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c.: confini e problemi, in GI, 2014, 731 ss.;

Chizzini,Commento all'art. 614-bis, inLa riforma della giustizia civile. Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69/09, a cura di Balena, Caponi, Chizzini e Menchini, Torino, 2009, 148-149;

Costantino,La riforma della giustizia civile. Prospettive di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, Bari, 2022, 350 ss.;

Costantino,Tutela di condanna e misure coercitive, inGI, 2014, 737 ss.;

Crivelli-Mercurio,Annotazioni sulla legge di delegazione per la riforma del codice di rito, con riferimento alle disposizioni in tema di processo esecutivo, inREF, 2021, 1015 ss., in part. 1035.

Merlin,Prime note sul sistema delle misure coercitive pecuniarie per l'attuazione degli obblighi infungibili nella L. 69/2009, inRDPr, 2009, 1557;

Nascosi,Le misure coercitive indirette nel sistema di tutela dei diritti in Italia e in Francia, Napoli, 2019, 129 ss.; A.D. De Santis,Contributo allo studio della funzione deterrente del processo civile, Napoli, 2018, 215 ss.;

Olivieri,Esecuzione e misure coercitive in materia di diritto di famiglia, GPC, 2017;

Saletti,Commento all'art. 614-bis, inCommentario alla riforma del codice di procedura civile, a cura di Saletti e Sassani, Torino, 2009, 196 ss.

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