Il giurista e le firme digitali

Andrea Lestini
20 Ottobre 2022

Lo scritto, prendendo le mosse da una recentissima ordinanza della Suprema Corte di Cassazione (n. 27463/2022), analizza il principio di equivalenza delle firme digitali di tipo Cades e di tipo Pades.
Premessa

Per diventare “un buon avvocato”, viene insegnato, è necessario non solo essere «buoni giuristi, possibilmente ottimi» ma, quantomeno, «bisogna anche perfezionare le proprie competenze informatiche» (A. Briguglio, La professione forense nel contenzioso civile 40 anni dopo, in Judicium, 2022).

Del resto, se in generale «svolte epocali si sono verificate ogniqualvolta l'uomo ha avuto accesso a nuove tecnologie», non si può negare come l'uso dell'informatica e della telematica abbiano cambiato (e siano ulteriormente in grado di cambiare) il diritto (G. Pascuzzi, Il diritto dell'era digitale, Bologna, 2020).

La nascita dei processi telematici, frutto della dematerializzazione e automazione dei flussi informativi e documentali, presuppone infatti l'impiego di plurimi strumenti (oltre che, evidentemente, di capacità ed abilità) quali una cassetta di posta elettronica certificata, l'inserimento di tale indirizzo in un pubblico elenco, nonché l'utilizzo di una firma digitale.

Si tratta, peraltro, solo di taluni e limitati profili che appaiono capaci di evidenziare il rapporto tra diritto e tecnologia nonché le modalità con le quali il primo disciplina ovvero, servendosene, utilizza la seconda al fine di perseguire determinati obiettivi.

Eppure, a fronte di un almeno teorico «snellimento dell'attività degli uffici giudiziari e degli studi legali» (G. Pascuzzi, Il diritto dell'era digitale, cit.) emergono, come è ovvio, nuove questioni e possibilità interpretative, nuovi problemi (E. Forner, Le procedure digitali. Prontuario teorico-pratico dei processi telematici, Milano, 2022; R. Borruso, S. Russo, C. Tiberi, L'informatica per il giurista. Dal Bit a internet, Milano, 2019).

Il giurista, allora, prendendo le mosse da una recentissima ordinanza della Suprema Corte di Cassazione (Cass., sez. VI, 20.09.2022, n. 27463), analizzerà il principio di equivalenza delle firme digitali di tipo “Cades” (CMS Advanced Electronic Signatures) e di tipo “Pades” (PDF Advanced Electronic Signatures) e proverà ad individuare – dopo essersi soffermato, seppur brevemente, sulla notifica della sentenza in copia non autenticata (in formato file.pdf “perfettamente leggibile”) – alcuni interrogativi, di recente discussione, su domicilio digitale e notificazioni a mezzo PEC; da ultimo, volgerà lo sguardo al futuro, evidenziando punti di contatto con il passato, con la tradizionale “tecnica del processo” e “arte del diritto”, onde scorgere l'orizzonte comune di un sistema in continua evoluzione.

Il principio di equivalenza delle firme digitali di tipo “Cades” e di tipo “Pades”

La disciplina normativa in materia di firme elettroniche è dettata, attualmente (A. Bonafine, L'atto processuale telematico, Napoli, 2017) dal d.lgs 7 marzo 2005, n. 82 (c.d. CAD) e dal Regolamento (UE) 2014/910 (c.d. e-IDAS).

In via del tutto generale giova ricordare che, come noto, il d.lgs. n. 82/2005, per un verso definisce il documento informatico (A. Graziosi, Documento informatico (diritto processuale civile), in Enc. Dir. Annali, Milano, 2008) come «il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti» (art. 1, lett. p) e per altro verso sancisce che tale documento «soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore» (art. 20, comma 1 bis); viceversa, si specifica come “in tutti gli altri casi” (quelli, si è detto, «in cui la forma scritta è richiesta esclusivamente ad probationem», sicché «è possibile utilizzare ogni tipo di firma o segno elettronico di identificazione, compatibile con la nozione di firma elettronica»: A. Merone, Documento informatico, in Ilprocessotelematico.it, 2021) «l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità» (art. 20, comma 1 bis).

Ebbene, a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 910/2014 – volto a «rafforzare il principio della neutralità tecnologica attraverso un sistema che tende a sfumare la differenza dei regimi applicabili ai documenti informatici in base alle tipologie di firme elettroniche utilizzate» (A. Merone, Documento informatico, cit.) – si è reso necessario adeguare e modificare il CAD alle esigenze europee onde evitare, tra l'altro, il rischio di sovrapposizioni e contraddizioni con le relative definizioni (O. Troiano, Firma e forma elettronica: verso il superamento della forma ad substantiam. Riflessioni a margine del regolamento UE n. 910/2014 e delle recenti riforme del codice dell'amministrazione digitale, in NGCC, 2018).

Rispetto alle categorie di firme originariamente previste e diversamente disciplinate, vale a dire firma elettronica, firma elettronica avanzata, firma elettronica qualificata e firma digitale, solo quest'ultima continua quindi a rinvenire la propria essenza nella normativa nazionale, mentre con riguardo agli altri istituti l'interprete non potrebbe che procedere, necessariamente, spaziando – ancora una volta – da una fonte all'altra.

Eppure, è il CAD (art. 21 comma 2 bis, d.lgs. n. 82/2005) che regola e articola variamente la graduazione probatoria del documento discorrendo di scritture informatiche che, per soddisfare la forma scritta ad substantiam contemplata dall'art. 1350, nn. 1-12 c.c., richiedono a pena di nullità una firma elettronica qualificata o digitale; ovvero di scritture riconducibili all'art. 1350 n. 13 c.c., per le quali il medesimo requisito, appare soddisfatto attraverso la sottoscrizione con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale ovvero con la formazione del documento ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, primo periodo.

E, parimenti, come anticipato, è il medesimo Codice (art. 20) a prevedere che il documento informatico cui è apposta una firma elettronica (semplice) è liberamente valutabile in giudizio, a differenze dei documenti cui è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata perché in tal caso l'atto ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 c.c.

Ciò premesso, al di là delle diverse tipologie di firme, ciò che preme rilevare è la distanza che intercorre e che separa il mondo digitale dal paradigma tradizionale (G. Pascuzzi, Il diritto dell'era digitale, cit.), caratterizzato dalla sottoscrizione quale «apposizione della firma autografa» (C.M. Bianca, Diritto civile, Il contratto, Milano, 2000) cioè a dire «apposizione autografa di segni grafici idonei ad individuare un soggetto» (B. Carpino, Scrittura privata, in Enc. Dir., XLI, Milano, 1989).

Con specifico riferimento, poi, al tema che interessa maggiormente ai fini delle presenti note, cioè a dire il processo civile telematico, deve segnalarsi come tra i requisiti che devono essere rispettati per l'atto (in forma di documento informatico) da depositare telematicamente all'ufficio giudiziario, emergono quelli del «formato PDF» e della sottoscrizione «con firma digitale o firma elettronica qualificata esterna», precisandosi conseguentemente che «la struttura del documento firmato è Pades-BES (o Pades Part 3) o Cades-BES» (cfr. art. 12, Provvedimento del 16 aprile 2014, recante «Specifiche tecniche previste dall'articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44»).

Dunque, come ha avuto modo di illustrare la Corte di Cassazione nella sua più autorevole composizione, pronunciandosi su questione di massima di particolare importanza (V. Amendolagine, Al Primo Presidente la questione sulla validità della modalità strutturale dell'atto del processo in forma di documento informatico, in Ilprocessocivile, 2017), non solo «secondo la normativa nazionale, la struttura del documento firmato può essere indifferentemente Pades o Cades» (del resto, «il certificato di firma è inserito nella busta crittografica, che è pacificamente presente in entrambi gli standards abilitati»), ma si deve altresì «escludere che le disposizioni tecniche tuttora vigenti (pure a livello di diritto dell'UE) comportino in via esclusiva l'uso della firma digitale in formato Cades, rispetto alla firma digitale in formato Pades» (Cass., Sez. Un., sent., 27.04.2018, n. 10266).

A tal riguardo, può ulteriormente ricordarsi (E. Forner, “Nomina nuda tenemus”: gli equivoci sulla firma digitale e i suoi standard, in Ilprocessotelematico, 2018) come il formato Pades-BES può essere utilizzato per firmare documenti informatici esclusivamente in formato PDF mentre quello Cades-BES per firmare documenti informatici di qualunque formato e che, nel creare il file firmato, aggiunge alla denominazione originale l'ulteriore estensione “.p7m” (per esempio: “.doc.p7m”, “.pdf.p7m” e via seguitando).

Con riguardo al processo civile telematico, in definitiva, non assume rilevanza il tipo di standard in concreto prescelto per firmare un atto processuale, poiché in ogni caso l'atto dovrà essere in formato PDF c.d. “nativo”, il quale supporta entrambi gli standard in questione; non sono ravvisabili, pertanto, elementi obiettivi per poter ritenere che solo la firma in formato Cades offra garanzie di autenticità (K. Mascia, La firma in formato CAdES non è l'unica ad offrire garanzie di autenticità, in Dir. Giust., 2018); e, ciò, in ragione del fatto che «il diritto dell'UE e la normativa interna certificano l'equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall'ordinamento sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”» (Cass., Sez. Un., n. 10266/2018, cit.).

Il significato dell'importante pronuncia delle Sezioni Unite è accresciuto dal favor manifestato dalla dottrina, la quale si è mostrata sin da subito sensibile nel condividere l'impostazione volta a riconoscere (K. Mascia, Equivalenza delle firme digitali Pades e Cades, in IlProcessotelematico, 2018) e ritenere come equivalenti le firme digitali di tipo Cades e di tipo Pades, e come tali «entrambe valide ed efficaci, anche nel processo civile di cassazione e senza eccezione alcuna» (A. Merone, Impiego di firme elettroniche secondo formati equivalenti e validità dell'atto processuale telematico, in Ilprocessotelematico, 2018).

L'ampia motivazione, espressione della funzione nomofilattica della Corte, lungi dall'abbattersi sul sistema, ha compiutamente svolto la funzione di «contemperare i principi contenuti nei “macigni dottrinari”, con il diritto vivente in una società in continua evoluzione» (G. Miccolis, La funzione nomofilattica della Cassazione, in Judicium, 2020); quei medesimi principi e ragioni giustificatrici della soluzione ermeneutica prescelta sono stati recentemente ribaditi dalla successiva giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. lav., 26.05.2020, n. 9781; Cass., sez. II, 29.11.2018, n. 30927) e di merito (C.d.A. Lecce, sez. II, 29.03.2022, n. 374; C.d.A. Messina, sez. I, 18.03.2022, n. 169; C.d.A. Brescia, sez. lav., 10.09.2021, n. 206; Trib. Termini Imerese, sez. I, 23.09.2021, n. 91; Trib. Bologna, sez. II, 15.04.2021, n. 997), nonché da ultimo, seppure in maniera necessariamente più concisa, nella recentissima ordinanza di cui a Cass., sez. VI, 20.09.2022, n. 27463.

Quest'ultima, a ben vedere, suscita nel lettore non solo la consapevolezza circa l'affermazione di un consolidato orientamento in materia ma si apprezza in quanto idonea a spiegare (o, più precisamente, a riaffermare) un ulteriore profilo, inevitabilmente connesso con quello in esame; ci si riferisce, evidentemente e come subito si dirà, alla questione della «notifica di copia in pdf della sentenza di primo grado la quale, di per sé, ossia in quanto copia, non richiede – a ben vedere – alcuna sottoscrizione, tanto meno autentica».

La notifica della sentenza fatta in copia non autenticata e la garanzia dell'autenticità e genuinità del file offrono, allo studio delle competenze informatiche del giurista, un ulteriore momento di confronto.

La notifica della sentenza in copia non autenticata

Ebbene, tanto sul piano teorico quanto su quello pratico, il tema della validità della firma Pades e Cades, non può prescindere dal rilievo per cui la notifica di copia in pdf della sentenza di primo grado, di per sé (ossia in quanto copia), non richiede alcuna sottoscrizione, tanto meno autentica.

Invero, dalla mancata autenticazione della copia notificata della sentenza non potrebbe farsi discendere alcuna nullità poiché la mancanza, nella stessa, della certificazione del cancelliere attestante la conformità di tale copia all'originale, non incide sulla validità della notificazione e non ne comporta l'inidoneità a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, stante il disposto dell'art. 160 c.p.c. che individua i casi di nullità della notificazione (Cass., 21.05.2015, n. 10514).

Piuttosto, si rammenta come, secondo un pacifico indirizzo (Cass., 29.07.2015, n. 16104), finanche la notifica della sentenza fatta in copia non autenticata è idonea a far decorrere il termine breve dell'impugnazione, in ragione del numerus clausus delle ipotesi di nullità della notificazione (Cass., 12.05.2014, n. 10224; Cass., 19.08.2004, n. 16317); a conferma dell'assunto, si è anche detto che l'attività di certificazione «è precedente e distinta dalla attività di notifica, dalla quale solo la legge fa scaturire le dette conseguenze, a nulla rilevando sulla validità della notifica stessa, l'eventuale invalidità dell'attività certificatoria» (Cass., 01.12.1984, n. 6272).

E, ciò, salvo il caso in cui il destinatario della notifica lamenti l'incompletezza della copia ricevuta o la difformità tra tale copia e l'originale.

Da questi limitati accenni, la direttrice di fondo rappresentata dalla necessità che la copia della sentenza consegnata al destinatario della notificazione sia in tutto conforme all'originale serve ad assicurare al medesimo la conoscenza legale ed integrale della pronuncia e così il dispiegamento della relativa attività difensiva in sede d'impugnazione (cfr. Cass., 21.05.2015, n. 10514, secondo cui, appunto, «la nullità della notificazione della sentenza per essere questa stata consegnata in copia priva di uno o più pagine, può essere affermata in difetto di espressa comminatoria della nullità medesima, solo se il destinatario deduca e dimostri che detta incompletezza gli abbia precluso la compiuta conoscenza dell'atto e quindi abbia inciso negativamente sul pieno esercizio della facoltà di impugnazione dello stesso»).

Laddove, viceversa, la predetta regola generale si impone nelle ipotesi in cui non emerga che sia stata mai sollevata alcuna contestazione circa la completezza o la effettiva corrispondenza all'originale della copia in questione, ed anzi possa dirsi che il “file.pdf” allegato alla notifica telematica fosse “perfettamente leggibile”, senza quindi che sul punto risulti mai sorta alcuna controversia.

Conclusione: “tecnica del processo” e “arte del diritto”

Fino ad un recente passato la legge sull'ordinamento professionale forense distingueva la figura dell'avvocato da quella del procuratore legale (R. Danovi, Ordinamento forense e deontologia, Milano, 2020), operando in radice una scissione che, «fondata su una differenza di funzione», rinveniva le proprie origini nella teoria dell'azione e nel concetto di parte (F. Carnelutti, Avvocato e procuratore (premessa), in Enc. Dir., IV, 1959); in quel contesto, si è detto, «il procuratore rappresenta la parte con la procura alle liti (artt. 82 e 83 c.p.c.) mentre l'avvocato svolge una funzione di assistenza, senza necessità di un mandato formale (art. 87 c.p.c.)» (R. Danovi, Ordinamento forense e deontologia, cit.).

Emergeva, per tale via, «la differenza tra la tecnica del processo e la scienza o meglio l'arte del diritto» che spiegava così «la distinzione tra il procuratore, che è un tecnico del processo, e l'avvocato che è un giureconsulto»; l'uno idoneo nel settore tecnico al «compimento di atti processuali, i quali richiedono una certa preparazione» e l'altro «nel settore giuridico, per valutare la conformità dei fatti alle fattispecie legali e così per formare quei giudizi giuridici, che sono necessari all'invenzione e allo svolgimento delle sue ragioni» (F. Carnelutti, Avvocato e procuratore (premessa), cit.).

Anche nell'attuale sistema, di norma (art. 82 c.p.c.), le parti non operano di persona nel processo in quanto devono munirsi di un «rappresentante tecnico che funge da mediatore professionale» tra l'interessato e il giudice (B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano, Milano, 2019), ma ciò che è venuto meno è la differenziazione, sul piano normativo, tra le due figure sicché ciò che permane è il fatto che «le parti non possono stare in giudizio se non col ministero o con l'assistenza di un difensore».

Per concludere, allora, si potrebbe solamente osservare come l'oralità di ieri e la scrittura del presente (A. Briguglio, Le prassi processuali, in Judicium, 2022) si ritrovano nelle competenze tecniche e tecnologiche.

Il fenomeno informatico, invero, non solo rileva sul piano giuridico ma la materia trattata è al contrario fondamentale, poiché sulla sua pratica applicazione riposa buona parte dell'odierno processo, di cui si ripete non esservi stato alcun mutamento dei concetti fondamentali, assistendosi piuttosto ad una loro diversa declinazione in concreto (E. Forner, “Nomina nuda tenemus”: gli equivoci sulla firma digitale e i suoi standard, cit.).

Più in generale, però, le radicali trasformazioni – caratterizzate dal progressivo diffondersi di modelli informatici e telematici – nel modo di lavorare, di educare, di catalogare il sapere, di rendere accessibili nuove forme di partecipazione condivisa, di organizzare la società, non si limitano a costituire un mero sfondo del quadro ma ne rappresentano la figura, quasi a voler assurgere ad essenza stessa della vita di relazione, anche processuale.

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