Canone (riduzione e autoriduzione)

Nino Scripelliti
Maurizio Tarantino
08 Marzo 2022

Nella prassi degli affari e, quindi, nel relativo contenzioso, si pone frequentemente la problematica dell'autoriduzione del canone da parte del conduttore, che coinvolge non solo i principi della normativa locatizia, ma anche quelli contrattuali generali relativi alle conseguenze dell'inadempimento. In tale prospettiva, fermo restando il divieto di autoriduzione fissato in via generale, vanno al contempo considerate le conseguenze giuridiche derivanti dalla previsione della facoltà prevista dall'art. 55 della legge n. 392/1978 che consente una sanatoria della morosità (anche in deroga ad eventuali clausole risolutive espresse inserite nel relativo contratto).
Inquadramento

*Bussola aggiornata da M. Tarantino

Nel contratto di locazione il conduttore che ritenga di non adempiere alla propria obbligazione, riducendo o addirittura sospendendo il pagamento del canone ma continuando ad utilizzare il bene locato ed incidendo così sull'equilibrio sinallagmatico alla base del contratto, si pone a rischio della domanda di risoluzione contrattuale da parte del proprietario-locatore, nella maggior parte dei casi fondata sulla clausola risolutiva espressa all'art. 1456 c.c., ormai costante nella prassi contrattuale delle locazioni (in specie immobiliari). Il conduttore che sospende o riduce il pagamento del canone è soggetto a tale rischio, dovendosi confrontare il suo comportamento con i principi-guida in tema di inadempimento (art. 1453, e ss., c.c.) ed tema di proporzionalità e di buona fede espressi dagli artt. 1460; 1375 c.c. Prevale quindi l'affermazione della illegittimità della autoriduzione del canone da parte del conduttore anche in presenza di contestazione giudiziale del canone prima della pronuncia del giudice, quando il giudizio è stato promosso allo scopo di accertare l'illegittimità della misura dei canoni corrisposti, ovvero in presenza di altri eventuali inadempimenti del proprietario-locatore.

Il divieto, in generale, di autoriduzione del canone di locazione

Anche in assenza di clausola risolutiva espressa, l'obbligazione di pagamento periodico del canone, seppure seconda delle due obbligazioni del conduttore previste dall'art. 1587 c.c., riveste nella opinione corrente la massima importanza secondo il parametro dell'art. 1455 c.c., e nell'eventuale confronto di interessi delle parti, previsto dall'art. 1460 c.c. agli effetti della eccezione di inadempimento.

Pertanto è stata da tempo riconosciuta la gravità dell'inadempimento del conduttore e quindi il presupposto della risoluzione contrattuale per la violazione di una prestazione essenziale al mantenimento del rapporto locatizio, quale il pagamento del canone o la sua arbitraria riduzione, pur se giustificata dall'esigenza di riportare ad «equità» il canone che fosse stato eccedente la soglia massima legale consentita per le locazioni ad uso abitativo (al tempo del canone legale), ed attualmente, anche non abitativo (artt.12 e 32,legge n. 392/1978, ora abrogata quanto alle locazioni abitative), ovvero che avesse ecceduto limiti posti dall'art. 13 della legge n. 431/1998, o per reagire ad altri inadempimenti del proprietario-locatore.

Tale regime, all'epoca, risultava attenuato, in parte, dall'art. 45, ultimo comma, legge n. 392/1978 che consentiva al conduttore il pagamento in misura ridotta del canone che avesse ecceduto, a suo giudizio, i limiti massimi consentiti dalla legge e quindi del canone non contestato, ma soltanto dopo la proposizione della domanda giudiziale e per la durata del giudizio sulla entità del canone, ma alla condizione che la contestazione fosse non manifestamente infondata e l'autoriduzione non si trovasse in contrasto con i principi di buona fede e correttezza, e quindi in misura ragionevole (art. 1375 c.c.), non temeraria e, comunque, congrua. In tal modo si ammetteva una forma di autotutela del conduttore nell'ambito del giudizio di determinazione del canone legale mentre, al di fuori di questo ambito, l'autoriduzione restava inadempimento importante, idoneo a produrre effetti risolutori del contratto (Cass. civ., sez. III, 22 aprile 2010, n. 9548).

Inoltre, della risalente disciplina delle locazioni abitative di cui alla legge n. 392/1978, è rimasto in vigore, in quanto espressamente escluso dall'abrogazione, l'art. 55 che consente entro la prima udienza del procedimento di sfratto la sanatoria della morosità, in deroga ad eventuali clausole risolutive espresse ed all'art. 1453, comma 3, c.c., secondo il quale, dalla data della domanda di risoluzione, l'inadempiente non può più adempiere e così evitare la risoluzione giudiziale. Inoltre, il citato art. 55 prevede anche che il conduttore possa ottenere dal giudice un termine non superiore a 90/120 giorni (nella prassi giudiziale tradizionalmente definito termine di grazia) per il pagamento dei canoni arretrati, «dinanzi comprovate condizioni di difficoltà del conduttore» ovvero, quanto al massimo termine, per sue «precarie condizioni economiche». Si tratta, nella sostanza, di una anticipazione dei principi della morosità incolpevole prevista, ma solo in sede esecutiva e non di cognizione dell'inadempimento, dall'art. 6 del d.l. n. 102/2013 (conv. con legge n. 124/2013) e della quale il d.m. 14 maggio 2014, ha dettato disposizioni di attuazione tipizzando le situazioni di difficoltà che giustificano il ritardo nel pagamento del canone ed il differimento del procedimento esecutivo. Bisogna anche dire che nella prassi giudiziale corrente, il termine di grazia in sede di prima udienza dello sfratto viene ormai concesso a semplice richiesta e senza esigenza di documentazione di specifiche difficoltà di adempimento. È da sottolineare che la richiesta del termine di grazia per il pagamento dei canoni arretrati, esclude, in quel procedimento, ogni facoltà del conduttore di contestazione del canone e della morosità. Per la Suprema Corte, infatti, «è inammissibile l'appello proposto contro un'ordinanza di convalida di sfratto quando l'intimato compaia e, senza opporsi, chieda la concessione del c.d. termine di grazia per sanare la morosità e poi si dolga che il contratto di locazione ad uso abitativo fosse carente di regolare registrazione» (così Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2014, n. 15230; Cass. civ., sez. III, 5 aprile 2012, n. 5540; Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2008, n. 24764; Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2006, n. 6636).

L'inadempimento del locatore, che renda parzialmente inutilizzabile l'immobile, e il giudizio di proporzionalità

Costituendo il pagamento del canone la principale obbligazione del conduttore il cui adempimento è essenziale agli effetti del mantenimento degli equilibri del sinallagma funzionale, l'autoriduzione non è consentita neanche quando si assumano inadempimenti del locatore (per esempio per mancata esecuzione di opere di manutenzione ordinaria o straordinaria, oppure vizi del bene locato non eliminati), e ciò perché la sospensione totale o parziale dell'adempimento di detta obbligazione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., è legittima soltanto quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte e quindi in caso di inutilizzabilità assoluta della cosa locata (secondo un principio assolutamente prevalente in giurisprudenza; cfr., da ultima, Cass. civ., sez. III, 27 settembre 2016, n. 18987).

Tuttavia dissentono da tale corrente giurisprudenziale i non frequenti arresti che hanno ritenuto legittima, con particolare riferimento alle locazioni di immobili ad uso diverso (ma il principio è trasferibile anche per le locazioni abitative), un'autoriduzione del canone a fronte di un inadempimento anche solo «parziale» del locatore, nel rispetto però di una rigorosa proporzionalità (cfr. Izzo) delle rispettive inadempienze ed in aderenza, altresì, del principio di lealtà e buona fede contrattuale (Cass. civ., sez. III, 7 marzo 2001, n. 3341; Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2855). Infatti il secondo comma dell'art. 1460 c.c., ove non si voglia ritenerlo meramente ripetitivo del primo, secondo taluni indirizzi dottrinali va riferito anche al caso in cui la controparte potrebbe aver già adempiuto la propria prestazione ma in maniera inesatta, così legittimando l'eccezione di non rite adimpleti contractus.

INADEMPIMENTO DEL LOCATORE E FACOLTA' DI AUTORIDUZIONE DEL CANONE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

L'autoriduzione è possibile solo nel caso in cui il locatore sia completamente inadempiente

Al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti.

(Cass. civ., sez. III, 27 settembre 2016, n. 18987)

Ammissibile una riduzione “proporzionata”

In tema di locazione di immobili, laddove - nonostante la presenza di vizi della cosa locata imputabili al locatore - residui pur sempre un godimento dei locali da parte del conduttore, non è giustificabile, a norma dell'art. 1460, comma 2, c.c., il rifiuto di prestazione dell'intero canone, potendo ammettersi solo una riduzione dello stesso, proporzionata all'entità del mancato godimento.

(Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2855)

Se il locatore continua a godere dell'immobile non può sospendere il pagamento del canone

L'«exceptio non rite adimpleti contractus», di cui all'art. 1460 c.c., postula la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, ma in relazione alla oggettiva proporzione degli inadempimenti stessi, riguardata con riferimento all'intero equilibrio del contratto ed alla buona fede; ne consegue che il conduttore, qualora abbia continuato a godere dell'immobile, per quanto lo stesso presentasse vizi, non può sospendere l'intera sua prestazione consistente nel pagamento del canone di locazione, perché così mancherebbe la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, potendo giustificarsi soltanto una riduzione del canone proporzionata all'entità del mancato godimento, applicandosi, per analogia, i principi dettati dall'art. 1584 c.c.

(Cass. civ., sez. III, 7 marzo 2001, n. 3341)

Tale proporzionalità fra i rispettivi inadempimenti, peraltro, dovrà essere valutata con riferimento agli interessi delle parti onde, quando il conduttore, anche in presenza di vizi della cosa locata, abbia continuato a godere limitatamente dell'immobile, non potrà sospendere interamente la sua prestazione con l'effetto di uno squilibrio eccessivo tra i due inadempimenti; ciò in analogia a quanto disposto dall'art. 1584 c.c. che, in caso di riparazioni al bene locato, attribuisce al conduttore la possibilità di chiedere una riduzione del canone e non la sospensione totale, come quando le riparazioni comportino privazione del godimento della cosa locata. Resta la difficoltà per il conduttore di quantificare tale riduzione, senza incorrere nel rischio dell'inadempimento che giustifichi risoluzione del contratto.

La legittimità della autoriduzione richiede comunque che l'inadempimento del locatore sia «sopravvenuto» alla stipulazione del contratto, in quanto l'art. 1578 c.c. attribuisce al conduttore la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo in presenza di vizi della cosa locata che ne diminuiscano in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, salvo che si tratti di vizi conosciuti dal conduttore o facilmente riconoscibili, al momento della consegna della cosa locata. Pertanto quando il conduttore all'atto della stipulazione del contratto di locazione non abbia denunziato i difetti dell'oggetto del contratto, deve ritenersi che abbia implicitamente rinunziato a farli valere, accettando la cosa nello stato in cui risultava al momento della consegna, con rinuncia a chiedere la risoluzione del contratto, la riduzione del canone o l'esatto adempimento, ed in ogni caso il risarcimento del danno.

È dunque innegabile che la prevalente giurisprudenza resta ferma sulle affermazioni di illegittimità dell'autoriduzione in ogni caso, ed anche in caso di proposizione di domanda giudiziale; viene, infatti, affermato che, in tema di locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo, la c.d. autoriduzione del canone, e cioè il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita, costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell'ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell'art. 1578, comma 1, c.c., per ripristinare l'equilibrio del contratto, turbato dall'inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata; tale norma, infatti, non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo di domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluto al potere del giudice di valutare l'importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti (cfr., Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2016, n. 7636; Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 2014, n. 26540; Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2012, n. 10639; Cass. civ., sez. III, 16 luglio 2002, n. 10271; Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 1997, n. 9955).

Conclusivamente, si può affermare che, quanto al sinallagma del rapporto di locazione e con discutibile scelta di campo, la consolidata interpretazione dell'art. 1460 c.c. oltre che gli usi contrattuali, rendono difficile per il conduttore di avvalersi della facoltà di autotutela prevista da detta norma con riferimento alla obbligazione di pagamento del canone alle scadenze pattuite; per contro non si ravvisano impedimenti di principio per il locatore che intenda avvalersi dell'art. 1460 c.c. in caso di inadempimento del conduttore e per quanto concerne le obbligazioni che lo riguardano, ma sempre nel rispetto dei principi di buona fede, proporzionalità e correttezza contrattuale (Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2015, n. 18320). In altri termini l'applicazione dei detti principi non consente al locatore di non eseguire lavori di manutenzione destinati a garantire la sicurezza e la igienicità del bene locato, nel caso di riduzione o anche di sospensione del canone.

CASISTICA

Autoriduzione del canone possibile ex art. 45, ultimo comma, legge n. 392/1978(giurisprudenza anteriore)

Deve ritenersi illegittima l'autoriduzione del canone, per il periodo antecedente alla instaurazione del giudizio di accertamento dell'equo canone. (Cass. civ., sez. III,3 marzo 1997, n. 1870)

Applicabilità del c.d. “termine di grazia” (giurisprudenza attuale)

Il termine di grazia di cui all'art. 55 della legge n. 392/1978 non è invocabile in caso di locazione a uso diverso da quello di abitazione. (Cass. civ., sez. III, 17 novembre 2009, n. 24223)

Divieto di autoriduzione del canone anche in presenza di una diminuzione del godimento del bene (giurisprudenza attuale)

In tema di locazione, al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti (esclusa, nella specie, la legittimità dell'azione del conduttore che non aveva pagato i canoni di locazione lamentando infiltrazioni di umidità che, a detta del ctu, non impedivano il godimento del bene ma, semmai, ne limitavano blandamente l'uso). (Cass. civ., sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 1317).

Le variazioni di canone nelle locazioni immobiliari non abitative

Relativamente alle locazioni non abitative, la giurisprudenza, considerata nella sua evoluzione, ha distinto le clausole pattuite in sede di stipulazione contratto e che prevedono successivi futuri aumenti di canone (i canoni c.d. a scaletta), dalle pattuizioni di aumento dei canoni nel corso del contratto. In proposito, una fondamentale sentenza della Suprema Corte rappresenta l'approdo e la sistemazione di un'interpretazione pluriennale e non del tutto uniforme, affermando la legittimità delle clausole di variazione in aumento del canone quando «venga pattuita l'iniziale predeterminazione del canone, differenziata crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto», mentre sono illegittime le clausole che prevedono incrementi del canone quando, «le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'articolo 32 della legge n. 392 del 1978» (cfr. Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22909). Pertanto, per le locazioni non abitative ogni pattuizione contrattuale che non abbia collegato la misura del canone ad eventi futuri e predeterminati al momento della stipulazione, si troverà in contrasto con l'art. 32 della legge n. 392/1978, svolgendo in tal caso la funzione non già di adeguamento del canone al potere di acquisto della moneta ai sensi dell'art. 32, ma di attribuzione al locatore di veri e propri aumenti. Da qui la sua nullità ex artt. 32 e 79 legge n. 392/1978.

Pertanto il conduttore ha diritto a non corrispondere aumenti di canone che non fossero collegati a condizioni ed eventi predeterminati nel contratto, così come ha diritto alla ripetizione di tali aumenti che rappresentano un vero e proprio indebito, nel corso del rapporto e fino a sei mesi dopo la riconsegna dell'immobile (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2014, n. 22236; Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2013 n. 2961; Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2010, n. 13826; Cass. civ., sez. III, 19 novembre 2009, n. 24433; Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2008, n. 2932; Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8410; Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2001, n. 10286).

Dunque, gli aumenti di canone nel corso del rapporto sono legittimi a due condizioni: che le parti abbiano frazionato l'importo del canone per l'intero periodo contrattuale, in misura diversa nel corso del rapporto locativo; ovvero che le variazioni in aumento siano state previste dal momento della stipulazione, in relazione ad eventi predeterminati; ed in ogni caso purché tali variazioni in aumento non abbiano la funzione di eludere i limiti dell'art. 32 della legge n. 392/1978 (Cass. civ., sez. VI, 17 maggio 2011, n. 10834; Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2007, n. 4210). Al contrario è nullo, per il combinato disposto degli artt. 32 e 79 della legge n. 392/1978, ogni accordo che, nel corso del contratto, modifichi in aumento la misura del canone originariamente pattuito dalle parti.

Discende parimenti dalla interpretazione dell'interpretazione sopra riportata, la nullità degli aumenti del canone di locazione pattuiti in un momento successivo alla stipulazione del contratto, anche con previsione di specifici benefici per il conduttore. La ratio sottesa a tali principi risiede nella tutela della libertà contrattuale del conduttore il quale potrebbe essere indotto nel corso del contratto, ad accettare aumenti di canone o l'aggravamento di altre condizioni contrattuali, allo scopo di mantenere la stabilità del rapporto locativo ed evitare la sua interruzione alla scadenza. Pertanto nel caso di pattuizione di aumenti illegittimi il conduttore avrà diritto alla ripetizione di quanto indebitamente pagato ed alla riduzione del canone entro quello originariamente pattuito, comprensivo degli eventuali incrementi ai sensi del citato art. 32 (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2015, n. 5849). In conclusione, il limite della autonomia delle parti in relazione al canone di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo è costituito dal divieto di violazione o elusione del citato art. 32 e della determinazione atipica della misura della indicizzazione, come sarebbe il riferimento non ai previsti indici Istat, ma ad indicatori di prezzi o di variazioni di dati economici estranei alle locazioni (cfr., in generale, Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2015, n. 5849).

Pertanto, anche in caso di aumento illegittimo, sussiste il divieto di autoriduzione del canone da parte del conduttore, in quanto in contrasto con i principi dei quali si è detto. Ed a maggior ragione deve ritenersi non consentita la totale sospensione del pagamento del canone allo scopo di recuperare eventuali incrementi illegittimi anche in applicazione dell'art.1241 c.c. In proposito, la compensazione è esclusa quando si tratti di crediti e debiti discendenti dallo stesso rapporto, perché in tal caso si configura una compensazione impropria che consiste in un mero accertamento di natura contabile del saldo finale delle singole partite dare/avere effettuabile dal giudice anche d'ufficio (Cass. civ., sez. III, 8 agosto 2007, n. 17390). Pacifica è infatti la giurisprudenza nel considerare che «le norme che regolano la compensazione, ivi compresa quella concernente il divieto di rilevarla di ufficio, riguardano l'ipotesi della compensazione in senso tecnico, che postula l'autonomia dei contrapposti rapporti di credito, ma non si applicano allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto ovvero da rapporti accessori, in assenza quindi di autonomia, potendo il relativo calcolo, in tale evenienza, essere compiuto d'ufficio dal giudice in sede d'accertamento della fondatezza della domanda»(Cass. civ., sez. lav., 26 maggio 2014, n. 11729; Cass. civ., sez. lav., 16 febbraio 2007, n. 3628; Cass. civ., sez. lav., 2 marzo 2009, n. 5024; Cass. civ., sez. III, 12 aprile 1999, n. 3564; Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1997, n. 2171; Cass. civ., sez. lav., 7 ottobre 1991, n. 10447; sostanzialmente conforme anche Cass. civ., sez. lav., 16 marzo 2004, n. 5363). Tuttavia, anche se la compensazione in senso proprio è estranea alla eccezione o alla domanda riconvenzionale proposta dal conduttore, ad esempio, in sede di sfratto per morosità e con la quale il convenuto assumesse la avvenuta corresponsione di canoni ultra-legali non dovuti in misura tale da pareggiare il debito per canoni non pagati, dovendo il giudice rideterminare il canone e quantificare il saldo del rapporto locativo, non si può tuttavia escludere la prevalenza della eventuale clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di locazione.

La riduzione del canone durante il Covid-19 nelle locazioni commerciali

La pandemia denominata Covid-19 (c.d. “coronavirus”), ha “scardinato” ogni nostra certezza, impattando tanto sulle comuni abitudini di vita quotidiana, attraverso le limitazioni dei diritti e delle libertà fondamentali, in esito ai recenti e progressivi provvedimenti legislativi. Sia l'evento pandemia in sé considerato, quanto la natura legislativa dei provvedimenti imposti autoritativamente e conseguenti al c.d. lock down, quale unica misura contenitiva di contrasto alla diffusione del virus ed a tutela della salute pubblica (art. 32 Cost.), in assenza di una cura specifica, hanno generato un vero e proprio “blocco economico dell'intero sistema produttivo” del paese, in particolare dei rapporti giuridici pendenti coinvolti. Sappiamo che a causa del Covid-19, nel cimentarsi con le ripercussioni della pandemia sull'universo delle imprese e dei debitori civili, il Governo italiano ha fatto ricorso a più riprese allo strumento del decreto-legge.

In tema, nonostante l'assenza di una norma espressa sulla questione delle morosità relative al periodo del lockdown, il legislatore ha introdotto una norma con il d.l. n. 18/2020: l'art. 91 giustifica il ritardo nel pagamento ma non esclude l'obbligo. Per essere precisi, il riferimento è art. 3, comma 6-bis, d.l. n. 6/2020 inserito dall'art. 91 del d.l. n. 18/2020 con decorrenza dal 17.03.2020, così come modificato dall'allegato alla legge di conversione, l. n. 27/2020 con decorrenza dal 30 aprile 2020. L'art. 91, comma 1, d.l. n. 18/2020 prevede che all'articolo 3 del d.l. n. 6/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 13/2020, dopo il comma 6, è inserito il seguente 6-bis: “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Secondo l'Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione (Relazione tematica n. 56 dell'8 luglio 2020), la norma è di ardua interpretazione su due piani. Secondo un primo profilo, la responsabilità del debitore inadempiente, a causa della necessità di rispettare le misure di contenimento, sembrerebbe elisa già in virtù dell'art. 1218 c.c. Sotto altro profilo, invece, la norma non esclude tout court la responsabilità “da adeguamento” alle misure anti-Covid, piuttosto stabilendo che il rispetto di queste debba essere «sempre valutato» ai fini del giudizio di responsabilità. Quindi, lo sforzo di adattamento alle prescrizioni sanitarie non assurge ad esimente automatica dell'inadempimento. Dunque, secondo questa interpretazione, non spetta al singolo debitore, semmai alla pubblica autorità, soppesare i rischi dell'epidemia. Questa disposizione, come interpretata dalla giurisprudenza di merito, inoltre, giustifica il ritardo nell'inadempimento ma non estingue l'obbligazione principale (tra le tante Trib. Roma 21 maggio 2021 n. 9446). Pur non estinguendo l'obbligazione, in merito all'applicazione della normativa emergenziale, si sono sviluppati diversi orientamenti.

a) Riconoscimento degli strumenti codicistici in applicazione della normativa emergenziale

Secondo un primo filone (positivo) il codice civile, nella parte riservata alla disciplina generale del contratto, da una parte, consacra, all' art.1372, comma 1, c.c., la regola pacta sunt servanda, sancendo, in linea di

principio, l'irrilevanza di eventuali sopravvenienze rispetto al dovere di rispettare gli impegni assunti, e dall'altra, prevede in modo esplicito, rispettivamente agli artt. 1463, 1464 e 1467 c.c., alcuni rimedi per l'impossibilità sopravvenuta (totale e parziale) e per l'eccessiva onerosità sopravvenuta, individuando così in modo chiaro le sopravvenienze “rilevanti” e tali da determinare, in via privilegiata, lo scioglimento del vincolo contrattuale. Proprio in merito all'art. 1464 c.c., molti giudici vi hanno trovato rifugio al fine della rideterminazione del canone di locazione (tra queste: Trib. Venezia 30 settembre 2020; Trib. Roma 27 agosto 2020; Trib. Venezia 28 luglio 2020; Trib. Roma 29 maggio 2020: riduzione del canone limitatamente al solo periodo di impossibilità parziale).

b) Esclusione dell'applicazione della normativa emergenziale ai rapporti locativi

Tuttavia, però, esiste anche altro e diverso orientamento (negativo) ove i giudici escludono che possano ricavarsi dalla normativa emergenziale norme che autorizzano il conduttore di un immobile locato a sospendere o rifiutare il pagamento del canone nell'ipotesi in cui l'attività esercitata sia risultata interdetta dai provvedimenti emergenziali (Trib. Pordenone 8 luglio 2020; Trib. Pordenone, 3 luglio 2020 e Trib. Roma 13 novembre 2020), fatta eccezione per quelle attività di cui il legislatore si è occupato esplicitamente. Nei rapporti locativi “in periodo di epidemia” l'impossibilità sopravvenuta della prestazione non è quella (pecuniaria) del conduttore che, traducendosi nella prestazione di una somma di denaro, per definizione non diventa mai impossibile (Cass. civ., 15 luglio 1968, n. 2555).

c) Applicazione alla locazione commerciale della normativa della riduzione del 50% riservato alle locazioni sportive

L'art. 216 del d.l. n. 34/2020 (convertito con modificazioni dalla l. n. 77/2020) ha disposto che la sospensione delle attività sportive deve sempre essere valutata, ai sensi degli artt. 1256, 1464, 1467 e 1468 c.c. quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell'assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati. In ragione di tale squilibrio, il conduttore ha diritto limitatamente alle cinque mensilità da marzo a luglio 2020 ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al 50% del canone contrattualmente stabilito. Questa disposizione è stata interpretata dalla recente giurisprudenza come applicabile alle locazioni commerciali. Difatti, secondo quest'ultimo orientamento, una interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione ne consente l'applicazione analogica ai rapporti di locazione aventi ad oggetto immobili destinati allo svolgimento della generalità delle attività commerciali, industriali e professionali sospese per factum principis, apparendo essa altrimenti irragionevole sotto il profilo della disparità di trattamento di situazioni uguali o analoghe (Trib. Milano 20 maggio 2021, n. 4355; Trib. Milano 28 giugno 2021, n. 4651; Trib. Milano 1° ottobre 2021, n. 7906).

d) Valutazione del giudice al riequilibrio del contratto

Secondo un orientamento, il locatore di un immobile ad uso commerciale, vìola il principio della buona fede se non adempie all'obbligo di rinegoziazione del canone a seguito delle sopravvenienze legate all'epidemia da Covid-19: in tal caso, deve accogliersi il ricorso d'urgenza del conduttore volto alla riduzione del canone ed alla sospensione della fideiussione prestata a garanzia delle obbligazioni contrattuali del conduttore (Trib. Roma 27 agosto 2020); in linea con questo provvedimento, è da ritenersi necessaria, alla luce del principio di buona fede e correttezza, una rinegoziazione del canone di locazione, al fine di riequilibrare il sinallagma, così come caldeggiato anche dalla Suprema Corte nella relazione tematica n. 56 dell'8 luglio 2020 (Trib. Milano 21 ottobre 2020). Secondo altro e diverso orientamento, invece, il magistrato non può correggere la volontà delle parti quand'anche le scelte di queste gli appaiano incongrue (Trib. Roma 16 dicembre 2020, n. 4598). La rinuncia ad un diritto contrattuale per addivenire ad un accordo costituisce certamente “un apprezzabile sacrificio che non può essere preteso (Trib. Roma 9 aprile 2021, n. 6174).

e) Percorso condiviso per la ricontrattazione delle locazioni commerciali

Con il d.l. “Sostegni bis” n. 73/2021, convertito con la l. n. 106/2021, il legislatore con l'art. 4-bis ha sostituito il precedente l'art. 6-novies del d.l. 41/2021, e le parti sono chiamate (non più tenute) a collaborare in buona fede per una riduzione temporanea di massimo cinque mensilità nel 2021. La nuova disposizione individua in maniera restrittiva le situazioni che fanno scattare questa “chiamata”: perdita media mensile di almeno il 50% nel periodo “esteso” (1° marzo 2020 - 30 giugno 2021 rispetto al periodo 1° marzo 2019 - 30 giugno 2020); chiusura obbligatoria per almeno 200 giorni anche non consecutivi dall'8 marzo 2020; nessun sostegno da parte dello Stato né altri strumenti di supporto economico-finanziario concordati con il locatore. La nuova norma “così come concepita” se da una parte dispone che le parti sono chiamate a collaborare in buona fede per una riduzione massima di 5 mensilità (2021), dall'altra parte, però, la disposizione “indica le condizioni per potere ottenere la riduzione” ma non impone un vero e proprio obbligo giuridico rinegoziazione. Per meglio dire, il legislatore “invita le parti” (le parti sono chiamate) ma non prevede una sanzione in caso di inosservanza. A questo proposito, secondo alcuni giudici, la normativa in esame dispone solo che le parti sono chiamate a collaborare secondo la buona fede ma senza alcuna previsione di conseguenze per il mancato accordo (dunque senza intervento del giudice) (Trib. Firenze 22 settembre 2021, n. 1605; Trib. Brescia 21 dicembre 2021, n. 3123).

f) Considerazioni conclusive

Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, si sottolinea che la materia è in continua “evoluzione”, soprattutto in relazione agli aspetti normativi e in merito agli orientamenti divergenti sulle questioni (non sempre identiche). Resta inteso che la riduzione del canone deve considerare diversi aspetti, in particolare “la volontà di collaborare” in primis alla riduzione del canone di locazione. Quanto alle locazioni ad uso abitativo, non c'è stata alcuna norma che ha consentito all'inquilino di un'abitazione di poter ottenere la riduzione o addirittura la sospensione del canone di locazione, ancorché si verifichino eventi straordinari. Pertanto, in assenza di provvedimenti che autorizzino la sospensione del pagamento dei canoni di locazione, la possibilità di incidere in termini di sospensione e/o riduzione del canone è devoluta unicamente alla volontà delle parti. Si tratta, tuttavia, di un'opportunità ammessa indipendentemente dalla destinazione dell'immobile, sia essa ad uso abitativo, sia ad uso diverso o dalla tipologia di contratto.

Le locazioni abitative, l'articolo 13 della legge n. 431/1998

Quanto alle locazioni immobiliari abitative, la disciplina di cui all'art. 2, comma 1, legge n. 431/1998, relativa a locazioni definite libere, ha recuperato in favore delle parti del contratto la piena autonomia e libertà nella determinazione dei canoni e di conseguenza di loro variazioni in aumento o distribuzione anche in misura diseguale del canone nel corso del rapporto. Pertanto, «in tema di contratto di locazione e misura del canone relativo, in regime di libera determinazione deve ritenersi legittima la previsione di canoni di locazione in misura differenziata, risultando pertanto del tutto ammissibile una previsione contrattuale che contempli aumenti graduali del canone ove tale necessità sia scaturita da determinati fatti o vicende che hanno avuto incidenza sulla funzione economica e sull'equilibrio sinallagmatico dell'intero rapporto» (Trib. Milano, 4 marzo 2013).

Si può dunque affermare che in conseguenza dell'abrogazione dell'art. 24 legge n. 392/1978, il canone delle locazioni abitative – di cui all'art. 2, comma 1, legge n. 431/1998 – è ora determinabile in aumento, nel corso del tempo, con riferimento a fatti individuati al momento della costituzione del rapporto contrattuale, ovvero con riferimento ai criteri di adeguamento del tutto liberi, e che pertanto il canone potrà essere liberamente variato senza alcun necessità di indicarne i motivi, anche se «per i contratti stipulati in base al comma 1 dell'art. 2, è nulla, ove in contrasto con le disposizioni della presente legge, qualsiasi pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito» (così l'art. 13 della legge n. 431/1998, nel testo totalmente novellato dall'art. 1, comma 59, della legge n. 208/2015). Si tratta di norma interpretabile nel senso del divieto per il locatore di pretendere a titolo di canone il pagamento di importi non previsti nel contratto scritto e registrato (commi 1 e 2 dell'art. 13 cit.). Conseguenze ovvie in quanto la forma scritta è prevista dalle condizione di validità del contratto di locazione (art. 1 della legge n. 431/1998), e lo stesso vale per il pagamento della imposta di registro, sempre ai sensi dei commi 1 e 4 dell'art. 13.

Tuttavia, prima della recente riscrittura dell'art. 13, la giurisprudenza della Suprema Corte aveva affermato che, «in tema di locazione di immobili ad uso abitativo, e con riferimento ai contratti stipulati anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 346, legge 30 dicembre 2004 n. 311 (“legge finanziaria 2005”), deve escludersi la nullità di un accordo contemporaneo ed ulteriore relativo alla determinazione di un canone locativo più elevato rispetto a quello risultante dal contratto scritto e registrato, atteso che l'art. 13, comma 1, l. dicembre 1998 n. 431 (nel testo previgente – ndA) non si riferisce all'ipotesi della simulazione relativa del contratto di locazione rispetto alla misura del corrispettivo, quanto piuttosto alla pattuizione, nel corso dello svolgimento del rapporto di locazione, di un canone più elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario, sotto la comminatoria della ripetizione delle somme versate» (cfr. Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2010, n. 8230; Cass. civ., sez. III, 3 aprile 2009, 8148).

Tuttavia la nullità per mancata registrazione ai sensi del citato art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004, è stata poi assorbita dalla nuova formulazione del comma 1 dell'art. 13, che fa carico al locatore di provvedere alla registrazione del contratto entro il termine dichiarato perentorio (caratteristica estranea alla disciplina dell'imposta di registro che consente la registrazione tardiva), ma senza più comminare la nullità del rapporto di locazione a differenza di quanto disposto dall'art. 3, commi 8 e 9, d.lgs. n. 23/ 2011, caduto due volte sotto le censure della Consulta (cfr. Corte.Cost. 16 luglio 2015, n. 169 e Corte Cost.14 marzo 2014, n. 50). La nullità non è sanata neppure dalla registrazione tardiva, fatto extragiudiziale, non influente sulla validità dell'atto (cfr. Cass. civ. sez. III, 31 gennaio 2017, n. 2368; verosimilmente pronunciata sulla fattispecie anteriore al nuovo testo dell'art. 13).

Quanto ai rapporti di locazione di cui all'art. 2, comma 1, legge n. 431/1998 (detti anche contratti agevolati o amministrati) il limite al canone è stabilito delle convenzioni locali tra le associazioni della proprietà edilizia e dei conduttori (si tratta di fasce che prevedono un massimo ed un minimo del canone in relazione alle caratteristiche dell'immobile), ed è prevista la nullità di ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito dai detti accordi. In ogni caso è riconosciuto al conduttore il diritto alla ripetizione di quanto corrisposto oltre il dovuto, ovvero dell'intero canone in caso di nullità del contratto per mancata o tardiva registrazione (Cass. civ., sez. III, 21 gennaio 2017, n. 2368; Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2016, n. 19411), da esercitarsi entro il termine decadenziale di sei mesi, decorrente non dalla scadenza del contratto ma dall'effettivo rilascio dell'immobile nella disponibilità del locatore. (Diversamente disponeva invece il testo originario del citato art. 13 che secondo la Suprema Corte (Cass. civ., sez. un., 17 settembre 2015, n. 18213), sanzionava esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre restava valido il contratto registrato e conseguentemente restava dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non era sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità civilistica (contra, Cass. civ., sez. III, 3 aprile 2009, n. 8148).

Tuttavia in ogni caso di locazione abitativa o non abitativa e salvo quanto sopra in ordine all'attribuzione dell'art. 1241 c.c. di effetti meramente contabili quando debiti e crediti sorgano dallo stesso rapporto, in linea di massima è dubbio il diritto del conduttore alla autoriduzione del canone ed alla compensazione di eventuali crediti con i canoni dovuti, dovendo ritenersi prevalente la considerazione che eventuali crediti del conduttore per canoni corrisposti oltre dovuto non sarebbero liquidi e possono richiedere di essere quantificati, e comunque, come sopra detto, appare prevalente l'efficacia della clausola risolutiva espressa, legittimamente prevista nel contratto, la quale fa discendere la risoluzione di diritto (a seguito di dichiarazione del locatore di volersene avvalere: art. 1456, comma 2, c.c.) dal mancato o ritardato pagamento dei ratei periodici di canone. Da notare che la nuova legge sulle locazioni non ripropone il disposto dell'art. 45, ultimo comma, legge n. 392/1978, con la conseguenza che il conduttore che contestasse giudizialmente l'importo del canone, non potrà sospendere, perciò solo, il pagamento del canone contrattuale.

Il termine per l'esercizio del diritto alla ripetizione dei canoni non dovuti

L'art. 13 della legge n. 431/1998, recupera la risalente disciplina della decadenza del diritto alla ripetizione di aumenti di canone non dovuti, prevista dall'art. 79 della legge n. 392/1978, confermando il termine decadenziale, quindi non interrompibile se non con azione giudiziale, di sei mesi dal momento del rilascio dell'immobile locato. Il problema, già posto in passato, sorge dal non agevole coordinamento di tale termine con il termine di prescrizione decennale del diritto del conduttore di cui all'art. 2946 c.c.; e pertanto si pone il problema se nel corso del rapporto locativo il termine di prescrizione del diritto del conduttore a ripetere le differenze non dovute (che è decennale non trattandosi della prescrizione del diritto del locatore al pagamento dei canoni ma del diritto del conduttore alla loro restituzione) decorra o meno, considerato che il diritto è da ritenersi esercitabile ai sensi dell'art. 2935 c.c. a partire dal momento stesso del pagamento di tali somme al locatore, e quindi la prescrizione potrebbe essersi compiuta anche prima della cessazione del rapporto di locazione (il termine semestrale è ritenuto soggetto alla sospensione nel periodo feriale: App. Firenze, 15 dicembre 2010).

In proposito è innegabile l'analogia con risalenti principi (cfr. Corte Cost. 10 giugno 1966, n. 63), quanto alla prescrizione del diritti dei lavoratori subordinati durante il rapporto di lavoro (non sempre caratterizzato da stabilità) data la preoccupazione del conduttore in ordine alla continuazione del rapporto di locazione, tant'è che la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2004, n. 10128) ha coordinato i due possibili eventi estintivi dei diritti del conduttore affermando (con interpretazione creativa e, senza dubbio, ingegnosa) che «la decadenza prevista dall'art. 79, legge n. 392 del 1978, di contenuto analogo all'art. 13, comma 5, legge n. 431 del 1998 per le fattispecie ivi considerate, comporta che l'azione esperita oltre il termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato espone il conduttore al rischio dell'eccezione di prescrizione decennale dei crediti per i quali essa è già maturata, mentre il rispetto del termine predetto gli consente il recupero di tutto quanto indebitamente è stato corrisposto sino al momento del rilascio dell'immobile, secondo una regola nuova di compatibilità tra prescrizione e decadenza che non contraddice la previsione della tassatività delle ipotesi di sospensione della trascrizione e che comporta l'inopponibilità della prescrizione».

Dunque, la prescrizione dei diritti del conduttore decorre anche nel corso del rapporto di locazione, ma deve ritenersi prorogata oltre il decennio e fino alla scadenza del termine di decadenza, con il risultato che, durante il rapporto locativo, gli indebiti pagamenti di canone possono essere richiesti dal conduttore anche in sede giudiziale senza che il conduttore abbia questo onere allo scopo di evitare la prescrizione, perché il decorso del termine prescrizionale non si compie durante il rapporto di locazione ed il diritto all'intero recupero dei canoni che non fossero dovuti, si prescriverà congiuntamente alla scadenza del termine decadenziale semestrale che decorre dal rilascio dell'immobile locato (ma il problema può sorgere in presenza di atti interruttivi solo stragiudiziali).

Riferimenti

Tarantino, Decreto sostegni bis: (nuovo) percorso condiviso per la ricontrattazione delle locazioni commerciali, in Condominioelocazione.it, 9 settembre 2021;

Tarantino, La riduzione del canone di locazione commerciale: soluzioni e contrasti giurisprudenziali in materia di covid-19, in Condominioelocazione.it, 2 novembre 2020;

Villani, Vizi della cosa locata? Non è consentita la riduzione arbitraria del canone, in Diritto e Giustizia, 2016/19, pag. 37

Izzo, Divieto e limiti della autoriduzione del canone di locazione, in Diritto e Giustizia, 2010, pag. 57

Ballerini, Riduzione del canone per vizi della cosa locata, ripartizione delle spese di registrazione e clausola di indicizzazione, in La Nuova giurisprudenza civile commentata, 2009, fasc. 12, pag. 1229

Carrato, Brevi note sulle condizioni legittimatrici della sospensione del pagamento del canone da parte del conduttore in Rassegna delle locazioni e del condominio, 2006, pag. 158

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