Morosità (inadempimento)

03 Novembre 2023

La morosità altro non è che una voce specifica dell'inadempimento contrattuale, e quindi trae la sua fonte primaria dall'art. 1453 c.c., che disciplina gli effetti dell'inadempimento alle obbligazioni che derivano da un contratto (art. 1173 c.c.), e in particolare, da un contratto con prestazioni corrispettive quale è il contratto di locazione; morosità del conduttore è, dunque, inadempimento ad una delle obbligazioni sinallagmatiche, ed esattamente quella che fa capo al conduttore di pagare il corrispettivo convenuto.

Inquadramento

Della morosità del conduttore, si occupano alcune norme specifiche:

  • l'art. 1587, comma 1, n. 2), c.c. che, nel prevedere gli obblighi del conduttore, prescrive che questi deve «dare il corrispettivo nei termini convenuti», e, nel caso di inadempimento, prevede la possibilità di risolvere il contratto qualora sussistano i presupposti di cui all'art. 1455 c.c. («Importanza dell'inadempimento»);
  • l'art. 5, l. 392/1978, che sanziona con la risoluzione del contratto, salvo quanto previsto dall'art. 55, in base di una predeterminazione della gravità dell'inadempimento, ovvero, qualora il mancato pagamento del canone si protragga per oltre venti giorni dalla scadenza prevista, e il mancato pagamento degli oneri accessori superi quello di due mensilità del canone.

Attesa la particolarità del rapporto che si instaura tra locatore e conduttore, rapporto che ha per oggetto un bene della vita di particolare rilievo sociale - quale è avere una casa in cui abitare - e la necessità di tutela del conduttore - contraente più debole nel rapporto - la disciplina del contratto di locazione ad uso di abitazione si trova sia nel codice civile, art. 1571 ss., sia in leggi speciali (l. 27 luglio 1978, n. 392 e l. 9 dicembre 1998, n. 431), che si sono affiancate alla disciplina codicistica, spesso sovrapponendosi ad essa.

Mentre le norme del codice civile che regolano la locazione, hanno in gran parte carattere dispositivo, quelle contenute nelle leggi speciali hanno invece carattere imperativo. Va quindi tenuta presente la differente disciplina della morosità e i suoi effetti, regolata dal codice civile, per le locazioni non protette, e dalle leggi speciali, che, per quanto concerne la morosità, sono le locazioni ad uso di abitazione.

Va segnalato che, riguardo alla situazione emergenziale dovuta al coronavirus, l’art. 91, d.l. n. 18/2020 (c.d. cura Italia), convertito in l. n. 27/2020, ha previsto che il rispetto delle misure di contenimento deve essere sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1218 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti (con evidenti riflessi anche per quanto concerne la morosità del conduttore). Da ricordare, altresì, sia pure con riferimento alle sole locazioni commerciali, sempre riguardo alla situazione epidemiologica da Covid-19, che il Governo ha introdotto un bonus sugli affitti di tutto coloro che sono stati costretti a ridurre l’attività, se non addirittura a chiudere i battenti, prevedendo, in particolare, un’agevolazione concessa sotto forma di un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione

La risoluzione per morosità ai sensi del codice civile nelle locazioni non protette o ad uso diverso dall'abitativo

Le disposizioni del codice civile che riguardano la morosità del conduttore e le sue conseguenze, si applicano ai rapporti di locazione di immobili sottratti alla legislazione speciale e ai rapporti di locazione di immobili ad uso diverso da abitativo.

Pertanto, il criterio di valutazione adottato è ispirata al principio dettato dall'art. 1455 c.c., per cui l'inadempimento di una delle parti del contratto, al fine di giustificare la risoluzione, non deve avere scarsa importanza «avuto riguardo all'interesse dell'altra» (art. 1455 c.c.).

La valutazione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1455 c.c., della non scarsa importanza dell'inadempimento - riservata al giudice di merito - deve comunque ritenersi implicita qualora l'inadempimento riguardi il pagamento dei canoni dovuti, che è da ritenersi un'obbligazione primaria ed essenziale del contratto di locazione (Cass. civ., sez. III, 18 novembre 2005, n. 24460).

Quando si realizza l'ipotesi di grave inadempimento

Il pagamento del canone in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita integra inadempimento grave secondo la valutazione fattane dal legislatore, anche se il conduttore abbia ritenuto di giustificare il suo comportamento con il fatto di essere titolare di un credito per restituzione di somme pagate in più del dovuto (Cass. civ., sez. III, 22 settembre 2000, n. 12527; Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2000, n. 7269).

L'inadempimento del conduttore può trovare valida giustificazione in un altrettanto grave inadempimento del locatore, come ad es. la presenza nell'immobile di gravi vizi. In tale ipotesi è da escludere la risoluzione del contratto per morosità (Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2000, n. 5682).

La cosiddetta autoriduzione del canone costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore, che provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell'ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore per ripristinare l'equilibrio del contratto, turbato dall'inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata. Tale norma, infatti, non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluto al potere del giudice di valutare l'importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2012, n. 10639).

Motivo di risoluzione possono essere anche: ritardi o disguidi derivanti dall'utilizzazione del servizio bancario, pure se questo mezzo di pagamento sia tollerato dal locatore (Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 1990, n. 12210).

In relazione alla oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, con riferimento all'intero equilibrio del contratto e all'obbligo di comportarsi secondo buona fede, se il conduttore ha continuato a godere dell'immobile sebbene non pienamente a causa dei vizi della cosa imputabili al locatore, non è giustificabile a norma dell'art. 1460, comma 2, c.c., il rifiuto di prestare l'intero canone, potendo però giustificarsi una riduzione dello stesso che sia proporzionata all'entità del mancato godimento, in analogia a quanto previsto dall'art. 1584 c.c. (Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2855).

Il pagamento dei canoni successivo alla scadenza prevista dal contratto, avvenuto nel corso del giudizio di risoluzione, se impedisce la convalida dello sfratto perché viene meno la morosità, non impedisce all'intimante di chiedere la risoluzione per inadempimento (Trib. Lecce 7 marzo 2017).

Secondo altro giudice del merito (Trib. Firenze 4 febbraio 2016), tuttavia, ai fini della pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto per morosità del conduttore, il giudice deve valutare la gravità dell'inadempimento di quest'ultimo anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda, perché, in tal caso, come accade per tutti i contratti di durata, contratti in cui la parte che abbia domandato la risoluzione non è posta in condizione di sospendere a sua volta l'adempimento della propria obbligazione, non è neppure ipotizzabile il venir meno dell'interesse del locatore all'adempimento da parte del conduttore inadempiente, il quale, senza che il locatore possa impedirlo, continua nel godimento della cosa locata consegnatagli dal locatore ed è tenuto, ai sensi dell'art. 1591 c.c., a dare al locatore il corrispettivo convenuto, salvo l'obbligo di risarcire il maggiore danno fino alla riconsegna.

Non sempre il pagamento in corso di causa dei canoni di locazione scaduti, esclude la valutazione da parte del giudice del merito della gravità dell'inadempimento del conduttore, specie quando l'inadempimento sia stato preceduto da altri prolungati, reiterati e ravvicinati ritardi nel pagamento del canone medesimo (Cass. civ., sez. III, 10 agosto 1999, n. 8550; Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2012, n. 18500).

Nemmeno è sufficiente, ad evitare la declaratoria di risoluzione per inadempimento, l'offerta formale di pagamento del canone mediante deposito in libretto bancario rimasto nella disponibilità del conduttore (Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2006, n. 15352).

Al contrario, se l'inadempimento del conduttore non era grave al momento della domanda di risoluzione proposta dal locatore, ma si aggravi in corso di causa, ciò è rilevante ai fini dell'accoglimento della domanda di risoluzione (Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2012, n. 18500).

Il comportamento tenuto dal conduttore, successivamente alla proposizione della domanda di risoluzione del contratto, va comunque valutato positivamente in presenza di situazioni di per sé non eccessivamente gravi. E così, in una fattispecie in cui la morosità del conduttore riguardava solo una mensilità di canone, e questi ne aveva offerto il pagamento in udienza, oltre alle spese del giudizio, si è ritenuto non grave l'inadempimento (Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2004, n. 6518).

Per completezza sul versante soggettivo, va ricordato che l'art. 6, comma 5, del d.l. n. 102/2013, convertito con modificazioni nella l. n. 124/2013, ha introdotto la fattispecie della morosità “incolpevole”, contemplando, presso il Ministero delle Infrastrutture, un fondo ad hoc al quale possono accedere, mediante la concessione di contributi da parte dei Comuni, i conduttori che versano nelle situazioni tassativamente definite dal successivo art. 2 del decreto dello stesso Ministero.

La morosità per gli oneri accessori

Per l'art. 5 della l. 392/1978, il mancato pagamento degli oneri accessori nel termine previsto (e non dunque dopo venti giorni dalla scadenza), quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità di canone. Gli art. 5 e 55 della l. n. 392 del 1978, dando al conduttore la possibilità di accedere alla sanatoria ed ottenere la concessione del termine di grazia hanno introdotto un'equiparazionefra canone di locazione ed oneri accessori. Di conseguenza, anche la morosità per soli oneri accessori può essere dedotta in giudizio con lo speciale procedimento di convalida ai sensi dell'art. 658 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1989, n. 1835; Cass. civ., sez. III, 19 novembre 1994, n. 9805).

QUALIFICAZIONE DEGLI ONERI ACCESSORI: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Oneri accessori come parte del sinallagma contrattuale

In senso affermativo Cass. civ., sez., III, 10 agosto 1982, n. 4490, ha sancito che l'obbligazione del conduttore concernente il pagamento degli oneri accessori - considerata autonoma rispetto all'altra attinente al pagamento del canone - è divenuta parte integrante della struttura sinallagmatica del contratto, con la conseguenza che il suo inadempimento, solo se superiore a due mensilità del canone, dà al locatore il diritto di ottenere la risoluzione del contratto di locazione.

Oneri accessori esclusi dal sinallagma contrattuale

In senso contrario, Cass. civ., sez. III, 21 dicembre 1998, n. 12769, secondo la quale, non è compresa nel sinallagma contrattuale l'obbligazione di pagamento degli oneri accessori.

L'orientamento prevalente della giurisprudenza più recente è nel senso che il pagamento degli oneri accessori è parte del sinallagma contrattuale, in quanto, nella nozione di «corrispettivo convenuto» di cui all'art. 1591 c.c., deve essere ricompresa ogni obbligazione pecuniaria pattuita, e quindi anche gli oneri accessori condominiali posti convenzionalmente a carico del solo conduttore (Cass. civ. sez. III, 4 dicembre 2002, n. 17201).

L'equiparazione tra i canoni e gli oneri accessori, comunque, ai fini della risoluzione per inadempimento, comporta che il solo pagamento dei primi e non anche degli oneri accessori, non vale a sanare la morosità ai sensi dell'art. 55 della l. 392/1978 (Cass. civ. sez. III, 19 dicembre 1996, n. 11367).

La tolleranza del locatore

Trattandosi di contratto a prestazioni corrispettive, che abbisogna di forma scritta (ad substantiam per le locazioni abitative), la clausola che prevede la scadenza per il pagamento del canone non può essere derogata sulla base di un semplice comportamento passivo, quale integra la tolleranza del locatore in caso di ritardi. Pertanto, l'eventuale tolleranza del locatore a fronte di una reiterata morosità del conduttore, e la sua inerzia nell'assumere iniziative di carattere giudiziario, non costituiscono acquiescenza al comportamento inadempiente del conduttore, essendo invece necessaria la sussistenza di elementi concreti e di atti inequivoci tali che, nel comportamento delle parti, possa individuarsi la volontà di derogare all'obbligo previsto in contratto (Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2002, n. 11055).

Ad ogni buon conto, la valutazione sull'esistenza, o meno, di una prassi di tolleranza del ritardo nel pagamento dei canoni locativi costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità ed il mancato esercizio, da parte del locatore, del potere potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l'inadempimento del locatario, in virtù della previsione di una clausola risolutiva espressa, è l'effetto conformante della buona fede nella fase esecutiva del detto contratto; pertanto, il rispetto di tale principio impone che lo stesso locatore, contestualmente o anche successivamente all'atto di tolleranza, manifesti la sua volontà di avvalersi della menzionata clausola risolutiva espressa in caso di ulteriore protrazione dell'inadempimento e comunque per il futuro (Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2020, n. 14240).

Di contro (ad avviso di Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2021, n. 16743), integra abuso del diritto la condotta del locatore, il quale, dopo aver manifestato assoluta inerzia, per un periodo di tempo assai considerevole in relazione alla durata del contratto, rispetto alla facoltà di escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del canone dovutogli, così ingenerando nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito per facta concludentia, formuli un'improvvisa richiesta di integrale pagamento del corrispettivo maturato; ciò in quanto, anche nell'esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata, trova applicazione il principio di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., quale canone generale di solidarietà integrativo della prestazione contrattualmente dovuta, che opera a prescindere da specifici vincoli contrattuali nonchè dal dovere negativo di neminem laedere e che impegna ciascuna delle parti a preservare l'interesse dell'altra nei limiti del proprio apprezzabile sacrificio.

La clausola risolutiva espressa

Nell'ipotesi di locazione soggetta alla disciplina della l. n. 392/1978, la clausola risolutiva espressa, eventualmente prevista nel contratto, rimane sospesa, anche se il locatore abbia dichiarato di volersene avvalere, fino alla prima udienza del giudizio instaurato dallo stesso locatore per la risoluzione del contratto, e, qualora il conduttore a detta udienza, sani integralmente la morosità, la clausola risolutiva espressa rimane definitivamente inefficace (Cass. civ., sez. III, 7 maggio 1991, n. 5031).

Ovviamente, non hanno carattere vessatorio, e non sono quindi nulle, quelle clausole che riproducono il contenuto di norme di legge, come ad es. la clausola risolutiva espressa riferita all'ipotesi di inosservanza del termine di pagamento dei canoni conforme al disposto dell'art. 5 (Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 2000, n. 369).

Parimenti valida, una clausola risolutiva espressa che preveda la risoluzione del contratto per il mancato o ritardato pagamento di due mensilità del canone anziché di una, in quanto deroga all'art. 5 in senso più favorevole al conduttore (Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2001, n. 8003).

Invece, se in un contratto di locazione sottratto alla normativa speciale, è stata pattuita la clausola risolutiva espressa, viene meno il rilievo sull'importanza dell'inadempimento, e la risoluzione si verifica di diritto qualora il locatore dichiari di volersene avvalere.

La morosità nelle locazioni abitative disciplinata dalla l. 392/1978 e la predeterminazione legale della gravità dell'inadempimento del conduttore

A mente l'art. 5 della l. 392/1978, il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, costituisce motivo di risoluzione ai sensi dell'art. 1455 c.c.

Sul punto la giurisprudenza è costante.

La disciplina introdotta con l'art. 5 della l. n. 392/1978, non consente più al giudice una valutazione discrezionale dell'importanza dell'inadempimento ai fini della risoluzione del contratto, come previsto in via generale dall'art. 1455 c.c., operando una predeterminazione legale della gravità ed importanza dell'inadempimento (Cass. civ., sez. III, 23 novembre 1987, n.8605; Cass. civ., sez. III, 1 giugno 1995, n. 6131). Questa valutazione è predeterminata legalmente mediante la previsione di un parametro ancorato a due elementi: l'uno di ordine quantitativo che riguarda il mancato pagamento di una sola rata del canone o il mancato pagamento di oneri accessori di importo superiore a due mensilità del canone, l'altro di ordine temporale relativo al ritardo consentito e tollerato, fermo restando tuttavia, ai fini della pronuncia di risoluzione del contratto, il concorso dell'elemento soggettivo dell'inadempimento costituito dalla imputabilità della mora debendi a dolo o a colpa del debitore. (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1998, n. 5191; (Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8418).

Contrasto di orientamenti giurisprudenziali sull'applicabilità dell'art. 5 della l. 392/1978 alle locazioni ad uso diverso dall'abitazione

Secondo Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1985, n. 4057, nelle locazioni di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, non avrebbe trovato applicazione il disposto dell'art. 5, l. 27 luglio 1978, n. 392, secondo il quale il mancato pagamento del canone giustifica la risoluzione del contratto di locazione soltanto se siano decorsi venti giorni dalla scadenza prevista. Di conseguenza, per questo tipo di locazioni, il mancato pagamento del canone alla scadenza poteva costituire motivo di risoluzione del contratto, senza che fosse necessario attendere il decorso del termine di venti giorni previsto invece per le locazioni di immobili destinati ad uso di abitazione.

Questo principio fu disatteso dalla successiva Cass. civ., sez. III, 23 novembre 1987, n. 8605, che ritenne invece applicabile l'art. 5 della l. 392/1978 anche alle locazioni ad uso diverso dall'abitativo.

Intervenne a dirimere il contrasto Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 1990, n. 12210, che escluse l'applicazione dell'art. 5, l. 392/1978 alle locazioni ad uso diverso dall'abitativo. Affermò la Corte che, per la valutazione della gravità dell'inadempimento del conduttore nel pagamento del canone e degli oneri accessori, doveva escludersi l'applicazione del principio della predeterminazione legale con riferimento alle locazioni abitative. Continuavano pertanto a valere i comuni criteri di cui all'art. 1455 c.c., senza che ciò, peraltro, precludesse al giudice l'utilizzazione anche del principio posto dal citato art. 5 come criterio orientativo del proprio giudizio circa l'importanza dell'inadempimento, ove le particolarità del caso concreto lo giustificassero (Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 1990, n. 12210).

Confermavano l'orientamento di Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 1990, n. 12210, anche Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 1991, n. 13575, e Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1995 n. 2232, che pure facevano salva l'applicazione della sanatoria di cui all'art. 55.

Il suddetto principio era confermato anche da Cass. civ., Sez. U., 28 aprile 1999, n. 272, intervenuta per escludere l'applicazione, non solo dell'art. 5, ma anche dell'art. 55 della l. 392/1978, alle locazioni ad uso diverso dall'abitazione.

CASISTICA

Dichiarazione preliminare di volersi avvalere di una clausola risolutiva espressa

In un caso di domanda di risoluzione del contratto proposta dal conduttore per inadempimento all'obbligo di manutenzione della cosa locata facente carico al locatore, questi, per ottenere la contrapposta domanda di risoluzione per morosità in forza di una clausola risolutiva espressa, avrebbe dovuto dichiarare di volersene avvalere prima della data in data in cui la conduttrice aveva proposto la domanda di risoluzione (Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2001, n. 8003; Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2017, n. 8677)

Valutazione dell'importanza dell'inadempimento

In un rapporto di locazione ad uso diverso dall'abitativo, l'entità delle pigioni non pagate dal conduttore per tre mesi, e per una metà dell'importo per altre mensilità successive, configura alterazione del sinallagma contrattuale di tale rilevanza da giustificare lo scioglimento del rapporto di locazione ad uso diverso, sol che si consideri la ben più ridotta misura della morosità predeterminata dalla l. 392/1978 come causa di risoluzione delle locazioni abitative, ove socialmente più rilevante appare l'esigenza di protezione della posizione del conduttore. (Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2017 n. 9555; Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 1990, n. 12210)

Elemento soggettivo nel comportamento del conduttore

In una fattispecie in cui il conduttore aveva corrisposto il canone mediante vaglia postale, pervenuto in ritardo al locatore per un disguido attribuibile all'ufficio postale, va esclusa la sussistenza del dolo o della colpa, ravvisando nel comportamento del conduttore, la mancanza dell'elemento soggettivo dell'inadempimento costituito dalla imputabilità della mora debendi a dolo o a colpa del debitore. (Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8418: Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1998, n. 5191).

E ancora, costituisce grave inadempimento contrattuale, tale da giustificare la risoluzione del contratto di locazione, anche lamancata corresponsione da parte del conduttore dell'aggiornamento ISTAT del canone, «ove protratta per lungo tempo, con conseguente alterazione dell'equilibrio sinallagmatico», a nulla rilevando il mero convincimento del conduttore di non dovere detta maggiorazione (Cass. civ., sez. III, 17 luglio 1991, n. 7934).

Gli aspetti fiscali dei canoni di locazione non percepiti

Ai fini dell'imposizione diretta, per le locazioni d'immobili non abitativi, il legislatore tributario ha previsto la regola generale secondo cui i redditi fondiari sono imputati al possessore indipendentemente dalla loro percezione. Sicché anche per il reddito da locazione non è richiesta, ai fini della imponibilità del canone, la materiale percezione del provento. Pertanto, il relativo canone va dichiarato, ancorché non percepito, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo. Con la risoluzione del contratto e/o la convalida di sfratto, la locazione cessa e i canoni non possono più concorrere alla formazione del reddito d'impresa. Inoltre, i canoni maturati per competenza e non riscossi possono essere dedotti come perdite su crediti, se sia altrimenti dimostrata la certezza della insolvenza del conduttore debitore e quindi la deducibilità della perdita, non bastando a tal fine il semplice sfratto o l'accertamento giudiziale della morosità (Cass. civ., sez. V, 23 ottobre 2015, n. 21621).

L'obbligazione di pagamento del canone costituisce debito di valuta

L'obbligazione di pagamento dei canoni di locazione costituisce un debito di valuta, sicché, ai sensi dell'art. 1224 c.c., la rivalutazione è dovuta solo per la parte eccedente il danno da ritardo coperto dagli interessi. (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2015, n. 19222).

Sulla premessa che tale debito, essendo di valuta, non è suscettibile di automatica rivalutazione per effetto del processo inflattivo della moneta, si è affermato (Cass. civ., sez. VI/III, 8 luglio 2020, n. 14158) che spetta al creditore di allegare e dimostrare il maggior danno derivato dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora e non compensato dalla corresponsione degli interessi legali ex art. 1224, comma 2, c.c.;

In conclusione

Mentre sul concetto di morosità, giurisprudenza e dottrina hanno seguito un percorso interpretativo uniforme e costante, molta controversa è stata l'interpretazione dell'art. 5, l. 392/1978, a motivo del collegamento evidente con l'art. 55, stessa legge, che poneva qualche dubbio sull'applicazione del principio di predeterminazione del concetto di gravità dell'inadempimento, sancito dall'art. 5, alle sole locazioni abitative o anche alle locazioni ad uso diverso.

Si deve infatti prendere atto che esiste una differenza ontologica tra l'art. 5 e l'art. 55.

Il primo è norma di contenuto meramente sostanziale, in quanto incide sul merito della domanda di risoluzione: nella previsione legislativa, il mancato pagamento del canone entro il termine stabilito costituisce inadempimento grave e quindi è valido motivo di risoluzione del contratto senza che il giudice possa, discrezionalmente, valutare il comportamento del conduttore nel suo complesso e pervenire a diversa decisione.

Evidente è, invece, la natura sostanziale ma anche processuale dell'art. 55, che è appunto collocato tra le disposizioni processuali della l. 392/1978 (il che aveva, appunto, indotto la Cassazione a ritenerne la portata generale, applicabile a tutti i tipi di contratto). Esso dispone che, se il conduttore, una volta ottenuto il termine di grazia, sana la morosità, il suo adempimento, sia pure tardivo, «esclude la risoluzione del contratto». La domanda di risoluzione è quindi non più ammissibile, non perché il conduttore, già inadempiente, abbia cessato di esserlo, ma perché, dopo che l'azione è stata legittimamente promossa, viene meno il presupposto della domanda di risoluzione, costituito dalla gravità dell'inadempimento.

Come visto, fu l'intervento di Cass. civ., sez. un., 28.12.90, n. 12210 a porre fine al contrasto giurisprudenziale, osservando che. per quanto riguardava l'applicazione dell'art. 5 della l. 392/1978, esistono dati, non soltanto testuali, ma anche sistematici sulla ripartizione organica delle discipline dettate dal legislatore.

Essi erano: anzitutto la collocazione della disposizione relativa alla c.d. predeterminazione della gravità dell'inadempimento (art. 5) nell'àmbito della disciplina delle locazioni ad uso abitativo; in secondo luogo, la mancata inclusione della predetta disposizione nel novero di quelle (ex artt. da 7 ad 11) la cui vigenza é espressamente estesa al settore attinente alle locazioni di immobili per uso non abitativo.

La differenza ontologica tra le due disposizioni, art. 5 e art. 55, portava quindi ad escludere che tra le due norme sussistesse un nesso di interdipendenza tale da condizionare l'applicabilità dei benefici della sanatoria, alla vigenza del criterio valutativo posto dall'art. 5, con ciò venendo meno l'ultimo appiglio argomentativo volto a sostenere la estensione della imperatività di detto criterio al di fuori del settore delle locazioni ad uso di abitazione.

Tale conclusione, non precludeva comunque al giudice del merito, chiamato a valutare ai sensi dell'art. 1455 cod. civ. la importanza dell'inadempimento in caso di locazione per uso non abitativo, di richiamarsi anche al principio posto dall'art. 5 della l. n. 392/1978, quale criterio latamente ispiratore ed orientativo del proprio giudizio, sempreché le peculiarità della res iudicanda giustificassero tale discrezionale considerazione se di essa fosse fornita una motivazione logicamente corretta.

Riferimenti

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Carrato, Nello sfratto per morosità, è implicita la domanda di risoluzione per inadempimento, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 7, 67;

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Bove, La valutazione dell'importanza dell'inadempimento nel giudizio di risoluzione (in particolare, della locazione), in Giust. civ., 1991, I, 3054;

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