Clausola risolutiva espressaFonte: Cod. Civ. Articolo 1453
28 Agosto 2017
Inquadramento
Dispone l'art. 1456 c.c. che: «i contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende avvalersi della clausola risolutiva». In termini generali, la clausola risolutiva espressa è il patto mediante il quale le parti assumono un determinato inadempimento a condizione risolutiva del contratto. L'effetto risolutorio si determina, di diritto, a seguito della comunicazione del creditore che intende risolvere il contratto (comma 2). La clausola si struttura come un patto accessorio al contratto principale intercorrente tra le parti. Nonostante un orientamento scientifico autorevole di segno opposto (Bianca), la giurisprudenza è ferma nel ritenere che la clausola risolutiva espressa inserita in contratto non abbia natura vessatoria e non richieda pertanto doppia sottoscrizione, a norma dell'art. 1341, comma 2, c.c. Si argomenta affermando che la possibilità di richiedere la risoluzione del contratto è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola si limita soltanto a rafforzarla (Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 1992, n. 126; Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 2000, n. 369; Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2010, n. 15365; Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2016, n. 23065). Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa le parti devono avere previsto la risoluzione del rapporto per effetto dell'inadempimento di uno o più obbligazioni determinate, costituendo clausola di stile quella che si richiama genericamente all'inadempimento di tutte le obbligazioni contenute nel contratto (Cass. civ., sez. III, 6 aprile 2001, n. 5147; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2015, n. 19230). Secondo la dottrina, l'atto di avvalimento della clausola deve rivestire la stessa forma prescritta per il contratto risolto, viceversa, la giurisprudenza ha un atteggiamento maggiormente liberale ammettendo che la dichiarazione di avvalimento possa essere manifestata in ogni modo idoneo, anche implicito, purché in maniera inequivocabile (Cass. civ., sez. III, 5 maggio 1995, n. 4911; Cass. civ., sez. III, 5 gennaio 2005, n. 167; Cass. civ., sez. III, 24 novembre 2010, n. 23824). Vigendo la legge sull'equo canone delle locazioni (l. 27 luglio 1978, n. 392) ci si era chiesti se la clausola risolutiva espressa fosse ammissibile e pertanto compatibile con un regime giuridico fortemente limitativo della privata autonomia e che presidiava, fulminandola con la nullità, tutti i patti che attribuissero al locatore dei vantaggi in contrasto con la previsione di legge (art. 79 l. cit.). La dottrina era pervenuta alla conclusione che tali clausole fossero valide, quanto meno nei imiti in cui esse non aggravassero la condizione del conduttore (Cosentino). Una volta esclusa l'applicabilità alle locazioni abitative del precedente regime restrittivo (in forza della novella n. 431/1998, abrogativa dell'art 79 della l. n. 392/1978), l'ammissibilità della clausola in materia si è affermata. In ogni caso, si riteneva che la clausola potesse operare sempre che non potesse trovare applicazione la sanatoria per termine di grazie prevista a favore del conduttore, come per le locazioni ad uso diverso: «nel regime delle locazioni soggette alla l. n. 392/1978, la clausola risolutiva espressa per il caso di mancato pagamento del canone alla scadenza stabilita non incorre nella nullità di cui all'art. 79 l. cit., ma è destinata semplicemente a rimanere quiescente in relazione alla possibilità del conduttore di sanare in giudizio la morosità ai sensi dell'art. 55 stessa legge; con la conseguenza che, ove quest'ultima disposizione non possa trovare applicazione (come nel caso in cui il locatore proponga un giudizio ordinario di risoluzione del contratto, di per sé incompatibile con la speciale sanatoria della morosità disciplinata dalla suddetta norma), la clausola risolutivaespressa può esplicare pienamente, fin dall'inizio, la sua efficacia» (così Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 1998, n. 1316).
Profili processuali
Una volta inquadrato sistematicamente il tema della clausola risolutiva espressa, prima nei suoi profili generali e poi in quelli specifici attinenti al rapporto locatizio, costituisce necessario completamento il tema del dispiegarsi del potere risolutorio in ambito giudiziale; con specifico riguardo alla tematica riguardante il rapporto intercorrente tra procedimento per convalida di sfratto per morosità e dichiarazione di avvalimento della clausola. Il dubbio sorge spontaneo laddove si domandi se il procedimento speciale per convalida supponga esclusivamente una pronunzia di natura costitutiva, di risoluzione del rapporto (come è pacifico, v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2003, n. 19051), ovvero, sia, viceversa fruibile anche per conseguire pronunzie di risoluzione di diritto del contratto (quali, sono quelle relative all'avvenuta risoluzione per effetto di clausola risolutiva espressa, di cui il contraente dichiari che intenda avvalersi). La migliore dottrina ha spiegato che la previsione dell'art. 669 c.p.c. che dice che la pronuncia sullo sfratto di cui all'ordinanza di convalida «risolve la locazione», per quanto possa evocare l'idea di una pronuncia con effetti costitutivi e, quindi, l'esercizio dell'azione ex art. 1453 c.c., non ha valore decisivo in senso ostativo, ben potendo abbracciare anche la pronuncia che accerti l'avvenuta risoluzione per una fattispecie di risoluzione di diritto nel senso del mero accertamento (in dottrina, Frasca e Porreca; contra Carrato). In passato le incertezze dottrinarie si erano riflesse anche sull'originario formante giurisprudenziale. Secondo, un primo arresto di merito, «il locatore non può utilizzare il procedimento speciale dell'intimazione di sfratto per morosità, ai sensi dell'art. 658 c.p.c., per far valere la clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di locazione di immobile per uso diverso dall'abitazione, non può richiedere l'ordinanza provvisoria di rilascio, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., pur potendosi l'atto introduttivo convertire in ricorso, ai sensi dell'art. 447-bis c.p.c., per l'accertamento della risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento» (Trib. Piacenza 15 maggio 2003). Si è, invece, poi, altrimenti ritenuto che: «il procedimento per speciale per convalida di sfratto non presuppone – a pena di inammissibilità della domanda- una pronuncia di natura costitutiva di risoluzione del rapporto locativo, potendo darsi anche per azioni di mero accertamento, quali quelle relative all'avvenuta risoluzione della locazione per effetto di clausola risolutiva espressa di cui il locatore dichiari di valersi» (Trib. Modena 15 giugno 2006; Trib. Salerno 8 febbraio 2008). Solo recentemente la nomofilachia ha deciso di perseguire quest'ultima soluzione, in una articolata pronunzia, affermando che: «il procedimento per convalida di sfratto per morosità è utilizzabile dal locatore anche ove proponga un'azione di accertamento dell'intervenuta risoluzione di diritto del contratto locativo per mancato pagamento del canone da parte del conduttore» (così Cass. civ., sez. III, 27 agosto 2013, n. 19602). Dichiarazione di avvalimento in sede processuale
La dichiarazione di avvalimento della clausola è onere del creditore. L'atto riveste natura negoziale ed è, più precisamente, atto unilaterale e recettizio (Bianca). Abbiamo notato che la giurisprudenza ha ammesso l'utilizzo della dichiarazione di avvalimento anche nell'ambito del procedimento speciale per convalida di sfratto, come pure, ancor prima, che sussiste teorica compatibilità tra istituto sostanziale e tale ultimo strumento processuale speciale, tuttavia, va precisato che l'intento di avvalersi della clausola risolutiva espressa deve essere espresso («poiché l'intento di avvalersi di una clausola risolutiva deve essere manifestato in maniera inequivocabile,ancorché non espressa, tale effetto non è riconducibile al ricorso al procedimento di sfratto per morosità, che involge solamente una domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ove il relativo atto introduttivo non vi faccia alcun rilevante riferimento» v. Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 1981, n. 919; Cass. civ., sez. III, 6 novembre 1982, n. 5860). In modo particolare, viene richiesta specifica domanda al riguardo, che può essere contenuta anche nell'intimazione di sfratto per morosità (Trib. Milano 27 febbraio 2015). Dato poi che la risoluzione ex art. 1456 c.c. è ontologicamente diversa rispetto alla declaratoria di risoluzione per grave inadempimento ex art. 1453 c.c., che si concreta in pronunzia di natura costitutiva, di scioglimento del contratto, la nomofilachia esclude il mutamento del titolo della domanda in corso di processo, pena mutatio libelli. Al riguardo, si insegna che: «in tema di risoluzione del contratto di locazione di immobili, perché la risoluzione stessa possa essere dichiarata sulla base di una clausola risolutiva espressa, è richiesta la specifica domanda, con la conseguenza che, una volta proposta l'ordinaria domanda ai sensi dell'art. 1453 c.c., con l'intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in domanda di accertamento dell'avvenuta risoluzione ope legis di cui all'art. 1456 c.c., in quanto quest'ultima è tautologicamente diversa dalla prima, sia per quanto concerne il petitum - perché con la domanda di risoluzione ai sensi dell'art. 1453 si chiede una sentenza costitutiva mentre quella di cui all'art. 1456 postula una sentenza dichiarativa - sia per quanto concerne la causa petendi - perché nella ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell'art. 1453, il fatto costitutivo è l'inadempimento grave e colpevole, nell'altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa». (Cass. civ., sez. III, 14 novembre 2006, n. 24207; Cass. civ., sez. III, 5 gennaio 2005, n. 167; Cass. civ., sez. III, 22 settembre 2014, n. 19865; Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2016, n. 10691).
Bianca, Diritto civile. La responsabilità, Milano, 2012, 340; Carrato - Scarpa, Le locazioni nella pratica del contratto e del processo, Milano, 2015; Cosentino, in Cosentino - Vitucci, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, Torino, 1986; Frasca, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 2001; Masoni, in Grasselli - Masoni, Le locazioni, Padova, 2013; Porreca, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 2006; Scarpa, Lo scioglimento della locazione per effetto di clausola risolutiva espressa nell'ambito del procedimento per convalida di sfratto, in Giur. merito, 2007, 977.
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