Prime riflessioni sulla riforma Cartabia: disposizioni generali sulle impugnazioni

Renato Bricchetti
26 Ottobre 2022

L'epicentro della crisi è nelle sedi delle Corti di appello (non di tutte).
Premessa

a) L'epicentro della crisi è nelle sedi delle Corti di appello (non di tutte).

Parte delle Corti ha un numero ingestibile, con le attuali risorse, personali e reali, di arretrato. Se ne parla da anni (i dati possono vedersi in J. Della Torre, La crisi dell'appello penale nel prisma della statistica giudiziaria, in archiviopenale.it, 27 agosto 2022).

Non si tratta solo di un problema di insoddisfacente organizzazione delle risorse esistenti o di inadeguatezza della normativa.

Il problema, che tutti gli altri condiziona, è quello della carenza di uomini e di mezzi.

La Corte di cassazione ancora regge: le sezioni penali hanno pendenze fisiologiche e i tempi di definizione dei processi sono contenuti. Ma è sempre più difficile.

Il legislatore delegato non può risolvere questa crisi. Può solo alleviare qualche dolore.

b) Nella legge delega (l. 27 settembre 2021, n. 134), pensando ad alcuni degli scopi perseguiti dalla riforma in nome della ragionevole durata del processo (riduzione di tempi, numeri e pendenze dei procedimenti, eliminazione dell'arretrato, miglioramento dell'organizzazione e della qualità degli atti), ci sono disposizioni utili, ma anche disposizioni la cui utilità per il raggiungimento dei fini è dubbia.

Dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione

a) Una prima disposizione della legge delega, utile soprattutto per l'organizzazione dell'attività introduttiva del giudizio d'appello, ha imposto al legislatore delegato di prevedere che, con l'atto di impugnazione, sia depositata, a pena di inammissibilità, dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione.

La direttiva si intreccia con il criterio dettato per il processo in assenza secondo il quale il difensore dell'imputato assente può impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e l'imputato, con lo specifico mandato a impugnare, deve dichiarare o eleggere il domicilio per il giudizio di impugnazione.

b) Il legislatore delegato ha provveduto (art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) inserendo nell'art. 581 c.p.p., dedicato alla forma dell'impugnazione, i nuovi commi 1-ter e 1-quater (che, ai sensi dell'art. 89, comma 3, del medesimo d.lgs. si applicano per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del d.lgs., ad oggi il 30 dicembre 2022, ai sensi dell'art. 99-bis del d.lgs., aggiunto dall'art. 6 del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 ).

Il comma 1-ter prevede che, con l'atto d'impugnazione delle parti private e dei difensori, debba essere depositata, a pena d'inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.

La disposizione è ispirata all'idea di snellire il lavoro delle cancellerie. Non sembrano esistere controindicazioni, ma va detto che l'art. 164, come modificato dal legislatore delegato, afferma che la determinazione del domicilio dichiarato o eletto (il riferimento è essenzialmente agli artt. 161, commi 1 e 3, e 162) è valida per la notificazione dell'atto di citazione nel giudizio (art. 601). Deve essere chiaro, però, che la dichiarazione o elezione di domicilio «ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio» presuppone che la legge preveda un decreto di citazione a giudizio e che esso debba essere notificato alla parte privata, in particolare all'imputato.

Ne deriva che la nuova disposizione - come si evince dall'art. 601 che disciplina gli atti preliminari al giudizio d'appello e contiene più volte le parole «citazione» o «decreto di citazione» - riguarda certamente l'appello e l'imputato appellante (non anche l'imputato non appellante benché, in caso di appello del pubblico ministero, di appello proposto per i soli interessi civili e di possibile estensione dell'impugnazione ex art. 587, vada citato).

Il comma 1-ter non riguarda, invece, il ricorso per cassazione la cui disciplina non prevede la notificazione di un decreto di citazione a giudizio dell'imputato e delle altre parti private. Gli atti preliminari al giudizio di cassazione (art. 610, commi 1 e 3) prevedono, invero, soltanto l'avviso ai difensori della data dell'udienza in cui è fissata la trattazione del ricorso. Nessun avviso è dato all'imputato se non nel caso in cui il medesimo non sia assistito da difensore di fiducia o da difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione (art. 613, comma 4); caso in cui all'imputato è designato un difensore di ufficio abilitato al quale dovrà essere dato l'avviso. Ne deriva che mai un ricorso per cassazione potrà essere dichiarato inammissibile per non avere la parte privata depositato, con il ricorso, la dichiarazione o elezione di domicilio.

Poiché l'art. 581 contiene disposizioni applicabili, in quanto compatibili, a tutte le impugnazioni previste dal libro IX del codice (se si esclude il comma 1-bis dedicato specificamente all'appello: v. infra), può ritenersi che il comma 1-ter si applichi – come si desume dall'art. 636, comma 1, che rinvia all'art. 601 – anche alla revisione; non si applica, invece, alla revisione europea (l'art. 628-bis, comma 4, prevede che sulla richiesta la Corte di cassazione decide in camera di consiglio a norma dell'art. 611), alla rescissione del giudicato e al ricorso straordinario per errore materiale o di fatto (gli artt. 629-bis, comma 3, e 625-bis, comma 4, rinviano espressamente all'art. 127 che non prevede decreto di citazione).

c) Il comma 1-quater, riguardante l'imputato nei cui confronti si sia proceduto in assenza, stabilisce che, con l'atto d'impugnazione del difensore, sia depositato, sempre a pena d'inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato.

La disposizione mira ad escludere la possibilità che siano presentate impugnazioni senza il volere dell'interessato del quale spesso si ignora persino la identità reale e che, dopo il primo impatto con le forze di polizia, è sparito senza lasciare traccia alcuna di sé, così manifestando il proprio assoluto disinteresse verso il processo.

d) Strettamente collegata al comma 1-quater è l'introduzione del comma 1-bis dell'art. 585, che disciplina i termini per l'impugnazione, ad opera dell'art. 33, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 150/2022.

Il nuovo comma (che, ai sensi dell'art. 89, comma 3,del medesimo d.lgs. si applica per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del d.lgs., ad oggi - come si è detto - il 30 dicembre 2022) prevede che i termini, previsti a pena di decadenza, per proporre impugnazione di cui al comma 1 (15, 30 e 45 giorni a seconda dei casi) sono aumentati di quindici giorni (30, 45 e 60 giorni) per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza.

Presentazione e spedizione dell'impugnazione

a) Il Parlamento ha delegato il Governo a prevedere che il deposito di atti e documenti nei procedimenti penali, in ogni stato e grado, sia effettuato con modalità telematiche e che «per gli atti che le parti compiono personalmente» il deposito possa avvenire «anche con modalità non telematica».

Da qui l'indicazione di sopprimere il comma 2 dell'art. 582 e l'art. 583 che disciplinano i modi di proposizione (rispettivamente, presentazione nella cancelleria o spedizione con telegramma o raccomandata) dell'atto di impugnazione delle parti private.

b) Il legislatore delegato ha modificato l'art. 582 (art. 33, comma 1, lett. e) del d.lgs. n. 150/2022) e soppresso l'art. 583 (art. 98, comma 1, del d.lgs.), sopprimendo i riferimenti al medesimo presenti negli artt. 589, comma 3 (art. 33, comma 1, lett. g), 591, comma 1, lett. c) (art. 33, comma 1, lett. h), e 595, comma 2 (art. 34, comma 1, lett. b).

Quanto all'art. 582, non solo ha modificato il comma 1 e inserito il comma 1-bis ma ha anche soppresso il comma 2 (art. 98, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2022).

In sintesi, salvo che la legge disponga altrimenti, l'atto di impugnazione è presentato mediante deposito con le modalità previste dal nuovo art. 111-bis (il deposito ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici) nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (comma 1).

Le parti private possono, tuttavia (comma 1-bis), presentare l'atto con le modalità anzidette oppure personalmente, anche a mezzo di incaricato, nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

In tal caso, il pubblico ufficiale addetto vi appone l'indicazione del giorno in cui riceve l'atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione.

Con la soppressione del comma 2 dell'art. 582 è venuta meno la possibilità, per le parti private e i difensori, di presentare l'atto di impugnazione anche nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trovavano, se tale luogo era diverso da quello in cui era stato emesso il provvedimento, ovvero davanti a un agente consolare all'estero.

Con l'abrogazione dell'art. 583 è stata eliminata la possibilità, per le parti e i difensori, di proporre l'impugnazione con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata alla cancelleria del giudice che aveva emesso il provvedimento impugnato.

È stato, inoltre, abrogato l'art. 164 disp. att. (art. 98, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150) che prevedeva il deposito delle copie dell'atto di impugnazione e la formazione dei relativi fascicoli.

Tuttavia, per un errore del legislatore al quale si dovrà porre rimedio, l'art. 167 disp. att. prevede ancora che, nel caso di presentazione di motivi nuovi, si applichino le disposizioni dell'art. 164, commi 2 e 3.

Il legislatore delegato (art. 33, comma 1, lett. f) d.lgs. n. 150/2022) ha, infine, modificato l'art. 585, comma 4, prevedendo che i motivi nuovi siano presentati con le forme previste dall'art. 582.

c) Il d,lgs. n. 150/2022 ha dettato disposizioni transitorie in materia di processo penale telematico.

In particolare, il comma 4 dell'art. 87 del decreto stabilisce che continuano ad applicarsi, fino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione del regolamento (da adottarsi entro il 31 dicembre 2023) che definirà le regole tecniche riguardanti il deposito, la comunicazione e la notificazione con modalità telematiche degli atti del procedimento penale (comma 1) e del regolamento che individuerà gli uffici giudiziari e le tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione, nonché i termini di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione (comma 3), ovvero sino al diverso termine di transizione previsto da quest'ultimo regolamento per gli uffici giudiziari e per le tipologie di atti in esso indicati, i testi vigenti:

  • dell'art. 582, comma 1 («Salvo che la legge disponga altrimenti, l'atto di impugnazione è presentato personalmente ovvero a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Il pubblico ufficiale addetto vi appone l'indicazione del giorno in cui riceve l'atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione»); e
  • dell'art. 585, comma 4 («4. Fino a quindici giorni prima dell'udienza possono essere presentati nella cancelleria del giudice della impugnazione motivi nuovi nel numero di copie necessarie per tutte le parti. L'inammissibilità dell'impugnazione si estende ai motivi nuovi») fino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione del regolamento (da adottarsi entro il 31 dicembre 2023) che definirà le regole tecniche riguardanti il deposito, la comunicazione e la notificazione con modalità telematiche degli atti del procedimento penale (comma 1) e del regolamento che individuerà gli uffici giudiziari e le tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione, nonché i termini di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione (comma 3), ovvero sino al diverso termine di transizione previsto da quest'ultimo regolamento per gli uffici giudiziari e per le tipologie di atti in esso indicati.

Il comma 5 stabilisce, poi, che l'art. 582, comma 1-bis, e l'art. 111-bis si applicheranno, invece, a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei menzionati regolamenti ovvero a partire dal diverso termine di cui sopra si è detto.

Il comma 6 prevede, infine, che continueranno ad applicarsi le disposizioni dell'art. 164 disp. att. sino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti ovvero sino al diverso termine menzionato.

Rapporti tra improcedibilità (art. 344-bis) e azione civile

a) Il Parlamento ha affidato al Governo il compito di disciplinare i rapporti tra l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione (art. 344-bis), da una parte, l'azione civile esercitata nel processo penale e la confisca disposta con la sentenza impugnata, dall'altra, e di adeguare “conseguentemente” la disciplina delle impugnazioni per i soli interessi civili, assicurando una regolamentazione coerente della materia.

b) Vanno premesse alcune brevi considerazioni sull'art. 344-bis, introdotto dalla legge n. 134/2021 (una prima lettura delle disposizioni immediatamente operative di questa legge è contenuta nella Relazione, n. 60 del 3 novembre 2021, dell'Ufficio del massimario della Corte di cassazione (a cura di D. Tripiccione e P. Di Geronimo) e ad essa si rinvia con riguardo, in particolare, al problematico regime temporale di applicazione di cui all'art. 2, commi 3, 4 e 5, della legge: § 18 e 19).

La disposizione disciplina l'«improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione» con specifiche disposizioni che non si applicano, però, nei procedimenti per i delitti puniti con l'ergastolo (anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti) e nel caso in cui l'imputato (non quindi il suo difensore, non potendo operare in tal caso l'estensione di cui all'art. 99, comma 1) chieda la prosecuzione del processo.

I) La mancata definizione del giudizio di appello entro due anni (comma 1) e del giudizio di cassazione entro un anno (comma 2) costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale.

I termini anzidetti (comma 3) decorrono dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'art. 544 per il deposito della motivazione della sentenza, come eventualmente prorogato ai sensi dell'art. 154 disp. att.

Tenuto conto del tempo riservato all'eventuale presentazione dell'impugnazione (art. 575), è agevole comprendere che gli attuali tempi per la materiale trasmissione degli atti al giudice dell'impugnazione dovranno essere ridotti in modo drastico se si vuole evitare la declaratoria di improcedibilità.

Serve un radicale mutamento di organizzazione e mentalità. Ma, con le attuali risorse, lo sforzo è immane.

Le decorrenze sono, dunque, diverse:

  • in caso di motivazione contestuale (art. 544, comma 1), i 90 giorni decorreranno dalla redazione della motivazione, immediatamente successiva alla redazione del dispositivo;
  • qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi (art. 544, comma 2), i 90 giorni decorreranno dalla scadenza del termine («non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia») previsto per provvedere alla redazione della motivazione;
  • qualora non sia possibile (a causa della particolare complessità per il numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni) depositare la motivazione nel termine anzidetto (art. 544, comma 3), i 90 giorni decorreranno dalla scadenza del più lungo termine (non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia) che il giudice ha indicato nel dispositivo;
  • qualora, nelle ipotesi previste dall'art. 533, comma 3-bis (pronuncia di condanna con separazione dei procedimenti per i delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), il giudice provveda alla stesura della motivazione per ciascuno dei procedimenti separati, accordando precedenza alla motivazione della condanna degli imputati in stato di custodia cautelare (art. 544, comma 3-bis), i 90 giorni decorreranno dalla scadenza del termine anzidetto, raddoppiato per la motivazione della sentenza cui non si è accordata precedenza.
  • qualora il presidente della corte di appello abbia prorogato (una sola volta e per un periodo massimo di novanta giorni), su richiesta del giudice che deve procedere alla redazione della motivazione, i termini previsti dall'art. 544, comma 3 (art. 154, comma 4-bis, disp. att.), i 90 giorni decorreranno dalla scadenza del termine prorogato.

II) I commi 4 e 5 dell'art. 344-bis delineano il sistema di prorogabilità del termine e il regime di impugnabilità dell'ordinanza di proroga.

La prima proroga dei termini di cui ai commi 1 e 2 può essere disposta, anche d'ufficio, dal giudice che procede, vale a dire dal giudice d'appello o dalla Corte di cassazione, se il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare.

La proroga non può essere superiore a un anno nel giudizio di appello (quindi 3 anni complessivi) e a sei mesi nel giudizio di cassazione (in tutto, dunque, 1 anno e 6 mesi).

Ulteriori proroghe, per le stesse ragioni e per la stessa durata, possono essere disposte, anche d'ufficio, quando si procede:

  • per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale (art. 270-sexies c.p.) per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni;
  • per i delitti di cui agli artt. 270, terzo comma (ricostituzione di associazioni sovversive delle quali sia stato ordinato lo scioglimento), 306, secondo comma (partecipazione a banda armata), 416-bis (associazioni di tipo mafioso anche straniere), 416-ter (scambio elettorale politico - mafioso), 609-bis (violenza sessuale), nelle ipotesi aggravate di cui all'art. 609-ter, 609-quater (atti sessuali con minorenne) e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) c.p.;
  • per i delitti aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1, primo comma, c.p. (metodo e agevolazione mafiosa);
  • per il delitto di cui all'art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti).

Non è previsto un tetto massimo (quindi si potrebbe non arrivare mai all'improcedibilità) se non quando si procede per i delitti aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1, primo comma, c.p.; in tal caso, la proroga non può superare complessivamente tre anni nel giudizio di appello e un anno e sei mesi nel giudizio di cassazione (quindi in tutto: 5 anni e tre anni).

III) L'ordinanza motivata che dispone la proroga, adottata dal giudice di appello o dalla corte di cassazione, può essere impugnata, con ricorso per cassazione, entro cinque giorni, previsti a pena di inammissibilità, dalla lettura dell'ordinanza o, in mancanza, dalla sua notificazione.

Legittimato a proporre il ricorso per cassazione è soltanto l'imputato tramite il suo difensore, non il Procuratore generale, neppure qualora la proroga fosse stata disposta su sua richiesta.

Il procedimento d'impugnazione è, dunque, previsto solo nell'interesse dell'imputato.

Il ricorso non ha effetto sospensivo e la Corte di cassazione (naturalmente in sezione diversa nel caso in cui l'ordinanza impugnata sia stata emessa dalla stessa Corte) decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, osservando le forme previste dall'art. 611, come modificato dal decreto attuativo (v. infra).

Quando la Corte di cassazione rigetta o dichiara inammissibile il ricorso, la questione non può essere riproposta con l'impugnazione della sentenza.

IV) Il comma 6 dell'art. 344-bis prevede la possibilità di sospensione dei termini di definizione del giudizio di appello e di cassazione di cui ai commi 1 e 2.

I termini sono sospesi con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti si sta procedendo:

  • nei casi previsti dall'art. 159, primo comma, c.p. (come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. i), n. 1, del d.lgs. n. 150/2022);
  • nel giudizio di appello anche per il tempo occorrente per la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (art. 603): in tal caso il periodo di sospensione tra un'udienza e quella successiva non può comunque eccedere 60 giorni;
  • quando è necessario procedere a nuove ricerche dell'imputato, ex art. 159 o ex art. 598-ter, comma 2 (in appello) per la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello (art. 601) o dell'avviso, di cui al sopra citato art. 613, comma 4, all'imputato privo di difensore di fiducia: in tal caso la parentesi sospensiva va dalla data in cui l'autorità giudiziaria ha disposto le nuove ricerche e la data in cui la notificazione è stata effettuata.

V) Il comma 7 dell'art. 344-bis prevede che l'imputato possa chiedere la prosecuzione del processo. In tal caso, quindi, si deve procedere, sempre che il ricorso sia ammissibile come si dirà tra breve, e la dichiarazione di improcedibilità non ha luogo.

VI) Il comma 8 è dedicato al giudizio di rinvio.In esso si afferma che le disposizioni di cui ai commi 1 (termine di 2 anni per la definizione del giudizio di appello), 4 e 5 (proroghe e regime di impugnabilità), 6 (sospensione del termine di cui al comma 1) e 7 (richiesta di prosecuzione del processo da parte dell'imputato) si applicano anche nel giudizio di rinvio, cioè nel giudizio conseguente all'annullamento della sentenza con rinvio al giudice competente per l'appello (art. 623).

Resta fermo, peraltro, quanto previsto dall'art. 624 in tema di giudicato parziale formatosi i) su alcuni capi, in caso di processo oggettivamente cumulativo, ii) sull'affermazione di responsabilità per un capo o uno dei capi e iii) sulle statuizioni civili o sulle spese (ulteriori riflessioni su questa tema possono vedersi ne § 10 della citata Relazione dell'Ufficio del massimario).

In questo caso, il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'art. 617: la sentenza della corte di cassazione è depositata in cancelleria non oltre il trentesimo giorno dalla deliberazione (comma 2).

Anche qui la tagliola dell'improcedibilità è in agguato, considerati i tempi di trasmissione degli atti al giudice del rinvio e il ritardo nei depositi della motivazione della sentenza di annullamento con rinvio.

Si potrebbe, peraltro, dare spazio alla possibilità che anche alla corte di cassazione si applichino i commi 3 e 3-bis dell'art. 544 e i relativi termini (v. supra), atteso che il comma 1 dell'art. 617, intitolato alla motivazione e al deposito della sentenza, prevede che si osservino «in quanto applicabili» le disposizioni concernenti la sentenza nel giudizio di primo grado, tra le quali sono ricomprese quelle contenute nell'art. 544, commi 3 e 3-bis.

VII) Il comma 9 (l'ultimo) dell'art. 344-bis prevede l'inapplicabilità della disciplina della improcedibilità nei procedimenti per i delitti puniti con l'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti.

Insomma, «fine pena mai» è uguale a «fine processo mai» anche se – come si è detto sopra – quest'ultima eventualità riguarda anche delitti puniti con pene detentive temporanee.

VIII) Brevi riflessioni, ora, su alcuni temi di carattere generale che investono la disposizione in esame, primo fra tutti il tema del rapporto tra improcedibilità dell'azione penale e inammissibilità dell'impugnazione.

L'improcedibilità presuppone che l'impugnazione sia ammissibile.

La linea è quella da tempo seguita dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione: (per tutte v. Cass. S.U. 22 novembre 2000, De Luca) un'impugnazione inammissibile non può che dar luogo al relativo provvedimento di rito.

Che l'inammissibilità prevalga anche sull'improcedibilità è stato ora espressamente affermato – come tra breve si ribadirà – dai rinnovati art. 573 e comma 1-ter dell'art. 578.

D'altra parte, era difficile ipotizzare il contrario; non è sensato, ad esempio, dar corso alla richiesta dell'imputato di prosecuzione del processo in caso di ricorso inammissibile. Lo stesso è a dirsi, in caso di ricorso inammissibile, dell'attivazione del sistema delle proroghe.

IX) Si è visto che il sistema dell'improcedibilità è tale che il processo si ferma, si estingue benché il reato non sia estinto. E non rileva quale sia stato il segno delle precedenti decisioni di merito, adottate anche all'esito di eventuale giudizio di rinvio.

Il legislatore ha mostrato scarsa considerazione per i valori espressi dalle regole di cui all'art. 129.

Il sopravvenire dell'improcedibilità non può porre nel nulla la realtà acquisita nel procedimento, né il riconoscimento dell'innocenza.

Chi è stato riconosciuto innocente nel giudizio non può subire una reformatio in peius per ragioni che non gli sono attribuibili, né si può pretendere che sia lui ad attivarsi, richiedendo la prosecuzione del processo, se vuole il giudicato sulla sua innocenza.

Serve un intervento correttivo, essendo impervia e difficilmente praticabile la strada dell'applicazione per analogia delle regole di cui all'art. 129 (sul punto può vedersi il § 8 della citata relazione dell'Ufficio del Massimario).

X) È giunto il momento di vedere come il legislatore delegato abbia disciplinato:

  • rapporti tra l'improcedibilità e l'azione civile esercitata nel processo penale;
  • i rapporti tra l'improcedibilità e la confisca disposta con la sentenza impugnata;
  • le impugnazioni per i soli interessi civili.

Non è superfluo chiedersi se con l'improcedibilità possano permanere altre conseguenze pregiudizievoli per l'imputato. Il terreno è stato poco esplorato.

Certo non gli sarà chiesto il pagamento delle spese processuali o delle spese del mantenimento in carcere, ma vi sono provvedimenti accessori (si pensi ad es., alla dichiarazione di falsità di un atto o di un documento oppure alla trasmissione di atti all'autorità amministrativa per quanto di competenza in ordine alle sanzioni amministrative) dei quali il giudice che dichiara l'improcedibilità dovrà farsi carico in attesa di interventi integrativi.

Il legislatore tace, inoltre, sui rimedi agli eventuali errori commessi nel dichiarare l'improcedibilità. Il problema riguarda, in particolare, gli errori di diritto della Corte di cassazione (potendo ipotizzarsi per gli errori materiali o di fatto l'esperibilità del rimedio straordinario previsto dall'art. 625-bis).

c) Con riguardo alla decisione sugli effetti civili nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, già la legge n. 134/2021 era intervenuta sull'art. 578 al quale, prima dedicato soltanto al caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, era stato aggiunto il comma 1-bis che stabiliva che il giudice di appello e la corte di cassazione, quando nei confronti dell'imputato era stata pronunciata condanna (anche generica) alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 344-bis, erano tenute a rinviare per la prosecuzione al giudice civile competente per valore in grado di appello, che avrebbe deciso valutando le prove acquisite nel processo penale.

La disposizione presentava alcune criticità.

Anzi tutto, il giudice della prosecuzione era indicato in quello «civile competente per valore in grado di appello» e ciò appariva corretto qualora l'improcedibilità fosse stata dichiarata dal giudice di appello; non lo era, invece, perché comportava un'ingiustificata regressione, qualora l'improcedibilità fosse stata dichiarata dalla Corte di cassazione.

Quanto alla valutazione, da parte del giudice civile, delle prove acquisite nel processo penale, il legislatore aveva preso le distanze dalle affermazioni delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Cass. S.U. 28 gennaio 2021, Cremonini) e preteso che il giudice civile valutasse “le prove acquisite nel processo penale”. Nondimeno la formulazione appariva ambigua. Il giudice civile doveva tener conto, nelle proprie valutazioni, dei fatti provati nel processo penale, ma ciò non escludeva la possibilità di integrazioni probatorie nel processo civile.

d) Il legislatore delegato ha modificato il comma 1-bis e introdotto il nuovo comma 1-ter dell'art. 578 (art. 33, comma 1, lett. b), n. 2, d.lgs. n. 150/2022).

Ora il comma 1-bis amplia i casi presupposti: i) impugnazione, dell'imputato, del responsabile civile e della parte civile (artt. 574, commi 1 e 4, 575, comma 1, e 576, comma 1) della condanna, anche generica, in favore della parte civile, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato (artt. 538 e 539); ii) (tutti i casi di) impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili (ad es. le sentenze di proscioglimento di cui all'art. 574, commi 2 e 4, 575, comma 3, 576, comma 1).

Ebbene, se l'impugnazione non è inammissibile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini (art. 344-bis), rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado (quindi non solo alla Corte di appello ma anche alla Corte di cassazione), che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile; decisa presa di posizione – quest'ultima – dopo che numerose pronunce della terza sezione civile della Corte avevano affermato, contrapponendosi alla giurisprudenza penale di legittimità, che il giudizio di rinvio ex art. 622 doveva seguire le regole probatorie proprie del giudizio civile.

L'alternativa è, dunque – come si è visto - tra dichiarazione di inammissibilità e dichiarazione di improcedibilità con rinvio al giudice civile e relativo onere di attivazione a carico dell'interessato.

In caso di impugnazione inammissibile la dichiarazione di inammissibilità prevale - come si è detto - su quella di improcedibilità.

Resta comunque da riflettere su quale sia la soluzione in caso di inammissibilità sopravvenuta, in particolare di rinuncia all'impugnazione (art. 589).

La lettera della disposizione sembra optare per la dichiarazione di improcedibilità senza rinvio al giudice civile la cui competenza è ancorata ad un'impugnazione ammissibile, fermo restando che, in materia processuale, ogni atto deve essere regolato dalla legge del tempo in cui è realizzato (tempus regit actum).

Stabilisce, infine, il nuovo comma 1-ter che, nei casi anzidetti, gli effetti del sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato (art. 316) permangono fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili non è più soggetta a impugnazione.

Rapporti tra improcedibilità (art. 344-bis) e confisca

a) Come si è detto, Il Parlamento ha affidato al Governo anche il compito di disciplinare i rapporti tra l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione e la confisca disposta con la sentenza impugnata.

Il riferimento normativo più vicino al tema era (ed è) rappresentato dall'art. 578-bis che disciplina la decisione sulla «confisca in casi particolari» nel caso di estinzione del reato per prescrizione, stabilendo che il giudice di appello o la Corte di cassazione, quando è stata ordinata la confisca in casi particolari (cd. allargata o per sproporzione) prevista dal primo comma dell'art. 240-bis c.p. e da “altre disposizioni di legge” (che prevedano la confisca allargata come, ad es., l'art. 12-ter in relazione ai reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 8 e 11 del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74; l'art. 301, comma 5-bis, in relazione ai reati aggravati di contrabbando di cui all'art. 295, secondo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43; l'art. 85 in relazione ai reati di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti previsti dall'art. 73, escluso il comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche se Cass. S.U. 30 gennaio 2020, n. 13539, Perroni, con una disinvolta lettura grammaticale della disposizione, ha affermato che le parole “altre disposizioni di legge” includerebbero nell'orbita delle disposizione ogni ipotesi di confisca) o la confisca prevista dall'art. 322-ter c.p. (riguardante i reati contro la pubblica amministrazione di cui agli artt. da 314 a 321 c.p.), nel dichiarare il reato estinto per prescrizione (o per amnistia), decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato.

b) Il legislatore delegato ha introdotto, a disciplina della materia, l'art. 578-ter.

Il comma 1 stabilisce che il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare l'azione penale improcedibile:

  • devono ordinare la confisca «nei casi in cui la legge la prevede obbligatoriamente anche quando non è stata pronunciata condanna» (in sostanza nei casi di cui all'art. 240, secondo comma, c.p.);
  • devono, negli altri casi in cui sia stata ordinata la confisca dei beni in sequestro (compresi i casi di cui all'art. 578-bis), disporre, con ordinanza, la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto o al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo competenti a proporre le misure di prevenzione patrimoniali di cui al titolo II del Libro I del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione. In tal caso il sequestro perderà efficacia se, entro novanta giorni dall'ordinanza, non sia disposto sequestro di prevenzione ai sensi degli artt. 20 o 22 del citato decreto.

Il compito del giudice si esaurisce ma resta il nodo delle statuizioni in essere, non definitive, sui beni in sequestro; nodo che il legislatore delegato ha ritenuto di sciogliere prevedendo che la dichiarazione di improcedibilità non vanifichi immediatamente sequestro e confisca. Prima viene data la possibilità al Procuratore, sussistendone i presupposti, di disporre entro il termine di novanta giorni (deve presumersi, dalla ricezione dell'ordinanza) il sequestro di prevenzione. Se ciò non accade, non resta che dissequestrare il bene e restituirlo a chi ne ha diritto.

È arduo individuare la ratio di questa eccentrica trasmissione al pubblico ministero.

Vi è da chiedersi perché non si sia scelta la strada più lineare, cioè quella di utilizzare anche per l'improcedibilità il modello delineato dall'art. 578-bis, evitando, dato che nessuno ne sentiva il bisogno, di sollecitare l'instaurazione di procedimenti di prevenzione.

Comunque, da un lato, il pubblico ministero dovrà registrare le ordinanze pervenutigli ed avrà 90 giorni di tempo per disporre la misura di prevenzione; dall'altro, l'eventuale perdita di efficacia del sequestro allo scadere del novantesimo giorno dovrà essere dichiarata, con dissequestro e restituzione all'avente diritto, dal giudice.

c) Per concludere va segnalato che il legislatore delegato ha creato il nuovo art. 175-bis disp. att. (art. 41, comma 1, lett. ff), d.lgs. 150/2022) che impone alla Corte di cassazione e alle Corti di appello, ai fini di cui agli artt. 578, comma 1-bis, e 578-ter, comma 2, di pronunciarsi sulla improcedibilità, nei procedimenti in cui sono costituite parti civili o vi sono beni in sequestro, non oltre il sessantesimo giorno successivo al maturare dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione di cui all'art. 344-bis.

L'adeguamento della disciplina delle impugnazioni per i soli interessi civili

a) Il legislatore delegato – lo si è detto sopra – era anche tenuto ad adeguare la disciplina delle impugnazioni per i soli interessi civili “assicurando una regolamentazione coerente della materia”.

Allo stato, l'impugnazione per i soli interessi civili è disciplinata dall'art. 573. È proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale e non sospende, in deroga all'art. 588, l'esecuzione delle “disposizioni penali” del provvedimento impugnato.

L'impugnazione dell'imputato per gli interessi civili (che è proposta col mezzo previsto per le disposizioni penali della sentenza) è disciplinata dall'art. 574 e concerne i capi della sentenza che riguardano la sua condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno (art. 538), i capi della sentenza relativi alla rifusione delle spese processuali (art. 541, comma 1), le disposizioni della sentenza di assoluzione relative alle domande da lui proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali (art. 541, comma 2).

b) Il Governo è intervenuto sull'art. 573.

Ribadito che l'impugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale, ha dettato, con il nuovo comma 1-bis, una diversa disciplina dell'impugnazione per i “soli” interessi civili.

Ha, in particolare, stabilito che, quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile.

Il legislatore delegato ha, dunque, inteso, tenuto conto della ratio dell'intervento riformatore, di sopprimere le impugnazioni per i soli effetti civili qualora la “questione” penale sia stata risolta in modo irrevocabile.

Lo ha fatto con una formula che ricalca in gran parte quella usata nell'art. 578, comma 1-bis.

L'impugnazione ai soli effetti civili che sia inammissibile conduce inevitabilmente alla relativa declaratoria; se ammissibile, se ne occuperà il giudice civile, qualora la parte interessata ritenga di attivarsi per la prosecuzione.

La disposizione non si applica se la stessa parte impugna i capi penali e quelli civili.


È prevedibile che si verifichino situazioni di non agevole soluzione. Si pensi ad es. al caso in cui la sentenza di assoluzione dell'imputato sia impugnata dal pubblico ministero agli effetti penali e dalla parte civile agli effetti civili e nel corso del giudizio il pubblico ministero rinunci all'impugnazione.

Se l'impugnazione della parte civile non è inammissibile dovrebbe, a quel punto, occuparsene il giudice civile.

La soluzione potrebbe essere diversa nei casi in cui impugnazioni e rinuncia siano intervenute prima dell'entrata in vigore della nuova disposizione.

Il principio tempus regit actum sembra imporre l'applicazione della disciplina previgente e quindi la trattazione da parte del giudice penale.

La corretta applicazione del principioimplica che, qualora, dopo l'actus,vi sia stato un mutamento normativo, il giudice, nel valutare l'atto, deve fare riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui l'atto stesso è stato realizzato.

Giova in tema ricordare che le sezioni Unite della S.C. (29 marzo 2007, p.c. in proc. Lista) hanno affermato che, ai fini dell'individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall'una all'altra, l'applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell'impugnazione.

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