Amministratore (atti conservativi)

Roberta Nardone
24 Novembre 2017

Gli atti conservativi che l'amministratore può e deve compiere, senza il preventivo consenso assembleare, sono gli atti materiali e giudiziari necessari per la salvaguardia dell'integrità dell'immobile e dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio. La legittimazione dell'amministratore per finalità conservative delle parti comuni è stata ampliata dalla legge di riforma del condominio con la previsione del potere dell'amministratore di proporre azioni a difesa dei diritti comuni minacciati anche da opere avviate dai condomini su parti di proprietà esclusiva.
Inquadramento

L'art.1130, n.4) c.c., per come riformulato dalla legge di riforma del condominio - l. n.220/2012 – con il riferimento al potere/dovere dell'amministratore di compiere gli «atti conservativi relativi alle parti comuni» ha ampliato la legittimazione del predetto che può agire per la «mera conservazione delle parti comuni» non solo ove occorra preservare «diritti» del condominio sui beni della comunione.

Pertanto nel momento in cui tale potere è inserito nel novero codicistico delle «attribuzioni» (art.1130 c.c.), l'amministratore è legittimato a porre in essere «atti conservativi» anche se è privo della preventiva autorizzazione da parte dell'assemblea condominiale.

In assenza di una definizione normativa dei c.d. atti conservativi la giurisprudenza ha nel tempo delineato la materia offrendo spunti per delineare l'ambito di autonomia del rappresentante del condominio.

Definizione di atti conservativi

L'art.1130 c.c., quantunque esordisca con il verbo «deve», delinea anche i poteri dell'amministratore, l'alveo giuridico, cioè, nel quale lo stesso può muoversi.

Le attribuzioni previste dall'art.1130 c.c. non possono essere derogate, se non (ed esclusivamente) ad opera dell'assemblea condominiale o del regolamento, che, in taluni casi, possono esonerare l'amministratore dallo svolgere singole funzioni.

Le attribuzioni indicate ai nn. 1), 2) e 3) dell'art.1130 c.c., essendo destinate a regolamentare materie specifiche, non presentano particolari problemi interpretativi: l'amministratore è obbligato a dare esecuzione alla volontà dell'assemblea (formalizzata nelle delibere), a vigilare sull'osservanza del regolamento condominiale, disciplinare l'uso delle parti e dei servizi comuni e a svolgere le tipiche attività di carattere economico-finanziario, gestendo le entrate (con la riscossione dei contributi) e le uscite (con l'erogazione delle spese).

La norma, invece, ha posto nel tempo problemi soprattutto per l'identificazione del concetto di «atti conservativi».

In evidenza

La giurisprudenza ha costantemente identificato il concetto di atti conservativi con tutto ciò che mira a preservare l'integrità e l'esistenza del patrimonio comune, a mantenere lo stato di fatto e di diritto inerente alle cose oggetto di comproprietà e quindi anche dell'edificio condominiale, ricomprendendo nel concetto in esame gli atti rivolti a prevenire o rimuovere il pericolo derivante dalla (imminente o già avvenuta) rovina, degrado, scorretto utilizzo di parti comuni, con la precisazione che il potere di compiere «atti conservativi» non si esplica esclusivamente in iniziative di natura processuale, ma anche in comportamenti di gestione attiva.

In giurisprudenza si rinviene genericamente il riferimento a tutto ciò che mira a preservare l'integrità e l'esistenza del patrimonio comune, a mantenere lo stato di fatto e di diritto inerente alle cose oggetto di comproprietà e quindi anche dell'edificio condominiale, ricomprendendo nel concetto di atti conservativi quelli rivolti a prevenire o rimuovere il pericolo derivante dalla (imminente o già avvenuta) rovina, degrado, scorretto utilizzo di parti comuni.

Il potere di compiere «atti conservativi» non si esplica esclusivamente in iniziative di natura processuale, ma anche in comportamenti di gestione attiva. Già in pronunzie molto risalenti (Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1974, n. 1154) si è affermato che l'art.1130 c.c. non può essere inteso nel senso di limitare gli atti conservativi ai soli provvedimenti. Tale interpretazione restrittiva, si diceva, non trovava riscontro né nella ratio della legge, né nella stessa formulazione della norma.

Non nella ratio della legge perché questa tende a rendere più spedito il meccanismo funzionale dell'ente di gestione e non ad appesantirlo con frequenti convocazioni delle assemblee condominiali; non nella lettera, perché atto conservativo e azioni cautelari sono sinonimi, ma il primo concetto ha un'ampiezza maggiore. Infatti, non è la natura dell'azione prescelta che può limitare i poteri dell'amministratore, ma l'intrinseco contenuto dell'azione stessa.

Si può dire che ad ogni diritto spettante all'amministratore sul piano materiale corrisponde, sul piano processuale, la facoltà di esercitare le relative azioni: sotto il primo profilo l'amministratore può intervenire presso i condomini per indirizzarli al corretto uso delle cose comuni e, qualora rilevi delle scorrettezze, operare in modo da porvi rimedio, mentre sotto il profilo processuale l'amministratore può assumere iniziative giudiziarie di natura cautelare, quali procedimenti di urgenza, azioni possessorie, denuncia di nuova opera e di danno temuto.

Si aggiunga che all'amministratore, oltre al potere di esercitare azioni conservative, viene conferito anche il diritto di chiedere il risarcimento dei danni, qualora questi appaiano connessi con la conservazione dei diritti sulle parti comuni.

Quindi l'obbligo di eseguire gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio si intende riferito agli atti materiali (riparazione muri portanti, lastrici, tetti) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti o dannosi posti in essere da terzi o dai condomini) necessari per la salvaguardia dell'integrità dell'immobile

Occorre, poi, evidenziare come la facoltà, riconosciuta all'amministratore ex art. 1130, n. 4), c.c., di agire in giudizio per compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, non esclude che ciascun condomino possa provvedervi direttamente: si tratta dell'applicazione dei principi in materia di mandato, nel senso che il diritto conferito all'amministratore si aggiunge a quello dei naturali e diretti interessati ad agire, per il fine indicato, a tutela di beni dei quali sono comproprietari. A ciascun condomino, pertanto, non può essere disconosciuto il potere di agire giudizialmente, in difesa delle cose comuni dell'edificio, insidiate da azioni illegittime di altri condomini o di terzi.

Inoltre, anche per le attribuzioni indicate al n. 4) dell'art.1130 c.c. è previsto un regime di derogabilità: la giurisprudenza ha infatti statuito che il regolamento condominiale può legittimamente sottrarre all'amministratore il potere di decidere autonomamente in ordine al compimento di specifici atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, per conferirlo esclusivamente all'assemblea, subordinando alla deliberazione di questa l'esercizio da parte dell'amministratore della relativa azione giudiziaria.

Gli atti conservativi e la legge di riforma del condominio

L'art.1130, n. 4), c.c. ante riforma del condominioparlava di «atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio». L'odierna formulazione («atti conservativi relativi alle parti comuni») ha ampliato la legittimazione dell'amministratore che può agire per la «mera conservazione delle parti comuni» non solo ove occorra preservare «diritti» del condominio sulle parti comuni.

Inoltre, la legittimazione dell'attività dell'amministratore per finalità conservative delle parti comuni è stata ampliata dalla Riforma anche con la riscrittura dell'art.1122 c.c. (relativo alle opere su parti di proprietà o uso individuale) che ha imposto ai singoli condomini l'obbligo di dare all'amministratore preventiva notizia «in ogni caso» degli interventi sulle parti private, perché ne riferisca in assemblea. Tale iniziativa è finalizzata a consentire all'amministratore di determinarsi, se del caso, a sperimentare un'azione per la rimozione delle opere e la riduzione in pristino, rientrante, appunto, tra gli atti conservativi da compiere per preservare l'integrità delle cose comuni.

A norma, poi, dell'art. 1117-quater c.c. ove la destinazione d'uso delle parti comuni sia negativamente incisa dall'attività di alcuno dei partecipanti o di terzi, l'amministratore, come anche il singolo condomino, possono diffidare l'esecutore di tali attività pregiudizievoli o anche chiedere la convocazione dell'assemblea per far, semmai, cessare in via giudiziaria, le turbative.

Nell'ipotesi del supercondominio - al quale il nuovo articolo 1117-bisc.c. applica espressamente la normativa in materia di condominio - la legittimazione degli amministratori di ciascun condominio per gli atti conservativi, riconosciuta dagli artt. 1130 e 1131 c.c., si riflette, sul piano processuale, nella facoltà di richiedere le necessarie misure cautelari soltantoper i beni comuni dei singoli edifici che compongono il supercondominio; mentre per la gestione dei beni comuni al supercondominio e per il compimento dei relativi atti conservativi la legittimazione spetta all'amministratore di questo (Cass. civ., sez.II, 26 agosto 2013, n. 19558).

Gli atti conservativi in ambito contrattuale

La materia dei contratti appare un terreno minato, nel quale l'amministratore deve muoversi con cautela. Infatti, è consentito all'amministratore, senza espressa autorizzazione dell'assemblea, stipulare solo quei contratti che non esulino dalle attribuzioni di cui all'art.1130 c.c. anche se le somme sono necessarie al pagamento delle spese di gestione. La conseguenza è che i contratti che esulano da tali poteri non sono efficaci nei confronti del condominio e dei condomini. In ambito contrattuale il discorso deve essere riportato entro una corretta interpretazione dell'art. 1130, n. 4), c.c. e del concetto di atti conservativi: la giurisprudenza infatti conferisce senza riserve all'amministratore la facoltà di stipulare, ancorché privo dell'autorizzazione assembleare, contratti relativi a opere di manutenzione ordinaria o a servizi comuni essenziali e provvedere ai relativi pagamenti. L'analisi della casistica che segue evidenzia la tendenza ad attribuire all'amministratore poteri autonomi (per così dire istituzionali), cioè esercitabili (anche in via giudiziale) senza una specifica delibera autorizzativa dei mandanti–condomini, solo in presenza di un c.d. atto conservativo, un atto cioè diretto, non già ad ottenere statuizioni relative alla titolarità e al contenuto dei diritti dei condomini sulle parti comuni, ma a preservare l'integrità del patrimonio condominiale e prevenire o rimuovere il pericolo derivante da una possibile rovina.

La giurisprudenza annoverava la stipula di un contratto di assicurazione dello stabile condominiale fra gli «atti conservativi» e, di conseguenza, non riteneva necessaria la preventiva autorizzazione della assemblea. Tale attività atteneva, secondo quella giurisprudenza, alla materia della prevenzione dell'integrità di un bene comune (rientrando quindi nel novero del n. 4 dell'art.1130 c.c.; in tale senso, v. Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 1963, n.2757) e, sulla stessa linea, la decisione del Trib. Roma 1 agosto 1988, secondo il quale «la stipulazione di contratti di assicurazione del fabbricato condominiale, essendo finalizzata alla conservazione della cosa comune, rientra fra i compiti dell'amministratore del condominio, senza che sia necessaria la preventiva autorizzazione dell'assemblea».Anche la Suprema Corte nel 1963 aveva riconosciuto la legittimazione dell'amministratore, ma senza approfondire la questione, in quanto sul punto tra le parti in causa la soluzione era pacifica. In una più recente sentenza (Cass. civ., sez.II, 3 aprile 2007, n.8233), la Corte ha affrontato il problema sempre cercando di stabilire se lo specifico atto di cui si tratta - nella fattispecie la stipulazione del contratto d'assicurazione del fabbricato - abbia o meno come scopo la conservazione della cosa comune e quindi possa dirsi rientrare o meno nel novero degli «atti conservativi» di cui al n. 4) dell'art. 1130 c.c.

La citata sentenza modifica l'orientamento precedente ed afferma che l'amministratore del condominio non è legittimato a concludere il contratto d'assicurazione del fabbricato se non abbia ricevuto l'autorizzazione dell'assemblea.

Il Supremo Collegio ritiene che la statuizione «diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio», intende chiaramente riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell'integrità dell'immobile, tra i quali non può farsi rientrare il contratto d'assicurazione, perché questo non ha gli scopi conservativi ai quali si riferisce la norma dell'art. 1130 c.c., ma ha come suo unico e diverso fine quello di evitare pregiudizi economici ai proprietari dell'edificio danneggiato.

I contratti di appalto - limitatamente, in ambito condominiale, a quelli relativi ai servizi di manutenzione del verde comune, nonché di derattizzazione e disinfestazione delle aree condivise - sono stati ritenuti di recente (Cass.civ., sez.II, 25 maggio 2016, n.10865), contratti che rientrano nell'ordinaria amministrazione, in quanto tendono alla conservazione delle cose comuni, e quindi nella competenza dell'amministratore. In quanto annoverati tra i contratti conclusi dall'amministratore nell'esercizio delle sue funzioni ed inerenti alla manutenzione ordinaria dell'edificio ed ai servizi comuni essenziali, ovvero all'uso normale delle cose comuni, sono vincolanti per tutti i condomini in forza dell'art. 1131 c.c., nel senso che giustificano l'obbligo per i predetti di contribuire alle spese, senza necessità di alcuna preventiva approvazione assembleare, potendo la detta intervenire utilmente in sede di consuntivo.

Con riferimento alla materia locatizia, la giurisprudenza, argomentando dal fatto che l'amministratore può locare un bene condominiale (atto di amministrazione ordinaria) e pretendere il pagamento dei canoni, ritiene l'amministratore legittimato ad agire per il recupero del bene in quanto abilitato non solo a compiere atti conservativi necessari ad evitare pregiudizio alle parti comuni, ma anche tutti gli atti funzionali alla salvaguardia dei diritti concernenti le stesse parti comuni.

La giurisprudenzaesclude che la stipula di un mutuo, anche se necessaria a fare fronte alle spese condominiali ordinarie, rientri tra i poteri dell'amministratore (Cass. civ., sez.II, 5 marzo 1990, n. 1734); di diverso avviso la dottrina per la quale la stipula del contratto di mutuo deve essere autorizzata dall'assemblea solo se è necessaria per il pagamento di spese di manutenzione straordinaria.

I CONTRATTI CON FINALITÀ CONSERVATIVE DEI BENI COMUNI: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Negativo

Il contratto di assicurazione non ha come scopo la conservazione della cosa comune avendo come suo unico e diverso fine quello di evitare pregiudizi economici ai proprietari dell'edificio danneggiato (Cass. civ., sez. II, 3 aprile 2007 n.8233)

Positivo

La giurisprudenza annoverava la stipula di un contratto di assicurazione dello stabile condominiale fra gli «atti conservativi» e, di conseguenza, non riteneva necessaria la preventiva autorizzazione della assemblea. Tale attività atteneva alla materia della prevenzione dell'integrità di un bene comune (rientrando quindi nel novero del n.4 dell'art.1130 c.c.) (Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 1963, n. n.2757).

Azioni giudiziarie e atti conservativi

L'art.1130, n. 4), c.c., menzionando gli atti conservativi (anche nella precedente formulazione) non si riferisce soltanto alle misure cautelari, ma a tutti gli atti diretti a conservare l'esistenza delle parti comuni dell'edificio condominiale (Cass.civ., sez.II, 28 marzo 1997, n. 2775) con riferimento all'azione ex art.1669 c.c. contro l'appaltatore per gravi difetti di costruzione.

Pertanto, sono attività conservative quelle:

  • a tutela della integrità delle parti comuni (es. avverso la escavazione del sottosuolo effettuata da alcuni condomini proprietari dei locali sotterranei per l'ampliamento e la unificazione degli stessi);
  • a salvaguardia del decoro architettonico della facciata dell'edificio (per esempio, per la demolizione di una veranda ricavata dalla trasformazione di un balcone (Cass. civ., sez. II, 28 maggio 1980, n. 3510);
  • a tutela delle condizioni statiche dell'edificio (Cass.civ., sez.II, 12 ottobre 2000, n.13611) per ottenere la demolizione di un manufatto pregiudizievole dei diritti inerenti le parti comuni, come la sopraelevazione dell'ultimo piano dell'edificio, costruita dal condomino in violazione delle norme e cautele fissate dalle norme speciali antisismiche).

Secondo alcuni, il potere dell'amministratore deriva dall'art.1130, n.4), c.c.

  • per reagire agli abusi della cosa comune: l'amministratore non ha bisogno di autorizzazione e deve, infatti, compiere qualsiasi attività di vigilanza e difesa diretta a preservare l'integrità e la sicurezza del bene comune;
  • per il rispetto del regolamento: poiché nel regolamento di condominio è possibile inserire limitazioni all'uso, alla manutenzione ed alla eventuale modifica delle parti di proprietà esclusiva nei limiti in cui ciò si renda necessario per tutelare gli interessi generali del condominio, l'amministratore è legittimato ad agire per reprimere eventuali violazioni delle relative disposizioni in quanto a tutela dell'interesse generale (Cass.civ., sez.II, 17 giugno 2010, n.14626; Cass. civ., sez.II, 25 ottobre 2010, n.21841) tale principio è stato affermato con riferimento all'azione volta ad impedire che un condomino adibisse la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento).

Le azioni possessorie e quasi possessorie rientrano tra le attribuzioni dell'amministratore ai sensi dell'art.1130, n. 4), c.c. in quanto tendenti per definizione al recupero o al mantenimento del godimento della cosa, sottratto illecitamente o molestato dal terzo (Cass. civ., sez.II, 15 maggio 2002,n.7063) quindi non necessitano di autorizzazione dell'assemblea; in Cass.civ., sez.II, 27 luglio 2007, n.16631 è stato ribadito che sussiste la legittimazione attiva dell'amministratore di condominio - in base ad un'interpretazione estensiva dell'art. 1130, n. 4), c.c. - ad esercitare l'azione di reintegrazione nel possesso in relazione ad un'area di proprietà di terzi ma tuttavia destinata, con apposito vincolo urbanistico, ad un diritto di uso comune da parte dei condomini (nella specie, diritto di parcheggio in terreno adiacente a fabbricato condominiale); ciò poiché tale azione si collega al potere dell'amministratore di esercitare gli atti conservativi sui beni di proprietà comune del condominio.

Con riferimento all'azione esercitabile ex art. 1669 c.c. contro l'appaltatore per gravi difetti di costruzione dell'opera che ne comportino la rovina totale o parziale (da esercitarsi entro dieci anni dal compimento purché l'azione venga proposta entro un anno dalla denunzia), la giurisprudenza (Cass.civ., sez.II, 8 novembre 2010, n. 22656, e conforme la successiva Cass.civ., sez. II, 12 gennaio 2015, n.217. ha ritenuto la legittimazione dell'amministratore derivante dall'art. 1130, n. 4), c.c. Il potere di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio gli consente, ha precisato la Suprema Corte, di promuovere azione di responsabilità, ai sensi dell'art. 1669 c.c. nei confronti del costruttore a tutela dell'edificio nella sua unitarietà, ma non di proporre, in difetto di mandato rappresentativo dei singoli condomini, delle azioni risarcitorie per i danni subiti nelle unità immobiliari di proprietà esclusiva. Nei medesimi termini, la Suprema Corte (Cass. civ., sez.II, 9 novembre 2011, n.23693) sul presupposto che la disposizione dell'art.1130, n.4) c.c. va interpretata nel senso che non ha ad oggetto esclusivamente le misure cautelari, ma si riferisce a tutti gli atti diretti a conservare l'esistenza delle parti comuni, sicché l'amministratore è legittimato a proporre detta azione contro l'appaltatore, diretta a rimuovere gravi difetti di costruzione che possano porre in pericolo la sicurezza dell'edificio condominiale.

Tra gli atti conservativi rientrano le azioni di ripristino e di rilascio (per abusiva occupazione di beni comuni). In Cass.civ., sez.II, 25 luglio 2011, n.16230 con riferimento alla denuncia da parte di un condominio dell'abusiva occupazione da parte del costruttore di una porzione di area (in uso) condominiale, mediante la costruzione di manufatto di proprietà esclusiva, la Corte ha ritenuto la sussistenza della legittimazione dell'amministratore di condominio ad agire giudizialmente, ai sensi degli artt. 1130, n. 4), e 1131 c.c., anche senza il mandato da parte dei condomini, con azione per il ripristino dei luoghi e il risarcimento del danno nei confronti dell'autore dell'opera denunciata. L'azione è stata, infatti, ritenuta finalizzata al mantenimento dell'integrità materiale dell'area a giardino, di pertinenza del fabbricato, area stravolta dalla nuova costruzione nonché azione «di ripristino» e quindi non di accertamento dei diritti dominicali.

Parimenti in Cass.civ., sez. III, 8 febbraio 2012, n.1768 l'amministratore è stato ritenuto legittimato ad agire per ottenere il rilascio di un immobile condominiale occupato sine titulo, attesa la natura personale dell'azione ed essendo il recupero del bene essenziale per la ulteriore fruizione dello stesso da parte di tutti i condomini (v. anche Cass. civ., sez.II, 25 maggio 2016, n.10865; Cass. civ. sez.II, 30 ottobre 2009, n.n.23065).

Gli atti conservativi a tutela della sicurezza e del decoro architettonico

La giurisprudenza ha ribadito (Cass.civ., sez.II, 17 giugno 2010, n.14626) che ai sensi degli artt. 1130, n. 4), e 1131 c.c., l'amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad instaurare un giudizio per la tutela del decoro architettonico (ad esempio, per la rimozione di finestre aperte abusivamente, in contrasto con il regolamento, sulla facciata dello stabile condominiale), in quanto diretto a «conservare» quel valore immanente nell'edificio e rappresentato «dall'estetica del fabbricato, data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità»).

Inoltre, in tale ambito (Cass. civ., sez.II, 30 ottobre 2009, n.23065), a norma degli artt. 1130 e 1131 c.c., il potere rappresentativo che spetta all'amministratore di condominio - e che, sul piano processuale, si riflette nella facoltà di agire in giudizio per la tutela dei diritti sulle parti comuni dell'edificio - comprende tutte le azioni volte a realizzare tale tutela, fra le quali quelle di natura risarcitoria, con esclusione soltanto delle azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni cui si riferiscono e che non costituiscono, pertanto, atti conservativi.

Anche in materia di sicurezza, la giurisprudenza (Cass.civ., sez.II, 1 ottobre 2008, n.24391 ha ribadito che, ai sensi degli artt. 1130, n. 4), e 1131 c.c., l'amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad agire in giudizio, nei confronti dei singoli condomini e dei terzi, per compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni di un edificio, ivi compresa la richiesta delle necessarie misure cautelari (nella specie, si era respinto il ricorso contro la sentenza di merito che aveva ritenuto valida la procura alle liti conferita dall'amministratore di condominio ad un avvocato, senza previa autorizzazione dell'assemblea, affinché proponesse un ricorso ai sensi dell'art. 700 c.p.c. per impedire ai condomini l'uso della rampa garage e dell'autorimessa, dopo che i vigili del fuoco ne avevano accertato l'inidoneità all'uso per motivi di sicurezza).

Casistica

CASISTICA

Salvaguardia del decoro architettonico

L'amministratore può agire a tutela della facciata dell'edificio per la demolizione di una veranda ricavata dalla trasformazione di un balcone, ritenuta lesiva del decoro architettonico (Cass. civ., sez. II. 28 maggio 1980 n. 3510)

Sicurezza

L'amministratore può agire ex art.700 c.p.c. per impedire ai condomini l'uso della rampa garage e dell'autorimessa, dopo che i vigili del fuoco ne avevano accertato l'inidoneità all'uso per motivi di sicurezza) (Cass.civ., sez.II, 1 ottobre 2008, n.24391).

Condizioni statiche dell'edificio

L'amministratore è legittimato ad agire per ottenere la demolizione di un manufatto pregiudizievole dei diritti inerenti le parti comuni, come la sopraelevazione dell'ultimo piano dell'edificio, costruita dal condomino in violazione delle norme e cautele fissate dalle norme speciali antisismiche delle condizioni statiche dell'edificio o avverso la escavazione del sottosuolo effettuata da alcuni condomini proprietari dei locali sotterranei per l'ampliamento e la unificazione degli stessi (Cass. civ, sez. II, 12 ottobre 2000, n. 13611).

Rispetto del regolamento

È legittima l'azione conservativa esercitata dall'amministratore per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento (bar ristorante) (Cass. civ., sez.II, 25 ottobre 2010, n.21841).

Azioni possessorie e quasi possessorie

Sussiste la legittimazione attiva dell'amministratore di condominio - in base ad un'interpretazione estensiva dell'art. 1130, n. 4), c.c. - ad esercitare l'azione di reintegrazione nel possesso in relazione ad un'area di proprietà di terzi ma tuttavia destinata, con apposito vincolo urbanistico, ad un diritto di uso comune da parte dei condomini (nella specie, diritto di parcheggio in terreno adiacente a fabbricato condominiale) (Cass. civ.,sez.II, 27 luglio 2007, n.16631).

Il limite delle azioni conservative: le azioni petitorie

Secondo l'orientamento prevalente in giurisprudenza (Cass.civ., sez.II,24 novembre 2005, n.24764; Cass.civ., sez.II, 6 febbraio 2009, n.3044), l'amministratore non è, invece, legittimato, senza l'autorizzazione dell'assemblea, ad esperire azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti concernenti le parti comuni dell'edificio. Infatti, l'azione petitoria contro un terzo, che vanta diritti sulle cose comuni, produce effetti definitivi sulla condizione giuridica di queste, per cui non può rientrare nella categoria degli atti conservativi: così per l'azione di rivendicazione (Cass.civ., sez.II, 8 gennaio 2015, n.40).

Non rientrano quindi tra gli atti conservativi l'actio confessoria o negatoria servitutis (Cass.civ., sez.II, 25 giugno 1994 n.6119); né la domanda diretta ad ottenere la costituzione di una servitù di transito a carico di terzi perché comporta la estensione del diritto dominicale di ciascun condomino e necessita del conferimento di un mandato in favore dell'amministratore da parte di ciascun condomino.

La delibera assembleare in ambito di atti conservativi

Poiché il compimento degli atti conservativi rientra tra le attribuzioni proprie dell'amministratore è esclusa la necessità del passaggio assembleare. Così (Cass.civ., sez.II, 25 maggio 2016, n.10865) l'amministratore di condominio, per conferire procura al difensore al fine di costituirsi in giudizio nelle cause che rientrano nell'ambito delle proprie attribuzioni, non necessita di alcuna autorizzazione assembleare che, ove anche intervenga, ha il significato di mero assenso alla scelta già validamente compiuta dall'amministratore medesimo.

In precedenza la giurisprudenza riteneva che se l'amministratore, per imperfetta conoscenza dei limiti della propria potestà di rappresentanza o per motivi di prudenza o di deferenza verso l'assemblea, riteneva necessario provocare il voto dell'assemblea sulla opportunità di intentare il giudizio, si imponeva volontariamente una limitazione al proprio comportamento, condizionando la effettiva proposizione dell'azione al voto favorevole dell'assemblea, impegnandosi a rispettarlo, con la conseguenza che se l'assemblea non avesse deliberato in tal senso, l'amministratore non avrebbe potuto più intentare il giudizio sulla sola base del potere di rappresentanza legale del condominio cui aveva rinunciato e solo una nuova delibera contraria poteva riconferire il potere all'amministratore.

Successivamente, la Suprema Corte ha mutato orientamento ed ha affermato che l'amministratore può agire in giudizio per la conservazione delle cose comuni e la osservanza del regolamento anche se per tale azione, abbia chiesto il parere favorevole dell'assemblea e questo gli si stato negato, in quanto se la legge ha inteso conferire all'amministratore determinati poteri, non è concepibile che egli vi rinunci o demandi ad altro organo l'esercizio di quei poteri medesimi. Infatti la conservazione delle cose comuni o la disciplina del loro uso è essenziale ai fini della esistenza del condominio e non può essere rimessa ad una deliberazione dell'assemblea, nella quale, per contingenti circostanze potrebbe formarsi una maggioranza che persegua un determinato interesse contrario a quello della collettività condominiale (Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1968, n.1068).

Guida all'approfondimento

Celeste - Scarpa Il condominio negli edifici, Milano, 2017;

De Tilla, Il nuovo condominio, Milano, 2015.

Sommario