Accertamento della contraffazione del brevetto e risarcimento del danno

Redazione Scientifica
28 Ottobre 2022

L'art. 125 c.p.i., nella versione antecedente alle modifiche apportate dall'art. 17 d.lgs. n. 140/2006 con cui è stata recepita la c.d. direttiva enforcement (dir. 2004/48/CE), prevedeva il criterio liquidatorio del prezzo del compenso o della giusta royalty.

Una S.p.a. conveniva in giudizio un'altra società chiedendo l'accertamento della contraffazione del proprio brevetto avente ad oggetto un elemento di arredamento e l'inibitoria del comportamento illecito, oltre al risarcimento del danno. La domanda è stata accolta dal Tribunale con decisione confermata anche in sede di appello, con l'unica modifica – in diminuzione – della cifra riconosciuta a titolo di risarcimento. La questione è giunta in Cassazione.

Per quanto qui d'interesse, la società ricorrente si duole per la determinazione della cifra riconosciuta come risarcimento del danno. La censura è fondata. La Corte di appello infatti, dopo aver rideterminato il prezzo del consenso relativo all'illecito contraffattivo in euro 58.853,00 (pari all'introito, commisurato alla royalty del 5%, sul fatturato complessivo di cinque anni della società titolare del brevetto), ha detratto l'ammontare delle spese di assistenza tecnica. Tale operazione di sottrazione non ha però alcuna giustificazione, «in quanto quella costituita dalle nominate spese è una voce di danno che non è parte integrante del pregiudizio dato dallo sfruttamento della privativa che è stato ragguagliato alla giusta royalty, ma si aggiunge piuttosto, ad esso: l'esclusione di detta voce non incide, dunque, sull'ammontare del danno quantificato sulla base dei canoni di licenza».

Sempre in riferimento alla liquidazione del danno, la controparte, con ricorso incidentale, lamenta la violazione dell'art. 125 c.p.i. per aver la Corte d'Appello ricalcolato il danno applicando immotivatamente una royalty di valore superiore rispetto a quella presa in considerazione in primo grado. Tale doglianza risulta però priva di fondamento. Nella vicenda in esame è infatti applicabile l'art. 125 c.p.i. nel testo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 17 d.lgs. n. 140/2006 con cui è stata recepita la c.d. direttiva enforcement (dir. 2004/48/CE).

La norma applicabile ratione temporis stabiliva, al primo comma, che «il risarcimento dovuto al danneggiato fosse liquidato secondo le disposizioni degli artt. 1223,1226 e 1227 c.c. e che il lucro cessante venisse valutato dal giudice anche tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto e dei compensi che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto licenza dal titolare del diritto; al secondo comma l'art. 125 disponeva che la sentenza sul risarcimento dei danni potesse farne, ad istanza di parte, la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivavano». Era dunque lo stesso art. 125 c.p.i. a contemplare la tecnica liquidatoria del prezzo del compenso, o della giusta royalty.

In conclusione, la Corte accoglie in parte il ricorso principale e cassa la pronuncia impugnata con rinvio alla Corte territoriale.

(Fonte: dirittoegiustizia.it)

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