Il nuovo Governo segna l'ultimo atto per l'ergastolo ostativo (o quasi)Fonte: DL 31 ottobre 2022 n. 162
03 Novembre 2022
Premessa
Con il breve commento in esame, l'Autrice fornisce una prima riflessione rispetto all'art. 1 del decreto legge n. 162 del 31 ottobre 2022, con cui il Consiglio dei Ministri ha inteso introdurre le modifiche in materia di accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative, apportando una sensibile riscrittura della norma simbolo dell'art. 4-bis della legge del 26 luglio 1975, n. 354, non a caso, simbolicamente modificata, in origine, proprio nel segno della decretazione d'urgenza, con il decreto legge n. 306/1992. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, nella Serie n. 255 del 31 ottobre, il decreto legge, intitolato “Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali”, è entrato in vigore, in attesa della conversione in Parlamento. Nella “prateria” dell'incertezza applicativa, che si andrà a creare inevitabilmente nei primi momenti di vigenza del decreto legge, c'è grande attesa per la decisione della Corte costituzionale, chiamata l'8 novembre prossimo a decidere in materia di ergastolo ostativo, anche alla luce del novum normativo. Comunicato del consiglio dei ministri e le ragioni della decretazione d'urgenza in materia di ergastolo ostativo
Come tutti ricordano, con ordinanza n. 97/2021 la Corte costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della disciplina dell'ergastolo ostativo, così come delineato dall'art. 4-bis ord. penit., nella versione congeniata dal decreto legge n. 306/1992, con la presunzione assoluta di pericolosità sociale per chi non collabora con la giustizia.
In assoluta continuità con i propri precedenti, dalla sentenza n. 149/2018 a quella n. 253/2019, e in linea con quanto sancito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, nel caso Viola (n. 2) c. Italia del 13 giugno 2019, la Consulta ha fornito una indicazione chiara al legislatore e una via da seguire, anche alla luce dei criteri operativi applicativi forniti con la sentenza n. 253 del 2019, in relazione al permesso premio (ma anche in base a quanto sancito dalla sentenza n. 32/2020 e n. 17/2021 in materia del tempo della pena in materia penitenziaria). Tuttavia, trattandosi di una prerogativa del legislatore, quella di stabilire i requisiti normativi di accesso ai benefici penitenziari, rispetto a una materia di altissima densità politica, la Corte costituzionale, con una tecnica alquanto discutibile e foriera – come si è visto – di non diverse problematiche applicative, ha concesso al legislatore un termine di un anno per riformare la disciplina nel suo complesso. Il termine del 10 maggio 2022, però, è spirato senza successo: tenuto conto della richiesta pervenuta, tramite l'Avvocatura di Stato, la Consulta ha ritenuto di rinviare la decisione, non essendo nelle more intervenuto il Parlamento con un testo di legge approvato dalle Camere.
Il testo approvato dalla Camera dei deputati, infatti, si era arenato al Senato, con il d.d.l. n. 2574.
Ancora una volta la storia della politica e il susseguirsi di Governi hanno fatto il resto, andando a incidere pesantemente sul percorso normativo della norma chiave del c.d. doppio binario.
Con il comunicato stampa del Consiglio dei Ministri del 31 ottobre 2022, il Governo ha annunciato di aver approvato il testo di un decreto legge n. 162/2022, per riformare la disciplina in materia di 4-bis. Nel comunicato si legge, inoltre, che la decretazione d'urgenza si muove nel segno delle indicazioni della Corte costituzionale n. 97/2021, che sollecitava un pronto intervento normativo e fornisce dei requisiti di accesso ai benefici penitenziari, che li limiti solo a chi, pur non avendo collaborato, abbia reciso i collegamenti con la criminalità organizzata. Per fare ciò, secondo quanto comunicato il Governo, si è dato atto dei lavori parlamentari e si è attuata la proposta di legge approvata dalla Camera dei deputati.
Come annunciato dal comunicato del Consiglio dei Ministri del 31 ottobre 2022, il testo approvato, emanato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale riprende in termini di assoluta continuità il testo approvato dalla Camera dei deputati, e di segno, peraltro, anche di altri partiti politici, come a dimostrare, che sul tema, la politica è compatta e ha già espresso la propria scelta riformatrice, in modo condiviso. Che tale atto possa rivelarsi un contro-monito alla Consulta, non è dato sapere, ciò che è più sicuro è che la disciplina dell'art. 4-bis ord. penit. (e le sue progressive aperture) rappresenta un terreno altamente magmatico, in cui i partiti mantengono salda la propria prerogativa, simbolica, promozionale e preventiva, di politica criminale.
Una scelta opinabile, quella di vestire di decretazione d'urgente una disciplina così sensibile per la trasformazione della qualità della pena: le obiezioni, tuttavia, sul piano logico sono quasi immediate. Anche la versione del d.l. n. 306/1992 fu approvata con decretazione d'urgenza: erano oggettivamente altri tempi, storici, e le esigenze della politica erano di tutt'altro tipo. Affermare oggi che la situazione politica e giudiziaria sia la medesima sarebbe un grave errore; così come è un errore ritenere che la criminalità organizzata si debba combattere e reprimere, in via esclusiva, per il tramite del carcere e della collaborazione con la giustizia, rispetto non tanto alla funzione investigativa e processuale, che con tutta evidenza rimane preminente, quanto piuttosto rispetto alla funzione rieducativa della pena su soggetti già condannati e già in espiazione della pena da lustri. Inoltre, rappresenta uno sbaglio pensare di apprestare la medesima disciplina, tutta incentrata sulla collaborazione con la giustizia, in maniera identica per il condannato alla pena dell'ergastolo per reati di mafia e per il soggetto singolo condannato per il delitto di peculato, andando a disperdere la ratio della normativa originaria in una norma vuota, dai confini applicativi ormai incerti e indeterminati.
Un'ulteriore obiezione, decisamente più convincente, potrebbe essere vista nel fatto che il testo vestito con il decreto legge rappresenta il frutto di un lungo iter parlamentare, discusso e rivisto con numerosi emendamenti, da almeno un ramo del Parlamento: rappresenta, in altri termini, la volontà del Parlamento.
Inoltre, il monito della Corte costituzionale, rivolto proprio al legislatore, non ha avuto un seguito già nell'udienza del 10 maggio: si è voluto evitare, in altre parole il rischio che la Consulta, a fronte del silenzio del legislatore, potesse intervenire sulla disciplina, o con una incostituzionalità tranchant, o, più probabile, con l'indicazione di criteri operativi rafforzati in linea con quelli espressi dalla sentenza n. 253/2019, in materia di permessi premio, ricavati in via autonoma rispetto alle determinazioni del legislatore. Immutato il comma 1 dell'art. 4-bis: la collaborazione con la giustizia rimane la via maestra per la libertà
Ad una prima analisi emerge la volontà di mantenere ferma la collaborazione con la giustizia quale via maestra per l'accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative. Tale requisito preminente rimane immutato per tutti i reati già annoverati all'interno del comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit. (non vi sono state quindi modifiche o non si è operata una ridistribuzione tra i vari commi rispetto alla disciplina già vigente).
Come per il d.d.l. n. 2547, anche nel decreto legge n. 162/2022 viene meno il comma 1-bis dell'art. 4-bis ord. penit., così come formulato nella versione attuale, sulla base delle riforme del 2002 e delle pronunce della Corte costituzionale: si abroga la disciplina della c.d. collaborazione fittizia, cioè quella che si ottiene, per il tramite di un accertamento in giudizio, ad opera del tribunale di sorveglianza o per motivi oggettivi (integrale accertamento del fatto, o, irrilevante contributo al fatto associativo) o per motivi soggettivi (per inesigibilità e per mancanza di conoscenza effettiva al fatto associativo). L'abrogazione è secca e non ammette eccezioni.
Anzi. Ai sensi del comma 2 dell'art. 3 del d.l. n. 162/2022 si precisa che tutti coloro che hanno ottenuto, prima della entrata in vigore della novella, un accertamento giudiziale di collaborazione c.d. impossibile e/o inesigibile, sono assoggettati in ogni caso alla nuova disciplina con istruttoria rafforzata, prevista ai sensi del comma 2 dell'art. 4-bis ord. penit., sia per tutte le misure alternative sia per la liberazione condizionale. Il legislatore sembrerebbe formulare un'eccezione solo per la liberazione condizionale per l'ergastolano e sempreché siano acquisiti elementi tali da escludere l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata.
Di fronte a tale difformità di trattamento, non possono che palesarsi forti perplessità sia in ordine, ad esempio, alla disciplina della semilibertà per soggetto condannato alla pena dell'ergastolo, sia alla disciplina delle altre misure alternative, per tutti i condannati a pena temporanea, per reati diversi dall'art. 416-bis c.p., che, pur essendo stati interessati da una pronuncia accertativa di collaborazione impossibile, rischiano di vedersi applicata una normativa di sfavore, dal punto di vista istruttorio.
In tali casi, pur in assenza di una disposizione normativa di contenuto transitorio, non dovrebbero esserci dubbi sul fatto, che, almeno per quanto riguarda l'accesso alle misure alternative, valgono i principi elaborati dalla Corte costituzionale n. 32/2020 e n. 17/2021 e quindi la normativa di sfavore non deve trovare applicazione retroattiva e deve valere che per il futuro (almeno per tutti coloro che allo stato non hanno ancora maturato i requisiti di accesso; per tutti gli altri dovrebbe valere la normativa di favore attualmente in vigore).
Ma che succederà ai permessanti? Da un lato, viene meno la disciplina della c.d. collaborazione fittizia, dall'altra il contenuto applicativo della sentenza n. 253/2019 della Corte costituzionale era più limitato in fatto di onere probatorio/di allegazione. Entrambe le soluzioni sono di favore rispetto alla nuova versione dell'art. 4-bis comma 2 ord. penit. anche in materia di permesso premio.
Se è vero che la Corte costituzionale ha fatto un distinguo tra permesso e misura alternativa, alla luce dell'uniformazione delle regole applicative da parte del legislatore, si dovrebbe pensare che anche il permesso premio debba essere ritenuto coperto dalle garanzie costituzionali del principio di legalità e di irretroattività della legge penale sfavorevole e che, in relazione a ciò, debba valere tutto il portato del principio della progressione del trattamento e del principio di affidamento (principi elaborati dalla Corte costituzionale, negli anni '90, in relazione proprio all'entrata in vigore retroattiva del d.l. n. 306/1992).
Un'altra modifica che desta forti criticità è quella che vede l'ampliamento dell'elenco dei delitti potenzialmente rientranti nel catalogo di reati ostativi: si tratta dell'ultimo inciso che verrebbe ad aggiungersi col comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit., per effetto dell'art. 1 lett. a) del d.l. n. 162/2022. Il legislatore specifica che tale ampliamento riguarda solo i delitti elencati nel primo periodo del comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit., e non nei successivi: tuttavia, se per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p. e dei delitti finalisticamente ad esso collegati, il tema del nesso teleologico è più comprensibile, rispetto a fattispecie diverse, ma pur sempre ricomprese nel primo periodo, tale disposizione rischia di rendere sostanzialmente impossibile lo scorporo della pena attribuita al delitto ostativo per accedere secondo le vie ordinarie ai benefici penitenziari anche per pene temporanee (in altre parole, rende vano e privo di senso l'istituto giurisprudenziale del c.d. scioglimento del cumulo, che trova ragion d'essere anche per i reati assolutamente ostativi e quelli di cui all'art. 416-bis c.p.).
L'indeterminatezza utilizzata rende ancora più nebulosa la previsione, in termini di confini applicativi: il legislatore ha tuttavia previsto una norma di natura transitoria, prevedendo che tale comma trovi applicazione solo per i fatti commessi dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 162/2022.
È comunque inutile dire che i dubbi rimangono, specie per il caso di sentenze di condanna divenute definitive in tempi diversi e sul fatto che tale tipo di accertamento venga demandato interamente alla fase post processuale, con ampia discrezionalità demandata alla Magistratura di sorveglianza. Si crea così la situazione di fatto del soggetto che pur non essendo stato condannato per un delitto ostativo, lo possa diventare nel corso dell'esecuzione, laddove la prima condanna esecutiva non sia quella da attribuirsi al delitto ostativo: tale accertamento viene demandato al Tribunale di Sorveglianza, il quale, in sede di valutazione dei benefici e delle misure alternative, potrebbe rigettare, per sussistenza del vincolo teleologico, non riconosciuto durante il processo, perché frutto di giudizi separati. Un'interpretazione ammissibile, secondo la più ampia giurisprudenza di legittimità, ma che conferisce in buona sostanza un potere interpretativo in malam partem al giudice della rieducazione. Ridistribuzione dei reati presupposto tra comma 1-bis e 1-bis.1
Il legislatore ha operato una ridistribuzione dei delitti ostativi tra il comma 1-bis e il comma 1-bis.1, di cui però non si comprende tuttavia il senso. Avrebbe avuto un senso, se il comma 1-bis.1 avesse avuto un regime probatorio differenziato; magari più agevolato, come accade per tutte le previsioni inserite nel comma 1-ter dell'art. 4-bis ord. penit., che è rimasto immutato anche dal punto di vista del catalogo dei reati. Il senso logico si perde ancora di più se si pensa, che anche per tali reati, strutturalmente tutti diversi da quelli di cui all'art. 416-bis c.p. e affini, è venuta meno la possibilità di accedere ai meccanismi giudiziali della collaborazione impossibile. Anche per tali delitti rimane la scelta tra la collaborazione con la giustizia o l'iter istruttorio aggravato di cui al comma 2 dell'art. 4-bis ord. penit.
In sintesi al comma 1-bis sono compresi i seguenti reati: artt. 416-bis, 416-ter c.p. delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p.; art. 12, commi 1 e 3 d.lgs. n. 286/1998; art. 291-quater d.P.R. n. 43/1973; art. 74 d.P.R. n. 309/1990.
Al comma 1-bis.1. invece sono stati spostati i seguenti reati: artt. 314, comma 1, 317, 318, 319, 319-bis, 319-quater, comma 1, 320, 321, 322, 322-bis, 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, commi 1 e 2, 601, 602, 609-octies, 630 c.p.
Ancora una volta il legislatore non ha colto le sollecitazioni della giurisprudenza di legittimità, né di merito, né tanto meno le evidenze empiriche per sfoltire il catalogo dell'art. 4-bis ord. penit. e soprattutto per individuare un regime probatorio differenziato (quanto meno con lo spostamento dei reati ostativi dal comma 1-bis.1. al comma 1-ter dell'art. 4-bis ord. penit.).
Un'altra incongruenza viene a individuarsi con il comma 1.bis.2. che sancisce l'applicabilità del comma 1.bis.1. e quindi sostanzialmente all'iter probatorio rafforzato di cui al comma 2 anche per il caso in cui i delitti elencati nel comma 1.bis.1. vengano commessi in forma organizzata tramite le forme dell'associazione a delinquere dell'art. 416 c.p.: è evidente che con ciò il legislatore abbia voluto rafforzare il catalogo dei delitti ostativi, ricomprendendovi la forma associata, dato che la maggior parte dei reati ricompresi nel comma 1.bis.1. sono fattispecie a condotta monosoggettiva.
L'incongruenza nasce nella misura in cui con tale inciso si va a creare un ulteriore binario differenziato, all'interno peraltro della compagine associativa, a seconda del tipo di reato-fine: se è uno di quelli ricompresi nel comma 1.bis.1. si avrà l'iter istruttorio rafforzato, se invece il reato-fine è uno di quelli elencati nel comma 1-ter allora l'iter istruttorio sarà più agevole e semplificato. Con ciò il legislatore è andato a riempire di peso un delitto come quello dell'art. 416 c.p., che, in origine, nasce come neutro: con la nuova disciplina esecutiva, è evidente che quelle differenze astratte tra l'art. 416-bis e l'art. 416 c.p. si perdono nella misura in cui il legislatore fornisce un chiaro significato di gravità e di pericolosità sociale a seconda che l'organizzazione criminale si determini per la realizzazione di determinati reati-fine, piuttosto che di altri. Gli aspetti procedurali: riassetto delle competenze, oneri istruttori e doveri stringenti per la motivazione
Al comma 2 dell'art. 4-bis viene delineato il nuovo iter istruttorio, che, a grandi linee, riprende le indicazioni espresse dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 253/2019.
Innanzitutto si prescrivono dei precisi obblighi istruttori in capo al giudice della sorveglianza dal (i) chiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e se per reati rientranti nella competenza distrettuale del pubblico ministero della DDA e il parere del PNA;
(ii) acquisire informazioni dalla direzione dell'istituto penitenziario;
(iii) disporre accertamenti sui familiari e sulle persone collegate al detenuto in relazione alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte, alla pendenza o definitività di misure di prevenzione generali o patrimoniali.
Il giudice di sorveglianza può decidere decorsi 90 gg. dall'invio della richiesta: viene infatti concesso un primo termine di 60 gg., che può essere prorogato di ulteriori 30 gg., in caso di istruttoria complessa. Al termine dei quali, il giudice può decidere anche in assenza dei pareri e delle informazioni, ma deve darne conto in motivazione: l'ulteriore onere incombente sul giudice infatti è quello di motivare in ordine all'accoglimento o al rigetto, “tenuto conto”, però dei pareri acquisiti.
L'istruttoria sin qui delineata è quella d'ufficio condotta dall'ufficio di sorveglianza. Il legislatore, tuttavia, anche in ragione delle indicazioni in tema di onere di prova/allegazione indicate dalla Corte costituzionale, delinea in capo all'interessato l'onere di prova contraria, laddove – si dice – l'istruttoria risulti negativa, ovverosia, quando risulti l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata. Ovvero, ancora meglio, quando le informative della DDA e del PNA e le informazioni assunte dalle Forze dell'Ordine riportino ancora le indicazioni del passato: ciò si verificherà nella maggior parte dei casi, a meno che – e ciò rappresenterebbe un esempio di correttezza processuale e di rispetto del principio della parità delle armi e di leale collaborazione – siano riviste le informative che debbano essere inviate agli uffici di sorveglianza, dal contenuto al tipo di informazioni fornite; non più modelli prestampati e ripetuti pedissequamente nel corso degli anni, ma informative dettagliate che si basino sull'attualità della situazione. In tal senso, risultano fondamentali dei protocolli applicativi con gli uffici di sorveglianza e delle linee guida distrettuali che impongano dei quesiti specifici da rivolgere alle procure in vista dell'istruttoria per i benefici e per le misure alternative (quesiti che si dovrebbero anche differenziare a seconda del tipo di beneficio richiesto, specie se meno ampio come il permesso premio, magari pure giornaliero, magari pure a ore).
Protocolli distrettuali tanto più necessari, perché il legislatore indica che l'interessato, ai fini della prova contraria, ha a disposizione un congruo termine: cosa vuol dire? Vuol dire che l'istruttoria d'ufficio viene disvelata all'interessato, il quale viene notiziato ufficialmente del deposito dell'istruttoria? O vuol dire che sarà onere dell'interessato (e, quindi, del difensore) farsi carico di continui accessi in cancelleria per verificare la prosecuzione dell'istruttoria ed intervenire di volta in volta con elementi di prova contraria? E nel caso di plurime informative o di una istruttoria particolarmente complessa?
Risulta quanto mai rilevante, che la parte relativa al contraddittorio, debba essere implementata da decisioni distrettuali degli uffici di sorveglianza, che, si spera siano il più unanimi possibili: ad esempio, potrebbe essere concesso alla difesa il termine di 60 gg., da allungare in 90 gg., per casi di istruttoria complessa o frazionata, a partire dal deposito delle informative; potrebbe essere dirimente che gli uffici di sorveglianza comunichino l'avvenuto deposito dell'istruttoria così da consentire al difensore di effettuare un unico accesso e soprattutto una unica memoria difensiva. Si potrebbe tener conto di tali tempistiche nella fissazione dell'udienza camerale dinanzi al tribunale di sorveglianza, affinchè non succeda il caso – standard purtroppo nella prassi – di compendi istruttori o di relazioni giunte in limine dell'udienza, ben oltre il termine di 5 gg. prima dell'udienza camerale. Onde quindi evitare depositi il giorno prima o il giorno dell'udienza, o tanto meno, onde evitare la mancanza di depositi tempestivi, e rinvii con iscrizioni a nuovo ruolo, si potrebbe immaginare che tali informative debbano essere depositate nel termine di cui all' art. 127 comma 2 c.p.p., allo stesso modo che come per il difensore. Sulla prova positiva in assenza di collaborazione. onere di allegazione o “dimostrazione” probatoria a tutti gli effetti?
In sostituzione della collaborazione con la giustizia, si richiede una condotta attiva e partecipe dell'interessato nella costruzione dell'istruttoria. In altri termini, il condannato dovrà dimostrare:
(i) di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna; o in alternativa,
(ii) alla sua assoluta impossibilità di tale adempimento, e
(iii) di aver allegato elementi specifici, diversi ed ulteriori rispetto alla regolare condotta e alla partecipazione al percorso rieducativo, che consentano di escludere l'attualità con i collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto ambientale di provenienza.
Fermandosi a questa prima parte, si può agevolmente affermare che non si comprende la ragione della necessaria indicazione da parte del legislatore sul fatto che il condannato debba elencare allegati che non si riferiscano alla regolare condotta e alla partecipazione positiva del percorso rieducativo, dato che, semmai saranno tutti elementi, acquisiti d'ufficio e per il tramite della direzione del carcere: sembra invece quasi a voler sminuire quello che è il percorso intramurario affrontato, magari per un lungo periodo dal detenuto, come a dire che quello che viene rilevato dall'equipe intramuraria, di fatto, conta fino a un certo punto. Ciò che conta e che quindi dovrebbe ricadere, in termini di onere di allegazione in capo al detenuto, sono altre informazioni: le motivazioni della mancata collaborazione e il grado di revisione critica rispetto ai fatti e alle proprie responsabilità; l'adempimento delle obbligazioni civili e l'attivazione verso le vittime del reato, oltre che con il risarcimento, anche con condotte di giustizia riparative, e, infine, ogni altra informazione utile disponibile.
Se tale tipo di onere potrebbe giustificarsi per la misura più ampia della liberazione condizionale, che, già in parte, comprende al suo interno questi requisiti, non si comprende la necessità di prevedere un simile onere di allegazione, così pregnante, rispetto a tutte le misure alternative, come ad esempio la semilibertà, che comporta comunque il rientro in carcere, e il solo permesso premio, che non necessariamente presuppone una revisione critica compiuta, e non per forza debba già ricomprendere il pieno adempimento delle obbligazioni civili o tanto meno l'avvenuto contatto con la vittima (anche in ragione del diverso quantum di pena, del grado di revisione, del tipo di percorso intramurario intrapreso e del livello di traguardo raggiunto).
L'innalzamento dell'asticella, per tutte le misure, e per tutti i reati, indistintamente per quelli di cui al comma 1 e del comma 1-bis dell'art. 4-bis ord. penit. rappresenta un grave vulnus per tutti i condannati a pena temporanea per delitti non necessariamente collegati con la criminalità organizzata, né di stampo mafioso, né tanto meno in forma organizzata.
Anche se è vero che il legislatore ha ancorato i requisiti di cui alla sentenza n. 253/2019 della Corte costituzionale (assenza di attualità di collegamenti e impossibilità del pericolo del ripristino) alla sola prova contraria, è altrettanto vero che ragionando così incombe sull'interessato un onere praticamente impossibile: gli unici documenti che l'interessato potrà produrre a proprio favore, tendenzialmente sono e saranno, già in possesso dell'ufficio di sorveglianza o si tratterà, verosimilmente di documentazione, tutta, potenzialmente acquisibile d'ufficio. Si parla infatti delle sentenze di condanna, delle pendenze e dei definitivi, di tutto quel compendio istruttorio facilmente reperibile anche per gli uffici di sorveglianza. Potrebbe acquisire un senso l'onere di allegazione per l'interessato nella parte in cui si faccia partecipe della composizione del materiale istruttorio e lo anticipi alla conoscenza del giudice di sorveglianza, producendo verbali di collaboratori, o sentenze di condanna per processi separati o a carico di coimputati, oppure pronunce di collaborazione impossibile per fatti identici di coimputati, o ancora, ordinanze di revoca del 41-bis ord. penit., o altra documentazione che appartenga alla storia del proprio passato criminale, propria e dei consociati, per quanto possibile.
In generale, tuttavia, si tratta di una prova praticamente impossibile quanto meno su questi due requisiti: e del resto le prime difficoltà applicative si sono già ravvisate da parte degli uffici di sorveglianza, dove di fatto, ai fini dell'istruttoria, ha valutato i due requisiti in modo unitario, senza distinguere tra attualità e pericolo di ripristino, oppure ha fornito una interpretazione assolutamente restrittiva del pericolo del ripristino. Insomma: si tratta di una coppia di requisiti che già nella prassi ha faticato ad affermarsi, e che oggi, viene individuata come via maestra per la prova contraria per tutti i benefici penitenziari e per le misure alternative, non solo poi per i delitti di cui al comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit., ma anche per quelli che oggi potremmo dire di seconda fascia, cioè quelli di cui al comma 1-bis dell'art. 4-bis ord. penit. Modifiche alla disciplina sostanziale della liberazione condizionale e l'assenza di norme transitorie
Del tutto arbitrarie, poi, appaiono le modifiche alla disciplina della liberazione condizionale: 2/3 di pena espiata, e in caso di condanna alla pena dell'ergastolo anni 30 di pena eseguita, e, in ogni caso, l'estinzione della pena e la revoca delle misure di sicurezza personali avvengono solo decorsi dieci anni dalla data di concessione della misura alternativa.
Anziché metà della pena, il legislatore alza l'asticella a 2/3 di pena espiata e anziché prevedere il quantum di pena a 26 anni, per l'ergastolano, impone ben 30 anni di pena scontata: si tratta di una riscrittura sostanziale della misura alternativa, che con tutta evidenza non trova ragion d'essere se non per questioni tecnicamente solo repressive. L'assenza inoltre di una norma transitoria che imponga la sua applicabilità se non per il futuro, desta moltissime perplessità: ragionevolmente non può non pensarsi che anche per questa parte non debba valere il principio di cui alla sentenza n. 32/2020 della Consulta, che ha sancito la qualificazione sostanziale delle misure che incidono significativamente sulla qualità della pena (principio poi ripreso dalla sentenza n. 17/2021 in materia penitenziaria). Tale disposizione non solo non dovrebbe trovare applicazione se non per il futuro, ma trattandosi di norma sostanziale non dovrebbe trovare applicazione se non per fatti commessi successivamente dall'entrata in vigore del d.l. n. 162/2022 (salva la sua conversione in legge e salva la sua tenuta costituzionale).
La competenza territoriale: quel doppio binario
Sulla competenza a decidere in materia, il legislatore sembra mostrare una tendenziale sfiducia nei confronti della Magistratura di Sorveglianza, dato che non ritiene idoneo l'organo monocratico a decidere sul solo permesso premio: infatti, se è inutile la parte in cui si delega la competenza in materia di misure alternative al Collegio, dato che lo è già per legge, non si vede perché dovrebbe rivelarsi più idoneo il tribunale di sorveglianza rispetto a decisioni più circoscritte come quelle che avvengono per il permesso premio o le istanze di competenza del singolo magistrato di sorveglianza, che, peraltro, rimane idoneo per la decisione in materia di permessi per tutti gli altri delitti. In relazione però ai delitti di cui all'art. 416-bis c.p. o di quelli commessi con le medesime finalità o delitti realizzati con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico, mediante atti di violenza, il magistrato di sorveglianza cessa di essere ritenuto idoneo e la competenza viene affidata, anche per la decisione del permesso premio, al collegio. Con ciò creando una disparità di trattamento rispetto a varie posizioni e a seconda poi del titolo di reato presupposto: si noti inoltre che il collegio si troverà a farsi carico di numerose istruttorie in più, con un ingolfamento ulteriore del carico già pressante sull'organo collegiale. Inoltre, sarà di competenza della cancelleria del collegio l'istruttoria e non di quella del magistrato di sorveglianza assegnatario, il quale, pur conoscendo maggiormente il singolo detenuto, sarà tenuto all'oscuro dello stesso contenuto dell'istruttoria e che dovrà studiare e relazionare esattamente come sarà chiamato a fare il difensore, magari proprio a ridosso dell'udienza collegiale. Al di là degli aspetti tecnici e burocratici, di cui con tutta evidenza gli uffici distrettuali dovranno prevedere dei protocolli applicativi, si rischia che per la valutazione di un singolo permesso – si ribadisce magari giornaliero, magari pure a ore, e magari pure con la scorta, come spesso, nella prassi accade – ci vogliano dei tempi molto lunghi e non corrispondenti alla ratio stessa del permesso premio, che rappresenta un breve assaggio di libertà, una sperimentazione provvisoria, allo stato del percorso trattamentale, di verifica dei traguardi raggiunti e della bontà delle valutazioni espresse dagli operatori penitenziari, con ciò nulla implicando sul prosieguo o sulla necessaria correlazione con la richiesta di misure alternative.
Alla luce di questa prima riflessione, l'interrogativo che sta più a cuore è quello che riguarda la sorte dell'udienza prevista per l'8 novembre 2022 in Corte costituzionale.
Quali potrebbero essere in altri termini gli esiti possibili?
Ragionando, a “caldo”, l'esito che più appare probabile è quello che la Consulta salvi il testo normativo approvato dal Governo e rimandi la questione al giudice remittente, chiedendo se la questione sia ancora attuale, rilevante e pertinente.
A quel punto, la “palla” potrebbe passare proprio al giudice remittente, in questo caso la Corte di Cassazione, la quale, potrebbe a sua volta riservarsi la possibilità di rispondere nuovamente alla Corte costituzionale, confermando l'interesse ad una pronuncia, oppure, che attenda l'esito parlamentare con la conversione in legge del decreto legge n. 162/2022.
Le tempistiche e la conversione in legge, del resto, potrebbero pure rappresentare un'indicazione da parte della Corte, che si potrebbe riservare, o potrebbe far riservare alla Cassazione, le valutazioni finali all'esito del percorso parlamentare.
Ciò che appare comunque improbabile è che la Consulta prenda posizione contraria rispetto al decreto legge: potrebbe piuttosto formulare già delle criticità intorno ad alcuni profili quali indicazioni operative per il legislatore in fase di delega, ma appare una via eccessivamente invasiva della sfera discrezionale di politica criminale demandata al legislatore.
Insomma, con buona pace di chi avrebbe desiderato una riforma diversa o più possibilista in termini di apertura, o quanto meno più graduata verso i diversi tipi di reato presupposto, viene da dire che la riforma sarà attuata e convertita e sarà quella che gli operatori del diritto saranno chiamati ad applicare.
Serve, in prima battuta, un confronto tra Avvocatura e Magistratura di Sorveglianza, per capirsi e per comprendere quali tempistiche, quali soluzioni operative, specie in una primissima fase transitoria, verranno attuati. Servono delle riflessioni critiche all'interno della Magistratura di Sorveglianza e nei vari distretti per capire effettivamente quali saranno gli adempimenti istruttori, con delle linee guida il più possibili uniformi, e rispettose del diritto di difesa, del contraddittorio e di formazione del compendio istruttorio secondo principi di collaborazione e lealtà processuale, e in linea con il diritto di accesso e di consultazione da parte degli interessati e dei difensori. Servirà un raccordo tra gli uffici della Magistratura e della Procura Distrettuale e della Direzione Nazionale Antimafia, affinchè i quesiti circa l'attualità e il pericolo di ripristino siano il più mirati possibili e soprattutto che le risposte siano tempestive e aggiornate.
Serve inoltre che l'Avvocatura sia pronta nel rilevare le incongruità della norma, per far sì, che o in fase di conversione, o in fase successiva, per i primi attimi di vita della riforma, vengono censurate le parti che appaiono da subito come lesive dei diritti soggettivi del detenuto, in contraddizione non solo con la Costituzione, ma con tutto il portato della giurisprudenza costituzionale, anche più recente, e con l'elaborazione giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell'uomo. Riferimenti
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