Riforma del processo penale: l’atto processuale in forma di documento informatico

09 Novembre 2022

Il presente contributo analizza valenza e peculiarità degli strumenti telematici nell'ambito del processo, alla luce della spinta operata dalla Riforma c.d. Cartabia (legge delega n. 134/2021) verso un loro pieno utilizzo, anche a discapito della modalità c.d. analogica.
I criteri direttivi della legge delega

L'art. 1, comma 5, lett. a), della legge n. 134 del 2021, fissando i criteri direttivi della disciplina delegata, ha stabilito che essa deve prevedere, in primo luogo, “che atti e documenti processuali possano essere formati e conservati in formato digitale, in modo che ne siano garantite l'autenticità, l'integrità, la leggibilità, la reperibilità e, ove previsto dalla legge, la segretezza”.

Lapossibilità della formazione di atti processuali in formato digitale (cioè atti “nativi digitali”) è subito apparsa presentare una notevole portata innovativa, segnando un significativo progresso verso l'avvento del processo penale telematico.

Come è noto, il sistema che è attualmente praticato in numerosi uffici giudiziari consiste nella trasformazione in formato digitale, mediante operazioni di scansione, di atti processuali che nascono in forma cartacea - cioè, “analogica” - e nel successivo inserimento dei file, ottenuti per mezzo di scanner, nell'applicativo ministeriale Tiap-document@.

La trasformazione in formato digitale degli atti processuali cartacei assicura enormi vantaggi quanto alla comunicazione degli stessi da un ufficio giudiziario ad un altro e al rilascio delle copie ai soggetti legittimati. La trasmissione tra uffici, difatti, non interviene più con lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero mediante consegna al personale di cancelleria che ne rilascia ricevuta su registro, ma più semplicemente per mezzo dell'autorizzazione all'accesso ai file contenuti nell'applicativo. I soggetti legittimati ai sensi dell'art. 116 c. p. p., invece, ricevono copia digitale degli atti che richiedono, in modo molto rapido e senza defaticanti azioni di fotocopiatura di atti cartacei.

Questo modello operativo, tuttavia, è particolarmente complesso e, soprattutto, costoso. Esso, infatti, si fonda su complesse operazioni di scansione.

Nel programma ministeriale, inoltre, sono conservate le copie degli atti cartacei, con la conseguenza che, nel caso di insussistenza delle condizioni formali dettate dall'art. 64, commi 3 e 4, disp. att. cod. proc. pen. per l'impiego dei “mezzi tecnici idonei” o di inosservanza delle indicazioni dei protocolli d'intesa stipulati tra gli uffici giudiziari e gli organismi rappresentativi dell'avvocatura per l'adozione dell'applicativo Tiap, le parti devono fare affidamento e fondare le proprie richieste sul fascicolo processuale cartaceo (cfr. Cass., Sez. 5, 7 marzo 2019 n. 27315). Del resto, non potrebbe essere diversamente perché, tra l'altro, l'art. 110 c.p.p., nella versione previgente, disponeva che, nei casi in cui l'atto processuale debba essere sottoscritto, se la legge non dispone altrimenti, “è sufficiente la scrittura di propria mano”, mentre non è valida la sottoscrizione apposta con mezzi meccanici o con segni diversi dalla scrittura. Questa disposizione è parsa sufficiente a precludere che l'atto processuale potesse essere formato integralmente con mezzi digitali, perché la sottoscrizione di esso, in mancanza di una diversa previsione di legge, non sarebbe potuta intervenire secondo tali modalità.

Il fondamento normativo del Tiap

La fonte normativa che legittima l'impiego del Tiap per la “comunicazione di atti” tra uffici giudiziari è rappresentata dall'art. 64, comma 3 e 4, disp. att. c. p. p., che legittimano l'uso di “mezzi tecnici idonei” (Cass. Sez. 3, n. 53986 del 25/06/2018; Cass. Sez. 1, n. 14869 del 19/12/2016, dep. 2017).A queste norme, però si aggiungono i protocolli d'intesa che sono stati stipulati tra le parti del processo penale, concordando l'uso dell'applicativo per la trasmissione degli atti e la loro consultazione da parte dei difensori.

L'art. 64, comma 4, disp. att. cod. proc. pen., invero, stabilendo che la comunicazione di atti tra gli uffici possa avvenire anche “con mezzi tecnici idonei”, prescrive, tuttavia, che il funzionario di cancelleria del giudice che ha emesso l'atto debba attestare, in calce ad esso, di aver trasmesso il testo originale. Nel caso di utilizzo del sistema T.I.A.P., secondo quanto generalmente contenuto nei protocolli tra le parti, è convenuto solo che “La Procura della Repubblica curerà che su ogni fascicolo inoltrato all'Ufficio GIP - relativamente al quale si sia proceduto all'inserimento in TIAP - sia apposto, da parte della segreteria del PM, idonea stampigliatura attestante l'avvenuto inserimento”.

L'attestazione della conformità dell'atto all'originale, pertanto, si risolve nella mera indicazione dell'avvenuto inserimento degli atti in T.I.A.P., sottoscritta dal cancelliere. In buona sostanza si tratta di una sorta di affermazione di conformità implicita nell'impiego di un sistema che è stato sviluppato dal Ministero della Giustizia e che, quindi, è reputato perfettamente idoneo alla trasmissione degli atti.

Il fondamento normativo del sistema realizzato è stato individuato anche nell'art. 22 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell'amministrazione digitale. Tale norma prevede che la copia informatica di un atto - prodotta mediante processi e strumenti che assicurano che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto – presenta la stessa efficacia dell'atto cartaceo (Cass. Sez. 3, n. 27910 del 27 marzo 2019).

L'attuazione dei principi della legge delega n. 134 del 2021

L'art. 6, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 150 del 2022 ha attuato la previsione della legge delega, riformando l'art. 110 c. p. p. A seguito della riforma è stata individuata la modalità digitale come quella ordinaria e generale di formazione di ogni atto del procedimento penale per il quale è richiesta la forma scritta.

All'art. 110, comma 1, c. p. p., infatti, è stato stabilito che “quando è richiesta la forma scritta, gli atti del procedimento sono redatti e conservati in forma di documento informatico”. E' stato così consacrato un nuovo modello di atto processuale che nasce digitale, sostituendo quello cartaceo (definibile, altrimenti, “analogico”).

La nuova norma ha trovato fondamento su una scelta interpretativa che, seppur per certi versi discutibile, è stata in grado di provocare conseguenze molto rilevanti: è stato ritenuto che il termine “possono” utilizzato dall'art. 5, comma 1, lett. a), della legge n. 134 del 2021, con riguardo alla formazione degli atti processuali, non fosse rivolto a introdurre una mera facoltatività del ricorso alla modalità digitale per la redazione di tali atti, ma piuttosto mirasse a legittimare l'impiego di tale modalità in via ordinaria nel processo penale.

Tale lettura della disposizione della legge delega, più in particolare, è stata fondata sullo stretto collegamento ravvisabile tra il criterio direttivo della legge delega relativo alla formazione degli atti e quello contenuto nella stessa norma inerente all'obbligatorietà del deposito telematico, che ha trovato attuazione nel nuovo articolo 111-bis c. p. p.: è stato ritenuto, infatti, che, se gli atti debbono essere necessariamente depositati in formato digitale, tale formato, di regola o in via ordinaria, deve caratterizzare la loro formazione.

I presupposti di legittimazione della formazione informatica degli atti processuali nel processo penale, tuttavia, discendono dal rispetto di alcuni requisiti fissati dallo stesso art. 110, comma 1, c. p. p., la cui sussistenza è ritenuta imprescindibile dal legislatore: tali atti devono essere redatti e conservati in modo da assicurarne l'autenticità, l'integrità, la leggibilità, la reperibilità, l'interoperabilità e, ove previsto dalla legge, la segretezza.

Il legislatore, dunque, non ha prescritto l'impiego di una particolare forma digitale, avendo preferito optare per il riconoscimento di una libertà in tal senso, in modo che l'evoluzione tecnologica non implicherà alcuna necessaria modifica normativa.

Al contempo, la libertà delle forme è “condizionata”: ogni soluzione digitale percorribile è accettata, anche quelle che magari allo stato della tecnologia non sono praticabili, ma che lo saranno in futuro, purché sia idonea a garantire il rispetto di tutti i requisiti indicati.

Tra i requisiti indicati, appare molto rilevante quella della interoperabilità.

Secondo l'art. 1, comma 1, lett. dd), del d.lgs. n. 82 del 2005, recante il Codice dell'amministrazione digitale (CAD), l'interoperabilità è la capacità di un sistema informativo, le cui interfacce sono pubbliche e aperte, di interagire in maniera automatica con altri sistemi informativi per lo scambio di informazioni e l'erogazione di servizi. Il termine, con riferimento all'atto processuale, è adoperato per far riferimento alla possibilità del loro scambio anche con sistemi informatici diversi.

È stato espressamente stabilito, inoltre, che l'atto redatto come documento informatico debba essere idoneo a garantire la segretezza in tutti i casi in cui questa sia prevista dalla legge nelle diverse fasi del processo penale. In questo modo, l'impiego dell'atto in forma di documento informatico è stato reso possibile anche durante le indagini preliminari.

Il rispetto dei requisiti illustrati, peraltro, deriva dall'osservanza della normativa, sia sovranazionale (in particolare, di quella adottata a livello UE, quale il regolamento eIDAS 2014/910/UE), sia nazionale, anche di rango regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, l'accesso, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici. La necessità del rispetto di tali normative, nondimeno, è stata espressamente prevista dall'art. 110, comma 2, c. p. p. La normativa a cui questa nuova disposizione fa rinvio contiene anche la definizione di documento informatico e di documento analogico: l'art. 1, comma 1, lett. p) e p-bis), del d.lgs. n. 82 del 2005, CAD, definisce il “documento informatico” come il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti; il “documento analogico”, invece, secondo le medesime norme, è la rappresentazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. La stessa disposizione, alle lett. i-bis) e ss. disciplina il passaggio dall'uno all'altro formato, delineando i concetti di copia e di duplicato.

Le deroghe alla forma di documento informatico dell'atto processuale

Il novellato art. 110, comma 3, c. p. p. prevede una deroga alla regola generale della redazione e conservazione in forma di documento informatico degli atti del procedimento che concerne “gli atti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere redatti in forma di documento informatico”. Questa disposizione impiega una formulazione ampia che permette il ricorso alle modalità tradizionali di formazione dell'atto processuale scritto nei casi in cui la formazione dell'atto nativo digitale non sia consentita per la sua “natura”, cioè per la sua intrinseca caratteristica o essenza, oppure per “specifiche esigenze processuali”.

Queste ultime, invero, non sono definite; nella norma rappresentano una sorta di clausola di salvaguardia alla quale possono ricondursi situazioni diverse, neppure pienamente prevedibili (nella relazione che ha illustrato lo schema del decreto legislativo è stato fatto l'esempio di una memoria redatta dall'imputato in stato di detenzione). Peraltro, fuoriescono dai casi riconducibili a specifiche esigenze processuali che non permettono la formazione dell'atto in forma di documento informatico i casi di malfunzionamento dei sistemi informatici che sono specificamente disciplinati dall'art. 175-bis c. p. p.

L'art. 110, comma 4, c. p. p., in ogni modo, stabilisce che gli atti redatti in forma di documento analogico debbano essere convertiti, senza ritardo, in copia informatica ad opera dell'ufficio che li ha formati o ricevuti, sempre nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici.

La conversione è indispensabile per garantire la completezza del fascicolo informatico.

Non è stato indicato, peraltro, un termine rigido di conversione in copia informatica dell'originale analogico, essendosi il legislatore limitato a prevedere che essa debba intervenire “senza ritardo”. L'utilizzo di tale locuzione, già impiegata in altre norme del codice di rito, è stato reputato idoneo ad assicurare effettività alla previsione (secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, l'espressione "senza ritardo", per esempio adoperata dall'art. 347 c. p. p., pur se non impone un termine preciso, indica un'attività da compiere in un margine ristretto di tempo, e cioè “non appena possibile”, tenuto conto delle normali esigenze di un ufficio pubblico onerato di un medio carico di lavoro, cfr. Cass., Sez. 3, n. 25301 del 27 maggio 2022; Cass., Sez. 6, n. 18457 del 19 marzo 2007).

L'espressione "senza ritardo", per esempio adoperata dall'art. 347 c. p. p., pur se non impone un termine preciso,
indica un'attività da compiere in un margine ristretto di tempo, e cioè “non appena possibile”, tenuto conto delle normali esigenze di un ufficio pubblico onerato di un medio carico di lavoro.

Cass., Sez. 3, n. 25301 del 27 maggio 2022

In tema di convalida dell'arresto al GIP non è imposto alcun termine specifico per procedere ad avvisare il difensore dell'arrestato della fissazione della relativa udienza.
La previsione dell'avviso "senza ritardo", di cui al comma secondo dell'art. 390 c. p. p., costituisce indicazione di indirizzo, che può assurgere a giustificazione di riconoscimento di sostanziale mancato avviso e di violazione del diritto di difesa quando nel caso concreto dovesse verificarsi comunicazione così tardiva da porre il difensore nell'impossibilità assoluta a presenziare all'udienza.
Cass. Sez. 4, n. 2093 del 11 luglio 1997
In tema di omissione di atti di ufficio, per atto di ufficio da compiersi senza ritardo per ragioni di giustizia, deve intendersi solo un ordine o provvedimento autorizzato da una norma giuridica per la pronta attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile, o più agevole, l'attività del giudice, del pubblico ministero o degli ufficiali di polizia giudiziari. Cass., Sez. 6, n. 10060 del 10 febbraio 2021

L'art. 110 c. p. p. come riformato costituisce una disposizione generale applicabile, dunque, a tutti gli atti del procedimento penale; tra questi vanno ricompresi, ovviamente, anche i provvedimenti del giudice disciplinati all'art. 125 c. p. p. i quali, pur nella specifica regolamentazione delle forme, costituiscono, una sottocategoria di atti, come risulta evidente dalla collocazione sistematica nel codice processuale (la relativa disciplina è inserita nel titolo II del Libro secondo del codice di procedura penale “Atti”).

La disciplina della data e della sottoscrizione degli atti

L'art. 6, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 150 del 2022 ha modificato in maniera significativa l'art. 111 c. p. p., per adattare il profilo della disciplina della data e della sottoscrizione degli atti alla nuova modalità informatica che, come già evidenziato, per effetto della riforma diventa quella “ordinaria” per la redazione la conservazione degli atti nel procedimento penale.

In tale ottica, è stato necessario modificare la rubrica della norma, per evidenziare che essa ormai contiene una specifica regolamentazione alla sottoscrizione dell'atto informatico.

L'art. 111, comma 1, c. p. p. è stato interpolato, introducendo il riferimento all'atto “informatico o analogico”. Per effetto di tale interpolazione, la regola generale previgente, secondo cui “Quando la legge richiede la data di un atto sono indicati il giorno, il mese, l'anno e il luogo in cui l'atto è compiuto. L'indicazione dell'ora è necessaria solo se espressamente prescritta”), è stata estesa dall'atto analogico anche a quello informatico.

È rimasta immutata anche la disposizione già dettata dall'art. 111, comma 2, c. p. p. nel testo previgente, secondo la quale “Se l'indicazione della data di un atto è prescritta a pena di nullità, questa sussiste soltanto nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza, in base ad elementi contenuti nell'atto medesimo o in atti a questo connessi”.

Non si è ritenuto necessario aggiungere in tale disposizione ulteriori regole relative agli elementi da cui desumere la data dell'atto, quando questo sia redatto in forma di documento informatico: il richiamo generale al rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici, contenuto nel precedente art. 110, comma 2, c. p. p., infatti, permette il rinvio ai criteri stabiliti dalle regole tecniche per ricostruire l'elemento temporale dell'atto per mezzo di atti connessi a quello informatico eventualmente privo di data o a dati registrati dai sistemi informatici.

L'art. 111, comma 2-bis, c. p. p., invece, introduce la nuova disciplina della sottoscrizione dell'atto informatico, con la tecnica del richiamo alla normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici. Questatecnica di formulazione della norma è stata prescelta per tutte le disposizioni cardine del nuovo processo telematico in luogo del recepimento nel testo di specifiche regole tecniche, che avrebbe invece imposto la necessità di continuo adeguamento delle disposizioni del codice processuale al mutamento delle predette regole conseguente all'evoluzione tecnologica. È stato stabilito, allora, che “l'atto redatto in forma di documento informatico è sottoscritto, con firma digitale o altra firma elettronica qualificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici”.

Attualmente, la sottoscrizione con firma digitale o firma elettronica qualificata avviene secondo le tipologie PAdES e CAdES.

Il nuovo art. 111, comma 2-ter, c. p. p. stabilisce che, nel caso in cui sia ricevuto un atto orale e tale atto sia trascritto in forma di documento informatico, l'autorità procedente deve attestare identità della persona che lo ha reso, oltre a sottoscrivere tale documento, con firma digitale o altra firma elettronica qualificata.

L'art. 111, comma 2-quater, c. p. p., infine, regola la sottoscrizione dell'atto analogico. È stato previsto che, “Quando l'atto è redatto in forma di documento analogico e ne è richiesta la sottoscrizione, se la legge non dispone altrimenti, è sufficiente la scrittura di propria mano, in fine dell'atto, del nome e cognome di chi deve firmare. Se chi deve firmare non è in grado di scrivere, il pubblico ufficiale, al quale è presentato l'atto scritto o che riceve l'atto orale, accertata l'identità della persona, ne fa attestazione in fine dell'atto medesimo”.

Guida all'approfondimento
  • Maddalena, Il gestore documentale TIAP, inilprocessotelematico.it/IUS Processo telematico;
  • L. Giordano, Riforma Cartabia: la delega in tema di processo penale telematico, in ilprocessotelematico.itilprocessotelematico.it/IUS Processo telematico, 13 settembre 2021.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario