Antonino Barletta
08 Luglio 2014

La l. 12 aprile 2019 n. 31 ha introdotto il nuovo titolo VIII-bis del IV libro del Codice di procedura civile, dedicato ai “procedimenti collettivi” (artt. da 840-bis a 840-sexiesdecies c.p.c.), in sostituzione della corrispondente disciplina in precedenza dettata per i consumatori ed utenti agli artt. 139, 140 e 140-bis Cod. Cons. La nuova azione di classe fa riferimento alla tutela dei “diritti individuali omogenei” nei confronti di imprese, ovvero nei confronti di gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, abbandonando il riferimento agli “interessi diffusi”.Possono agire tanto organizzazioni o associazioni senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei predetti diritti, iscritte in un elenco pubblico tenuto dal Ministero della giustizia, quanto ciascun componente della classe.
Nozione

La l. 12 aprile 2019 n. 31 ha introdotto il nuovo titolo VIII-bis del IV libro del codice di procedura civile, rubricato “Dei procedimenti collettivi” e gli articoli da 840-bis a 840-sexiesdecies c.p.c.), in sostituzione di quella prevista dagli artt. 139, 140 e 140-bis Cod. Cons.

L'azione di classe fa ora riferimento alla tutela dei diritti spettanti a una pluralità di “diritti individuali omogenei” nei confronti di imprese ovvero nei confronti di gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità relativamente ad atti o comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro attività, abbandonando il riferimento agli “interessi diffusi”. Possono agire tanto organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei predetti diritti iscritte in un elenco pubblico tenuto dal Ministero della giustizia, quanto ciascun componente della classe. Tale azione si esercita proponendo una domanda al tribunale ove è istituita una sezione specializzata in materia di impresa, competente ratione loci ove ha sede la parte resistente, per l'accertamento della responsabilità ed eventualmente anche per la condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni a favore di componenti della classe, derivanti dalla violazione di diritti “omogenei”. Il ricorso contenente la domanda e il decreto di fissazione dell'udienza vengono pubblicati nell'area pubblica del portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della giustizia.

Gli altri “portatori” di diritti omogenei, componenti la classe, possono aderire all'azione di classe nel termine fissato dal tribunale con l'ordinanza che ammette l'azione di classe, ovvero nel corso della apposita “procedura” che viene aperta con la sentenza di accoglimento della domanda con la quale viene esercitata l'azione di classe. L'aderente non acquista la qualità di parte, per quanto la relativa istanza debba contenere l'affermazione della sussistenza del diritto del componente della classe e i fatti posti a fondamento della pretesa. L'adesione produce gli effetti della domanda giudiziale. Tuttavia, i diritti di cui sono titolari gli aderenti sono accertati solo successivamente all'accoglimento della domanda di tutela collettiva.

Il processo instaurato con l'azione di classe prevede un “filtro” di ammissibilità della domanda, che non viene superato se quest'ultima è manifestamente infondata, ovvero quando il giudice non ravvisi l'omogeneità dei diritti individuali tutelabili in via collettiva, nonché ove il ricorrente versi in una situazione di conflitto di interessi e infine quando il proponente non appaia in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei “fatti valere” in giudizio. L'ordinanza che ammette l'azione di classe definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei lesi dalla condotta del resistente addebitatagli dal ricorrente e un termine perentorio per l'adesione. In caso di accoglimento della domanda nel merito, il tribunale provvede solo sulle eventuali domande di risarcimento o restitutorie proposte da uno dei componenti della classe e, in ogni caso, accerta se la condotta addebitatagli dal ricorrente abbia leso o meno diritti individuali omogenei, nominando in caso di accoglimento della domanda di accertamento il giudice delegato e il rappresentante comune degli aderenti, oltre a dichiarare aperta – come già anticipato – la procedura di adesione.

Il richiamo al carattere “omogeneo” dei diritti suscettibili di tutela con l'azione di classe era già stato introdotto in relazione alla prev. disciplina consumeristica con il d.l. n. 1/2012, in sostituzione dell'originario riferimento alla “identità”, il quale aveva dato luogo ad interpretazioni restrittive, rischiando di limitare sensibilmente la possibilità di formazione di una classe, in contraddizione alla ratio legis dell'azione di classe (sul punto, anche per ulteriori riferimenti, cfr. S. Boccagna, Art. 140-bis, commi 6-9, in La nuova class action a tutela dei consumatori e degli utenti, a cura di E. Cesaro, F. Bocchini, Padova, 2012, 165). La giurisprudenza ha colto in tale innovazione l'intento di favorire l'ammissibilità delle azioni di classe in relazione alle finalità “di accrescere la fiducia dei consumatori e degli utenti nel funzionamento del mercato e, per converso, di consentire agli imprenditori una valutazione generalizzata dei danni da risarcire, [nonché] di apprestare una effettiva ed efficace tutela di situazioni in cui la trascurabile entità del danno a fronte dei costi per ottenerne il ristoro distoglierebbe il consumatore dal far valere i propri diritti” (App. Torino, sez. I, 23 settembre 2011, in Giur. it., 2012, 1581, con nota di A.D. De Santis). Per altro verso, la Cassazione ha osservato che gli interessi presi in considerazione al tempo dal Codice del consumo, anche in forma collettiva, non sono subordinati ad alcun interesse generale, potendo essere fatti valere solo nella forma dei diritti soggettivi, e che “gli interessi diffusi (in quanto pertinenti alla sfera soggettiva di più individui in relazione alla loro qualificazione o in quanto considerati nella loro particolare dimensione) … possono essere tutelati in sede giudiziale solo in quanto il legislatore attribuisca ad un ente esponenziale la tutela degli interessi dei singoli componenti una collettività, che così appunto assurgono al rango di interessi ‘collettivi'” (così Cass. civ., S.U., 28 marzo 2006, n. 7036, in Corr. giur., 2006, 785 ss., con nota di A. Di Majo). In proposito la dottrina ha osservato – sin dalla prima versione della normativa, introdotta dalla l. n. 244/2007– che il legislatore ha inteso superare i problemi connessi alla definizione degli interessi collettivi e diffusi, con l'obiettivo d'introdurre – accanto alla possibilità di una tutela individuale – una nuova modalità di tutela restitutoria e risarcitoria che preveda il coinvolgimento di una pluralità di consumatori ed utenti (A. Carratta, L'azione collettiva risarcitoria e restitutoria: presupposti ed effetti, in Studi in onore di V. Colesanti, I, Napoli, 2009, 223 s.). In questo quadro rivestono un particolare rilievo gli aspetti (processuali) riguardanti la legittimazione ad agire, la decisione sull'ammissibilità della domanda e l'adesione degli altri componenti della classe; mentre non era chiaro quali conseguenze avesse determinato la possibilità di tutelare anche gli interessi collettivi, reintrodotta dal d.l. n. 1/ 2012 (Giussani A., L'azione di classe: aspetti processuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 343; R. Donzelli, Azione di classe risarcitoria, in Diritto on line-Treccani, 2014, § 2.3) e ora venuta nuovamente meno.

Legittimazione ad agire

L'azione di classe di cui all'art. 840-bis e segg. c.p.c. si distingue da quella previgente ai sensi dell'art. 140-bis Cod. Cons. innanzitutto, in relazione alla disciplina della legittimazione ad agire. L'azione di classe consumeristica poteva essere esercitata dal consumatore, come definito dall'art. 3 Cod. Cons., ossia una persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, in assenza di un'espressa deroga sul punto (Trib. Milano, sez. VIII, 13 marzo 2012, in Foro it., 2012, I, 1909), anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati ai quali partecipa. Mentre la nuova azione di classe inserita nel codice di rito – come abbiamo già accennato – può essere esercitata da organizzazioni o associazioni senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei predetti diritti, quanto ciascun componente della classe.

Dunque, le associazioni dei consumatori e, più in generale, gli enti rappresentativi degli interessi dei consumatori possono ora esercitare l'azione di classe autonomamente, avvicinando la disciplina dell'ordinamento italiano al modello tedesco della Verbandsklage. La nuova disciplina è volta a superare le criticità sottese alla disciplina previgente che richiedeva il conferimento del potere di rappresentanza da parte dei componenti della classe alle associazioni consumeristiche.

Riguardo all'organizzazione e all'associazione senza scopo di lucro legittimate è richiesta solo l'iscrizione nell'apposito elenco da istituire presso il Ministero della giustizia con il decreto di cui all'art. 196-ter disp. att. c.p.c., essendo rimessa al vaglio del giudice solo la sussistenza di un conflitto d'interessi con il consumatore e/o con la classe, nonché l'idoneità a “curare adeguatamente gli interessi della classe”, in sede di ammissibilità dell'azione. In relazione a quest'ultima valutazione assume rilievo la considerazione secondo cui per agire con l'azione di classe sono necessarie risorse economiche ed organizzative maggiori di quelle necessarie per la tutela individuale. Occorre rilevare che in precedenza tale valutazione veniva compiuta anche facendo riferimento all'iscrizione nell'apposito elenco delle associazioni dei consumatori tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico (App. Napoli, 29 giugno 2012, in Foro it., 2013, I, 342; Trib. Napoli, 9 novembre 2012, in Foro it., 2012, I, 1909; Trib. Napoli, sez. II, 16 novembre 2011, in Resp. civ. e prev., 2012, 1626). Tale orientamento sembra tuttavia superato dalla disciplina che attualmente richiede l'iscrizione nell'elenco tenuto dal Ministero della giustizia quale requisito legittimante.

L'autonoma possibilità di esercizio dell'azione di classe viene poi riconosciuta a ciascun componente la classe, potendo dar luogo alla contestuale proposizione di una pluralità di domande fondate sui medesimi fatti e riferite alla medesima classe, nonché all'instaurazione di una pluralità di procedimenti sulla loro ammissibilità. Ciò è esplicitamente confermato dal disposto dell'art. 840-quater c.p.c. nella parte in cui esclude la proponibilità di “ulteriori azioni di classe sulla base dei medesimi fatti e nei confronti del medesimo resistente” solo dopo la scadenza del termine di 60 giorni dalla data di pubblicazione del ricorso nell'apposita area pubblica del portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia (v. § 4).

Diritti tutelabili

L'azione di classe può essere proposta a tutela dei “diritti individuali omogenei” (art. 840-bis, comma 1, c.p.c.) nei confronti degli autori di condotte lesive per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e per le restituzioni (art. 840-bis, comma 2, c.p.c.), siano essi “imprese” ovvero “enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità” (art. 840-bis, comma 3, c.p.c.). Il superamento della dimensione esclusivamente consumieristica dell'azione di classe consente di estendere la tutela collettiva, ad es., al settore degli investimenti e delle intermediazioni finanziarie, in relazione al quale la giurisprudenza aveva in precedenza manifestato forti perplessità (cfr. App. Firenze, 15 luglio 2014, in Giur. it., 2015, 89).

La disciplina dell'ambito di applicazione delle azioni di classe non contempla più un riferimento espresso ai “diritti contrattuali” suscettibili di essere fatti valere da una pluralità di soggetti lesi nei confronti della stessa impresa, il quale consentiva già l'accesso alla tutela collettiva in relazione a qualunque forma di tutela spettante in relazione ad un contratto. Allo stesso tempo, la nuova disciplina dell'azione di classe non si preoccupa di chiarire i dubbi sottesi all'orientamento giurisprudenziale restrittivo – formatosi nel vigore della disposizione previgente – in relazione alle forme di tutela suscettibili di essere richieste (ad es., si escludeva la possibilità di agire per la declaratoria della nullità di clausole contrattuali, cfr. App. Torino, sez. I, 27 ottobre2010, in Foro it., 2010, I, 3530), non esplicitando la possibilità di proporre domande ulteriori a quella risarcitoria o restitutoria e di mero accertamento limitatamente alla “responsabilità” della parte resistente.

Per altro verso, la nuova disciplina dell'azione di classe consente di fugare ogni dubbio interpretativo circa la tutelabilità con l'azione di classe delle forme di responsabilità da c.d. contatto sociale (in senso contrario, App. Firenze, 27 dicembre 2011, in Foro it., 2012, I, 1908; Trib. Firenze, sez. II, 15 luglio 2011, in Foro it., I, 1910).

In giurisprudenza si è osservato come i diritti tutelabili ai sensi dell'art. 140-bis Cod. Cons. siano ipotesi tassative, in quanto le norme sull'azione di classe consentono la sostituzione nell'esercizio dell'azione individuale del singolo danneggiato ai sensi dell'art. 81 c.p.c. (Trib. Roma, 11 aprile 2011, cit.; Trib. Milano, sez. VIII, 20 dicembre 2010, in Foro it., 2011, I, 617). Sulla base di tale rilievo non sembra possibile applicare la nuova disciplina a soggetti diversi dalle imprese e dagli enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, quali i professionisti, contrariamente a quanto si evince dall'art. 3, n. 2, Direttiva UE 2020/1828 relativamente alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori.

Si presenta ancora aperta la questione se l'omogeneità dei diritti tutelabili con l'azione di classe richieda, oltre l'identità dei fatti riferibili all'an della pretesa risarcitoria, anche quella riguardante il quantum (in tal senso, Trib. Milano, sez. X, 8 novembre2013, in Giur. it., 2014, 603, con nota di A. Giussani; Trib. Napoli, sez. XII, 18.2.2013, in Resp. civ. e prev. 2013, 1612, in un obiter dictum). La locuzione contenuta all'art. 840-bis, comma 2, c.p.c. sembra rendere possibile limitare la richiesta di tutela all'accertamento della responsabilità dell'autore della lesione. Mentre la vera e propria tutela di condanna al risarcimento dovrebbe essere valutata secondo l'indirizzo maggioritario in base al quale l'ammissibilità dell'azione di classe debba essere “verificata in relazione al petitum (da intendere come oggetto di tutela e quindi di pronuncia richiesta: non già di entità del danno eventualmente subito…, siccome mera circostanza ininfluente sull'identità … dei diritti azionati) ed alla causa petendi (quale ragione giuridica a fondamento degli stessi)” (così, già in relazione alla disciplina previgente alla riforma del 2012, App. Torino, sez. I, 23 settembre 2011, cit.; Trib. Napoli, sez. II, 9 dicembre 2011, in Foro it., 2012, I, 1909; Trib. Roma, 25 marzo 2011, in Foro it., 2011, I, 1889; analogamente, di recente, in relazione alla più recente formulazione dell'art. 140-bis Cod. Cons., App. Milano, sez. II, 3 marzo2014, cit.; nel senso dell'orientamento prevalente in giurisprudenza, A. Giussani, L'azione di classe: aspetti processuali, cit., 343; R. Donzelli, Azione di classe risarcitoria, cit., § 2.2). Inoltre, nell'ambito dell'azione di classe finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno cagionato da una pratica commerciale scorretta il giudice deve accertare il carattere plurioffensivo della condotta della suddetta impresa e la natura omogenea dei diritti fatti valere, senza tener conto delle ragioni individuali che hanno determinato l'acquisto del prodotto (App. Milano, 26 agosto 2013, in Foro it., 2013, I, 3326).

A proposito dell'azione di classe proposta in relazione alle vicende globalmente conosciute con l'espressione Diselgate,Trib. Venezia, Sez. III, 12 gennaio 2016 (in Ridare, 2016) ha osservato che l'irrilevanza delle possibili divaricazioni sul piano del quantum del risarcimento ai fini del vaglio relativo alla omogeneità dei diritti, dovendo far leva “sull'unicità del danno evento (condotta illecita plurioffensiva)” al fine di “disincentivare condotte opportunistiche propiziate dall'ostacolo nell'accesso alla giustizia ed al tempo stesso … di recuperare delle economie di scala che inevitabilmente nelle azioni individuali rischiano di perdersi quando i costi terziari (da amministrazione della giustizia) sopravanzino quelli primari (intesi come somma algebrica del danno atteso e costi di prevenzione) e quelli secondari (derivanti da un rischio che non si è scelto di sopportare)”. Tuttavia, l'ammissibilità dell'azione di classe è stata negata in considerazione del rilievo secondo cui l'attrice avrebbe mancato di precisare “il modo in cui si sarebbe concretizzato lo scorretto uso dei parametri da parte delle convenute in sede di test di omologazione, non [essendo] possibile disporre alcun approfondimento istruttorio”.

La S.C., poi, ha avuto modo di pronunciarsi sulla “compatibilità in astratto” del risarcimento del danno non patrimoniale con il ricorso alle forme processuali dell'azione di classe, con un accenno che, in dottrina, è stato riferito alla definizione della nozione di diritti omogenei, là dove si è osservato che l'accesso alla tutela collettiva debba essere valutato in concreto, richiedendo che “l'originario proponente ha l'onere di domandare la riparazione di un danno non patrimoniale che non sia individualizzato, ma sia fondato su circostanze comuni a tutti i membri della classe” (Cass., Sez. III, 31.05.2019, n. 14886, in Riv. dir. proc., 2020, 356, con nota di A. Giussani, Diritti omogenei e omogeneizzati nell'azione di classe), rendendo dubbia la stessa possibilità di operare una “liquidazione omogenea” in via equitativa in relazione ai diritti degli aderenti (come invece aveva effettuato App. Milano, 25 agosto 2017, in Giur. it., 2018, 105, con nota di A. Dondi, A. Giussani).

La dottrina è divisa in ordine al rilievo della proposizione di eccezioni personali riferite ai diversi componenti della classe: nel senso che tali eccezioni escludano l'omogeneità S. Menchini - A. Motto, L'azione di classe dell'art. 140-bis c. cons., in Nuove leggi civ. com., 2010, 1421; in senso contrario, A. Giussani, L'azione di classe, cit., 344); più in generale, parte di dottrina e giurisprudenza affida alla tutelabilità con l'azione di classe i diritti spettanti a una pluralità di soggetti, ove ciò non contrasti con il criterio della prevalenza delle questioni di fatto o di diritto comuni (M. Taruffo, La tutela collettiva nell'ordinamento italiano: lineamenti generali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 115; R. Poli, La natura e l'oggetto dell'azione di classe, in Riv. dir. proc., 2012, 40 s.; analogamente App. Roma, 27 gennaio 2012, in Foro it., 2012, I, 1908; A. Amidei, L'ammissibilità dell'azione di classe fra omogeneità dei diritti individuali e garanzie di adeguata gestione del processo, in U. Ruffolo (a cura di), Class action ed azione collettiva inibitoria, Milano, 2021, 79 e segg.), ovvero alla condizione minima che la “parte comune” dei diritti individuali dei componenti della classe copra le questioni di fatto e di diritto sulla base della quale accertare la responsabilità dell'impresa (R. Donzelli, Azione di classe risarcitoria, cit., § 2.2).

Giurisdizione, competenza e composizione del giudice. Forma della domanda. Pluralità di azioni

L'azione di classe deve essere proposta davanti al tribunale presso cui è istituita la sezione specializzata in materia d'impresa di cui al d.l. n. 1 del 2012, il quale ha mutato il nome e in parte la disciplina delle sezioni in materia di proprietà industriale ed intellettuale del d.lgs. n. 168 del 2003. Conseguentemente, la causa è decisa dal tribunale in composizione collegiale (arg. dall'art. 50-bisc.p.c.), innovando comunque rispetto a quanto previsto nell'art. 140-bis, comma, 2, Cod. Cons. Posto che la formula prev. induceva a pensare che in ogni fase del procedimento il tribunale dovesse avere appunto composizione collegiale (C. Punzi, L' “azione di classe” a tutela dei consumatori e degli utenti, in Riv. dir. proc., 2010, 261), mentre la nuova disciplina dell'azione di classe sembra richiedere la presenza del collegio solo dopo la rimessione per la decisione, previa fissazione dell'udienza per la discussione.

Il tribunale competente viene individuato “esclusivamente” in relazione alla “sede” della parte resistente (art. 840-ter c.p.c.). La nozione di “sede” può essere intesa tanto come la sede legale, quanto quella effettiva, secondo quanto si afferma in relazione all'art. 19 c.p.c. (analogamente A.D. De Santis, Il procedimento, in Class action ed azione collettiva inibitoria, cit., 57; è perplesso, sul punto, però C. Consolo, L'azione di classe, trifasica, infine inserita nel c.p.c., in Riv. dir. proc., 2020, 729). Per quanto problematica, inoltre, non sembra doversi escludere l'interpretazione di tale nozione quale “centro principale d'interessi”, criterio ora adottato espressamente per l'individuazione del giudice competente dal codice della crisi d'impresa. Mentre è quantomeno dubbia l'applicabilità dell'art. 4, commi 1-bis e 1-ter, d.lgs. n. 168 del 2003 dettato per le società aventi sede all'estero (in senso contrario, invece, A. Giussani, Sulla riforma dell'azione di classe, in Scritti in memoria di F. Cipriani, 2020, 1471 s.). Allo stesso modo, la previsione di una competenza esclusiva sembrerebbe escludere l'applicazione del foro alternativo previsto dall'art. 20 c.p.c.

Per altro verso, il riferimento alla sede della parte resistente ai fini dell'individuazione della competenza non sembra costituire un limite all'estensione della giurisdizione del giudice italiano nei confronti di società estere, almeno là dove è applicabile il Reg. n. 1215 del 2012. Nel qual caso la competenza dovrebbe essere individuata sulla base della residenza del ricorrente ai sensi dell'art. 18, comma 2, c.p.c. (C. Consolo, L'azione di classe, trifasica, infine inserita nel c.p.c., cit., 729).

La domanda si propone con ricorso che viene pubblicato nella parte pubblica del portale dei servizi telematici tenuto dal Ministero della giustizia unitamente alla data di fissazione dell'udienza a cura della cancelleria entro 10 giorni del deposito del decreto, Non è più prevista, inoltre, la notifica all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale adito, che poteva altresì intervenire limitatamente al giudizio di ammissibilità a norma del prev. art. 140, comma 5, Cod. Cons.

A norma dell'art. 840-quater c.p.c. sono improponibili ulteriori azioni di classe fondate sui medesimi fatti e nei confronti del medesimo resistente e la causa deve essere cancellata dal ruolo senza possibilità di riassunzione, ma solo una volta decorsi 60 giorni dalla data di pubblicazione del ricorso nell'area pubblica del portale dei servizi telematici di cui all'articolo 840-ter, comma 2, c.p.c. Le azioni di classe proposte prima del suddetto termine sono riunite all'azione principale. L'improponibilità cessa di operare là dove l'azione principale venga dichiarata inammissibile con provvedimento definitivo, quando la causa venga cancellata dal ruolo, ovvero quando il primo procedimento si concluda con un provvedimento solo sul processo. Infine, il divieto non opera quando le azioni di classe non potevano essere fatte valere entro il suddetto termine di 60 giorni dalla pubblicazione, ma in questo caso l'esercizio dell'azione sembra determinare solo gli effetti di un'adesione all'azione già proposta, come si desume dall'art. 840-septies, ult. comma, c.p.c.

Ammissibilità della domanda e rito applicabile

Ai sensi dell'art. 840-ter, comma 3, c.p.c., nella prima fase del procedimento instaurato con l'azione di classe il tribunale decide con ordinanza, all'esito della prima udienza, sull'ammissibilità della domanda. Come si è già accennato, la domanda è dichiarata inammissibile quando è manifestamente infondata, ovvero quando il giudice non ravvisi l'omogeneità dei diritti individuali tutelabili in via collettiva, nonché quando il ricorrente versi in uno stato di conflitto di interessi nei confronti del resistente e quando il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l'interesse della classe.

Per una parte della giurisprudenza l'accertamento sull'esistenza o meno di un danno risarcibile in capo all'attore – compiuto, in seguito a una delibazione sommaria, ai fini dell'ammissibilità dell'azione – riguarda la manifesta infondatezza o meno della domanda di risarcimento e non la carenza d'interesse ad agire (App. Torino, sez. I, 27 ottobre 2010, cit.). Secondo una diversa ricostruzione, però, la mancanza di una concreta e attuale lesione del diritto in capo al componente della classe legittimato a proporre l'azione determina l'inammissibilità per carenza di interesse ad agire, la cui eventuale sussistenza in capo ad altri componenti della classe, ipoteticamente titolari di un diritto omogeneo a quello dell'attore, è irrilevante: App. Milano, 3 maggio 2011, cit.; Trib. Torino, 4 giugno 2010, in Banca borsa tit. cred., 2010, II, 610; analogamente, E. Zuffi, La Corte d'Appello di Torino riconosce all'azione di classe ex art. 140-bis cod. cons. esclusiva funzione condannatoria, respingendo i dubbi di costituzionalità avanzati in merito al c.d. “filtro”, in Corr. giur., 2011, 529 s., secondo la quale il vaglio di ammissibilità riguarda la sussistenza delle condizioni dell'azione di classe e consiste, in particolare, nella verifica circa la sussistenza dell'affermazione, da parte del class representative, di un illecito avente i caratteri prescritti dalla suddetta disposizione, precisando, inoltre, che tale vaglio riguardi la legittimazione (e non l'interesse) ad agire. Per altro verso, secondo l'orientamento maggioritario in dottrina il giudizio di non manifesta fondatezza è volto ad evitare iniziative palesemente abusive e pretestuose, escludendo la necessità che il giudice si formi un convincimento sulla verosimiglianza delle allegazioni dell'attore (R. Donzelli, Azione di classe risarcitoria, cit., § 4; in senso contrario, però, App. Napoli, 29 giugno 2012, cit.; Trib. Roma, 27 aprile 2012, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 903).

Il procedimento è regolato dal rito sommario di cognizione ai sensi degli artt. 702-bis ss. c.p.c., al quale sono però apportati diversi elementi di specialità connessi alla composizione collegiale dell'organo decisorio, ragione per cui si ritengono applicabili, ad es., gli artt. 178, 187, 307 e 308 c.p.c.

Non è, inoltre, ammesso l'intervento di terzi ai sensi dell'art. 105 c.p.c. Mentre può ritenersi applicabile l'intervento coatto ai sensi degli artt. 106 e 107 c.p.c. nei confronti di altri legittimati passivi. Secondo una parte della dottrina, poi, nel vigore della disciplina consumeristica doveva ritenersi possibile un cumulo soggettivo in base alle regole generali, con prevalenza del rito ordinario ai sensi dell'art. 40 c.p.c. (A. Giussani, L'azione di classe, cit., 353). Ed ancora non può disporsi il mutamento di rito.

L'art. 840-ter, comma 3, c.p.c. continua a prevedere che nel caso in cui sia in corso un'istruttoria avanti un'autorità indipendente, ovvero un giudizio davanti a un giudice amministrativo sui fatti rilevanti per la decisione sull'ammissibilità dell'azione di classe il procedimento deve essere sospeso. Tale disposizione stabilisce espressamente un'ipotesi di pregiudizialità amministrativa in relazione alle domande risarcitorie proposte da consumatori ed utenti con l'azione di classe per i danni conseguenti a pratiche commerciali scorrette e comportamenti anticoncorrenziali e più in generale in relazione a circostanze accertate o in corso di accertamento nell'ambito dell'istruttoria compiuta da autorità amministrative indipendenti. La disciplina in discorso si deve coordinare con quella prevista all'art. 7 d.lgs. n. 3 del 2017 in tema di esibizione delle prove contenute nel fascicolo dell'Autorità garante per la concorrenza applicabile e di coordinamento dei giudizi di risarcimento per violazioni antitrust con i procedimenti istruttori avanti alla suddetta Autorità.

All'art. 840-ter, comma 3, c.p.c. è previsto che il tribunale decida nel termine di 30 giorni dalla prima udienza. Può ritenersi, tuttavia, che tale termine sia meramente ordinatorio. Pertanto, può ancora ritenersi che nella prima udienza finalizzata alla decisione sull'ammissibilità della domanda il giudice possa concedere termini per il deposito di memorie scritte limitate alla precisazione delle conclusioni già formulate, come già ammesso in relazione alla disciplina previgente (App. Milano, 3 maggio 2011, cit.; Trib. Milano, sez. VIII, 20 dicembre 2010, cit.).

L'ordinanza che decide sull'ammissibilità o meno della domanda deve essere pubblicata a cura della cancelleria entro 30 giorni nella parte pubblica del portale dei servizi telematici tenuta dal Ministero della giustizia. L'ordinanza sull'ammissibilità dell'azione di classe è reclamabile davanti alla corte d'appello nel termine perentorio di 30 giorni dalla sua comunicazione o notificazione, se anteriore. Su tale reclamo la corte d'appello decide con ordinanza in camera di consiglio entro 30 giorni dal deposito del ricorso (art. 840-ter, comma 7, c.p.c.). In linea con quanto affermato dalla giurisprudenza in relazione alla disciplina previgente, ove venga accolto il reclamo, con la revoca dell'ordinanza d'inammissibilità e la declaratoria che l'azione è ammissibile, la corte d'appello deve rimettere le parti davanti al tribunale perché si svolga la fase di merito. Il reclamo dell'ordinanza di ammissione non sospende la fase di merito pendente avanti il tribunale (art. 840-ter, comma 7, c.p.c.).

Le ordinanze che dichiarano l'inammissibilità della domanda e quelle che in sede di reclamo confermano la pronuncia d'inammissibilità, nonché (si deve ritenere) quelle che in riforma del provvedimento di ammissibilità del tribunale sanciscono in sede di reclamo l'inammissibilità della domanda, si pronunciano sulle spese a norma dell'art. 96 c.p.c.

Secondo l'orientamento prevalente il provvedimento che dichiara l'inammissibilità dell'azione di classe non ha natura decisoria e l'azione può essere riproposta – in genere – senza particolari limitazioni (cfr. C. Consolo, Azione di classe, trifasica, infine inserita nel c.p.c., cit., 728 s.); cosicché il provvedimento d'inammissibilità non può essere impugnato con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., salvo che per il capo che pronuncia sulle spese e sulla pubblicità (Cass., sez. I, 14 giugno 2012, n. 9772, in Riv. dir. proc., 2013, 191, con nota adesiva di S. Boccagna; Cass., sez. I, 21 novembre 2016, 23631, in Foro it., 2017, I, 600). Tale indirizzo è stato confermato – sostanzialmente – da Cass., S.U., 1.02.2017, n. 2610 (in Giur. it., 2017, 1852, con nota di D. Amadei, L'azione di classe inammissibile, tra effetti preclusivi e ricorso per cassazione; nello stesso senso Cass., sez. III, 23 marzo 2018, n. 7244) e dall'opinione prevalente della dottrina anche avuto riguardo alla nuova disciplina (cfr. C. Consolo, Azione di classe, trifasica, infine inserita nel c.p.c., cit., 728 s.; in senso contrario, invece, D. Dalfino, Le impugnazioni, in Class action ed azione collettiva inibitoria, cit., 192). Nel 2017 le S.U. hanno statuito, però, che la dichiarazione d'inammissibilità preclude la riproposizione della domanda da parte dei medesimi soggetti che la hanno già avanzata e quelli che abbiano aderito già aderito all'azione. La nuova disciplina ha precisato che quando viene dichiarata l'inammissibilità della domanda per “manifesta infondatezza”, l'azione di classe può essere riproposta solo quando si siano verificati mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto (art. 840-ter, comma 6, c.p.c.). Tale disposizione sembra congegnata proprio per i casi di riproposizione da parte del medesimo ricorrente che ha già visto rigettata la propria domanda per inammissibilità ai sensi dell'art. 840-ter, comma 4, lett. a), c.p.c. Posto che negli altri casi la riproposizione non dovrebbe subire limitazioni: arg. dall'art. 840-quater, comma 2, c.p.c., ove si esclude il divieto di proporre ulteriori domande con l'esercizio delle azioni di classe in caso di declaratoria d'inammissibilità della domanda proposta in relazione alla “medesima causa”.

Dalla ritenuta assenza della natura decisoria si è tratto il rilievo secondo cui l'ordinanza di ammissione dell'azione di classe sia revocabile e modificabile e non precluda il riesame dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità dell'azione da parte del giudice della fase di merito (App. Milano, 26 agosto 2013, cit.).

Adesioni degli altri componenti della classe

La disciplina dell'azione di classe continua ad essere informata al c.d. principio dello “opt-in”, secondo cui gli aderenti alla classe devono essere chiaramente identificati e partecipano al procedimento solo se manifestano espressamente la propria volontà in tal senso.

A norma dell'art. 840-quinques c.p.c. con l'ordinanza che ammette l'azione di classe il giudice fissa un termine “perentorio” tra 60 e 150 giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza nel portale dei servizi telematici, tenuto dal Ministero della giustizia, per l'adesione all'azione di classe da parte dei soggetti definiti quali “portatori di diritti individuali omogenei”. La prima “finestra” per le adesioni sembra avere un mero carattere “prenotativo” riguardo alla composizione della classe, posto che “gli elementi necessari per l'inclusione nella classe” vengono definiti solo con la sentenza di accoglimento (art. 840-sexies, comma 1, lett. c), c.p.c.). Difatti, se l'istanza di adesione può essere revocata anche dopo la sentenza di accoglimento e fin dopo l'emissione del decreto del giudice delegato (art. 840-undecies, ult. comma, c.p.c.), essa può a fortiori essere revocata anche prima, senza alcun pregiudizio riguardo all'esercizio del diritto in sede individuale o nell'ambito di un altro giudizio collettivo. Nondimeno, secondo i primi commentatori della nuova disciplina dell'azione di classe l'adesione precoce all'azione di classe sembrerebbe comportare la soggezione al rischio processuale della soccombenza in caso di rigetto dell'azione di classe, almeno rispetto ai temi d'indagine comuni alla classe (cfr. C. Consolo, Azione di classe, trifasica, infine inserita nel c.p.c., cit., 732; D. Dalfino, La trattazione, l'istruzione e la decisione, in Class action ed azione inibitoria collettiva, cit., 170). Non è dato comprendere, tuttavia, quali siano i possibili vantaggi per i suddetti aderenti “precoci” a fronte della soggezione al rischio processuale della soccombenza, a parte quelli derivanti riferibili alla produzione degli effetti sostanziali della domanda ai sensi art. 840-septies, comma 6, c.p.c. e dall'astratta possibilità di essere destinatari di una proposta giudiziale di conciliazione o di transazione (v. § 10).

Le adesioni presentate prima della sentenza di accoglimento non devono essere corredate, a pena di decadenza, con le prove relative ai fatti su cui si fondano i diritti omogeni di cui gli aderenti si affermano portatori.

La sentenza che accoglie l'azione di classe apre nuovamente la procedura di adesione fissando ulteriormente un termine tra 60 e 150 giorni (art. 840-sexies, comma 1, lett. e), c.p.c.). Nel termine fissato dalla sentenza di accoglimento possono essere integrati gli atti e può essere compiuta ogni altra attività consentita agli aderenti.

In ogni caso, l'aderente non acquista la qualità di parte, per quanto – come già detto – l'adesione produca gli effetti della domanda giudiziale. L'atto di adesione deve contenere l'affermazione della sussistenza del diritto del componente della classe e dei fatti posti a fondamento della pretesa. Tuttavia, i diritti di cui sono titolari gli aderenti sono accertati solo successivamente all'accoglimento della domanda di tutela collettiva.

L'istanza di adesione si presenta su un modulo predisposto con decreto del Ministero della giustizia con le modalità previste dall'art. 65 CAD, per il tramite del portale dei servizi telematici tenuto presso il Ministero della giustizia con le indicazioni di cui all'art. 840-septies, comma 2, c.p.c., tra cui, in particolare, una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà riguardo alla veridicità dei dati e dei fatti esposti dall'aderente, nonché alla veridicità dei documenti prodotti, nonché il conferimento al rappresentante comune degli aderenti già nominato o di successiva (anche eventuale) nomina del potere di rappresentare l'aderente. La procura rilasciata al rappresentante può essere revocata, con effetto dal momento in cui viene inserita nel fascicolo informatico. Essa opera di diritto e può essere rilevata anche d'ufficio. Per la proposizione dell'istanza non è richiesto il ministero del difensore. L'adesione non comporta più la rinuncia a far valere in via individuale qualsiasi pretesa fondata sul medesimo titolo (come previsto in precedenza dall'art. 140-bis, comma 3, Cod. Cons.). Ed anzi ora all'art. 840-undecies, ult. comma, c.p.c. viene esplicato che l'aderente può proporre azione individuale in caso di revoca (della procura al rappresentante comune e) dell'adesione prima che diventi definitivo il decreto del giudice delegato sul diritto dell'aderente ai sensi dell'art. 840-octies c.p.c.

Gli aderenti possono essere richiesti di provvedere al versamento di un fondo spese stabilito dal tribunale in sede di accoglimento dell'azione di classe, nonché alle ulteriori integrazioni stabilite dal tribunale. L'aderente deve anche attestare di aver provveduto a tale versamento in sede di proposizione dell'istanza di adesione. Ai sensi dell'art. 840-sexies, ult. comma, c.p.c., il mancato versamento delle somme rende inefficace l'adesione, la quale opera di diritto e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Tale previsione ha fatto emergere dubbi d'illegittimità costituzionale (A.D. De Santis, La tecnica della composizione della classe, in Class action ed azione collettiva inibitoria, cit., 139).

Fase di merito

Successivamente alla pronuncia dell'ordinanza di ammissione il tribunale procede all'istruttoria secondo lo schema previsto per il procedimento sommario di cognizione; pertanto, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del giudizio. Nel caso in cui venga disposta la consulenza tecnica, in deroga al principio generale di anticipazione delle spese, queste vengono normalmente poste a carico delle parti resistenti. Viene poi specificato che il giudice possa avvalersi di dati statistici e delle presunzioni semplici.

Sono stabilite, inoltre, delle disposizioni speciali in materia di esibizione di prove documentali.

Ai sensi dell'art. 840-quinques, comma 5, c.p.c. su istanza del ricorrente, dettagliata con l'indicazione dei fatti rilevanti e delle prove ragionevolmente disponibili, tali da consentire al giudice di stabilire la mera plausibilità della richiesta, può essere emesso un ordine di esibizione nei confronti dei resistenti delle prove documentali che rientrino della loro disponibilità.

Tale ordine può riguardare anche “categorie di prove”, individuate mediante il riferimento a comuni elementi costitutivi come la loro natura, il periodo durante il quale sono stati formati, l'oggetto e il contenuto degli elementi di prova di cui è richiesta l'esibizione e che rientrano nella stessa categoria (art. 840-quinques, comma 6, c.p.c.).

Nel pronunciarsi sull'ordine di esibizione il giudice deve compiere una ponderazione, valutando se la richiesta sia “proporzionata” alle finalità di tutela cui è preordinata, sulla base di un esame condotto alla luce dei fatti dedotti dall'istante e delle prove disponibili, la portata e i costi dell'esibizione, avuto riguardo alle informazioni riservate di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario o veri e propri segreti industriali, in particolare se relative a terzi, eventualmente contenute nei documenti richiesti. In tal caso, il giudice può anche adottare misure volte a mantenere il segreto sulle informazioni riservate. Viene sempre tenuta ferma la riservatezza delle comunicazioni tra cliente e avvocato, a tutela del diritto di difesa (art. 840-quinques, comma 10, c.p.c.). A norma dell'art. 840-quinques, comma 9, c.p.c. la parte nei cui confronti è chiesta l'esibizione può essere sentita dal giudice.

Il mancato ottemperamento all'ordine di esibizione e la distruzione di prove rilevanti ai fini del giudizio danno luogo, rispettivamente, all'irrogazione di una sanzione amministrativa da euro 10.000 a euro 100.000 a favore della Cassa delle ammende. Inoltre, nei casi appena menzionati il giudice può comunque ritenere provato il fatto al quale la prova si riferisce (art. 840-quinques, commi 11-13, c.p.c.).

Nelle controversie collettive in materia di violazioni antitrust si applicano, poi, gli artt. 2, lett. f), g), h), i), o), 3-8 e 13 d.lgs. n. 3 del 2017.

Riteniamo sia ancora riferibile alla nuova disciplina dell'azione di classe l'orientamento giurisprudenziale secondo cui nella fase di merito, preordinata alla pronuncia sull'azione di classe, non devono essere affrontate le questioni inerenti alla regolarità e al contenuto delle adesioni, giacché gli aderenti non assumono la qualità di parte processuale. Nel vigore della prev. disciplina si riteneva, infatti, che tali questioni dovessero essere affrontate solo in sede di esecuzione del provvedimento (Trib. Torino, sez. I, 15 giugno2012, cit.); ora invece si può presagire che le questioni in discorso verranno affrontate nella fase dedicata al vaglio dei diritti degli aderenti, dopo la sentenza di accoglimento.

Sentenza di accoglimento o di rigetto e accertamento dei diritti individuali omogenei degli aderenti

A conclusione della fase di merito aperta dall'ammissione dell'azione di classe, il tribunale si pronuncia con sentenza, accogliendo o rigettando la domanda proposta dal class representative.

Il contenuto della sentenza può variare a seconda del fatto che tale domanda sia stata proposta da un componente della classe, ovvero da una organizzazione o da una associazione legittimate ai sensi dell'art. 840-bis, comma 1, c.p.c. Per quanto, il tribunale si pronuncia sempre sulla domanda volta ad accertare se la condotta addebitata dal ricorrente abbia o meno leso diritti individuali omogenei. A tale provvedimento si aggiunge altresì la decisione sulle domande risarcitorie o restitutorie proposte dal componente della classe, con una statuizione avente gli effetti di una vera e propria sentenza di condanna al risarcimento del danno o alla restituzione.

Si ritiene che il contenuto “necessario” della pronuncia di accertamento sulla “responsabilità” della parte resistente sia equiparabile a quello della condanna generica (C. Consolo, L'azione di classe, trifasica, infine inserita nel c.p.c., 719, 720, 732). Tale provvedimento contempla la statuizione sulla condotta imputata al resistente e, quindi, innanzitutto sull'ingiustizia del danno cagionato o sulla configurabilità di un inadempimento, nonché sul carattere plurioffensivo della condotta accertata o sulla serialità di una pluralità di condotte dirette a provocare una molteplicità di eventi lesivi che abbiano carattere comuni o comunque si siano verificati nell'ambito dell'attuazione di un unico programma, anche solo sulla base di una valutazione di plausibilità che deve trovare conferma nella successiva fase di accertamento sui diritti individuali omogenei degli aderenti. È invece incerto – in assenza di una espressa previsione di legge – se la sentenza di accertamento della responsabilità produca altresì l'efficacia di titolo esecutivo per l'iscrizione d'ipoteca giudiziale. Il mancato riconoscimento della natura di condanna a tale pronuncia fa effettivamente ritenere che tale effetto non possa essere riconosciuto (nello stesso senso, pur in base a considerazione in parte diverse, cfr. D. Dalfino, La trattazione, l'istruzione e la decisione, in Class action ed azione inibitoria collettiva, cit., 170).

Oltre alla pronuncia di merito sulla responsabilità collettiva della parte resistente la sentenza di accoglimento – come già in gran parte anticipato sopra – ha un contenuto ordinatorio e preparatorio rispetto alla successiva fase del processo collettivo preordinato all'accertamento dei diritti individuali omogenei degli aderenti, dovendo disporre quanto segue: la definizione degli elementi necessari per l'inclusione della classe e dei documenti che devono essere prodotti per fornire la prova della titolarità dei diritti individuali omogenei; l'apertura della procedura di adesione nei termini dinanzi descritti; la nomina del giudice delegato; la nomina del rappresentante comune degli aderenti; l'importo che ciascun aderente deve versare, ove necessario.

La natura della potestà del rappresentante comune è ambivalente. Perché da un lato è un pubblico ufficiale e svolge delle funzioni che sono riferibili alla nozione di ausiliario del giudice. Nondimeno, il rappresentante comune agisce in forza dei poteri di rappresentanza che gli aderenti devono attribuirgli al momento della proposizione della relativa istanza e possono in ogni momento revocargli fino a quando non diviene definitivo il decreto contenente l'accertamento dei diritti individuali.

I compensi dovuti al rappresentante comune sono stabiliti a norma dell'art. 840-novies c.p.c.

Nella fase successiva alla pronuncia della sentenza di accoglimento dell'azione di classe il class representative sembra aver esaurito la propria funzione; mentre vi è ancora spazio per l'espressione del diritto di difesa della parte resistente, la quale – nel termine di 120 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle istanza di adesione fissato dal tribunale – può depositare una memoria nella quale è chiamata a prendere posizione sui fatti posti dagli aderenti a fondamento della domanda e a spiegare le eccezioni di merito in relazione ai diritti fatti valere dagli aderenti. I fatti non specificamente contestati si hanno per ammessi.

Successivamente, entro 90 giorni il rappresentante comune degli aderenti – eventualmente coadiuvato da uno o più esperti nominati dal tribunale – deve predisporre il progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti, con le specifiche indicazioni relative a ciascuno degli stessi. Tale progetto deve essere comunicato agli aderenti e al resistente, i quali possono effettuare osservazioni nel termine di 30 giorni dalla comunicazione. Nei successivi 60 giorni il rappresentante comune può apportare eventuali variazioni sulla base delle osservazioni presentate e, infine, deposita il progetto nel fascicolo informatico.

Il giudice delegato provvede con decreto sulle istanze di adesione, pronunciandosi sulla sussistenza – in tutto o in parte – dei diritti individuali omogenei fatti valere, il quale deve essere comunicato agli aderenti, al resistente e al rappresentante comune.

Con il medesimo decreto il giudice delegato condanna altresì il resistente a corrispondere il compenso del rappresentante comune determinato secondo scaglioni percentuali da applicare all'importo compressivo dovuto, da individuare in base al numero dei componenti della classe, nonché il compenso premiale dovuto agli avvocati che hanno difeso i ricorrenti della causa principale e delle altre cause riunite (art. 840-novies c.p.c.).

Impugnazioni. Chiusura della procedura di adesione

Secondo l'orientamento prevalente l'ordinanza sull'ammissibilità dell'azione di classe non avrebbe natura decisoria (v. § 5); alla stregua di tale orientamento dovrebbe ritenersi che il reclamo ex art. 840-ter, comma 6, c.p.c. non abbia natura propriamente impugnatoria, dando bensì luogo all'apertura di una fase (eventuale) avanti la corte d'appello del medesimo procedimento già instaurato avanti il Tribunale.

La sentenza sull'azione di classe, ossia quella che conclude la seconda fase di merito con il rigetto o l'accoglimento della domanda (non solo quella di accoglimento, malgrado il richiamo testuale all'art. 840-sexies c.p.c.), è immediatamente appellabile davanti alla corte d'appello ai sensi dell'art. 840-decies c.p.c. La disciplina dedicata al procedimento di secondo grado è assai scarna e non contempla un richiamo né alla disciplina generale, né a quella prevista all'art. 702-quater c.p.c. Chi scrive propende però per la seconda alternativa, ossia per l'applicabilità della disciplina dedicata alle pronunce del tribunale con il rito sommario di cognizione, anche in considerazione del fatto che l'ammissibilità in appello delle nuove prove “indispensabili” costituisce un bilanciamento alle limitazioni imposte dal carattere sommario dell'istruttoria in primo grado. La maggiore incertezza riguarda l'individuazione del termine d'impugnazione. L'art. 702-quater c.p.c. stabilisce che la domanda d'appello debba essere proposta entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione. Ma l'art. 840-decies prescrive l'inapplicabilità della disposizione sul termine breve dell'impugnazione sancita all'art. 325 c.p.c. Al di là dell'incongruente riferimento alle disposizioni generali sui termini dell'impugnazione, ciò sembra inteso a prescrivere il termine lungo di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza sancito dall'art. 327 c.p.c. (C. Consolo, L'azione di classe, trifasica, infine inserita nel c.p.c.,, 733). La ratio di tale disposizione appare quella di consentire alle parti della fase di merito sull'azione di classe un arco temporale sufficiente per avviare e portare a termine le eventuali trattative volte alla definizione transattiva della controversia collettiva prima della proposizione dell'appello (D. Dalfino, Le impugnazioni, cit., 194). Il maggior agio ai fini dell'instaurazione del giudizio di appello può altresì essere funzionale a consentire alla parte resistente rimasta soccombente in primo grado di valutare le effettive conseguenze pregiudizievoli dell'accoglimento dell'azione di classe, alla luce delle adesioni nel termine fissato ai sensi dell'art. 840-sexies, comma 1, lett. e), c.p.c.

La domanda d'appello e delle altre impugnazioni contro la sentenza sull'azione di classe e i provvedimenti che definiscono le impugnazioni devono essere pubblicate nella parte pubblica del portale dei servizi telematici tenuto dal Ministero della giustizia.

Occorre segnalare poi una rilevante incertezza riguardo alla disciplina applicabile al coordinamento del giudizio d'impugnazione con il procedimento preordinato all'accertamento dei diritti degli aderenti ai sensi dell'art. 840-octies c.p.c. Non dovrebbe escludersi però la possibilità di sospendere l'efficacia della sentenza di accoglimento dell'azione di classe ai sensi dell'art. 283 c.p.c. Si devono registrare – invece – maggiori dubbi in relazione alla definizione delle conseguenze della riforma della sentenza di primo grado sull'azione di classe sul procedimento disciplinato dall'art. 840-octies c.p.c. La previsione dell'art. 336, comma 2, c.p.c. porterebbe a ritenere che la riforma della sentenza di accoglimento determini la caducazione immediata di tutti gli atti compiuti nel procedimento a valle, per quanto ciò comporti conseguenze assai gravi anche là dove la pronuncia di secondo grado, ancora provvisoria, venga di seguito annullata ad esito del giudizio di cassazione. La relativa autonomia dell'oggetto del procedimento di cui all'art. 840-octies c.p.c. sembra rendere più plausibile affidare il coordinamento tra i procedimenti all'applicazione dell'art. 337, comma 2, c.p.c. da parte del giudice delegato (cfr. Giussani, Sulla riforma dell'azione di classe, cit., 1484 s., pur ritenendo il decreto di approvazione dei diritti degli aderenti soggetto all'automatica caducazione ai sensi dell'art. 336, comma 2, c.p.c.); al giudice delegato, perciò, dovrebbe essere rimessa la potestà di sospendere il procedimento di accertamento dei diritti degli aderenti, qualora ritenga opportuno attendere la definizione del giudizio di cassazione, o in alternativa di procedere all'immediata definizione del procedimento tramite un provvedimento di cessazione della materia del contendere.

Contro il decreto del giudice delegato che si pronuncia sulle istanze di adesione, accogliendole o rigettandole – in tutto o in parte – può essere proposta opposizione con ricorso depositato presso la cancelleria del tribunale, contenente i requisiti di cui all'art. 840-quinques, comma 3, c.p.c., entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento. L'opposizione può essere proposta dal resistente, dal rappresentante comune degli aderenti, dagli avvocati in relazione ai provvedimenti sulle spese. I singoli istanti, invece, non sembrerebbero legittimati a proporre opposizione.

La proposizione dell'opposizione non sospende automaticamente l'efficacia esecutiva del decreto, che può essere comunque disposta dal tribunale in presenza di gravi e fondati motivi.

Nei 5 giorni successivi al deposito del ricorso il presidente del tribunale provvede alla designazione del giudice relatore e l'udienza di comparizione entro 40 giorni dal deposito del ricorso. Nei 5 giorni successivi al deposito del decreto di fissazione dell'udienza quest'ultimo e il ricorso introduttivo devono essere comunicati alla parte resistente, che deve costituirsi entro 5 giorni prima dell'udienza, tramite il deposito di una memoria contenente le difese in fatto e in diritto.

È qui ammesso l'intervento di qualunque interessato, ossia – dovrebbe ritenersi – anche degli eventuali aderenti, le cui domande di adesione siano state in tutto o in parte accolte o rigettate. Si deve fortemente dubitare, però, che tali aderenti possano estendere l'oggetto del giudizio, dovendosi ritenere perciò che abbiano le limitate potestà difensive che si riconoscono ai terzi che intervengono ai sensi dell'art. 105, comma 2, c.p.c.

Non è ammessa la produzione di nuovi documenti, salvo che si dimostri di non avere potuto produrre precedentemente i nuovi documenti per causa non imputabile

Il tribunale decide in composizione collegiale di cui non può far parte il giudice delegato entro 30 giorni dall'udienza di comparizione, confermando, modificando o revocando il provvedimento impugnato.

La definitività del decreto esclude la proponibilità dell'azione individuale da parte degli aderenti che non abbiano revocato l'adesione precedentemente a tale momento. Però, in caso di caducazione del medesimo decreto, a fronte della riforma o della cassazione della sentenza di accoglimento dell'azione di classe, si dovrebbe ritenere che anche tale improponibilità venga meno.

A norma dell'art. 840-quinquesdecies c.p.c. la procedura di adesione si chiude con decreto motivato del giudice delegato, reclamabile a norma dell'art. 840-undecies c.p.c., nei seguenti casi: (a) quando le ripartizioni effettuate dal rappresentante comune raggiungono l'intero ammontare dei crediti degli aderenti; (b) quando nel corso della procedura risulta che non sia possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese degli aderenti, tenuto conto anche dei costi che è necessario sostenere.

Adempimento spontaneo. Esecuzione forzata collettiva. Transazioni.

L'adempimento spontaneo al decreto sulle istanze di adesione da parte dell'impresa o dell'organizzazione resistente avviene con il versamento delle somme dovute in base a tale provvedimento nel conto corrente bancario o postale intestato alla procedura. Successivamente, il rappresentante comune deposita con la massima sollecitudine il piano di riparto e il giudice delegato lo rende esecutivo ordinando il pagamento delle somme spettanti al singolo aderente.

L'azione esecutiva fondata sul decreto di accertamento dei diritti degli aderenti viene esercitata esclusivamente dal rappresentante comune, su autorizzazione del giudice delegato, al quale viene riconosciuta legittimazione esclusiva ad agire o contraddire anche nei giudizi di opposizione. L'autorizzazione del giudice delegato non è invece richiesta per l'impugnazione degli atti del giudice delegato o del tribunale.

Gli accordi transattivi o conciliativi possono intercorrere in ogni fase del processo collettivo, anche tra singole parti. L'art. 840-bis, comma 5, c.p.c. prende in considerazione l'ipotesi in cui per effetto di tali accordi vengano a mancare del tutto le parti ricorrenti. Nel caso in cui siano state presentate istanze di adesione (e cioè, evidentemente, dopo la pronuncia dell'ordinanza di ammissibilità e l'apertura della prima “finestra” per le adesioni) il tribunale assegna un termine, non inferiore a 60 giorni e non superiore a 90 giorni, per la prosecuzione della causa, che deve avvenire con la costituzione in giudizio di almeno uno degli aderenti mediante il ministero di un difensore. Decorso inutilmente il suddetto termine, ove non si dia luogo alla prosecuzione del procedimento, il tribunale dichiara l'estinzione dello stesso.

A norma dell'art. 840-quaterdecies, comma 1, c.p.c. il tribunale formula, ove possibile, una proposta conciliativa o transattiva fino alla discussione orale della causa “avuto riguardo al valore della controversia e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto”. Tale proposta deve essere inserita nell'area pubblica del portale dei servizi telematici tenuta dal Ministero della giustizia e comunicata tramite posta elettronica certificata agli aderenti.

Il termine finale per l'esercizio della potestà giudiziale è la fissazione dell'udienza di discussione orale prevista dall'art. 840-ter, comma 3, c.p.c. Si può ritenere, però, che essa possa avvenire durante tutte le fasi del processo collettivo, finanche nel corso delle opposizioni al decreto sulle istanze di adesione di cui all'art. 840-undecies c.p.c. La proposta può essere aperta a tutti gli aderenti o essere limitata ad alcune parti soltanto, anche individuate per categorie (A. Giussani, Le composizioni amichevoli della lite nella nuova disciplina dell'azione di classe, in Class action, Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di B. Sassani, Pisa, 2019, 153). In ogni caso, l'accordo di conciliazione o transattivo (anch'esso da pubblicare nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia) si formerà solo tra le parti del procedimento che prestino il proprio consenso alla proposta e nei confronti degli aderenti che abbiano aderito, mediante dichiarazione da inserire nel fascicolo informatico (art. 840-quaterdecies, comma 1, c.p.c.). La norma non chiarisce se l'aderente possa accettare la proposta conciliativa a prescindere dal consenso delle parti, allorché naturalmente l'impresa o l'organizzazione legittimate passivamente all'azione di classe consentano alla definizione della controversia limitatamente agli aderenti interessati. In ogni caso, la disciplina espressa della proposta conciliativa del giudice sembrerebbe prevedere uno schema di tipo individuale, volto a definire la controversia collettiva solo in caso di adesione di almeno alcune delle parti in contraddittorio tra loro (in ispecie, ricorrenti e resistenti) e degli aderenti interessati.

Una definizione conciliativa o transattiva di carattere più propriamente collettivo presuppone la partecipazione del rappresentante comune nominato con la sentenza di accoglimento dell'azione di classe, ovvero dell'organizzazione o dell'associazione che abbiano proposto l'azione di classe. In tali casi, l'art. 840-quaterdecies c.p.c. prevede un procedimento nel quale il soggetto collettivo predispone insieme all'impresa o all'ente, passivamente legittimati, uno schema di accordo conciliativo-transattivo, da sottoporre agli aderenti tramite pubblicazione nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia e comunicato tramite posta elettronica certificata ai singoli aderenti. Essi possono esprimere il proprio dissenso motivato, tramite il deposito di specifiche contestazioni entro 15 giorni dopo la comunicazione. Entro i 30 giorni successivi il giudice delegato può autorizzare il rappresentante comune, l'associazione o l'organizzazione che abbiano proposto l'azione a concludere l'accordo, che viene pubblicato e comunicato con le stesse modalità previste per il precedente schema. Tale accordo si applica a tutti gli aderenti non si oppongano entro 15 giorni successivi alla comunicazione. Esso ha efficacia di titolo esecutivo e per l'iscrizione d'ipoteca giudiziale e deve essere integralmente trascritto nel precetto. Il rappresentante comune certifica l'autenticità della sottoscrizione di tutte le parti.

Azione inibitoria collettiva

A norma dell'art. 840-sexiesdecies c.p.c. l'azione inibitoria collettiva può essere proposta da chiunque abbia interesse alla pronuncia inibitoria di atti o comportamenti posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti per ottenere la cessazione o il divieto di reiterazione di una condotta omissiva o commissiva nei confronti di imprese e enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità in relazione ad atti inerenti lo svolgimento delle loro attività. L'azione può essere proposta anche dalle associazioni o dalle organizzazioni legittimate alla proposizione dell'azione di classe ai sensi dell'art. 840-bis c.p.c. Pure nell'ambito della disciplina dell'azione inibitoria è stato espunto il riferimento agli “interessi collettivi”. Viene meno dunque la possibilità di riferire la disciplina della legittimazione ad agire in capo agli enti esponenziali in relazione alla loro titolarità degli interessi collettivi, stante anche il fatto che tale legittimazione viene riconosciuta anche ai singoli (che si affermano) pregiudicati che ne abbiano interesse. Si è ritenuto che nella valutazione dell'interesse ad agire in sede collettiva potrebbe essere compiuta una valutazione di adeguatezza analoga a quella compiuta nella prima fase del procedimento instaurato con l'azione di classe (D. Amadei, La nuova azione inibitoria collettiva, in Class action. Commentario sistematico, cit., 232). Tuttavia, tale interpretazione appare contrastare con il fatto che il provvedimento emesso in sede di “filtro” di ammissibilità dell'azione di classe è cosa diversa dalla decisione sull'interesse ad agire nell'azione di classe (v. § 5)

Il giudice competente è il tribunale presso cui è istituita la sezione specializzata in materia d'impresa, individuata territorialmente tramite il riferimento alla sede dell'impresa o dell'ente.

Il ricorso introduttivo deve essere notificato anche al pubblico ministero.

Al procedimento si applicano in quanto compatibili le forme del procedimento in camera di consiglio (artt. 737 e segg. c.p.c.), combinate con la disciplina del procedimento prevista per la fase di merito dell'azione di classe (art. 840-quinquies c.p.c.). Viene ribadito espressamente, inoltre, che il tribunale possa avvalersi di dati statistici e presunzioni semplici.

Il provvedimento inibitorio può essere dotato di una penale giudiziale, anche al di fuori dei limiti previsti dall'art. 614-bis c.p.c. e, su istanza del pubblico ministero o delle parti, può contenere l'ordine alla parte resistente per l'adozione delle misure più idonee ad eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate, nonché su istanza di parte l'ordine di pubblicazione del provvedimento nei modi e nei tempi definiti con il medesimo provvedimento, tramite i mezzi di comunicazione ritenuti più adeguati.

È escluso il cumulo dell'azione di classe con l'azione inibitoria collettiva. Sicché nel caso in cui tale domande siano proposte contestualmente il tribunale deve procedere alla separazione delle suddette cause.

Diritto transitorio

A norma dell'art. 7 l. n. 31 del 2019 la nuova disciplina è entrata in vigore il 19 maggio 2021, 25 mesi dopo la pubblicazione della legge di riforma, consentendo la predisposizione e la contestuale messa a disposizione dei sistemi informativi richiamati dalle disposizioni sui processi collettivi. Alla stessa data è stata abrogata la disciplina della tutela collettiva di cui agli artt. 139, 140 e 140-bis Cod. Cons. Le nuove disposizioni introdotte dalla l. n. 31 del 2019 si applicano alle condotte illecite poste in essere successivamente al 19 maggio 2021; mentre alle condotte poste in essere precedentemente continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti. Tale previsione riscontra quanto in precedenza affermato dalla giurisprudenza in relazione all'art. 49, comma 2, l. n. 99 del 2009 riguardo all'individuazione delle controversie soggette all'applicazione dell'art. 140-bis Cod. Cons. In particolare, venivano ritenuti rientranti ratione temporis nell'ambito applicativo dell'azione di classe consumeristica i diritti contrattuali dei consumatori che si sostanziavano in pretese restitutorie il cui fatto genetico (ad es., l'addebito in conto corrente di commissioni pretese in forza di clausole che si affermano illegittime) si collocava dopo la data di entrata in vigore (App. Napoli, 29 giugno 2012, cit.; Trib. Roma, 25 marzo 2011, cit.). L'azione di classe veniva riconosciuta applicabile anche in relazione alle condotte che, costituendo un potenziale illecito permanente, avevano avuto inizio prima della data di entrata in vigore e erano proseguite anche successivamente (Trib. Napoli, 11 aprile 2011, cit.). Invece, l'applicazione da parte di un istituto di credito della c.d. commissione di scoperto di conto è stata qualificata come un illecito di tipo istantaneo (App. Torino, sez. I, 23 settembre 2011, cit.).

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