Riforma processo penale: la disciplina del malfunzionamento dei sistemi informatici

22 Novembre 2022

Sulla scia della riforma del processo penale, il presente contributo analizza le modalità di risoluzione dei malfunzionamenti informatici.
I criteri direttivi della legge delega sul malfunzionamento dei sistemi informatici.

L'art. 1, comma 5, lett. e), della legge n. 134 del 2021 ha assegnato al legislatore delegato anche il compito di regolamentare “i casi di malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del Ministero della Giustizia”.

In particolare, secondo le direttive della legge–delega:

  • occorre prevedere che la parte non incorra in preclusioni o decadenze involontarie a causa degli eventuali problemi tecnici;
  • è necessario che “siano predisposte soluzioni alternative ed effettive alle modalità telematiche che consentano il tempestivo svolgimento delle attività processuali”;
  • occorre, inoltre, che “siano predisposti sistemi di accertamento effettivo e di registrazione dell'inizio e della fine del malfunzionamento, in relazione a ciascun settore interessato”;
  • bisogna, infine, che “sia data tempestiva notizia a tutti gli interessati e comunicazione pubblica del malfunzionamento e del ripristino delle ordinarie condizioni di funzionalità dei sistemi informatici”.
La disciplina introdotta dal decreto legislativo

Questi principi sono stati recepiti dall'art. 11, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 150 del 2022 che ha introdotto il nuovo art. 175-bis c.p.p., il quale disciplina proprio i casi di malfunzionamento dei sistemi informatici, distinguendoli in due categorie.

I primi due commi di tale norma, infatti, regolano il caso di malfunzionamento “certificato” dei sistemi informatici dei domini del Ministero della giustizia. Tale ipotesi di disservizio o di interruzione del servizio è “certificata” dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia; è poi “attestata” sul portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia; ed infine è “comunicata” dal dirigente dell'ufficio giudiziario, con modalità tali da assicurarne la tempestiva conoscibilità ai soggetti interessati.

Con le medesime modalità è certificato, attestato e comunicato il ripristino del corretto funzionamento dei sistemi.

Le certificazioni, attestazioni e comunicazioni illustrate contengono l'indicazione della data dell'inizio e della fine del malfunzionamento, “registrate”, in relazione a ciascun settore interessato, dal direttore generale per i servizi informativi del Ministero della giustizia.

Il comma 4 dello stesso art. 175-bis c.p.p., invece, regola il malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del Ministero della giustizia “non certificatodal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia. Tale disservizio deve essere “accertato” e “attestato” dal dirigente dell'ufficio giudiziario interessato, che deve comunicare la data di inizio e quella della fine del malfunzionamento ai soggetti interessati con modalità tali da assicurarne la tempestiva conoscibilità.

In entrambe le ipotesi, la soluzione alternativa alle modalità telematiche per il tempestivo svolgimento delle attività processuali è individuata dall'art. 175-bis, comma 3, c.p.p. nella redazione, a decorrere dall'inizio e sino alla fine del malfunzionamento dei sistemi informatici, degli atti e documenti in forma di documento analogico e nel loro deposito con modalità non telematiche.

Degli atti redatti in forma analogica e depositati con modalità non telematiche, peraltro, è assicurata la conversione in formato digitale, essendo quindi garantita la completezza e la continuità del fascicolo informatico nonostante il malfunzionamento.

Ai sensi dell'art. 110, comma 4, c.p.p., difatti, “gli atti redatti in forma di documento analogico sono convertiti senza ritardo in copia informatica ad opera dell'ufficio che li ha formati o ricevuti, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici”.

Inoltre, l'art. 175-bis, comma 3, c.p.p. richiama espressamente l'art. 111-ter, comma 4, c.p.p. e, dunque, il principio secondo cui “le copie informatiche, anche per immagine, degli atti e dei documenti processuali, redatti in forma di documento analogico, presenti nei fascicoli informatici, equivalgono all'originale anche se prive della firma digitale di attestazione di conformità all'originale”.
Pertanto, è assicurata la piena equivalenza all'originale della copia informatica dell'atto analogico, pur se priva di attestazione di conformità. È comunque indispensabile, in ogni caso, che vengano registrati e attestati tanto la data di inizio, quanto quella della fine del malfunzionamento, perché solo in questo lasso temporale è ammissibile il ricorso alle modalità analogiche per la redazione ed il deposito dell'atto.

Va segnalato che, come si è visto, in relazione ad entrambe le ipotesi è previsto un onere di comunicazione da parte del dirigente dell'ufficio giudiziario, con modalità che non sono state definite in concreto, ma che debbono essere idonee ad assicurare la tempestiva conoscibilità (e non conoscenza effettiva) da parte dei soggetti interessati (nella seconda ipotesi, il dirigente dell'ufficio deve anche accertare il malfunzionamento e non solo comunicarlo, con mezzi idonei, agli interessati).

Malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del ministero della giustizia “certificato” dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del ministero della giustizia

Malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del ministero della giustizia “non certificato” dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del ministero della giustizia

Il malfunzionamento è “certificato” dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia

Il malfunzionamento è “accertato” dal dirigente dell'ufficio giudiziario interessato

Il malfunzionamento è “attestato” sul portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia;

Il malfunzionamento è “attestato” dal dirigente dell'ufficio giudiziario interessato.

Il malfunzionamento è “comunicato” dal dirigente dell'ufficio giudiziario, con modalità tali da assicurarne la tempestiva conoscibilità ai soggetti interessati.

Il dirigente dell'ufficio giudiziario interessato deve comunicare la data di inizio e quella della fine del malfunzionamento ai soggetti interessati con modalità tali da assicurarne la tempestiva conoscibilità.

Con le medesime modalità è certificato, attestato e comunicato il ripristino del corretto funzionamento dei sistemi.

Le certificazioni, attestazioni e comunicazioni illustrate contengono l'indicazione della data dell'inizio e della fine del malfunzionamento, “registrate”, in relazione a ciascun settore interessato, dal direttore generale per i servizi informativi del Ministero della giustizia.

Può capitare il caso in cui la scadenza di un termine stabilito a pena di decadenza sia intervenuto nel corso del malfunzionamento dei sistemi informatici “certificato” dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia (art. 175-bis, commi 1 e 2, c.p.p.) o “accertato e attestato” dal dirigente dell'ufficio giudiziario (art. 175-bis, comma 4, c.p.p.) e la parte sia incorsa nella decadenza, perché non ha fatto ricorso alla modalità analogica per la prosecuzione dell'attività giudiziaria.

Tale ipotesi è regolata dall'art. 175-bis, comma 5, c.p.p. con il richiamo alla disposizione di cui all'art. 175 c.p.p.: la parte interessata, ai fini della restituzione in termini, è tenuta a dimostrare che la decadenza è intervenuta per caso fortuito o forza maggiore (si pensi, per esempio, al caso in cui non vi sia stata tempestiva comunicazione del malfunzionamento o al caso in cui, nonostante la tempestività delle comunicazioni, siano intervenuti altri fattori estranei che rivestono la natura e le caratteristiche del caso fortuito o della forza maggiore previsti dall'art. 175 c.p.p. e che abbiano impedito l'impiego della modalità analogica).

Integra causa di forza maggiore ogni impedimento assoluto per ragioni esterne non imputabili al soggetto, sicché deve intendersi tale la malattia causata da COVID-19 che impone l'isolamento domiciliare dell'imputato (Cass. Sez. IV, 25 gennaio 2022, n. 18409).

Il ritorno alla forma analogica per la formazione ed il deposito degli atti processuali, peraltro, avviene in forza di una regola generale e non in base ad una specifica autorizzazione del dirigente del singolo ufficio, a differenza di quanto previsto, nella vigenza della normativa emergenziale, da una disposizione che ha costituito fonte di disomogeneità di soluzioni nella pratica nei diversi uffici giudiziari.

I casi di malfunzionamento, dunque, non possono costituire causa di proroga o sospensione di diritto dei termini processuali, ma al più possono determinare la restituzione in termini ex art. 175, comma 2, c.p.p. se derivanti da caso fortuito o forza maggiore. Anche in questo caso è stata superata la disciplina emergenziale che, all'art. 24, comma 2-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, stabilisce, per il caso di malfunzionamento, che “il termine di scadenza per il deposito degli atti di cui ai commi 1 e 2 è prorogato di diritto fino al giorno successivo al ripristino della funzionalità del Portale”.

La scelta del legislatore delegato di non considerare il malfunzionamento come causa di proroga o sospensione di diritto dei termini processuali presenta implicazioni molto delicate.

Il cattivo funzionamento del sistema informatico, infatti, può tanto impedire il tempestivo deposito dell'atto (situazione cui si può rimediare, come si è visto, ricorrendo alla redazione in forma di documento analogico), quanto impedire, in concreto, l'accesso al fascicolo informatico, con eventuali riflessi anche sull'attività processuale da svolgere in analogico: basti pensare al Tribunale del Riesame che deve adottare una decisione sulla libertà personale dell'indagato entro termini perentori e che disponga del solo fascicolo informatico al quale, però, non può accedere a causa del malfunzionamento o al difensore che deve depositare un'istanza de libertate o comunque urgente per la cui predisposizione necessita dell'accesso al fascicolo informatico impedito dal guasto tecnico o, ancora, al pubblico ministero che debba procedere alla convalida di un arresto e che disponga solo di atti depositati per via telematica e contenuti in un fascicolo informatico momentaneamente inaccessibile.

In tutte queste situazioni, l'art. 175-bis, comma 5, c.p.p. non ha ritenuto di prevedere eccezioni al rispetto dei termini perentori stabiliti dal codice processuale, ravvisando nel meccanismo di rimessione in termini di cui all'art. 175 c.p.p. lo strumento per la tutela dei diritti fondamentali eventualmente lesi.

La soluzione normativa illustrata, d'altra parte, sottende necessariamente un onere aggiuntivo di diligenza nell'impiego degli strumenti tecnologici da parte di tutti gli operatori della giustizia. Essi, per esempio, dovrebbero provvedere ad un continuo e tempestivo back up dei dati necessari allo svolgimento delle attività processuali.

Tale onere di diligenza, però, è già stato attribuito all'utente del servizio dalla giurisprudenza in tema di notificazioni a mezzo PEC.

Grava sul difensore l'onere di osservare la necessaria diligenza per consentire la notificazione degli atti, essendo tenuto, tra l'altro, a dotarsi di un terminale elettronico munito di software idoneo a verificare anche l'assenza di virus (Cass. Sez. III, 18 giugno 2018, n. 51464).

Il difensore, nella qualità di “soggetto abilitato esterno”, è tenuto, ai sensi dell'art. 20 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, a dotarsi di un servizio automatico di avviso dell'imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e di verificare l'effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione (Cass. Sez. III, 24 novembre 2017, n. 54141).

La notificazione di un atto al difensore restituito al mittente con l'indicazione "casella piena", si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l'operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario "piena", da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto, per effetto dell'art. 4, commi 1 e 2, d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, il mancato inserimento nella casella di posta, per saturazione della capienza, rappresenta un evento imputabile al destinatario per l'inadeguata gestione dello spazio per l'archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi (Cass. Sez. II, 16 luglio 2020, n. 25981; Cass. Sez. V, 12 marzo 2019, n. 15080)

L'onere di diligenza, inoltre, nella sostanza non si rivela troppo diverso – seppur trasposto nel mondo digitale - da quello inerente alla tenuta e conservazione del fascicolo cartaceo, la cui eventuale distruzione o perdita, anche accidentale e imprevista, certamente non ha alcun riflesso sulla prosecuzione del processo, salvo l'obbligo di procedere alla relativa ricostruzione.

La graduale dell'operatività a regime della riforma, che verrà illustrata nel prosieguo, comunque, pare in grado di favorire la progressiva adozione di misure tecniche sempre più efficaci che limitino le ipotesi di malfunzionamento e che offrano al contempo soluzioni tempestive a fronteggiare situazioni di difficoltà legate a problemi di natura tecnica.

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