Riforma del diritto di famiglia e codice rosso

25 Novembre 2022

Tra le innovazioni contemplate dalla riforma del diritto di famiglia di cui al d.lgs. 149/2022 non poche si riflettono sul rapporto tra gli accertamenti e le valutazioni che devono essere effettuate dal sistema civile come penale in tema di violenza domestica e di genere.
Premessa

Si impongono immediate riflessioni sull'assoluta necessità di un migliore coordinamento dell'attività giudiziaria globalmente intesa, sulla natura e sul ruolo della mediazione nel settore di specie nonché sugli strumenti probatori che saranno a disposizione degli operatori del diritto, per assicurare valutazioni, se non omogenee, almeno non distoniche ed evitare o almeno ridurre forme di vittimizzazione secondaria.

Il rapporto Tribunale ordinario — Procura della Repubblica

La l. 69/2019 — che ha introdotto il c.d. “codice rosso” — era intervenuta sul tema del coordinamento tra l'ambito penale e quello civile in tema di violenza domestica introducendo l'art. 64-bis disp. att. c.p.p., il cui testo recita: « ;Ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all'esercizio della potestà genitoriale, copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, del provvedimento con il quale è disposta l'archiviazione e della sentenza emessi nei confronti di una delle parti in relazione ai reati previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter c.p., nonché dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, comma 1, nn. 2, 5 e 5.1, e 577, comma 1, n. 1, e comma 2, c.p. è trasmessa senza ritardo al giudice civile procedente ;».

Una norma di coordinamento che – come vedremo- è stata significativamente modificata dalla riforma del diritto di famiglia. La norma non indica espressamente il destinatario dell'obbligo di comunicazione; per altro, la presenza tra gli atti da comunicare della misura cautelare (la cui emissione potrebbe non “chiudere” affatto le esigenze investigative) e dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p. (atto non conosciuto dal Tribunale se non in una fase successiva della procedura) depongono a favore di un obbligo prioritariamente in capo alla Procura della Repubblica.

In base alla versione originaria del citato art. 64-bis i provvedimenti che devono essere trasmessi al giudice civile procedente per le tipologie di vicende elencate sono tassativi. Non si parla di “notizie” o informazioni, quanto direttamente dei provvedimenti. Non solo: la tipologia degli stessi e la scansione con la quale sono indicati consente di individuare anche sul piano temporale la tempistica della trasmissione. In sostanza, ogni qual volta (quindi, anche durante le indagini) sia emesso un provvedimento che acquista (o perde) una particolare significatività nella lettura del rapporto che il Tribunale deve effettuare. Pertanto, anche le misura cautelari (ma anche la revoca o sostituzione delle stesse) quali atti espressivi di un'“acuzie” del rapporto.

Inoltre, non solo provvedimenti ontologicamente conclusivi della vicenda processuale quali l'archiviazione o la sentenza, ma anche l'avviso di chiusura delle indagini, ossia un provvedimento per forza di cose interlocutorio in relazione all'esercizio dell'azione penale, ma che rappresenta, quale sintesi logico dell'esito delle indagini, un “passaggio” che il legislatore ha ritenuto dover essere condiviso dal giudice civile.

La previsione della trasmissione dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p. induce a ritenere sul piano logico che analoga trasmissione dovrà essere disposta non solo — almeno — per la sentenza definitiva, quanto anche quella emessa in primo grado (considerati anche i tempi verosimilmente non brevi dei successivi gradi di giudizio).

Se tutto è così chiaro, dove si annida, allora il problema in questo settore? Si tratta, in concreto, di un problema di circolazione delle informazioni. Circolazione che è tanto doverosa quanto potenzialmente onerosa sul piano organizzativo generale. La Procura della Repubblica, in base alla norma sopra richiamata, sa quali provvedimenti inviare, in quale momento e per quali tipologie astratte di procedure. Di queste ultime, nondimeno, non è a conoscenza, se non casualmente. Non esiste, allo stato, un registro informatico per gli uffici requirenti che consenta — con facilità e rapidità — di individuare le procedure elencate dall'art. 64-bis citato effettivamente pendenti.

Indubbiamente, un problema che può essere risolto ogni qual volta la parte privata (il difensore, ma anche la stessa persona offesa di reati) segnali la procedura avanti al Tribunale ordinario rispetto alla quale la trasmissione si impone. Altrettanto indubbiamente, il P.M. può disporre la trasmissione su specifica richiesta/segnalazione del Tribunale, a sua volta sollecitato dalle parti.

Nondimeno, la piena funzionalità del sistema non può dipendere in via esclusiva dalla diligenza delle parti private (che pure è assolutamente utile) e non può fondarsi esclusivamente su una prassi espressiva di una piena e fattiva collaborazione tra il Tribunale civile e la Procura della Repubblica. Quello che è certo è che il coordinamento avviene in moltissime realtà su base volontaristica o, al più su segnalazione (dei difensori), senza che sia possibile un'attività di accertamento preliminare rapida ed efficace da effettuare ogni qual volta sia disposta iscrizione di un procedimento penale rientrante nelle categorie contemplate dall'art. 64-bis menzionato.

In questa prospettiva, sul piano organizzativo, una maggiore osmosi tra le valutazioni del Tribunale e le indagini della Procura potrebbe determinare quella che in campo economico viene chiamata economia di scala, ossia il fenomeno di riduzione dei costi e dell'aumento dell'efficienza legato ad un maggiore volume di produzione. Le strada per arrivare a questa soluzione potrebbe passare attraverso la diffusione di protocolli operativi formalizzati tra Procura e Tribunale su tempi e modalità di trasmissione degli atti; una scelta che, nondimeno, potrebbe rappresentare un progresso significativo ma insufficiente, laddove si considerino concretamente i numeri con i quali il Tribunale e la Procura (come gli stessi uffici minorili) si devono confrontare, quotidianamente e urgentemente. In termini ancora più efficaci, si potrebbe in alternativa (o in aggiunta) creare un sistema di comunicazioni tra gli uffici interessati, completo e in tempo reale, compatibile — evidentemente con le esigenze di riservatezza e segretezza connaturate al settore.

Esigenze del tutto analoghe — e per certi aspetti ancora più stringenti — si pongono nel rapporto tra la Procura della Repubblica e gli uffici minorili. In realtà tutti gli uffici dovrebbero costituire una rete virtuosa in grado di interagire costantemente, al fine di ottimizzare gli investimenti in termini investigativi, le acquisizioni documentali e le stesse valutazioni tecniche che con molta frequenza sono disposte nelle vicende in oggetto.

Il testo del decreto delegato approvato dal Governo in sede preliminare è intervenuto sul testo dell'art. 64-bis disp att. c.p.p., con l'art. 6, che ha modificato la rubrica dell'articolo da «Trasmissione obbligatoria di provvedimenti al giudice civile» a «Comunicazioni e trasmissione di atti al giudice civile». Una disposizione destinata ad essere applicata (in base all'art. 36 del decreto attuativo) ai procedimenti iscritti successivamente al 30 giugno 2023.

In base al nuovo testo, il comma prima del menzionato articolo è il seguente: «Quando procede per reati commessi in danno del coniuge, del convivente o di persona legata da una relazione affettiva, anche ove cessata, e risulta la pendenza di procedimenti relativi alla separazione personale dei coniugi, allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, allo scioglimento dell'unione civile o alla responsabilità genitoriale, il pubblico ministero ne dà notizia senza ritardo al giudice che procede, salvo che gli atti siano coperti dal segreto di cui all'articolo 329 c.p.p. Allo stesso modo provvede quando procede per reati commessi in danno di minori dai genitori, da altri familiari o da persone comunque con loro conviventi, nonché dalla persona legata al genitore da una relazione affettiva, anche ove cessata, ed è pendente procedimento relativo alla responsabilità genitoriale, al suo esercizio e al mantenimento del minore».

Purtroppo, il nuovo testo — che apparentemente ribalta la prospettiva di intervento descritta da quello originario, concentrando l'attenzione sull'attività del P.M. rispetto alle esigenze funzionali alla decisione civile — non risolve il problema fondamentale, di natura organizzativa, sopra evidenziato. I procedimenti dei quali dovrebbe “risultare” la pendenza al P.M. — nella prima ipotesi — o che parrebbero di per sé conosciuti nella seconda in realtà imporranno la trasmissione degli atti solo a fronte di volontaristiche e/o casuali forme di “comunicazione” delle predette pendenze. Un vulnus del sistema che non si è ritenuto di sanare.

È stato, inoltre, aggiunto un secondo comma, che recita «Nei casi di cui al comma 1, il pubblico ministero trasmette al giudice civile o al tribunale per i minorenni che procede copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, nonché copia dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e degli atti di indagine non coperti dal segreto di cui all'articolo 329 c.p.p. Allo stesso giudice è altresì trasmessa copia della sentenza che definisce il processo o del decreto di archiviazione, a cura della cancelleria».

Una disposizione che, nella sostanza, ribadisce quando già precisato dal pregresso testo, rispetto alla quale di devono rilevare due aspetti. Da un lato, è venuta meno un'indicazione tassativa di delitti, laddove i reati che impongono la trasmissione sono caratterizzati genericamente dell'essere stati posti in essere da determinati soggetti ad opera di soggetti altrettanto specificamente indicati. Il ruolo soggettivo e le finalità di tutela prevalgono, pertanto, sulla tipologia astratta di reato. In secondo luogo, rispetto all'elenco della norma originaria, sono inclusi espressamente anche gli atti di indagine non coperti dal segreto di cui all'art. 329 c.p.p., nell'evidente intenzione di porre a disposizione del Tribunale — ove possibile — anche gli atti sulla base dei quali si sono formati non solo le ordinanze cautelari e le decisioni; atti che, quindi, potranno essere direttamente apprezzati e rivalutati dall'organo giudicante.

La riforma e i procedimenti con violenza domestica

Le criticità di coordinamento sopra delineate sono state affrontate e in parte risolte nell'ambito della delega per la riforma del diritto di famiglia. In questo senso, l'art. 23 della l. 206/2021, per i procedimenti disciplinati dal nuovo titolo IV-bis del libro II del codice di procedura civile — rubricato «Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie» — aveva previsto, in presenza di allegazioni di violenza domestica o di genere che fossero assicurate:

  • su richiesta, adeguate misure di salvaguardia e protezione, avvalendosi delle misure di cui all'articolo 342-bis c.c.;
  • l'abbreviazione dei termini processuali;
  • specifiche disposizioni processuali e sostanziali per evitare la vittimizzazione secondaria.
  • le necessarie modalità di coordinamento con altre autorità giudiziarie, anche inquirenti.

Il coordinamento è entrato, dunque, tra i principi generali della riforma.

Al riguardo, come previsto dall'art. 473-bis.42, con il decreto di fissazione dell'udienza, il giudice chiede al pubblico ministero e alle altre autorità competenti informazioni circa l'esistenza di eventuali procedimenti relativi agli abusi e alle violenze allegate, definiti o pendenti, e la trasmissione dei relativi atti non coperti dal segreto di cui all'articolo 329 c.p.p. Il pubblico ministero e le altre autorità competenti provvedono entro quindici giorni a quanto richiesto.

Di grande rilievo, in questa prospettiva, la previsione della lettera f) del medesimo articolo, che prevedeva l'introduzione del giudizio con ricorso, redatto in modo sintetico, contenente una serie di elementi certamente funzionali, in termini diretti e indiretti, al coordinamento tra le varie prospettive, civile e penali. Una indicazione che è stata recepita nel testo di attuazione della delega all'art. 473-bis.12 (Forma della domanda), in base al quale la domanda si propone con ricorso che contiene, tra l'altro, la «chiara e sintetica esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda si fonda, con le relative conclusioni», la «indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione...» e che soprattutto «deve altresì indicare l'esistenza di altri procedimenti aventi a oggetto, in tutto o in parte, le medesime domande o domande ad esse connesse. Ad esso è allegata copia di eventuali provvedimenti, anche provvisori, già adottati in tali procedimenti». Una formula la cui finalità è di tutta evidenza, anche se, verosimilmente, una maggiore precisione sul concetto di “connessione” sarebbe stata opportuna.

Tutto bene, tutto chiaro, dunque? Verosimilmente, no. La riforma propone soluzioni ad alcuni problemi creandone altri, di non minore complessità.

Mediazione familiare: quali criticità del sistema?

Di grande rilievo deve essere considerata la previsione per la quale il giudice, con il decreto di fissazione della prima udienza, deve informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare.

Il testo del decreto delegato approvato dal Governo in sede preliminare, all'art. 473-bis.10 (Mediazione familiare) stabiliva: « ;Il giudice può, in ogni momento, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore, da loro scelto tra le persone iscritte nell'elenco formato a norma delle disposizioni di attuazione del presente codice, per ricevere informazioni circa le finalità, i contenuti e le modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo. Qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 473-bis.22 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli».

L'attuazione delle delega prevede una sezione I del capo I dedicata specificamente alla violenza domestica o di genere; in particolare l'art. 473-bis.40 (Ambito di applicazione) stabilisce che le disposizioni di tale sezione si applicano nei procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell'altra o dei figli minori.

Il punto che impone una particolare attenzione riguarda le ipotesi di esclusione in concreto della mediazione familiare. La legge 26 novembre 2021, n. 206 ha stabilito, all'articolo 1, comma 23, lettera f) che con il decreto di fissazione della prima udienza il giudice deve «informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare, con esclusione dei casi in cui una delle parti sia stata destinataria di condanna anche non definitiva o di emissione dei provvedimenti cautelari civili o penali per fatti di reato previsti dagli articoli 33 e seguenti della Convenzione del Consiglio di Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, di cui alla legge 27 giugno 2013, n. 77».

Come rilevato nel Parere della 2a commissione permanente del Senato l'art. 473-bis.42 dello schema di d.lgs. 28 luglio 2022 stabilisce che «Quando nei confronti di una delle parti è stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche in primo grado, o comunque è pendente un procedimento penale per abusi o violenze, il decreto di fissazione dell'udienza non contiene l'invito a rivolgersi ad un mediatore familiare.… »; mentre la legge - delega aveva previsto la decadenza del dovere informativo del giudice all'esistenza di almeno un provvedimento (non necessariamente una sentenza), il decreto attuativo della delega, aveva stabilito che il dovere informativo del giudice sarebbe dovuto venir meno pur in assenza di un provvedimento, bastando la pendenza di un procedimento; ciò, oltre a costituire un limite alla Mediazione familiare, avrebbe- secondo la Commissione- violato i termini del mandato conferito al Governo ex art. 76 Cost.

Conseguentemente la versione approvata della norma prevede – all'art. 473-bis.42 (Procedimento), che «Quando nei confronti di una delle parti è stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche non definitiva, o provvedimento cautelare civile o penale ovvero penda procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all'articolo 415-bis c.p.p. per abusi o violenze, il decreto di fissazione dell'udienza non contiene l'invito a rivolgersi ad un mediatore familiare.

La versione approvata dell'art. 473-bis.43 (Mediazione familiare) stabilisce che «È fatto divieto di iniziare il percorso di mediazione familiare quando è stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche in primo grado, ovvero è pendente un procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all'articolo 415-bis c.p.p. per le condotte di cui all'articolo 473-bis.40, nonché quando tali condotte sono allegate o comunque emergono in corso di causa. Il mediatore interrompe immediatamente il percorso di mediazione familiare intrapreso, se nel corso di esso emerge notizia di abusi o violenze».

Inoltre, ove le parti compaiano per l'istruttoria, il giudice si astiene dal procedere al tentativo di conciliazione e dall'invitarle a rivolgersi ad un mediatore familiare; il giudice può comunque disporre l'invito alla mediazione o tentare la conciliazione, solo ove, nel corso del giudizio ravvisi l'insussistenza delle condotte allegate.

Il meccanismo della mediazione familiare è uno di quelli che improntano con maggiore intensità e ampiezza l'intera riforma. Senza potere entrare nella presente sede nella disamica delle argomentazioni che rendono condivisibile tale scelta, l'esclusione della procedura di mediazione a fronte non solo di condanne non definitive o di provvedimenti cautelari civili o penali per fatti di reato ricompresi nell'ambito sopra indicato, quanto anche nel caso in cui condotte di violenza siano “allegate o emergano dai fatti di causa” si è ritenuto che potrebbe rappresentare un “irrigidimento” del sistema tale da portare — sul piano della tutela globale degli interessi dei minori e degli stessi genitori — a risultati non ottimali.

Il problema non è semplice e merita alcune brevi, apparentemente contradditorie quanto necessarie, osservazioni, in quanto si tratta, ancora una volta, (anche) di un problema di coordinamento, riconducibile in qualche modo al menzionato art. 64-bis disp. att. c.p.p.

Si tratta di considerare la compatibilità del sistema nazionale — per come è ora e per come si intende modificarlo — dei principi affermati nell'art. 48 della convenzione di Istanbul; indubbiamente l'adozione dell'ordine di protezione o di un avviso di chiusura indagini prevede l'esclusione assoluta di un percorso di mediazione per il soggetto violento o abusante/maltrattante.

Nondimeno, non si può aprioristicamente negare la necessità di trovare il modo di conciliare le esigenze di tutela dei soggetti che devono essere considerati vittime (dirette o indirette) di condotte di violenza domestica con la salvaguardia degli interessi dei minori a mantenere per quanto possibile un rapporto con entrambi i genitori. La soluzione prevista dal legislatore impedisce in tutti i casi la strada della mediazione per vicende – anche pendenti in sede penale - per le quali non sia stato ancora emesso l'avviso di chiusura indagini? Si apre uno spazio per la valutazione delle “allegazioni”? E, in caso positivo, in che termini?

Ha un senso, in questa prospettiva – come è stata ipotizzato - distinguere la violenza sistematica o quantomeno non occasionale da quella occasionale/episodica, non tale da rappresentare un elemento di definita cesura nell'ambito dei rapporti genitoriali? È possibile conciliare la tutela accordata ai soggetti vittima di abuso o violenza — valutando la non abitualità della violenza — con il ricorso a un organismo di mediazione familiare o comunque adottando misure di tutela di natura temporanea tali da non escludere, nei casi di violenza episodica, il reinserimento dell'autore delle condotte nel nucleo familiare? Un'opzione che alla luce delle soluzioni proposte dall'attuazione delle delega appare altamente problematica, anche se l'”area” grigia delle allegazioni di parte- non ancora oggetto di valutazione specifica dell'autorità giudiziaria penale e civile - deve essere delineata con attenzione.

In estrema sintesi: sarà sufficiente riferire genericamente in sede civile la sussistenza di una condotta violenta (magari neppure oggetto di denuncia in sede penale) per escludere la prospettiva della mediazione? E se ciò non sarà sufficiente, con quali strumenti il giudice civile potrà ovviare a tale carenza in modo efficace e tempestivo?

Natura e ruolo delle allegazioni

Come abbiamo visto, la delega prevede che in presenza di allegazioni di violenza domestica o di genere siano assicurate:

  • su richiesta, adeguate misure di salvaguardia e protezione, avvalendosi delle misure di cui all'articolo 342-bis c.c.;
  • le necessarie modalità di coordinamento con altre autorità giudiziarie, anche inquirenti;
  • l'abbreviazione dei termini processuali;
  • specifiche disposizioni processuali e sostanziali per evitare la vittimizzazione secondaria.

Nel caso in cui sia già in corso o sopravvenga un'indagine che evidenzi fatti penalmente rilevanti, si rende necessaria una forma di rapido coordinamento tra le attività del Tribunale civile con il “contesto” penale attraverso gli strumenti delineati dell'art. 64-bis citato ed espressamente previsti nella delega. Certamente il giudice civile non potrà essere vincolato agli esiti delle indagini o del processo penale, anche se, nondimeno, dei fatti accertati in quella sede potrà e forse dovrà tenere conto nel suo globale processo di valutazione. Sul punto, anche recentemente la S.C. ha precisato che il giudice civile: «accerta autonomamente i fatti con pienezza di cognizione, sottoponendoli al proprio vaglio critico, senza essere vincolato dalle soluzioni e dalle qualificazioni adottate dal giudice penale» (Cass. civ., sez. I, 19 maggio 2020, n. 9143).

La parti dovranno, in tali casi, doverosamente indicare i «procedimenti penali in cui una delle parti o il minorenne sia persona offesa» e depositare i provvedimenti adottati in tali procedimenti. Situazioni tutte per le quali non è possibile percorrere la strada della mediazione familiare, a fronte dell'emissione di “provvedimenti” dell'a.g. In generale, tuttavia, dovrà essere fornita «l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni». Tra questi fatti, potrebbero esserci condotte penali non ancora portate autonomamente a conoscenza della a.g. o portate a conoscenza ma non ancora oggetto di una verifica.

L'attenzione del commentatore si deve, allora, concentrare su alcuni specifici aspetti:

  • cosa debba intendersi per allegazioni (in assenza di autonomi atti penali);
  • quali le conseguenze procedurali di una non corretta e completa allegazione;
  • con quali strumenti e forme, con quali garanzie per le parti e con quale tempistica il giudice dovrà e potrà fornire una risposta alle questioni penali “incidentali” che saranno oggetto di allegazione, a prescindere dagli esiti dei procedimenti penali (avviati su istanza di parte o oggetto di comunicazione dello stesso giudice adito all'autorità requirente);
  • in che termini potrà porsi una necessità di coordinamento tra tali esiti e le valutazioni in sede civile.

In base alle risposte che il sistema (inteso non solo come espressione di un dato normativo/formale, ma in termini di concreta applicazione delle stesse, ossia di diritto vivente) saprà dare a queste domande sarà verosimilmente possibile riconoscere il grado di efficacia della tutela che il sistema stesso sarà in grado di fornire.

Sul tema del coordinamento, si è correttamente osservato che « ;sembra... conclusivamente preferibile ritenere che la quantificazione dell'incidenza/rilevanza degli esiti dei giudizi penali aventi per oggetto fatti di violenza domestica o di genere, vada risolta con la previsione di un sistema istituzionale di comunicazione tra giudice penale e giudice civile, valorizzando tuttavia il dovere di informazione delle parti riconducibile al più ampio dovere di leale collaborazione, nonché l'autonomia dell'accertamento pieno del giudice civile e del suo vaglio critico. Non vi sarà dunque un automatico allineamento dei provvedimenti del giudice della famiglia alle risultanze penali, ma l'esito del vaglio del giudice penale, fornirà certamente al giudice civile, indicazioni utili e a volte preziose in ordine alla situazione della famiglia» (M.G. Albiero, I fatti di violenza e il processo, in C. Cecchella, La riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie, Torino, 2022, 365).

Una scelta di “autonomia” tra due settori che deve, nondimeno, per quanto possibile non portare a decisioni non sintoniche o addirittura contrastanti. Inutile dire che al fine di raggiungere tale risultato il semplice coordinamento tra organi civili e penali può non rivelarsi sufficiente. Come detto, si tratta di comprendere cosa debba intendersi per allegazioni, atteso che sulla base delle stesse il giudice potrà/dovrà disporre adeguate misure di salvaguardia e protezione, avvalendosi delle misure di cui all'articolo 342-bis c.c. Occorre partire da un dato sociologico, frutto di una osservazione della realtà giudiziaria: nei procedimenti di separazione, divorzio e affidamento di figli sono frequentemente descritte condotte riconducibili al concetto di violenza domestica, che, in alcuni casi, possono essere in tutto o in parte frutto di una “forzatura” funzionale a ottenere un provvedimento a sé favorevole. Per tale ragione, la tutela deve necessariamente passare attraverso un — seppure rapido e sintetico — vaglio critico sull'attendibilità e fondatezza di quanto dichiarato.

Non a caso, proprio nei procedimenti in materia di persone, minori e famiglie, quando vi siano allegazioni relative a fatti di violenza domestica o di genere è stata prevista, oltre all'adozione di adeguate misure di salvaguardia e protezione, avvalendosi di misure di cui all'art. 342-bis c.c. «l'abbreviazione dei termini processuali nonché specifiche disposizioni processuali e sostanziali per evitare la vittimizzazione secondaria». Se si considerano le conseguenze — anche solo temporanee — sul rapporto genitoriale degli ordini di protezione, emerge la rilevanza e la delicatezza delle valutazioni in oggetto.

Il chiarimento del concetto di allegazione è, in questa prospettiva, fondamentale, in quanto in assenza di un dato normativo più preciso, l'interprete può spaziare da allegazione qualificate (già oggetto di autonomo accertamento penale, definitivo o in itinere) alle semplici segnalazioni non autonomamente denunciate in sede penale, che a loro volte potrebbero essere più o meno “supportate” da elementi di conferma.

Questa seconda possibilità, in particolare, pone in termini di assoluta rilevanza le modalità con le quali il giudice civile potrà tenere contro di queste allegazioni “generiche” o non qualificate, che potrebbero entrare nel processo valutativo finalizzato (anche) all'applicazione di ordini di protezione. In quest'ottica, il sistema dovrebbe garantire — compatibilmente con una tempistica necessariamente stringente, considerato che le scelte del Tribunale — anche se interlocutorie — possono comunque condizionare lo sviluppo del rapporto genitoriale.

Tali provvedimenti, adottati inudita altera parte (salvo conferma, modifica o revoca con presenza successiva alla convocazione delle parti) consentono un'informalità funzionale alle ragioni di urgenza imposte dalla situazione del nucleo familiare, fermo restando il problema di fondo — già sopra evidenziato — relativo alla preclusione — nella fasi successivi della vicenda — del ricorso alle mediazione familiare nei casi di accertata violenza domestica, senza la previsione di un possibile filtro finalizzato a distinguere in relazione alle situazioni di violenza occasionale da quelle di violenza sistematica.

Ovviamente, le decisioni del Tribunale dovranno coniugare una tutela dei minori e del genitore oggetto di violenza domestica considerando anche i rischi di vittimizzazione secondaria che tali soggetti potrebbero correre. Un equilibrio difficile, considerando non solo la possibilità di allegazioni strumentali e infondate, quanto anche di cogliere l'esatta portata di condotte qualificate come oppositive nei confronti dell'altro genitore — normalmente il padre, autore di violenza domestica — non corredate da un'analisi concreta e attendibile delle ragioni di tale atteggiamento.

Sul piano procedurale occorre considerare le criticità nelle quale il difensore potrebbe incorrere a fronte di allegazioni tardive, incomplete o addirittura omesse — in relazione ai profili sopra evidenziati. In questo senso — senza entrare nella presente sede nel dettaglio — rispetto alla scansione stabilita dal codice di procedura civile con riguardo all'allegazione probatoria (ricorso, memorie, comparsa di costituzione sino al deposito memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.) sono disciplinate una serie di nullità e di preclusioni che potrebbero gravemente compromettere l'interesse della parte, specie ove si consideri l'inderogabilità del regime delle allegazioni, atteso che processo civile di cognizione si fonda su preclusioni rigide, che non possono essere modificate su accordo delle parti, nemmeno con il consenso del giudice.

L'attuazione della delega: violenza di genere e attività istruttoria

Ferma restando la difficoltà di individuare con precisione il concetto di “allegazione”, la delega è stata attuata conferendo all'organo giudicante una serie di attività istruttorie ampie, elastica e articolata. Una valutazione di grande rilievo, ove si consideri che ai sensi dell'art. 473-bis.46 (Provvedimenti del giudice) «Quando all'esito dell'istruzione, anche sommaria, ravvisa la fondatezza delle allegazioni, il giudice adotta i provvedimenti più idonei a tutelare la vittima e il minore, tra cui quelli previsti dall'articolo 473-bis.70» (per i quali si rinvia a 4.4)

In questo senso l'art. 473-bis.44 (Attività istruttoria) prevede per il giudice la facoltà:

  • di procedere all'interrogatorio libero delle parti sui fatti allegati, avvalendosi se necessario di esperti o di altri ausiliari dotati di competenze specifiche in materia;
  • di assumere sommarie informazioni da persone informate dei fatti;
  • di disporre d'ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli;
  • di acquisire atti e documenti presso gli uffici pubblici;
  • di acquisire rapporti d'intervento e relazioni di servizio redatti dalle forze dell'ordine, se non sono relativi ad attività d'indagine coperta da segreto;
  • di disporre nomina un consulente tecnico d'ufficio, scelto tra quelli dotati di competenza in materia di violenza domestica e di genere e/o indagini a cura dei servizi sociali, indicando nel provvedimento la presenza di allegazioni di abusi o violenze, gli accertamenti da compiere e gli accorgimenti necessari a tutelare la vittima.

Poteri assolutamente ampi, assimilabili, per molti aspetti, a quelli di un organo requirente. Si è espressamente previsto che, al fine di accertare le condotte allegate, il giudice può disporre mezzi di prova anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria.

Resta da comprendere non solo come tale attività istruttoria potrà essere svolte in sintonia con le attività investigative della Procura (nonché degli uffici minorili) coniugando tempestività, completezza, accuratezza e tutela delle persone offese, ma anche come potrà avvenire - in termini globali - la “circolazione della prova”, per assicurare valutazioni, se non omogenee, almeno non distoniche, al fine di garantire un «risparmio» per il sistema e di evitare o almeno ridurre forme di vittimizzazione secondaria. Una scommessa decisiva, per vincere la quale non sarà sufficiente un'attenta e puntale interpretazione delle nuove disposizioni quanto anche un efficace impegno per garantire il coordinamento tra le attività degli uffici giudiziari.

La riforma è intervenuta sulla definizione dell'attività dei CTU, precisando che gli stessi devono attenersi ai protocolli e alle metodologie riconosciute dalla comunità scientifica, senza effettuare valutazioni su caratteristiche e profili estranei agli stessi E' stata, inoltre, prevista l'istituzione, nell'ambito dell'albo dei consulenti tecnici d'ufficio, di una specifica categoria dedicata alla neuropsichiatria infantile e alla psicologia dell'età evolutiva, con l'introduzione di specifici requisiti di competenza necessari per l'iscrizione nella predetta sezione. Il legislatore ha percepito il rischio che «da parte dell'autorità giudiziaria vi sia un recepimento acritico o delle conclusioni del CTU e delle informazioni date dai servizi sociali all'esito del monitoraggio eseguito sul nucleo familiare e dunque sulla condizione del minore, sulla relazione figlio/figlia-genitore, sul contesto familiare/sociale, in cui il minore è inserito» (M.G. Albiero, op.cit., 237) e hacercato di recuperare un ruolo decisionale pieno ed effettivo per il Tribunale , delimitando i poteri e il ruolo dei servizi come dei consulenti attraverso l'indicazione puntuale ed entrambi degli accertamenti da eseguire.

In effetti, tali categorie di soggetti possono svolgere un ruolo fondamentale per fare emergere le condotte violente e le conseguenze delle stesse su coloro che direttamente o indirettamente le hanno subite, formulando, nel caso dei CTU valutazioni sulle relazioni all'interno di un nucleo familiare. Non solo: questi ultimi possono essere chiamati anche a valutazioni sull'accertamento della idoneità genitoriale, indubbiamente non vincolanti per l'organo giudicante ma che, di fatto, possono fortemente condizionare le scelte in ordine alla collocazione maggiormente rispondente all'interesse del minore.

Per questa ragione, assume un rilievo centrale non solo l'individuazione su base oggettiva dei criteri utilizzati, quanto anche l'indicazione di natura e modalità degli accertamenti delegati e degli “spazi” valutativi che gli stessi sono autorizzati a percorrere, per evitare – tra l'altro – che siano formulati anche giudizi generali concernenti la personalità dei genitori.

In conclusione

La riforma del diritto di famiglia ha previsto un rafforzamento degli strumenti di coordinamento tra le attività degli uffici giudiziari in relazione alla tutela dei soggetti vittima- diretta o indiretta- di violenza domestica, intervenendo sul testo dell'art. 64-bis disp. att. c.p.p.

Il d.lgs. 149/2022 in concreto esclude la possibilità di fare ricorso alla mediazione a fronte di situazioni di violenza di genere, ma resta da valutare sulla base di quali elementi la semplice allegazione di una violenza possa impedire di fatto tale possibilità.

La riforma ha attribuito al giudice civile poteri istruttori per molti versi assimilabili a quelli riconosciuti all'a.g. in sede penale, ferma restando la necessità di una ricerca di sinergia nella ricerca nella prova e nella valutazione della stessa.

Riferimenti
  • M.G. Albiero, I fatti di violenza e il processo, in C. Cecchella, La riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie, Torino, 2022, 365;
  • C. Parodi, G. Spadaro, S. Stefanelli (a cura di), Il diritto della criticità familiari. Prospettive penali, civili e minorili, Milano, 2022;
  • P. Di Nicola Travaglini - F. Menditto, Codice Rosso. Il contrasto alla violenza di genere: dalle fonti sovranazionali agli strumenti applicativi, Milano, 2020.

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