Norma anti “rave”: come il superfluo può diventare dannoso

21 Dicembre 2022

Con il presente contributo si prende in esame la norma anti “rave”, introdotta dall'art. 5 del d.l. n. 162/2022, attualmente all'esame del Parlamento per la conversione in legge.
Il peccato originale da cui nasce la norma anti “rave”

La norma anti “rave”, introdotta dall'art. 5 del d.l. n. 162/2022, attualmente all'esame del Parlamento per la conversione in legge, sconta un peccato originale: quello costituito dal diffuso, quanto erroneo, convincimento che, in mancanza di essa, non sarebbe stato possibile perseguire penalmente il fenomeno dei c.d. “rave parties”, mancando un'apposita figura di reato. In realtà, se è vero che tale fenomeno non era specificamente previsto da alcuna norma penale, è però altrettanto vero che esso sarebbe stato facilmente inquadrabile nella ipotesi di reato di cui al già vigente art. 633 c.p. Questo, infatti, già prevedeva (e prevede) come reato l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne profitto, stabilendo, nel caso che essa sia posta in essere da più di cinque persone, la procedibilità d'ufficio e l'applicabilità della pena della reclusione da due a quattro anni, oltre che di una multa. Ed è appena il caso di ricordare che per “profitto”, in questo come in tutti gli altri reati contro il patrimonio in cui esso viene indicato come finalità propria dell'azione criminosa, è da intendersi , secondo un consolidato e mai contraddetto insegnamento giurisprudenziale, una qualsiasi utilità che l'agente intenda perseguire, anche quando essa non sia di natura economica o patrimoniale; ragion per cui nulla avrebbe impedito di riconoscere il fine di profitto anche nel caso in cui lo scopo dell'invasione dei terreni o degli edifici fosse stato quello di utilizzarli per tenervi dei “rave parties” o un qualunque altro genere di attività, pur in assenza di qualsivoglia finalità di lucro.

Misteriose rimangono le ragioni per le quali della norma in questione, per quanto è dato sapere, non si sia fatta applicazione in occasione dei vari “rave parties” avvenuti nel corso degli anni in Italia, tra cui quello, particolarmente devastante (come a suo tempo ampiamente illustrato dalle cronache), tenutosi nel comune di Valentano a ferragosto dell'anno scorso. Sarebbe stato forse opportuno che si ricercassero, nelle sedi competenti, le cause di una tale inerzia e vi si ponesse rimedio, chiamando anche a risponderne quanti, a qualsiasi livello, se ne fossero resi responsabili. Si è invece preferito, forse per esigenze di “immagine”, creare una nuova norma, in dissonanza rispetto al noto, aureo principio risalente a Guglielmo di Occam (XIV secolo) secondo cui entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.

Dal 434-bis al 633-bis c.p. per un vano sospetto di costituzionalità

La nuova norma appositamente concepita per contrastare il fenomeno dei “rave parties” è stata, originariamente, quella costituita dall'art. 434-bis c.p., introdotto dal già citato art 5 del d.l. n. 162/2022. Ad esso, secondo l'emendamento proposto dal Governo ed approvato, in prima lettura, dal Senato, si vorrebbe ora sostituire un art. 633-bis c.p. L'uno e l'altro sono comunque basati sul medesimo presupposto del vigente art. 633, e cioè che venga posta in essere una “invasione arbitraria” di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, caratterizzata però, in più, dalla presenza di una particolare finalità che, nell'art. 434-bis c.p., era quella di realizzare “raduni pericolosi per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica”, esigendosi tuttavia, per la configurabilità del reato, anche la presenza della condizione costituita dalla commissione del fatto ad opera di più di cinquanta persone. Nel progettato art. 633-bis c.p. la finalità dovrebbe essere invece quella, più circoscritta, di realizzare “un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento”, ed il reato dovrebbe sussistere solo “quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa della inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi”. Non è più richiesto, però, che l'invasione sia posta in essere da più di cinquanta persone. Con la detta formulazione si è inteso soprattutto tacitare le obiezioni di quanti sostenevano che quella dell'art. 434-bis c.p. sarebbe stata troppo generica e tale, quindi, da dar luogo alla possibilità che la norma venisse applicata, in violazione del diritto di riunione garantito dall'art. 17 Cost., anche ad ogni genere di manifestazioni in luoghi pubblici. Si tratta, però, di obiezioni che, a ben vedere, sarebbero state da considerare del tutto infondate. Essendo previsto, infatti, che il reato fosse configurabile solo a condizione che l'“invasione” fosse “arbitraria”, è evidente che tale condizione, nel caso di manifestazioni in luoghi pubblici, sarebbe mancata ogni qual volta fosse stato adempiuto all'obbligo del preavviso all'autorità, come previsto dal terzo comma del citato art. 17 e dall'art. 18 del T.U. di pubblica sicurezza.

Parimenti infondata sarebbe stata, inoltre, da considerare anche l'altra obiezione, da molti avanzata, secondo cui la nuova norma, nella sua originaria formulazione, avrebbe potuto trovare applicazione anche nel caso di occupazione di edifici scolastici da parte di studenti o di luoghi di lavoro da parte di lavoratori dipendenti. Anche in tali casi, infatti, essendo comunque necessaria l'arbitrarietà dell'invasione finalizzata all'occupazione, il reato, in assenza di tale condizione, non sarebbe stato configurabile mentre, in sua presenza, il fatto sarebbe già stato perseguibile penalmente ai sensi del primo e del secondo comma dell'art. 633 c.p. La nuova norma avrebbe quindi prodotto, come unica differenza, quella costituita dall'aumento della pena, che sarebbe passata, considerando soltanto l'ipotesi aggravata di cui al secondo comma, da quella della reclusione da due a quattro anni a quella della reclusione da tre a sei anni; e ciò sempre che sussistesse la condizione costituita dall'essere stato commesso il fatto non soltanto da più di cinque ma da più di cinquanta persone. Considerando, peraltro, che la suddetta maggior pena prevista dalla nuova norma, tanto nella sua originaria formulazione quanto in quella risultante dall'emendamento proposto dal Governo, sarebbe applicabile solo agli organizzatori o promotori dell' invasione arbitraria, ne deriva che, a conti fatti (e salvo errore), la durata della reclusione avrebbe superato soltanto di quattro mesi, nel minimo, e di otto mesi, nel massimo, quella alla quale sarebbero già oggi assoggettabili, nel caso previsto dal secondo comma dell'art. 633 c.p., gli stessi organizzatori o promotori , in forza della circostanza aggravante che per essi è stabilita dall'art. 112, comma primo, n. 2, c.p.

I danni della nuova formulazione della norma

Occorre tuttavia mettere in chiaro, a questo punto che le puntualizzazioni e specificazioni dalle quali è caratterizzato il testo proposto nell'emendamento governativo sono non soltanto inutili, ma anche dannose, rispetto all'obiettivo che si è inteso perseguire e cioè, in buona sostanza, un inasprimento della risposta penale al fenomeno dei “rave parties”. A dimostrazione di ciò va anzitutto osservato che, da una parte, il progettato art. 633-bis c.p., prevedendo che del reato debbano rispondere soltanto gli organizzatori e promotori dell'invasione arbitraria (laddove, nell'art. 434-bis c.p., ne dovrebbero rispondere anche i partecipi, pur beneficiando di una obbligatoria riduzione di pena), lascia chiaramente intendere che si vorrebbe, ragionevolmente, anticipare alla fase preparatoria, per evitare danni maggiori, il momento nel quale la condotta presa in considerazione raggiunge la soglia della rilevanza penale. Dall'altra parte, però, tale finalità appare contraddetta dalla previsione che, stando alla testuale formulazione della proposta (come dianzi riportata) la consumazione del reato richiederebbe non solo l'avvenuta effettuazione dell'invasione, ma anche l'avvenuta (e non già solo temuta) inosservanza delle norme attinenti le sostanze stupefacenti, la sicurezza e l'igiene degli spettacoli e delle pubbliche manifestazioni di intrattenimento. E non basta ancora, giacchè sarebbe, inoltre, necessaria anche l'ulteriore condizione (non data, evidentemente, per scontata), che dall'inosservanza fosse già derivato il “concreto pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica”. Evidente appare quindi l'arretramento della tutela penale rispetto a quanto previsto non solo dall'originario art. 434 bis, ma anche dal già vigente art. 633 c.p., secondo i quali, per la configurabilità dei reati da essi rispettivamente previsti, è necessario e sufficiente il solo fatto che un'invasione arbitraria vi sia stata e che i suoi autori siano stati mossi da determinate finalità, non richiedendosi affatto che queste siano state poi, in tutto o in parte, realizzate.

Secondariamente, la limitazione della configurabilità del reato alla sola ipotesi che l‘invasione sia finalizzata alla realizzazione di raduni musicali o di intrattenimento lascia fuori dalla specifica tutela penale che si è voluta apprestare (rimanendo peraltro applicabile, per le ragioni già illustrate, quella più generale, ma ridotta, già prevista dal vigente art. 633 c.p.), la pur possibile eventualità che l'invasione abbia fini diversi ma pur suscettibili di dar luogo alla lesione di valori costituzionalmente protetti, come, ad esempio, quello del buon costume, come potrebbe avvenire nel caso di raduni finalizzati alla celebrazione di riti orgiastici o satanisti, non necessariamente implicanti l'accompagnamento musicale o quel che comunemente viene definito come “intrattenimento” e neppure la violazione di norme in materia di stupefacenti, sicurezza o igiene degli spettacoli e intrattenimenti pubblici.

In terzo luogo, mentre non c'è dubbio che anche i semplici partecipanti all'invasione dovrebbero rispondere del reato, tanto ai sensi dell'art. 633 c.p. quanto ai sensi dell'art. 434-bis c.p. (sia pure, in questo secondo caso, come si è già accennato, con obbligatoria riduzione di pena), potrebbe invece ragionevolmente sostenersi, qualora passasse definitivamente la modifica proposta nell'emendamento governativo, che essi , oltre a non dover rispondere del reato di cui all'art. 633-bis c.p., in quanto ascrivibile ai soli organizzatori e promotori, non dovrebbero neppure rispondere (contrariamente a quanto prospettato nella relazione illustrativa della proposta in questione), di quello previsto dall'art. 633 c.p. Costituendo, infatti, l'art. 633 bis un'ipotesi autonoma di reato, caratterizzata dalla specifica finalità per la quale l'invasione viene posta in essere, la effettiva presenza di tale finalità, rendendo il fatto non riconducibile ad alcuna diversa ipotesi di reato, potrebbe dar luogo all' impunità di quanti lo abbiano commesso senza essere investiti del richiesto ruolo di organizzatori o promotori.

Considerazioni finali

Se quanto finora osservato ha un qualche fondamento, due sono allora, essenzialmente, le possibili conclusioni alle quali dovrebbe arrivarsi. La prima:rinunciare, puramente e semplicemente, ad introdurre innovazioni normative, ritenendosi sufficiente la già esistente figura di reato di cui all'art. 633 c.p., aggravata ai sensi del secondo comma (salvo, al limite, un eventuale inasprimento della pena) e contandosi sulla speranza che chi di dovere, qualora se ne ripresenti l'occasione, si accorga finalmente che essa ben può trovare applicazione (per le già illustrate ragioni) anche nel caso dei “rave parties” organizzati in terreni o edifici altrui, pubblici o privati, che siano stati oggetto di arbitraria invasione. La seconda: introdurre, invece, una qualche innovazione normativa (solo per soddisfare, agli occhi della pubblica opinione, la ritenuta esigenza di una specifica risposta penale al fenomeno in questione), ricorrendo, però, alla soluzione più semplice: quella, cioè, di prevedere non una nuova figura di reato ma soltanto un' ulteriore aggravante dell'art. 633 c.p., da inserire dopo quella già prevista nel secondo comma e la cui formulazione potrebbe essere, in ipotesi, la seguente: “Parimenti si procede d'ufficio e si applica la reclusione da tre a sei anni e la multa da euro 1.000 a euro 10.000 qualora il fatto sia commesso al fine di realizzare, promuovere o consentire, negli edifici o terreni invasi, riunioni di persone dalle quali, per il numero dei partecipanti o per la natura delle attività da essi poste in essere, derivino o sia ragionevolmente prevedibile che derivino pericoli per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la pubblica incolumità, il buon costume ovvero disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone. La condanna o l'applicazione della pena su richiesta comporta l'obbligo di confisca delle cose utilizzate o destinate ad essere utilizzare per commettere il reato, come pure del danaro o di ogni altra utilità che ne costituisca il profitto o il prezzo”. In base a tale formulazione il reato così aggravato sarebbe da ritenere consumato, analogamente a quanto già previsto nei precedenti commi dello stesso art. 633 c.p., con la sola realizzazione dell'arbitraria invasione, senza dover attendere la effettiva commissione di ulteriori illeciti per poter considerare sussistente la situazione di pericolo. Di esso dovrebbero inoltre rispondere, secondo la regola generale, tutti coloro che, a qualsiasi titolo, vi abbiano concorso, e non i soli organizzatori o promotori, a carico dei quali, peraltro, resterebbe ovviamente applicabile la specifica aggravante di cui al già ricordato art. 112, comma primo, n. 2 c.p. Non dovrebbe poi dar luogo a contrasto con norme costituzionali, con particolare riguardo a quella sul diritto di riunione, tutelato dall'art. 17, il fatto che si attribuisca rilevanza, oltre che ai pericoli per la pubblica sicurezza e la pubblica incolumità (in presenza dei quali lo stesso art. 17 ammette che le riunioni in luoghi pubblici possano essere vietate dall'autorità), anche al pericolo per l'ordine pubblico come pure a quello che si rechi disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, in violazione della specifica norma penale costituita dall'art. 659 c.p. Si è già detto, infatti, che basterebbe l'osservanza dell'obbligo di preavviso per rendere lecita la riunione (ferma restando, ovviamente, la perseguibilità dei reati che, in occasione di essa, venissero commessi) ed escludere, quindi, l'“arbitrarietà” dell'invasione dei luoghi pubblici destinati al suo svolgimento; con il che sarebbe automaticamente esclusa anche la configurabilità del reato. D'altra parte sarebbe, all'evidenza, contraddittorio invocare la tutela della Costituzione per l'esercizio di attività che siano state rese possibili mediante la commissione di illeciti penali.

Delle due soluzioni ora prospettate il già ricordato Guglielmo di Occam preferirebbe probabilmente la prima. Ma potrebbe forse apprezzare, se non altro per la sua semplicità, anche la seconda. Purtroppo, attesa la ristrettezza del tempo residuo per la definitiva conversione in legge del d.l. n. 162/22, appare ormai quasi certo, però, che sia destinata a prevalere una terza soluzione: quella, cioè, dell'introduzione, nell'ordinamento penale, del nuovo art. 633-bis, nel testo già approvato dal Senato. La suesposta illustrazione dei difetti e delle incongruenze dai quali esso appare afflitto potrà, quindi valere, forse, soltanto a futura memoria.

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