In linea di principio, nei giudizi dinanzi al giudice di pace la costituzione delle parti avviene con la massima libertà di forme e non è individuabile alcun meccanismo preclusivo in riferimento agli atti introduttivi, mentre le preclusioni, come si vedrà in prosieguo, sono essenzialmente collegate allo svolgimento della prima udienza davanti al giudice, ex art. 320 c.p.c.
In particolare, per quanto attiene alla fase introduttiva del giudizio, la domanda si propone con citazione a comparire a udienza fissa (con ricorso nei giudizi ex artt. 6 e 7 d.lgs. n. 150/2011), ma può essere proposta anche oralmente (art. 316 c.p.c.). In quest'ultimo caso, l'attore si presenta al giudice di pace (in giorni prestabiliti), esponendo i fatti: di tale esposizione il giudice fa redigere un verbale, che deve, poi, essere notificato, a cura dell'attore, al convenuto, con l'invito a comparire a udienza fissa (stabilita dal giudice); la pendenza della lite si ha, in tal caso, con la notifica del verbale. La mancata sottoscrizione da parte del cancelliere del processo verbale della domanda proposta oralmente non comporta l'inesistenza o la nullità dell'atto, ma una semplice irregolarità, non vertendosi in un'ipotesi di mancanza di un requisito di forma indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell'atto (vocatio in ius), una volta che questo sia stato conseguito con la notifica del verbale alla controparte (Cass. civ., 21 aprile 1998, n. 4033).
La facoltà dell'attore di proporre domanda davanti al giudice di pace verbalmente (comunque di rarissima applicazione) è prevista in tutte le cause di competenza del giudice stesso, e non solo in quelle di valore non eccedente € 1.100. Nelle cause eccedenti tale valore, tuttavia, la parte non ha la possibilità di stare in giudizio personalmente: pertanto, se il valore della causa è superiore ad € 1.100, sono valide la domanda proposta oralmente e la successiva notifica del verbale al convenuto effettuate dalla parte personalmente, mentre non è valida la costituzione personale dell'attore davanti al giudice di pace, attività da compiersi a mezzo del difensore (Cass. civ., 19 luglio 2001, n. 9844).
Poiché l'opposizione a decreto ingiuntivo è devoluta dall'art. 645 c.p.c., in via funzionale e inderogabile, alla cognizione del giudice che ha adottato il decreto, l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace, davanti al quale ai sensi dell'art. 316 c.p.c. la domanda si propone con citazione a comparire a udienza fissa, in materia esorbitante dalla sua competenza (ad es. locatizia, per il pagamento degli oneri accessori dell'immobile locato) deve essere proposta, per la dichiarazione della nullità del provvedimento monitorio, innanzi allo stesso giudice di pace con citazione e non mediante ricorso, previsto, in via generale, per la particolare materia trattata (art. 447-bis c.p.c.), la cui eventuale conversione in citazione, peraltro, è ammissibile, purché siano rispettati i termini per la notifica stabiliti dall'art. 641 c.p.c., e quindi con notificazione del ricorso stesso alla controparte nel termine di giorni quaranta (Cass. civ., 16 novembre 2007, n. 23813; Cass. civ., 30 dicembre 2011, n. 30193). Si è, altresì, rilevato che, nel caso di tempestiva opposizione orale in udienza dinanzi al giudice di pace, ai sensi dell'art. 316 c.p.c., l'omesso rispetto, da parte dell'ingiunto - opponente, del termine perentorio di cui all'art. 641 c.p.c. nell'assolvimento dell'obbligo di notifica all'ingiungente del verbale di udienza, dovuto ad ignoranza del relativo onere, non gli consente l'opposizione tardiva, ai sensi dell'art. 650 c.p.c., giacché l'ignoranza non configura né una causa di forza maggiore, da intendere come forza esterna ostativa in assoluto, né un caso fortuito, da intendere come fattore meramente oggettivo, avulso dalla volontà umana, non voluto, né prevedibile o comunque evitabile (Cass. civ., 19 dicembre 2000, n. 15959).
A differenza di quanto avviene per i giudizi dinanzi al tribunale, per i quali la parte che iscrive la causa a ruolo deve contestualmente costituirsi, nei giudizi dinanzi al giudice di pace, caratterizzati da semplificazione di forme, gli artt. 316, 319 c.p.c. e 56 disp. att. c.p.c. delineano un sistema in cui la costituzione in giudizio dell'attore può anche non coincidere con l'iscrizione della causa a ruolo ed essere, invece, formalizzata nella prima udienza di trattazione. Pertanto, il deposito del fascicolo di parte, con l'atto di citazione e gli altri documenti, effettuato in cancelleria contestualmente all'iscrizione a ruolo, deve intendersi finalizzato a tale iscrizione, e la citazione non può ritenersi nulla per carenza di procura, se quest'ultima sia depositata nella prima udienza di trattazione, in tal modo perfezionandosi la costituzione in giudizio (Cass. civ., 24 ottobre 2008, n. 25727; Cass. civ., 9 settembre 2002, n. 13069). Inoltre, potendo l'attore costituirsi direttamente in udienza, non opera il principio secondo cui, nell'opposizione a decreto ingiuntivo, la tardiva costituzione dell'opponente va equiparata alla sua mancata costituzione (Cass. civ., 26 febbraio 2002, n. 2830).
Di recente, le Sezioni Unite (sent. 12 gennaio 2022, n. 758) hanno esaminato due questioni inerenti al procedimento dinanzi al giudice di pace, l'una relativa alla necessità di presentare anche la nota d'iscrizione a ruolo ai fini della valida costituzione in giudizio della parte interessata e l'altra concernente la possibilità, per il convenuto, di costituirsi prima dell'attore e in pendenza del termine concesso a quest'ultimo per provvedere alla propria costituzione. In ordine alla prima questione, si è statuito che, per la costituzione delle parti nel procedimento davanti al giudice di pace, non sia necessaria la presentazione di una nota di iscrizione a ruolo, mancando un riferimento normativo alla stessa e considerato che il procedimento in esame è caratterizzato dal principio della “massima libertà delle forme”, sicché l'imposizione (in via interpretativa) di un adempimento formale, prescritto a pena di inammissibilità della domanda o della costituzione in giudizio o di improcedibilità, determinerebbe un contrasto sistematico; inoltre, proprio dall'art. 319 c.p.c., norma speciale rispetto all'art. 168 c.p.c., oltre che dall'art. 56 disp. att. c.p.c., si desume che la costituzione può essere eseguita anche durante l'udienza e innanzi al giudice stesso, anziché mediante deposito degli atti in cancelleria, il che manifesta la superfluità della nota ai fini della costituzione del fascicolo (attività che l'art. 36 disp. att. c.p.c. demanda, in ogni caso, al cancelliere). Sulla seconda questione, le Sezioni Unite hanno espressamente recepito l'univoco orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cass. civ., 26 aprile 2019, n. 11329) secondo cui il convenuto ha la facoltà di costituirsi e di far iscrivere a ruolo la controversia anche in pendenza del termine fissato all'attore per tale adempimento.
Allo stato, nei procedimenti innanzi al giudice di pace non è consentito il deposito degli atti in via telematica, né a mezzo pec, non essendo ancora intervenuta apposita normativa ministeriale (come dispone l'art. 16, comma 6, d.l. n. 179/2012) disciplinante tali profili. Pertanto, il deposito può avvenire esclusivamente in formato cartaceo (Cass. civ., 20 settembre 2020, n. 20575). Tuttavia, la recente riforma del processo civile di cui al d.lgs. n. 149/2022 (art. 35, comma 3) ha previsto che il processo civile telematico faccia il suo esordio avanti al giudice di pace a far data dal 30 giugno 2023, con applicazione anche ai procedimenti pendenti a tale data.
Come già detto, davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio senza il patrocinio di un difensore nelle cause di valore non superiore ad € 1.100 o se sono autorizzate dal giudice di pace (art. 82, comma 1 e 2, c.p.c.). Il diniego dell'autorizzazione alla parte a stare in giudizio di persona, al pari della sua concessione, non necessita di formule particolari ed è desumibile dallo svolgimento dell'attività processuale; l'autorizzazione può essere successiva all'instaurazione del giudizio e risultare anche implicitamente o per facta concludentia con efficacia sanante ex tunc del rapporto processuale, che, altrimenti, non è regolarmente costituito (Cass. civ., 10 marzo 2016, n. 4732). Di recente, si è ribadito che l'autorizzazione non esige il rigore formale della espressa scrittura, potendo risultare implicitamente dai verbali di causa e desumersi, in particolare, dalla circostanza che il giudice abbia provveduto su di una determinata istanza senza rilevarne l'avvenuta proposizione ad opera della parte personalmente (Cass. civ., 2 marzo 2018, n. 5013, secondo cui la violazione di tale ultima disposizione, che si realizza allorché la parte stia in giudizio senza che ne ricorrano i presupposti, genera comunque una nullità relativa, non rilevabile d'ufficio).
Inoltre, in deroga al principio di cui all'art. 77 c.p.c., le parti possono nominare un rappresentante processuale, ossia possono conferire ad un terzo il potere di rappresentarle in giudizio, di transigere e di conciliare la lite (Cass., S.U., 8 febbraio 2001, n. 48). In tal caso, non è richiesto che la scrittura privata di conferimento dell'incarico sia munita di autenticazione (Cass. civ., 21 aprile 2005, n. 8339).
La domanda deve contenere solo l'indicazione del giudice, delle parti e dell'oggetto, oltre all'esposizione dei fatti (art. 318, comma 1, c.p.c.). A differenza della domanda proposta dinanzi al tribunale, quindi, non è necessaria l'esposizione dei motivi di diritto, né l'indicazione delle prove: la Corte costituzionale, tuttavia, con sent. 22 aprile 1997, n. 110, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 318, comma 1, c.p.c. nella parte in cui non prevede che l'atto introduttivo debba contenere l'indicazione della scrittura privata che l'attore offre in comunicazione. Non è necessario predisporre i fascicoli di parte, in quanto gli atti e i documenti delle parti possono essere inseriti anche nel fascicolo d'ufficio (art. 320, comma 5, c.p.c.).
Secondo alcuni, la domanda deve contenere anche l'indicazione dei documenti prodotti, in base a quanto deciso da Corte cost. 214/1991, che ha dichiarato parzialmente illegittimo l'art. 313 c.p.c. originario (Besso, Luiso, Tarzia). Secondo altri, invece, anche se il novellato art. 318 c.p.c. riproduce il contenuto del precedente art. 313 c.p.c., è necessaria una nuova pronuncia di incostituzionalità da parte della Consulta (Dittrich, Garbagnati, Mandrioli).
In ogni caso, in ottemperanza al principio della massima semplificazione delle forme del giudizio dinanzi al giudice di pace, è possibile integrare i fatti già dedotti e allegare fatti nuovi entro i limiti temporali previsti dall'art. 320 c.p.c. Pertanto, l'atto di citazione deve ritenersi nullo solo nel caso in cui, per la mancata o incompleta esposizione dei fatti, non sia possibile l'instaurazione del contraddittorio (Cass. civ., 30 aprile 2005, n. 9025; Cass. civ., 13 aprile 2005, n. 7685).
Come la costante giurisprudenza conferma, non è prescritto in questo tipo di procedimento, tra gli elementi che l'atto introduttivo deve necessariamente contenere, l'avvertimento circa le conseguenze della costituzione tardiva del convenuto (art. 163, n. 7, c.p.c.), non operando le decadenze relative agli atti introduttivi (Cass. civ., 11 luglio 2003, n. 10909; Cass. civ., 2 giugno 1999, n. 5342).
I termini minimi di comparizione delle parti sono ridotti alla metà rispetto a quelli previsti dall'art. 163-bis c.p.c., ossia sono pari a 45 giorni, se la citazione va notificata in Italia, ed a 75 giorni, se va notificata all'estero (art. 318, comma 2, c.p.c.). L'assegnazione alla parte nell'atto di citazione di un termine a comparire inferiore a quello previsto dall'art. 318 produce la nullità della citazione ex art. 164, comma 1, c.p.c., che va rilevata d'ufficio dal giudice, a pena di nullità della sentenza (Cass. civ., 5 maggio 2009, n. 10307; Cass. civ., 12 aprile 2006, n. 8523; Cass. civ., 9 agosto 2005, n. 16752, secondo cui tale nullità non è sanata per effetto dell'integrazione del termine conseguente al rinvio d'ufficio dell'udienza di comparizione per non esservi udienza nel giorno fissato nell'atto di citazione). Nei procedimenti introdotti con ricorso, invece, l'erronea indicazione nell'atto introduttivo dell'ufficio giudiziario adìto non è causa di nullità, poiché il deposito dell'atto nella cancelleria e il decreto di fissazione dell'udienza di discussione escludono che il convenuto, cui ricorso e decreto sono notificati, possa essere incerto circa il giudice davanti al quale deve comparire, che va identificato necessariamente in quello dinanzi a cui la causa è stata così radicata (Cass. civ., 3 ottobre 2019, n. 24666, in relazione al procedimento di opposizione al decreto di espulsione ex artt. 702-bis c.p.c. e 18 d.lgs. n. 150/2011).
Se nel giorno fissato nella citazione il giudice non tiene udienza, la comparizione è rinviata automaticamente alla prima udienza successiva (art. 318, comma 3, c.p.c.), senza alcun obbligo di comunicazione da parte del cancelliere (Cass. civ., 14 novembre 2014, n. 24294).
Si ritiene che il rinvio operato all'art. 163-bis c.p.c. non sia limitato al comma 1, bensì esteso all'intero articolo, con la conseguente ammissibilità di una abbreviazione dei termini a comparire.
Poiché l'art. 319 c.p.c. consente alle parti di costituirsi in cancelleria o in udienza, garantendo loro libertà di forme, ben può il convenuto considerarsi esonerato dall'onere di presentare la comparsa di costituzione (Cass. civ., 29 marzo 2006, n. 7238).
In ogni caso, il convenuto che intenda chiamare in causa un terzo ha l'onere di costituirsi nel termine di rito e, a pena di decadenza, di farne esplicita richiesta nell'atto di costituzione, chiedendo, nel contempo, il differimento della prima udienza, a cui il predetto giudice deve dar luogo anche nel caso in cui lo stesso convenuto si costituisca direttamente alla prima udienzae si renda necessario provvedervi in base all'attività svolta dalle parti in tale udienza. Al di fuori di dette situazioni processuali al convenuto non è consentito di invocare la chiamata in causa di un terzo all'udienza successiva alla prima che eventualmente venga celebrata, ostandovi la struttura concentrata e tendenzialmente completa dell'udienza prevista dall'art. 320 c.p.c., tesa a compendiare le fasi di trattazione preliminare, istruttoria e conclusiva (Cass. civ., 30 marzo 2022, n. 10189; Cass. civ., 10 aprile 2008, n. 9350; Cass. civ., 5 agosto 2005, n. 16578). In senso contrario, Cass. civ., 5 marzo 2002, n. 3156 ha sostenuto che la previsione della decadenza dalla possibilità di chiamare in causa un terzo se il convenuto non ne manifesti l'intenzione nella comparsa di risposta, non si applica nel procedimento davanti al giudice di pace, trattandosi di decadenza ricollegabile in tale procedimento soltanto alla prima udienza e non ad un termine o difesa anteriore (cfr. anche Cass. civ., 7 luglio 2005, n. 14314).
Anche nell'opposizione a decreto ingiuntivo innanzi al giudice di pace, l'opponente che intenda chiamare un terzo in causa, avendo posizione di convenuto, deve farne richiesta nell'atto di opposizione, a pena di decadenza, non potendo formulare l'istanza direttamente in prima udienza (Cass. civ., 14 maggio 2014, n. 10610).
Infine, l'intervento ad adiuvandum è possibile fino all'udienza di precisazione delle conclusioni e subisce limiti e preclusioni fin dalle udienze (la prima ed eventualmente la seconda) previste dall'art. 320, comma 3 e 4, c.p.c., in relazione all'art. 268 comma 2 (Giudice di Pace Casamassima 23-11-2002, A. g. circ. 03, 130).