La riforma Cartabia amplia la messa alla prova ed introduce la proposta del pubblico ministero

Valeria Bove
23 Gennaio 2023

Con la riforma Cartabia penale cambia significativamente il sistema sanzionatorio: la pena, da repressiva e coercitiva, diventa sempre di più una possibilità per riparare, restituire, e cimentarsi in qualcosa che abbia una pubblica utilità. Nel nuovo sistema, inevitabile l'ampliamento di istituti già esistenti, alternativi alla pena e al processo, tra i quali la sospensione del procedimento con messa alla prova, che ha già dato prova di grande efficacia, e che oggi è applicabile ad ulteriori reati (gli stessi che, con la riforma, sono diventati procedibili con citazione diretta a giudizio) ed è proponibile anche dal pubblico ministero, con l'avviso di conclusione delle indagini preliminari.
La riforma Cartabia penale e il nuovo sistema sanzionatorio

Con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, entrato in vigore il 30 dicembre 2022 (dopo la proroga disposta con l'art. 99-bis, inserito dall'art. 6 del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 - c.d. decreto rave - convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2002, n. 199) è stata esercitata la delega contenuta nella legge 27 settembre 2021, n. 134, volta alla riforma del processo penale (cd. riforma Cartabia penale).

Il processo penale, a seguito degli interventi di modifica operati dal d. lgs. n. 150 del 2022, ne esce notevolmente diverso: la nuova regola di giudizio della “ragionevole previsione di condanna” che permea tutta la fase delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare, fino all'udienza predibattimentale; la stessa udienza predibattimentale; le modifiche ai riti speciali; il dispositivo integrato, ma anche la nuova disciplina dell'assenza; le norme sul processo penale telematico; le disposizioni in tema di giustizia riparativa, sono alcune delle innovazioni che hanno riguardato il processo penale, soprattutto quello di primo grado e che, nella loro attuazione pratica, rappresentano una svolta notevole, che dovrà andare di pari passo all'implementazione dell'ufficio del processo, come strumento che coadiuvi il giudice anche in queste nuove attività.

Nella riforma di sistema che è stata realizzata, l'introduzione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi (art. 20-bis c.p.); l'estensione del regime di procedibilità a querela; l'ampliamento dei reati ai quali è applicabile la particolare tenuità del fatto; il nuovo catalogo degli ulteriori reati per i quali può essere richiesta (e proposta) la messa alla prova, sono tutti interventi che hanno modificato il trattamento sanzionatorio e valorizzato forme di definizione dei procedimenti penali, alternative alla pena ed al processo, realizzate nell'ottica del principio di proporzionalità, della pena come extrema ratio, della valorizzazione della riparazione, risocializzazione e rieducazione, ma anche della deflazione processuale.

In questo contesto, non poteva mancare una modifica – in termini di ampliamento – della sospensione del procedimento con messa alla prova, che ha datò già eccezionali risultati, trattandosi di un istituto che, dopo un inizio in sordina, ha avuto sempre più “successo”, tanto che moltissimi sono i procedimenti che si concludono per esito positivo della messa alla prova.

D'altronde, proprio con la messa alla prova il giudice penale, ed in particolare il giudice della cognizione, ha imparato a modulare il trattamento sanzionatorio, attraverso il programma trattamentale cui, con il proprio consenso, si sottopone l'imputato ed è questa esperienza acquisita sul campo che ha costituito e costituirà la base di partenza per approcciare e applicare le nuove pene previste dalla Riforma Cartabia, sia quelle sostitutive di cui al nuovo art. 20-bis c.p., sia quelle alternative al processo ed alla pena, nell'ottica di un nuovo ruolo del giudice della cognizione, sempre più vicino al giudice dell'esecuzione e della sorveglianza.

Gli interventi di modifica nella messa alla prova

A norma dell'art. 1, comma 22, l. n. 134 del 2021 la modifica in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato andava attuata nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi «estendere l'ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, oltre ai casi previsti dall'articolo 550, comma 2, del codice di procedura penale, a ulteriori specifici reati, puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell'autore, compatibili con l'istituto; prevedere che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato possa essere proposta anche dal pubblico ministero».

Due, di conseguenza, gli interventi realizzati – vedremo poi se in piena attuazione della delega - dal legislatore delegato: da un lato è stato esteso l'ambito di applicazione della messa alla prova; dall'altro, è stata disciplinata la cd “proposta” del pubblico ministero.

Il primo intervento: l'estensione dell'ambito di applicazione

Il primo intervento di modifica, nell'ottica del legislatore delegante, andava realizzato in una duplice direzione: da un lato, ampliando il novero dei reati per i quali si procede a citazione diretta a giudizio, e dunque intervenendo sull'art. 550, comma 2. c.p.p. (con effetti riflessi sull'udienza predibattimentale, applicabile anche per queste nuove categorie di reato); dall'altro, individuando specifici ulteriori reati, sulla scorta di due criteri, il primo, ancorato alla pena (pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni); il secondo, alla natura del reato (prestarsi a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell'autore, compatibili con l'istituto).

In realtà, guardando come si è mosso il legislatore delegato, si coglie che l'intervento è stato realizzato (esclusivamente) nella prima direzione: sotto questo profilo, l'art. 168-bis, comma primo, c.p. non ha subito modifiche con riferimento a questo aspetto della delega, né altrove sono indicati gli ulteriori specifici reati.

L'unica disposizione che rileva in parte de qua, è infatti l'art. 32, comma 1, lettera d) d. lgs. n. 150 del 2022, in quanto, di fatto, l'estensione dell'ambito di applicazione dell'istituto è stata realizzata indirettamente, attraverso la modifica apportata (e dunque, con l'ampliamento dei reati indicati) all'art. 550, comma 2 c.p.p., che tuttavia rispondeva ad un diverso criterio di delega. Ai sensi infatti dell'art. 1, comma 9, l. n. 134 del 2022 il legislatore delegato doveva «estendere il catalogo dei reati di competenza del tribunale in composizione monocratica per i quali l'azione penale è esercitata nelle forme di cui all'articolo 552 del codice di procedura penale a delitti da individuare tra quelli puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, anche se congiunta alla pena della multa, che non presentino rilevanti difficoltà di accertamento».

A mero titolo esemplificativo, si legge nella relazione illustrativa che sono stati individuati, in attuazione della delega di cui all'art. 1, comma 9, l. n. 134 del 2021, i seguenti reati, oggi procedibili con citazione diretta a giudizio, e per i quali si applica quindi la sospensione del procedimento con messa alla prova:

  • tra i reati che avvengono in pubblico, di fronte ad una pluralità di testimoni, gli atti osceni in luogo pubblico aggravati (art. 527, comma 2, c.p.), il danneggiamento di cose mobili o immobili in occasione di manifestazioni pubbliche (art. 635 comma 3 c.p.), l'apologia di delitto (art. 414 c.p.) e l'istigazione a disobbedire alle leggi (art. 415 c.p.). Anche la violazione della pubblica custodia di cose (art. 351 c.p.) e la bigamia (art. 611 c.p.), i reati caratterizzati da violenza o minaccia, ad esempio l'evasione aggravata da violenza o minaccia (art. 385, comma secondo, prima parte, c.p.) o la violenza o minaccia per costringere a commettere un reato (art. 611 c.p.);
  • tra i delitti contro la fede pubblica il cui accertamento non appare complesso in quanto emerge da circostanze di fatto: le falsità in monete (artt. 454, 460, 461 c.p.), le contraffazioni di pubblici sigilli (artt. 467 e 468 c.p.), oltre all'indebito utilizzo, la falsificazione, la detenzione o la cessione di carte credito (art. 493-ter c.p.). Un discorso analogo può essere svolto per alcuni casi di falsità personale (artt. 495, 495-ter, 496, 497-bis e 497-terc.p.);
  • tra i reati contro il patrimonio, la truffa aggravata (art. 640 cpv. c.p.), la frode in assicurazione (art. 642 c.p.) e l'appropriazione indebita (art. 646 c.p.);
  • nella valutazione dei delitti contro l'attività giudiziaria si sono fatti rientrare nei reati a citazione diretta solo quelli incentrati su condotte di non complesso accertamento, escludendosi quindi le fattispecie di calunnia, falsa perizia e frode processuale (372, 374-bis, 377, terzo comma, 377-bis c.p., n.d.r.);
  • nei casi in cui più disposizioni del medesimo articolo prevedano pene diverse o circostanze aggravanti ad effetto speciale, (l'estensione) si è cercato di razionalizzarne il trattamento processuale. L'interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità aggravata dalla qualifica di capi, promotori, organizzatori (art. 340, comma terzo, c.p.); l'esercizio abusivo di una professione aggravata per chi determina/dirige l'attività (art. 348, comma secondo, c.p.); la procurata inosservanza di pena in caso di delitto (art. 390 c.p.); la violazione di domicilio aggravata (art. 614, ultimo comma, c.p.) e quella commessa da pubblico ufficiale (art. 615, comma primo, c.p.); la rivelazione del contenuto della corrispondenza in caso di violazione di corrispondenza da parte dell'addetto al servizio delle poste (art. 619, secondo comma, c.p.);
  • nell'ambito delle leggi speciali, alcuni reati riguardanti le armi contenuti nella legge 110/1975; delitti di inosservanza di obblighi inerenti alla sorveglianza speciale; la falsa attestazione della presenza in servizio e la giustificazione dell'assenza con certificato medico falso, punito dall'art. 55-quinquies comma 1 d.lgs. n. 165 del 2001; T.U. sull'immigrazione d.lgs. n. 286 del 1998; T.U. sugli stupefacenti (d.P.R. n. 309 del 1990) l'omessa dichiarazione nei reati tributari (art. 5 c. 1 e 1-bis d. lgs. n. 74 del 2000).

Tanto chiarito, è evidente che il criterio generale del limite della pena edittale detentiva fissato dall'art. 168-bis c.p. non è stato toccato, né poteva essere modificato, in quanto l'estensione a reati puniti con pena non superiore ai sei anni avrebbe dovuto riguardare specifici reati, con caratteristiche particolari e non poteva divenire il criterio generale di individuazione dei reati cui è applicabile l'istituto, pena un evidente eccesso di delega: ne deriva che la messa alla prova continua quindi in generale ed in ogni caso ad applicarsi ai reati che siano puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola o congiunta o alternativa alla pena pecuniaria.

L'estensione si è, in conclusione, realizzata attraverso il riferimento all'art. 550, comma 2, c.p.p., il cui catalogo di reati è stato ampliato, inserendo quelli puniti con pena detentiva non superiore a sei anni (in linea con il criterio, ancorato alla pena, fissato dall'art. 1, comma 22, l. n. 134 del 2022) e, quanto all'ulteriore criterio dato dalla natura del reato (di agevole accertamento, per quanto riguarda la delega disposto all'art. 1, comma 9; e che si prestino a percorsi riparatori e risocializzanti, come previsto dalla delega di cui all'art. 1, comma 22, l. n. 134 del 2021), nella relazione illustrativa si legge che ad esso si è data attuazione attraverso il rinvio all'art. 550, comma 2, c.p.p. per esigenze di tecnica e di economia legislativa.

La norma transitoria: l'art. 90 d.lgs. n. 150 del 2022

La disciplina transitoria in tema di messa alla prova è dettata dal legislatore delegato all'art. 90 d.lgs. n. 150 del 2022 ed essa riguarda il primo intervento di modifica, ossia l'estensione dell'ambito di applicazione dell'istituto, che ha evidenti connotazioni di natura sostanziale (il secondo intervento, relativo alla proposta del pubblico ministero, risolvendosi in una modifica delle disposizioni processuali, segue, evidentemente, i principi valevoli per le norme di rito e dunque il criterio del tempus regit actum).

Si legge nella relazione illustrativa che il criterio che è stato seguito nella redazione della norma transitoria è stato quello di bilanciare le finalità specialpreventive (e dunque i principi fissati dall'art. 27, comma terzo, Cost.) con le finalità deflative di cui all'art. 111 Cost.

Criterio generale, dunque, è che l'estensione della disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova ad ulteriori reati (realizzata, come detto, attraverso la disposizione dell'articolo 32, comma 1, lettera a) del decreto, norma espressamente richiamata nell'articolo in commento) si applica anche ai procedimenti pendenti nel giudizio di primo grado e in grado di appello alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, ossia, considerando la proroga, alla data del 30 dicembre 2022.

Se sono già decorsi i termini ex art. 464-bis, comma 2, c.p.p. l'imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, può formulare la richiesta:

a) se è stata già fissata udienza: nei quarantacinque giorni successivi all'entrata in vigore del decreto, e la richiesta va formulata in udienza a pena di decadenza;

b) se non è stata fissata udienza nei quarantacinque giorni successivi: la richiesta è depositata in cancelleria, a pena di decadenza, entro i quarantacinque giorni dall'entrata in vigore del decreto.

Viene inoltre stabilito che nel caso in cui sia stata disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova in forza del potere riconosciuto alla parte di accedervi durante la fase transitoria e dunque sulla scorta della norma transitoria, non si applica l'articolo 75, comma 3, c.p.p. che disciplina i rapporti tra l'azione civile e l'azione penale.

Il secondo intervento: la proposta del pubblico ministero

Con gli artt. 1, comma 1, lett. m; 29, comma 1, lett. a, nn. 1 e 2, lett. b, lett. c, nonché 41, comma 1, lett. r, lett. s, d. lgs. n. 150 del 2022 è stata esercitata la delega nella parte in cui è previsto che «la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato possa essere proposta anche dal pubblico ministero» e l'intervento è stato realizzato modificando l'art. 168-bis c.p. (con l'art. 1, comma 1, lett. m, d. lgs. n. 150 del 2022); l'art. 464-bis c.p.p. (mediante l'art. 29, comma 1, lett. a, nn. 1 e 2 d.lgs. cit); l'art. 464-ter.1 c.p.p., (inserito ex novo dall'art. 29, comma 1, lett. b, d. lgs. cit); l'art. 464-septies c.p.p. (mediante l'art. 29, comma 1, lett. c, d. lgs cit); l'art. 141-bis disp. att. c.p.p. (con l'art. 41, comma 1, lett. r, d. lgs. cit); l'art. 141-ter disp att. c.p.p. (con l'art. 41, comma 1, lett. s, d. lgs. cit.).

Nell'attuare la modifica richiesta, il legislatore delegato doveva fronteggiare una sfida in qualche modo duplice: da un lato, coinvolgere attivamente anche il pubblico ministero “nell'altra metà del diritto penale”, ossia in quel diritto penale alternativo alla pena ed al processo che ha visto fino ad ora agire più il giudice che il pubblico ministero; dall'altro, evitare di aggravare ulteriormente (e irrimediabilmente) gli uffici di esecuzione penale esterna, che tanto oggi (quanto allora, quando entrò in vigore la messa alla prova) hanno un ruolo cruciale e sono il punto nevralgico di tutta la riforma, ricadendo su di loro una serie di incombenze che vanno molto oltre la messa alla prova.

Saranno infatti gli uffici di esecuzione penale esterna ad occuparsi di tutte le pene sostitutive delle pene detentive brevi, fatta eccezione per la pena pecuniaria principale o sostitutiva, affidata, nella sua fase esecutiva, al pubblico ministero, sempre che non venga a sua volta convertita in pena sostitutiva diversa da quella pecuniaria: questo spiega la ragione per la quale il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia ha già diramato una circolare (la n. 3/2022 del 26 ottobre 2022) per regolamentare la gestione del carico di lavoro da parte dei singoli uffici, e prim'ancora con il decreto-legge 30 aprile 2022 n. 36, convertito con modificazione dalla legge 29 giugno 2022 n. 79, recante “Ulteriori misure urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)” è stato previsto il potenziamento dell'esecuzione penale esterna e la rideterminazione della pianta organica del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità (con un aumento di 1.092 unità di personale amministrativo non dirigenziale del comparto funzioni centrali e di ulteriori 11 dirigenti penitenziali, che andranno tuttavia “formati”).

Il potenziamento dell'u.e.p.e. è andato, dunque, di pari passo con una modalità che renda agevole per il pubblico ministero la sua possibile proposta.

E' evidente che avendo il legislatore delegante previsto che venisse contemplata la possibilità di una “proposta” del pubblico ministero, essa non potesse che essere diversa dall'avviso, che già è contemplato dal legislatore all'art. 141-bis disp att. c.p.p.: doveva (e deve) necessariamente trattarsi di una forma di iniziativa del pubblico ministero, rispetto alla quale occorre l'adesione dell'indagato, il cui consenso è elemento essenziale ed imprescindibile, in ossequio ai principi espressi dalla giurisprudenza della Suprema Corte e dalla Corte costituzionale (significativa in tal senso la sentenza n. 91 del 2018).

Il legislatore delegato ha quindi previsto che qualora la proposta del pubblico ministero venga formulata in udienza, l'imputato può chiedere un termine non superiore a venti giorni per presentare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 646-bis c.p.p.).

Tuttavia, il luogo per così dire fisiologico in cui la proposta può essere formulata, in ossequio anche alle finalità deflative che connotano l'istituto, non può che essere quella che vede il pubblico ministero protagonista, ossia la fase delle indagini preliminari e la scelta dell'atto con cui formularla è caduta sull'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p. (che richiama in qualche modo l'archiviazione meritata, prevista a suo tempo della Commissione Lattanzi e non più contemplata nella legge delega), perché in quel momento la parte, con la discovery degli atti, è in grado di prendere visione di tutti gli elementi e di valutare con obiettività quale strada percorrere, nell'ambito delle possibili alternative processuali che la chiusura delle indagini preliminari gli offre.

Ai sensi del nuovo art. 464-ter.1 c.p.p. e dell'art. 141-bis disp att. c.p.p., con l'avviso ex art. 415-bis c.p.p. il pubblico ministero può quindi indicare durata e contenuti essenziali del programma, eventualmente (e non necessariamente, evitandosi così aggravi inutili) avvalendosi dell'u.e.p.e. che sarà chiamato a fornire indicazioni entro trenta giorni (termine evidentemente non perentorio, per il chiaro disposto normativo, come si ricava dall'art. 141-ter disp. att. c.p.p.).

Entro i successivi venti giorni l'indagato potrà aderire alla proposta formulata (personalmente, con procura speciale e con atto depositato in segreteria anche ex art. 111-bis c.p.p), esprimendo in questo modo il suo consenso; a quel punto il pubblico ministero formula l'imputazione e trasmette gli atti al gip, dando avviso alla persona offesa della facoltà di depositare memorie entro dieci giorni. Anche con il nuovo art. 464-ter.1 c.p.p. la persona offesa non ha alcun potere di veto sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova (e neanche sul contenuto del programma di trattamento).

Quali siano i provvedimenti adottabili dal giudice delle indagini preliminari viene indicato ai commi 3 e segg del nuovo articolo 464-ter.1 c.p.p. e nella relazione illustrativa che accompagna il decreto.

Il giudice delle indagini preliminari avrà tre strade: il rigetto; l'accoglimento; il contraddittorio.

Rigetterà se vi siano i presupposti per emettere sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p.; o per mancanza dei requisiti formali e sostanziali di ammissione alla prova o perché formula una prognosi di recidivanza. Nella relazione illustrativa si fa espressa menzione della ritenuta sussistenza da parte del giudice della particolare tenuità del fatto, ma le ipotesi di rigetto potrebbero anche essere diverse, potendosi discutere se tra di esse rientri la diversa qualificazione giuridica del fatto o anche la ragionevole previsione di condanna, che è oggi la nuova regola di giudizio che permea tutta la fase delle indagini preliminari.

In caso di rigetto, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero che o eserciterà l'azione penale o chiederà l'archiviazione (nella relazione illustrativa si fa espresso riferimento alla archiviazione per la particolare tenuità del fatto).

Il giudice potrà invece ritenere che la proposta cui ha aderito l'indagato sia ammissibile e in questo caso il legislatore delegato predilige un contradditorio essenzialmente cartolare e ricalca quanto accade in via di fatto nelle ammissioni alla prova (così come contemplate, sempre in via di fatto, dai vari protocolli e linee-guida adottati dagli uffici giudiziari), con il correttivo della mancanza di una udienza apposita: il giudice chiede all'u.ep.e. di elaborare il programma trattamentale; il programma viene elaborato dall'u.e.p.e., di intesa con l'indagato; quindi l'u.e.p.e. nel termine di novanta giorni (termine anche questo non perentorio) provvede alla trasmissione del programma all'autorità giudiziaria; infine il giudice adotta l'ordinanza di sospensione del procedimento.

La terza via, considerata eventuale, in quanto si predilige un contraddittorio cartolare evitando aggravi nel lavoro da parte del giudice (la fissazione e la celebrazione dell'udienza nell'attività del giudice per le indagini preliminari non giova alla deflazione processuale), è quella del contraddittorio in udienza: qualora infatti il giudice non abbia elementi certi per rigettare o accogliere la richiesta, viene previsto che possa fissare udienza ex art. 127 c.p.p. ai fini della decisione e disporre la comparizione dell'imputato per valutare la volontarietà o per integrare o modificare il programma (ma sempre) con il consenso dell'imputato.

Conclusioni

Gli interventi di riforma realizzati con il d. lgs n. 150 del 2022 in tema di messa alla prova potenziano un istituto che ha dato ottima prova di sé: i numeri della messa alla prova confermano che si tratta non solo di un istituto che restituisce dignità ai delinquenti primari o a coloro che siano incappati nelle maglie della giustizia e vogliano uscirne il prima possibile, ma di un nuovo modo di applicare la pena, che viene modulata sul singolo e che non è più solo coercitiva e punitiva.

Il programma trattamentale, elaborato dell'u.e.p.e. con il consenso dell'imputato, permette alla parte che chiede la messa alla prova di fare qualcosa di utile, essendo il lavoro di pubblica utilità la sua componente essenziale: come è stato già autorevolmente detto, la pena non è più subita, ma è “agita” e questo ha fatto da apripista rispetto a scelte nuove e coraggiose quali sono state quelle delle pene sostitutive di pene detentive brevi, che verranno irrogate direttamente dal giudice di cognizione, all'esito di un'udienza di sentencing, secondo il modello anglosassone, confidando sulla dimestichezza acquisita dai giudici della cognizione proprio con il trattamento sanzionatorio comminato nel programma di trattamento della messa alla prova.

E' un'ulteriore sfida, che vede il coinvolgimento più attivo di una parte, il pubblico ministero, che era rimasta in disparte, in un'ottica di generale sensibilizzazione verso un nuovo modo di intendere la pena e, con lei, la giustizia penale.

Il tutto, valorizzando e potenziando il punto nevralgico e cruciale della messa alla prova e più in generale della riforma del trattamento sanzionatorio: gli uffici di esecuzione penale esterna, che, a risorse “zero”, ma anzi con un aggravio di lavoro notevole, sono riusciti a potenziare la messa alla prova all'indomani della sua applicazione anche agli adulti, nell'ormai lontano 2014, e che oggi devono raccogliere una sfida ancora più grande, perché anche nelle loro mani è riposto il successo della Riforma Cartabia.

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