Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute o l'incolumità pubblica: più dubbi che certezze
06 Febbraio 2023
Si tratta di un testo che era già stato oggetto delle critiche espresse in un articolo comparso su questa Rivista il 21 dicembre 2022, quando mancavano pochi giorni alla votazione finale per la conversione del d.l.; critiche che, pertanto, se ed in quanto valide allora, tali restano anche adesso. Ad esse, quindi, ci si permette di rimandare il lettore. Volendo ora aggiungere, invece, qualche considerazione circa le problematiche interpretative ed applicative della norma in questione, prendendola (piaccia o non piaccia) così com'è, può cominciarsi col dire che essa costituisce, con ogni evidenza, non un'ipotesi aggravata del reato di “invasione di terreni o edifici” previsto dall'art. 633 c.p., ma una figura autonoma di reato, pur in presenza dell'elemento comune costituito dalla arbitraria invasione di terreni o edifici di proprietà altrui, pubblica o privata (Per la qualificabilità della fattispecie di cui all'art. 633-bis c.p. come ipotesi autonoma di reato, v. anche Ruga Riva C., in www.sistemapenale.it, 10 gennaio 2023, par. 2.). Gli elementi differenziali rispetto all'art. 633 sono costituiti, essenzialmente: a) dai soggetti attivi che possono essere soltanto coloro che assumono veste di organizzatori o promotori dell'invasione; b) dalla finalità dell'invasione, che dev'essere quella specifica di realizzare “un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento”; c) dalla necessaria presenza di un accertato, “concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica” che derivi dall'invasione “a causa della inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi”. Esaminiamoli ora in dettaglio.
Con riguardo all'individuazione dei soggetti attivi del reato che, come si è appena visto, possono essere soltanto coloro che organizzano o promuovono l'invasione, può anzitutto richiamarsi, per quanto concerne la figura del promotore, la definizione che di essa è stata data, con riferimento all'aggravante di cui all'art. 112, comma primo, n. 2, c.p., dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «il promotore è colui che ha ideato l'impresa delittuosa, perché ne ha avuto l'iniziativa, riuscendo a persuadere altri dell'opportunità di attuarla» (così, in particolare, Cass. pen., sez. V, n. 32422/2019; conforme, Cass. pen., sez. I, n. 2645/2012). Quanto alla figura dell'organizzatore, essa è pure prevista dal citato art. 112, comma primo, n. 2, c.p., ma non si rinviene, nella giurisprudenza di legittimità, una sua precisa definizione riferita a detta norma; definizione che si trova, invece, in talune pronunce relative all'analoga figura contemplata nelle norme in materia di reati associativi, tra cui, in particolare, quello di cui all'art. 416-bis c.p. Si è, ad esempio, affermato, da Cass. pen., sez. II, n. 20098/2020, che spetta il ruolo di organizzatore «a chi sia posto a capo di un settore delle attività illecite del gruppo criminale con poteri decisionali e deliberativi autonomi». E, in epoca più remota, si è ritenuto, da Cass. pen., sez. VI, n. 1793/1994, che sia investito del ruolo in questione «l'affiliato che, sia pure nell'ambito delle direttive impartite dai capi, esplica con autonomia la funzione di curare il coordinamento dell'attività degli altri aderenti, l'impiego razionale delle strutture e delle risorse associative, nonché di reperire i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso». Tali definizioni, tuttavia, presupponendo l'esistenza di strutture associative caratterizzate, in quanto tali, da una certa stabilità e durata nel tempo, difficilmente possono considerarsi adattabili a figure di reato aventi una diversa natura, ivi compresa, quindi, anche quella di cui all'art. 633-bis c.p. Con riguardo a quest'ultima, quindi, sembra potersi ritenere che assuma ruolo di organizzatore colui che, ad esempio, diffonda ad un numero indeterminato di destinatari la notizia della progettata invasione e delle relative finalità, indichi gli itinerari da seguire, suggerisca gli accorgimenti opportuni per evitare o superare eventuali controlli di polizia, provveda all'allestimento dei locali e di quant'altro necessario per le attività musicali o di altra natura da effettuare nei terreni o negli edifici invasi, raccolga e custodisca l'eventuale provento di tali attività, e così via.
Va da sé, poi, che del reato in questione, siccome concepito come reato proprio di chi abbia assunto la veste di organizzatore o promotore, non possano essere chiamati a rispondere i semplici partecipanti. Al riguardo si è dato, tuttavia, per scontato, già nella relazione che accompagnava l'emendamento governativo all'originaria formulazione dell'art. 5 d.l. n. 162/2022, che i semplici partecipanti dovessero comunque rispondere del già esistente reato di cui all'art. 633 c.p., aggravato e perseguibile d'ufficio, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, qualora il loro numero fosse superiore a cinque (Sulla stessa linea, v. anche Ruga Riva C., op. loc. cit.). Qualche dubbio, sul punto, sembrerebbe, però, legittimo. In forza, infatti, del principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., sembrerebbe potersi sostenere che quanti materialmente concorrano nell'invasione, condividendo la specifica finalità che caratterizza il reato di cui all'art. 633-bis, ma essendo privi della necessaria qualifica soggettiva, non possano essere chiamati a rispondere del diverso reato di cui all'art. 633 (V. anche, al riguardo, quanto giustamente affermato, sia pure ad altro proposito, dallo stesso Ruga Riva, op. loc. cit., secondo cui: «Il dolo di raduno musicale, elemento specializzante dell'art. 633-bis c.p., esclude in radice l'applicabilità dell'art. 633 c.p., il quale esige un più generico dolo di occupazione o di profitto»). In altri termini, l'alternativa potrebbe essere la seguente: o l'invasione ha come sua riconosciuta finalità quella specificamente prevista dall'art. 633-bis, e allora, essendo questa e non altra la norma penale applicabile, i semplici partecipi non possono rispondere né di questo né di altro reato che, per la medesima condotta ma in assenza di quella finalità, sarebbe astrattamente configurabile; oppure la finalità perseguita è quella, più generica, di “occupare” il terreno o l'edificio altrui ovvero di “trarne altrimenti profitto”, per cui si renda configurabile il reato previsto dall'art. 633, e allora di esso debbono rispondere, secondo le regole generali, tutti coloro che, a qualsiasi titolo, vi abbiano concorso, salva l'eventuale configurabilità, per i promotori ed organizzatori, dell'aggravante comune prevista dall'art. 112, comma primo, n. 2, c.p. Tutto ciò vale, tuttavia, ovviamente, solo a condizione che i semplici “partecipi” dell'invasione siano veramente tali, e non abbiano invece in qualsiasi modo sostenuto o incoraggiato l'attività degli organizzatori o promotori. In tal caso, infatti, sempre secondo le regole generali, anch'essi sarebbero penalmente perseguibili, quali concorrenti estranei nel reato proprio dei soggetti attivi specificamente indicati dalla norma incriminatrice.
L'invasione arbitraria di un terreno o edificio altrui, per dar luogo alla configurabilità del reato di cui all'art. 633-bis c.p., dev'essere finalizzata, come si è detto, alla realizzazione non di un qualsiasi raduno di persone dal quale possa derivare un pericolo per la salute o l'incolumità pubbliche, ma di un raduno che sia “musicale o avente altro scopo di intrattenimento”. Non è dato comprendere quale giustificazione possa avere una tale limitazione, dal momento che, come appare del tutto ovvio, un analogo pericolo può derivare anche da raduni di altra natura (In tal senso anche Natalini A., in Guida al diritto, 21 gennaio 2023, p. 108, in cui richiama, a sostegno, anche il parere del C.S.M. sul D.L. n. 162/2022 espresso con deliberazione del 22 dicembre 2022). Ben più ragionevole era, sul punto, l'art. 434-bis c.p., introdotto dall'art. 5 d.l. n. 162/2022 nella sua originaria formulazione, secondo cui era necessario e sufficiente, per la configurabilità del reato, che l'invasione arbitraria fosse finalizzata allo scopo di organizzare un qualsivoglia “raduno” dal quale potesse derivare un pericolo per l'incolumità o la salute pubbliche (oltre che per l'ordine pubblico, poi sparito nella successiva trasformazione dell'art. 434-bis nell'attuale art. 633-bis). Il che era, d'altra parte, in perfetta consonanza con l'art. 17, comma 3, Cost., ai sensi del quale qualsiasi riunione in luogo pubblico può essere vietata “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.
Quanto, poi, a ciò che debba intendersi per “raduno musicale” o per “intrattenimento”, il meno che si possa dire è che si naviga in un mare pieno di incertezze. In quale misura la musica deve occupare il tempo nel quale si svolge il raduno perché questo possa essere definito come “musicale”? E quali attività, tra quelle, innumerevoli, che gli esseri umani possono scegliere per “intrattenersi” tra loro, possono o debbono rientrare nella non meglio definita nozione di “intrattenimento” alla quale il legislatore ha inteso richiamarsi? Si tratta di interrogativi ai quali difficilmente possono darsi risposte dotate di sufficiente chiarezza e precisione; il che rende prospettabile anche il dubbio che la norma pecchi di indeterminatezza al punto da rischiare il contrasto con l'art. 25 Cost.
Altri interrogativi di difficile soluzione sorgono, inoltre, con riguardo alla determinazione delle condizioni in cui all'invasione arbitraria possa associarsi la peculiare finalità prevista per la configurazione del reato. Può infatti facilmente avvenire che tale finalità non sia contestuale all'effettuazione dell'invasione ma si manifesti in un momento successivo, da parte di soggetti cheabbiano, magari già da molto tempo, invaso ed occupato un terreno o un edificio altrui per utilizzarlo, genericamente, uti domini,nel modo di volta in volta ritenuto più confacente ai propri interessi del momento. In tal caso, avendo essi già posto in essere l'ordinario reato di invasione previsto dall'art. 633 c.p., e versando ancora “in illicito” a causa della natura permanente che deve, di regola, attribuirsi a tale reato, quando l'invasione sia seguita dalla stabile occupazione (v., per tutte, fra le più recenti, Cass. pen., sez. II, n. 46692/2019), potrà dirsi che commettano anche il reato di cui all'art. 633-bis qualora decidano di utilizzare il terreno o l'edificio già arbitrariamente invaso ed occupato per tenervi, ad esempio, un concerto “rock” o una rappresentazione teatrale? La risposta dovrebbe essere, a rigore, negativa, atteso che l'art. 633-bis, nel richiedere che venga posta in essere una “invasione” con determinate finalità, sembra presupporre che essa debba avere ad oggetto un terreno o un edificio altrui che sia stato, fino a quel momento, libero, e non invece già oggetto di una precedente invasione avente altre finalità e protrattasi nel tempo sotto forma di occupazione. Ciò però dovrebbe valere solo se il “raduno musicale” o l'“intrattenimento” siano promossi e organizzati dagli stessi soggetti che già occupano arbitrariamente, uti domini, l'immobile. Non dovrebbe, invece, valere per gli altri soggetti che, sia pure su invito dei primi, promuovano od organizzino l'accesso all'immobile per compiervi attività rientranti nelle previsioni dell'art. 633-bis. In tal caso, infatti, l'accesso da parte di costoro sarebbe qualificabile come una nuova e diversa “invasione arbitraria”, attesa l'assoluta invalidità del consenso espresso dagli originari occupanti abusivi, la cui presenza non può incidere (salva l'eventualità dell'intervenuta maturazione dell'usucapione), sulla condizione, prevista dalla norma incriminatrice, che l'immobile sia tuttora di proprietà “altrui”. Vi è però da aggiungere, a questo punto, che gli originari occupanti abusivi, proprio per avere, in ipotesi, dato incarico ad altri soggetti di realizzare, previo accesso nell'immobile occupato, l'evento musicale o di intrattenimento, potrebbero aver assunto veste di concorrenti con gli stessi nella promozione e organizzazione della nuova “invasione” e di corresponsabili, quindi, del nuovo ed autonomo reato di cui all'art. 633-bis.
Oltre al fatto materiale costituito dall' “invasione arbitraria” di un terreno o edificio altrui, ed alla specifica finalità da cui la stessa dev'essere caratterizzata, occorre anche, per la configurabilità del reato (come pure si è visto), che si sia concretizzato unpericolo per la salute o l'incolumità pubbliche, non essendo sufficiente che esso possa essere ragionevolmente temuto. Ciò sulla base del testuale tenore della norma, secondo il quale il reato sussiste quando dall'invasione “deriva” (e non soltanto “può derivare”, come invece si affermava, con riferimento al “raduno”, nell'originario art. 434-bis), un pericolo del genere anzidetto. Ne consegue che il reato non può quindi dirsi consumato fino a quando quel pericolo non abbia assunto il carattere dell'attualità. Non solo, ma occorre anche che ciò sia avvenuto «a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento», tenuto conto anche di ulteriori, variabili fattori costituiti, in particolare, dal “numero dei partecipanti” o dallo “stato dei luoghi”. Il che significa, sempre stando alla lettera della norma, che quell'inosservanza dev'esserci già stata e non che possa soltanto avvenire in un futuro più o meno prossimo. Se dunque l'originario intento del legislatore era, secondo quanto appariva dalle cronache politiche, quello di abbassare, per quanto possibile, la soglia della rilevanza penale in vista dell'obiettivo costituito dalla prevenzione dei pericoli che i c.d. “rave parties” potevano presentare per la salute e l'incolumità pubbliche, appare di tutta evidenza che il risultato finale è stato diametralmente opposto.
Potrebbe tuttavia ritenersi che l'intento di prevenzione sia ugualmente realizzabile, in una qualche misura, mediante la punibilità del reato anche a titolo di tentativo. Ciò sarebbe vero se, per darsi luogo alla configurabilità del tentativo punibile, fosse sufficiente (analogamente a quanto si verifica nel caso dell'invasione ordinaria prevista dall'art. 633 c.p.) una condotta volta soltanto a realizzare, senza riuscirvi, il fatto materiale dell'invasione, con la specifica finalità del “raduno musicale” o di altro “intrattenimento”. Ma così non è, perché, come si è appena visto, il reato non si perfeziona con l'invasione, ma richiede che sia anche avvenuta l'inosservanza delle norme in materia di stupefacenti o di sicurezza e igiene degli spettacoli e che da essa sia derivata la concreta situazione di pericolo per la salute e l'incolumità pubbliche. Ed è piuttosto difficile ipotizzare che la condotta volta soltanto a realizzare, senza poi ottenere successo, l'invasione di un terreno e di un edificio altrui per tenervi un “rave party” si riveli, al tempo stesso, idonea ed univocamente diretta (come richiesto dall'art. 56 c.p.) a violare le norme sopra menzionate ed a far sì che da tale violazione derivi la situazione di pericolo dalla quale, come si è visto, dipende la consumazione del reato. Si potrebbe forse pensare che la difficoltà sia superabile attribuendo al verificarsi della situazione di pericolo la natura non di elemento costitutivo del reato ma di condizione obiettiva di punibilità, come tale indipendente dalla volontà dell'agente e ininfluente, quindi, ai fini della configurabilità del tentativo punibile (Per l'ammissibilità del tentativo punibile anche nei delitti con condizione obiettiva di punibilità v., tra gli altri, Romano, Comm. sistem. del c.p., Giuffrè, 1987, p. 517. V. inoltre, più in dettaglio, Fiandaca-Musco, Dir. pen., parte gen., II ediz., Torino, 1989, p. 345, secondo cui, «nei reati condizionati … la configurazione del tentativo dipende dalla possibilità del verificarsi della condizione obiettiva di punibilità indipendentemente dal perfezionarsi della condotta tipica». Nello stesso senso, Mantovani F., Dir. pen., III ediz., Padova, 1992, p. 450). Ma potrebbe, di contro, obiettarsi che, se è vero che la situazione di pericolo è indipendente dalla volontà dell'agente, è altrettanto vero che lo stesso non può dirsi della violazione delle norme che deve costituirne la causa; ragion per cui essa non può entrare a far parte della condizione obiettiva di punibilità ma deve necessariamente annoverarsi tra gli elementi costitutivi del reato. Rimane quindi confermato che (come già detto) la condotta posta in essere dall'agente, per assurgere al rango di tentativo punibile, dovrebbe essere idonea e diretta in modo non equivoco a realizzare non solo l'invasione ma anche, al tempo stesso la violazione delle norme in materia di stupefacenti o di sicurezza e igiene degli spettacoli dalla quale possa poi derivare la situazione di pericolo; conclusione, questa, alla quale potrebbe forse sfuggirsi soltanto nell'ipotesi che l'anzidetta violazione si prospetti “ab origine” come suscettibile di essere commessa, di loro esclusiva volontà, da soggetti diversi da coloro che promuovono od organizzano l'invasione. Essa, infatti, in tal caso, potrebbe effettivamente assumere la natura di condizione obiettiva di punibilità e rendere quindi possibile che gli organizzatori o promotori rispondano del tentato reato di cui all'art. 633-bis sulla base di una condotta costituita soltanto, per loro, dal tentativo di invasione avente la finalità di realizzare un evento del genere previsto dalla norma incriminatrice. Ma anche questa residuale ipotesi, astrattamente possibile, appare, di fatto, tutt'altro che facile a concretizzarsi.
Un'ulteriore problematica è poi quella che potrebbe porsi nel caso in cui, effettuata l'invasione con la suddetta finalità, questa non venisse realizzata ovvero, se realizzata, non desse luogo a violazione delle norme richiamate dall'art. 633-bis e, quindi al prodursi della situazione di pericolo. Potrebbe pensarsi che, in tal caso, si renderebbe configurabile, a carico di tutti i concorrenti nell'invasione, il reato di cui all'art. 633 c.p., atteso che anche la specifica finalità prevista dall'art. 633-bis sarebbe suscettibile di rientrare in quella, più generica, di “profitto”, richiesta dall'art. 633. A ciò potrebbe tuttavia opporsi che la presenza di quella specifica finalità, connotando l'art. 633-bis come lex specialis rispetto all'art. 633, impedirebbe comunque, in base al già ricordato principio di specialità, la configurabilità del reato previsto dal secondo di detti articoli, con il paradossale risultato, quindi, che l'invasione non sarebbe punibile né per l'una né per l'altra delle due norme in discorso. In conclusione
Alla stregua di quanto finora osservato, sembra quindi potersi concludere che il legislatore, preoccupato (forse eccessivamente) di tacitare le numerose critiche che erano state avanzate, tanto in sede politica quanto in dottrina, nei confronti dello sfortunato art. 434-bis c.p., originariamente introdotto dall'art. 5 d.l. n. 162/2022, ha creato, al posto di esso, una figura di reato talmente complessa e farraginosa da risultare di difficilissima applicazione. E ciò senza neppure trovare, per questo, il plauso incondizionato degli ambienti dai quali quelle critiche provenivano ma scontentando, in compenso, al tempo stesso, coloro che avrebbero auspicato un intervento normativo dotato di maggiore e adeguata incisività nei confronti di un fenomeno che, come quello dei c.d. “rave parties”, era considerato da una larga parte dell'opinione pubblica, non senza ragione, come gravemente lesivo delle più elementari regole della civile convivenza. Non è, del resto, questa la prima volta - e non sarà certo l'ultima - in cui il legislatore riesce nella difficile impresa di risultare annoverabile, per dirla con il Divino Poeta, tra coloro che sono “a Dio spiacenti ed a' nimici sui”. |