La questione esaminata in sede di legittimità promuove le seguenti riflessioni relative all'ordine e alle modalità di esercizio dell'azione di riduzione e di restituzione delle donazioni dirette ed indirette effettuate in vita dal de cuius, nonché all'effettivo discrimen esistente tra l'istituto della riduzione e quello della collazione.
L'ordine con cui procedere a riduzione è ritenuto inderogabile dalla Suprema Corte ed è quello stabilito dagli artt. 555, 558 e 559 c.c. Ne consegue che il legittimario leso, agente in riduzione, potrà recuperare quanto dovuto, in primo luogo, sui beni relitti; in seconda battuta, al fine di recuperare l'eventuale differenza fra la legittima (calcolata sul relictum e il donatum) e il valore dei beni relitti, potrà richiedere quanto ancora dovuto ai donatari, partendo dall'ultimo e andando a ritroso verso quelli anteriori. Essendo tale ordine di riduzione inderogabile e tassativo, non lasciato alla discrezionalità del legittimario, se la donazione posteriore - non attaccata direttamente con l'azione di riduzione - risulterà capiente, le anteriori non saranno riducibili. Ne consegue che il legittimario, agente in riduzione, non potrà scegliere l'ordine con cui procedere, in quanto, proposta l'azione, dovrà rispettare l'ordine stabilito dagli artt. 555, 558 e 559 c.c., travolgente anche quelle donazioni posteriori astrattamente non lesive e non giudizialmente impugnate dal legittimario.
Secondo la dottrina, il ricorso al criterio cronologico ascendente per la riduzione delle donazioni, in luogo di quello proporzionale previsto per le disposizioni testamentarie, si giustifica in virtù del principio di irrevocabilità delle donazioni, derivante dalla loro natura contrattuale.
Secondo le regole della riduzione, le donazioni vengono rese inefficaci nei confronti del legittimario nell'ordine stabilito dagli artt. 555, 558 e 559 c.c., in quanto la riduzione delle sole donazioni lesive, anche se anteriori, comporterebbe per la Suprema Corte una redistribuzione delle donazioni tra i coeredi, effetto in concreto determinato dal differente istituto della collazione.
I due istituti perseguono, difatti, scopi differenti, essendo la riduzione diretta alla sola reintegrazione della quota di riserva eventualmente lesa dalle donazioni; mentre, la collazione alla salvaguardia della proporzionalità fra quota e porzione nei rapporti indicati dall'art. 737 c.c.
La collazione, quale istituto del contratto di divisione, comporta il sorgere in capo ai coeredi/donatari di una obbligazione con facoltà alternativa, consistente nella possibilità di scegliere tra imputare alla massa ereditaria il valore del bene ricevuto in donazione ovvero, ove esso non fosse stato alienato o ipotecato, conferendo nella massa la titolarità del bene stesso, facendolo divenire di comproprietà di tutti i coeredi e realizzando, in tal modo, un'operazione divisione ad effetti reali comportante una concreta redistribuzione delle donazioni effettuate in vita dal de cuius.
L'azione di riduzione va, inoltre, distinta dalla conseguenziale azione di restituzione, in quanto, mentre la funzione della prima si esaurisce nel rendere inefficace nei confronti del legittimario le disposizioni testamentarie e le donazioni lesive dei suoi diritti di legittima; la seconda costituisce lo strumento processuale utilizzabile successivamente dallo stesso legittimario per ottenere la restituzione, dal beneficiario o dai terzi, dei beni oggetto delle liberalità rese inefficaci con l'azione di riduzione.
In tal senso, l'azione di riduzione non comporta, di per sé, il passaggio dei beni dal patrimonio del beneficiario a quello del legittimario. Affinché ciò avvenga è richiesto l'esperimento di una successiva azione di restituzione, la quale dovrà essere esercitata nei confronti del destinatario o dei terzi possessori delle liberalità ridotte. Si tratta, come osserva la più autorevole dottrina, di azioni che si distinguono quanto a natura, legittimazione, effetti ed oggetto, in quanto dirette a tutelare utilità diverse, espressive d'interessi patrimoniali differenti: la riduzione tutela l'interesse del legittimario ad ottenere la delazione; la restituzione tutela l'interesse del legittimario a vedere composta la sua quota di legittima dal bene in natura.
In caso di donazione diretta dell'immobile, l'azione di riduzione tende a rendere inefficace l'atto di liberalità nei confronti dei legittimari, i quali potranno successivamente esperire l'azione di restituzione del bene nei confronti dei terzi aventi causa dal donatario. Con l'azione di riduzione, quindi, l'egente non tende a riappropriarsi dell'immobile, ma solo a rendere rioperante la delazione legale; al fine di ottenere la restituzione del bene donato dovrà poi esperire l'azione di restituzione nei confronti del donatario e dei suoi successivi aventi causa.
Quanto alle modalità con cui procedere a riduzione, nell'ordinanza in commento i giudici di legittimità affermano propedeuticamente che le donazioni contrattuali, aventi ad oggetto beni provenienti direttamente dal patrimonio del donante, non comportano l'automatica trasformazione del diritto del legittimario al bene in natura in un diritto di credito, in quanto, in caso di alienazione dell'immobile da parte del donatario, il legittimario leso, ove ricorrano le condizioni di cui all'art. 563 c.c., può chiederne la restituzione anche ai successivi acquirenti. In altre parole, la Suprema Corte conferma la presenza nel nostro sistema legislativo di una tutela del legittimario in natura e non per equivalente, come invece erroneamente ritenuto dai giudici di merito.
Occorre, allora, ricordare che l'intento liberale può essere raggiunto sia in modo diretto, attraverso la donazione diretta di un bene dal donante al donatario, sia in maniera indiretta, attraverso l'acquisto dell'immobile da parte del donatario e pagamento del corrispettivo da parte del donante a titolo di adempimento del terzo (art. 1180 c.c.) ovvero con un contratto in favore del terzo, in cui stipulante è il donante e beneficiario il donatario (art. 1411 c.c.).
Sul piano strutturale la donazione indiretta si caratterizza per un difetto di coincidenza oggettiva, in quanto, diversamente dalla donazione diretta, il bene che entra nel patrimonio del donatario non coincide con il bene uscente dal patrimonio del donante. Per tale ragione, secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza antecedente l'anno 1992, oggetto della donazione sarebbe il denaro effettivamente uscito dal patrimonio del donante. La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9282/1992, ha qualificato la fattispecie come donazione indiretta dell'immobile e non del denaro, coincidente con l'intento liberale del genitore di arricchire il figlio dell'immobile e non del denaro.
La ricostruzione della fattispecie come donazione indiretta dell'immobile comporta cheoggetto di collazione (art. 724 c.c.) sarà l'immobile e non il denaro uscito dal patrimonio del donante, da valutarsi, ai fini della collazione per imputazione, al momento di apertura della successione (Cass. civ., Sez. VI - 2, Ordinanza, 12 aprile 2018, n. 9177) e non della divisione.
In ordine all'applicazione alle donazioni indirette dell'azione di riduzione e restituzione dell'immobile donato (artt. 553 e ss. c.c.), il dubbio deriva dalla circostanza che la lettera dell'art. 809 c.c. richiama la sola azione di riduzione e non anche quella di restituzione.
Con la presente ordinanza la Cassazione conferma il precedente contenuto nella sentenza n. 11496/2010, in cui si affermava l'assoggettamento all'azione di restituzione dei soli immobili di provenienza donativa, intendendosi per tali solo quelli provenienti da donazioni dirette del de cuius e non anche da liberalità indirette dello stesso; poi ribaltato nella più recente pronuncia della Cassazione n. 4523/2022, in cui la Suprema Corte ha dato per scontata l'applicazione dell'azione di restituzione anche alle donazioni indirette.
La Corte di Cassazione, nell'ordinanza in oggetto, torna sui suoi passi, asserendo esplicitamente che “se il donatario beneficiario della disposizione lesiva abbia alienato l'immobile donatogli, il legittimario, se ricorrono le condizioni stabilite dall'art. 563 c.c., può chiederne la restituzione anche ai successivi acquirenti, che sono invece al riparo da ogni pretesa restitutoria del legittimario nella diversa ipotesi di riduzione di una donazione indiretta (ad esempio nell'intestazione di beni in nome altrui; infatti nella donazione indiretta, come chiarito da questa Suprema Corte nel 2010, poiché l'azione di riduzione non mette in discussione la titolarità del bene […] il valore dell'investimento finanziario con la donazione indiretta dev'essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito (così testualmente Cass. n. 11496/2010; contra Cass. n. 4523/2022, nella quale è data per scontata l'applicabilità dell'art. 563 c.c. anche alle c.d. donazioni indirette, senza tuttavia confrontarsi con Cass. n. 11496 del 2010 cit., che, recependo le indicazioni espresse in dottrina, tale applicabilità aveva motivatamente escluso”.
La pronuncia in commento appare rilevante per la stabilità dei traffici giuridici e la circolazione degli immobili provenienti da liberalità indirette, i quali, pertanto, non potranno essere aggrediti dall'eventuale azione di restituzione del legittimario leso, consentendo di superare l'ostacolo frapposto alla circolazione della ricchezza immobiliare dall'efficacia reale assicurata dalla legge alla tutela dei legittimari.