La pena tra diritto penale e processo penale (riflessioni dopo la Cartabia)

23 Marzo 2023

Il problema della pena nella giustizia penale è da sempre centrale, naturalmente. Semplificando, il diritto penale prevede la pena da applicare ai singoli reati e ne determina i criteri di commisurazione che il giudice provvede ad applicare con la sentenza. Questo dato, partendo dal codice del 1930 è rimasto immutato, in un sistema d'impostazione autoritaria che prevedeva anche la carcerazione preventiva. Anche dopo l'avvento della Costituzione, pur in presenza di garanzie, si conserva la presenza della carcerazione preventiva (art. 13 Cost.).

Il sistema autoritario del codice penale, è connotato per la parte di diritto penale sostanziale, al di là del merito delle fattispecie incriminatrici, non solo da pene elevate, ma anche da una forchetta sanzionatoria molto ampia che riconosceva e riconosce al giudice un ampio potere discrezionale, da esercitarsi tuttavia entro quegli ambiti.

Com'è, parimenti, noto, al fine di ridurre le implicazioni di una pena con margini molto ampi di “discrezionalità” e comunque eccessivi, sono state introdotte le circostanze tese a moderare e contenere i possibili eccessi sanzionatori, consentendo al giudice una valutazione più equilibrata dei fatti di reato, sia in termini oggettivi, sia soggettivi.

L'irrompere del terrorismo, quello domestico, ha mutato lo schema, accentuandosi da un lato l'inasprimento delle pene, dall'altro la accentrata funzionalità del meccanismo processuale, connotato dalla nuova tensione verso il contrasto e la lotta ai fenomeni criminali nonché alla durezza del sistema penitenziario (carcere di massima sicurezza).

L'esaurimento di questa fase, con la sconfitta del terrorismo ed un certo rallentamento dell'azione della criminalità organizzata creò le condizioni per l'introduzione della riforma processuale del 1988, non accompagnata, nonostante i vari progetti riformatori, alla riforma del codice penale del 1930 (a tutt'oggi l'unico non modificato in Europa).

Ritenendosi sulla base del modello accusatorio (d'impostazione anglosassone) che l'efficacia del rito, dovesse essere assicurata dalla centralità nel dibattimento, il codice Vassalli ha introdotto alcuni riti a contenuto premiale, dove la relativa centralità è costituita dall'abbattimento della pena, peraltro, non qualificata in termini sostanziali ma alla luce del parametro di economia processuale.

Si rompeva, in tal modo, il legame stretto tra la pena prevista dalla fattispecie incriminatrice, seppur filtrata dalle risultanze processuali e l'accertamento della responsabilità, che subiva una riduzione, necessariamente calibrata con riferimento al comportamento processuale dell'imputato, pur nella possibile discrezionalità in concreto (fino a ......).

Invero, sotto il profilo più strettamente penalistico, non era facile comprendere fino a fondo la vera natura di questo rapporto (circostanza attenuante o altro) connesso variamente nella triangolazione p.m. – imputato – giudice, al quale era estraneo inevitabilmente la parte civile, teso all'accertamento dei fatti, che in qualche modo subivano delle deviazioni, pur nel ritenuto rispetto della legalità sotto tutti i profili (qualificazione ed applicazione dell'art. 129 c.p.p.).

La questione – in relazione al patteggiamento – fu sottoposta al vaglio della Corte costituzionale. Com'è noto, con la sentenza n. 313/1990 la questione fu rigettata avendo la Corte ritenuto che comunque il meccanismo fosse governato dalla funzione rieducativa della pena di cui all'art. 27 Cost.

Quanto al rito abbreviato le questioni furono anch'esse superate soprattutto per effetto delle modifiche introdotte nei presupposti e negli sviluppi del rito (non senza reiterate questioni in ordine alla preclusione per i reati puniti con l'ergastolo).

La marginalità delle materie suscettibili di essere deferite con il decreto penale di condanna ha messo al riparo il meccanismo da questioni rilevanti, interessate piuttosto a rendere agibile l'istituto (omologazione con alcuni profili di premialità con il patteggiamento), nonché dalla rilevanza dei criteri di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria (per evitare le opposizioni).

Questo ha consentito agli istituti di attribuire nel collettivo convincimento giuridico della loro non estraneità al sistema processuale e con riferimento al patteggiamento di allargarsi, anche se per l'abbreviato non sono mancate ricadute in punto di concordato in appello.

Qualcosa si è modificato anche in seguito al recepimento nel rito ordinario sia per effetto della presenza di alcuni meccanismi definitori nel processo minorile, sia per l'inserimento di alcune nuove modalità decisorie nel giudizio davanti al giudice di pace.

Il riferimento è alla previsione della particolare tenuità del fatto, delle condotte riparatorie e della sospensione e messa alla prova.

In questo modo si riattivano i circuiti della pena, sotto il diverso profilo della sua applicazione, fissando per un verso i presupposti e individuandone, poi, i percorsi applicativi (si pensi alla tenuità del fatto costruito come causa di non punibilità e non di improcedibilità) ed alla previsione della base minima di accesso.

Con la riforma Cartabia il circuito virtuoso si rafforza, anche se gli istituti processuali premiali tradizionali si rafforzano e si completano con risvolti di rilievo processuale diretti e indiretti come nel caso del patteggiamento (pene accessorie, confische, effetti in procedimenti separati).

A fianco al consolidarsi di ipotesi definitorie anticipate per adempimenti alle prescrizioni per alcune aree tematiche contravvenzionali e la trasformazione della perseguibilità a querela, invece, che da d'ufficio, con la modifica dell'art. 20-bis c.p. e dell'art. 53 della l. n. 689/1981 vengono introdotte le pene sostitutive delle pene detentive brevi.

Si prevede così che la pena detentiva di quattro anni possa essere sostituita con la semilibertà e con la detenzione domiciliare; quella di tre anni con il lavoro di pubblica utilità e quella di un anno con la pena pecuniaria.

In questo caso appare significativo il forte ruolo assegnato alla pena pecuniaria destinata ad essere una pena effettiva.

In questo modo, per questa fascia di reati e di imputati, il circuito sanzionatorio subisce un forte incremento, essendo consentito al giudice per tutte le ipotesi di condanna anche in esito al dibattimento ed anche nel caso del patteggiamento, l'applicazione di un più articolato tariffario sanzionatorio capace di articolare meglio in sede processuale la risposta punitiva con ricadute anche in tema di esecuzione delle pene (condizione dei liberi sospesi e affollamento penitenziario).

Naturalmente, questo non esclude la prospettazione di ulteriori proposte e soluzioni nella dinamica dei rapporti tra il sistema sanzionatorio di diritto penale sostanziale (si pensi al possibile ruolo delle misure interdittive) e quello proprio del processo penale, ma per una effettiva depenalizzazione e per una più ampia riscrittura generale delle pene e delle pene delle singole fattispecie, sarà necessariamente attendere.

La riforma Cartabia, sotto questa prospettiva, sembra prefigurare un possibile successivo sviluppo.

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