Contratti con il consumatore: denuncia dei vizi
30 Gennaio 2023
Tizio conclude un contratto di compravendita con Caio, in cui le parti ricoprono rispettivamente ruolo di acquirente e di venditore. Oggetto dell'accordo è il trasferimento dal venditore Caio al compratore Tizio, di un bene utensile. Successivamente, Tizio, resosi avveduto della presenza di vizi che rendevano il bene inidoneo all'uso cui lo stesso era destinato, domandava la risoluzione del contratto. La questione che si pone, tra l'altro, è di stabilire se vi sia uno specifico ambito rituale di cui avere cura ai fini della proposizione della denunzia del vizio. In tema di garanzia per i vizi dei beni oggetto di relativa compravendita, nell'ambito della tutela da apprestare alla parte contraente debole, opera il codice del consumo (D.Lgs. 206/2005). In particolare, sul fondamento del combinato disposto delle relative previsioni contemplate da tale strumento disciplinare (artt. 129 ss. D.Lgs. 206/2005), è dato desumersi come, in capo al venditore, gravi la responsabilità, nei confronti del consumatore, per qualsiasi difetto di conformità sussistente all'atto della consegna del bene, allorché detto difetto abbia modo di palesarsi nel termine di due anni dalla consegna anzidetta. Quindi, la sussistenza del difetto di conformità, pone nella condizione il consumatore di dare luogo all'esercizio dei vari rimedi approntati dall'ordinamento (in specie previsti dalla norma di cui all'art. 135 bis D.Lgs. 206/2005). Si tratta di rimedi i quali seguono una loro specifica gradualità, secondo la volontà legislativa, osservando così un preciso ordine. In primo luogo, il consumatore ha la facoltà di scegliere di proporre al dante causa la riparazione ovvero la sostituzione del bene, atteso il rispetto delle condizioni stabilite dalla norma medesima; in secondo luogo, quindi, la norma attribuisce al consumatore la possibilità (sempre alle condizioni stabilite dal dato dispositivo in considerazione) di domandare una riduzione del prezzo, oppure la risoluzione del contratto. Esclusa, invece, dalla norma la possibilità per il consumatore di domandare la risoluzione del contratto, per il caso di difetto di conformità della cosa solo di lieve entità. Infine, si prevede come il consumatore possa rifiutare il pagamento della cosa, sino al momento in cui il venditore non adempia agli obblighi previsti dalla disciplina consumeristica. È poi prevista una presunzione a favore del consumatore, la quale si trova posta in seno alla previsione (ai sensi dell' art. 135 c. 1 D.Lgs. 206/2005), secondo la quale è appunto presunto che «[…] qualsiasi difetto di conformità che si manifesta entro un anno dal momento in cui il bene è stato consegnato esistesse già a tale data». Detta presunzione è conclusa iuris tantum (superabile, comunque, mediante prova contraria), avente il fine di agevolare la posizione del consumatore, nel caso in cui il difetto si manifesti entro il termine anzidetto. Quegli, infatti, gode di un'agevolazione dal lato della prova, essendo soltanto chiamato ad allegare la sussistenza del vizio. È sulla controparte, invece, che si fa pesare l'onere di soddisfare la prova della conformità del bene consegnato, rispetto a quanto statuito con il contratto di vendita. Una volta esaurito il termine sopra indicato, trova ingresso la disciplina generale recata dall'art. 2697 c.c., in materia di prova. Tanto postula che il consumatore, il quale decida di agire in sede di giudizio, sia chiamato ad offrire la prova che il difetto si trovasse insito nel bene sin dall'origine, in quanto il vizio si potrebbe anche qualificare quale sopravvenuto ed in tal caso le ragioni di esso potrebbero dipendere da cause, queste del tutto indipendenti rispetto al tema del difetto di conformità del prodotto. Del principio appena richiamato, corollario è poi quello relativo alla posizione del consumatore, il quale è così chiamato a provare l'inesatto adempimento, là dove costituisce onere gravante sul venditore, quello di soddisfare l'onere probatorio, anche mediante presunzioni, di aver consegnato una cosa che sia conforme alle stesse caratteristiche del tipo che costituisce oggetto di ordinaria produzione, ovvero il fatto che il processo di fabbricazione o di realizzazione del bene sia regolare. Solamente nel caso in cui la già menzionata prova sia stata soddisfatta, si porta in capo al compratore l'onere di provare l'esistenza di un vizio, oppure di un vizio della cosa che sia quindi imputabile al venditore. Attesa, inoltre, la previsione (di cui all'art. 5 par. 3 Dir. 1999/44/CE), secondo la quale «fino a prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità», la giurisprudenza della Corte di giustizia, rammenta che in base alla formulazione della disposizione (ai sensi dell'art. 5 par. 2 Dir. 1999/44/CE in combinato disposto con il considerando n. 19), l'onere che si fa gravare in capo al consumatore, non può ampliarsi sino a superare il limite costituito dalla denuncia al venditore della sussistenza di un difetto di conformità. Sul contenuto, invece, di una tale informazione, si esclude che possa esigersi dal consumatore che questi renda la prova che effettivamente un difetto di conformità colpisca il bene acquistato, in considerazione della condizione di inferiorità nella quale egli versa rispetto alla controparte del venditore, relativamente alle informazioni afferenti alla qualità di detto bene e sullo stato in cui lo stesso è stato venduto. Il consumatore, inoltre, non può neanche essere destinatario di un particolare obbligo di indicazione della esatta causa di tale difetto di conformità. Viceversa, affinché l'informazione possa rivelarsi utile per il venditore, la stessa dovrebbe contemplare talune indicazioni. Il livello di precisione di queste stesse dipenderà dalla mutevolezza delle circostanze specifiche di ogni caso. Queste ultime verteranno, quindi, sulla natura del bene, sul tenore del relativo contratto di vendita, nonché sul difetto di conformità che il consumatore lamenti. Relativamente all'onere della prova fatto gravare in capo al consumatore ai fini della denuncia del difetto di conformità, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha sostenuto come si dovesse rimanere fermi al semplice obbligo di denuncia. Quindi, non si è ritenuta necessaria la produzione di una prova del difetto medesimo, o l'indicazione della causa precisa dello stesso. Sul punto si rammenta come la richiamata Direttiva, permetta agli Stati membri, allo scopo di consentire al consumatore di fruire dei suoi diritti, di prevedere la denuncia al venditore della sussistenza del difetto di conformità, osservando il termine di due mesi dalla data di constatazione. Una tale possibilità si è posta in collegamento con la necessità di soddisfare la certezza del diritto, dimodoché l'acquirente è tenuto ad adoperarsi con diligenza, avendo cura degli interessi del venditore, senza anche alla necessità di procedere all'effettuazione di una ispezione meticolosa del bene. L'onere probatorio posto in capo al consumatore ne riesce poi meno gravoso attraverso la normativa (Dir. 1999/44/CE). Ciò che ha luogo mediante l'introduzione della presunzione del difetto all'atto della consegna del bene, nel caso in cui la manifestazione di esso sia occorsa nei due mesi successivi. Al fine di avvalersi della presunzione, spetta tuttavia al consumatore rendere una prova limitata relativa alla ricorrenza di dati fatti. In particolare, spetta all'acquirente far valere e rendere la prova che la difformità del bene oggetto della vendita non sia conforme al corrispondente contratto, in quanto manchi di presentare le qualità convenute in quest'ultimo; il bene non risulta essere idoneo all'uso che, invece, ci si attende per tale genere. Deve quindi essere resa solamente la sussistenza del difetto. Non è, invece, necessario rendere la prova della causa di esso, oppure dell'origine imputabile al venditore. L'acquirente è poi tenuto a dimostrare come il difetto di difformità si sia reso manifesto nel termine di sei mesi dalla consegna del bene. Dimodoché, egli è sollevato dall'onere di provare che esso esistesse di già all'atto della consegna del bene medesimo. Ciò, atteso che il palesarsi del difetto del bene nel breve termine di sei mesi, permette di supporre che lo stesso si trovasse già in una situazione embrionale, all'atto della consegna. Grava, di conseguenza, in capo alla figura del venditore l'onere di provare che il difetto di conformità non sia presente all'atto della consegna del bene o che detto difetto non abbia origine o causa in un atto od omissione che segua detta consegna. 3) Relativamente alla forma da osservare ai fini della proposizione della denunzia al venditore, si deve rilevare come negli orientamenti emersi in sede di legittimità si sia consolidato l'orientamento, secondo cui la denunzia dei vizi della cosa da parte del compratore (ai sensi dell'art. 1495 c.c.), possa eseguirsi, mancando una specifica disposizione normativa sulla materia appunto della forma da osservare, attraverso qualsiasi mezzo, il quale si riveli essere in modo concreto munito della necessaria idoneità a portare a conoscenza del venditore i vizi che siano stati oggetto di relativo riscontro. Bussole di inquadramentoPotrebbe interessarti |