Mancata e ingiustificata accettazione di una proposta conciliativa giudiziale: quali conseguenze sulle spese?
20 Aprile 2023
Massima
La condanna alle spese per mancata e ingiustificata accettazione della proposta conciliativa ai sensi dell'art. 91 c.p.c. costituisce estrinsecazione del principio di causalità, sotteso al criterio della soccombenza, quale regola di riparto dei costi del processo, e non rappresenta una sanzione a fronte di un danno punitivo. La proposta, tuttavia, per rientrare nella previsione della norma deve avere natura "conciliativa" ed essere, quindi, necessariamente circoscritta alla materia del contendere, mentre non sono in essa ricomprese le proposte "transattive", il cui contenuto riguardi anche rapporti ulteriori e diversi da quello dedotto in causa, intercorrenti tra le stesse parti, al cui riguardo intervengono reciproche concessioni. Il caso
Tizio proponeva opposizione, davanti al Tribunale di Como avverso il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ottenuto nei suoi confronti dall'impresa Alfa, per il pagamento della somma di Euro 9.960,00, costituente il corrispettivo dei lavori eseguiti dalla Alfa presso il capannone industriale dell'opponente. L'opponente, in particolare, chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo opposto e, in via riconvenzionale, il riconoscimento della non debenza di talune somme per lavori non effettuati dall'opposta; la rifusione delle somme spese per rimediare ad alcuni difetti dell'opera realizzata; il risarcimento del danno sofferto per la presenza di vizi negli impianti e per la mancata agibilità e disponibilità del capannone, quantificati nell'importo di Euro 8.000,00, da compensare totalmente o parzialmente con le somme eventualmente dovute all'ingiungente. Il giudizio di primo grado – nell'ambito del quale era autorizzata la chiamata in causa, da parte di Alfa, della Beta snc, quale grossista di fiducia che aveva fornito, oltre al prodotto, il progetto di installazione dell'impianto di cui l'opponente denunciava i vizi – si concludeva con il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto, nonché con il rigetto delle domande riconvenzionali dell'opponente. Avverso la predetta decisione, Tizio interponeva appello, avverso cui resistevano la Alfa - che proponeva, a sua volta, appello incidentale - e la Beta snc. Decidendo sul gravame, la Corte d'appello di Milano, in riforma della pronuncia impugnata, revocava il decreto ingiuntivo opposto e accoglieva parzialmente la domanda di Alfa sottesa all'originario ricorso per ingiunzione, nonché, sempre parzialmente, le domande riconvenzionali dell'opponente, con compensazione degli importi reciprocamente dovuti tra le parti. Le spese del doppio grado di giudizio tra Tizio e Alfa erano, quindi, compensate, mentre Alfa era condannata a rifondere le spese del giudizio di primo grado e di appello in favore della terza chiamata Beta snc, stante la ritenuta palese infondatezza della domanda di garanzia, su cui la Alfa aveva insistito, benché subordinatamente, anche in grado di appello. Le spese della C.T.U. svoltasi in primo grado erano poste a carico di Tizio e Alfa in misura di metà ciascuna. La questione
Avverso la sentenza d'appello proponeva ricorso per cassazione l'impresa Alfa, affidato a cinque motivi. Resisteva con controricorso l'intimato Tizio, mentre restava contumace la Beta snc. Dei cinque motivi di ricorso articolati, tre afferivano alla regolamentazione delle spese di lite, anche con riferimento al rifiuto, da parte di Tizio, della proposta conciliativa formulata da Alfa nel corso del giudizio di merito. Le soluzioni giuridiche
All'esito di complessa decisione, la Suprema Corte cassava la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decideva nel merito la causa, accogliendo parzialmente le domande di Tizio e dell'impresa Alfa. Avuto, quindi, riferimento unitariamente all'esito finale della lite, i giudici di legittimità ritenevano di compensare le spese di tutti i gradi di giudizio tra Tizio e Alfa, in ragione della soccombenza reciproca delle parti. Anche le spese di C.T.U., per le medesime ragioni, erano poste a carico delle predette parti in misura di metà ciascuna, mentre venivano mantenute ferme le statuizioni sulle spese nell'ambito del rapporto tra la Alfa e la Beta snc. Si precisava, in particolare, a sostegno della decisione sulle spese, che la reciproca soccombenza va ravvisata, sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, allorché quest'ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni. Veniva, invece, disattesa la domanda di Alfa di condanna di Tizio alle spese del giudizio all'esito del rifiuto della proposta conciliativa formulata nel corso del giudizio di merito. Si osserva, infatti, nella sentenza in commento, che l'art. 91 c.p.c., comma 1, secondo periodo - il quale prevede, nel testo novellato dalla l. n. 69/2009, che il giudice, qualora accolga la domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa, condanni la parte che abbia rifiutato, senza giustificato motivo, la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta medesima, salvo quanto disposto dall'art. 92 c.p.c., comma 2 - costituisce estrinsecazione del principio di causalità, sotteso al criterio della soccombenza, quale regola di riparto dei costi del processo, e non rappresenta una sanzione a fronte di un danno punitivo. Il legislatore, in altri termini, ha inteso regolare le conseguenze, non tanto della mancata conciliazione in sé, quanto piuttosto dell'abuso del processo e dello scorretto comportamento della parte che, pur nella sostanza vittoriosa, si sia sottratta ad una seria e ragionevole piattaforma conciliativa proposta o accettata dall'avversario. Una conferma di ciò si rinviene, ad avviso della Suprema Corte, nella disciplina in tema di equa riparazione per eccessiva durata del processo, posto che l'art. 2, comma 2-quinquies, lettera b) della l. n. 89/2001 non riconosce alcun indennizzo nel caso di cui all'art. 91 c.p.c., comma 1, secondo periodo, ossia in ipotesi di ingiustificato rifiuto della proposta conciliativa. Affinché possa realizzarsi la previsione dell' art. 91, comma 1, secondo periodo, c.p.c., tuttavia, come evincibile dalla stessa lettera della norma, la proposta rifiutata deve avere natura "conciliativa", sicché non possono considerarsi ricomprese nella previsione normativa le proposte "transattive" che, a differenza di quelle conciliative - necessariamente circoscritte alla materia del contendere - possono riguardare anche rapporti ulteriori e diversi da quello dedotto in causa, intercorrenti tra le stesse parti, al cui riguardo intervengono reciproche concessioni. La proposta transattiva, quindi, nella misura in cui implichi la definizione di altri rapporti controversi inter partes, non consente il confronto, richiesto dall'art. 91, comma 1, c.p.c., con la domanda giudiziale e con l'esito del giudizio. Lo stesso art. 91, comma 1, secondo periodo, c.p.c. fa salvo, peraltro, quanto disposto dall'art. 92, comma 2 dello stesso codice di rito, per cui la condanna della parte vittoriosa che si sia vista accogliere la domanda in misura non superiore alla proposta conciliativa può trovare applicazione soltanto nel caso in cui il giudice non ritenga di provvedere alla compensazione delle spese "per soccombenza reciproca" o per "novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti" (o comunque in presenza di altre gravi ed eccezionali ragioni, all'esito dell'intervento della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 77/2018): simili ragioni, infatti, possono inerire anche al mancato accordo tra le parti e alle circostanze che hanno giustificato il rifiuto di una proposta conciliativa. Con riferimento, quindi, alla vicenda di specie, si escludeva la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della norma, in quanto la proposta fatta dalla parte era estesa anche ad altro contenzioso (pendente davanti al Tribunale di Imperia ed innescato da opposizione a precetto), sicché era ritenuto difettante il requisito della natura "conciliativa" della proposta, da qualificarsi come "transattiva" in quanto estesa anche in ordine a pretese estranee al giudizio. L'esito complessivo della lite, inoltre, per come già accennato, portava a ritenere configurabile una soccombenza reciproca tra le parti, fatta salva dall'art. 91, comma 1 secondo periodo cpc con clausola di riserva idonea ad escludere l'applicazione del dettato normativo. La sentenza in commento, infine, prende posizione sulle spese di CTU, precisando che le stesse rientrano tra i costi processuali suscettibili di regolamento ex artt. 91 e 92 c.p.c. Nel caso specifico, quindi, l'attribuzione a carico di entrambe le veniva ritenuta giustificata alla luce della ritenuta soccombenza reciproca tra le parti, con la precisazione, peraltro, che tali spese avrebbero potuto essere compensate anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa, costituendo simile statuizione una “variante verbale della tecnica di compensazione espressa per frazioni dell'intero”. Osservazioni
In generale, la regolamentazione delle spese nel processo civile è retta dal principio della soccombenza, in forza del quale la parte che perde il processo è tenuta a sopportare in via definitiva le spese da lei anticipate ed a rimborsare le spese sostenute dalla controparte vittoriosa. La soccombenza è, a sua volta, espressione di un principio di causalità, nel senso che la condanna alle spese trova il suo fondamento nell'esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto svolgere un'attività processuale per ottenere il riconoscimento e l'attuazione di un suo diritto. Ne consegue, da un lato, che irrilevante, a fronte del dato della soccombenza, è il fatto che la parte soccombente sia rimasta contumace in giudizio; dall'altro che una condanna alle spese non può essere pronunziata in favore del contumace vittorioso, poiché questi, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (Cass. civ., sez. III, ord., 14 marzo 2023, n. 7361; Cass. civ., sez. VI-3, ord., 19 giugno 2018, n. 6174). Espressione del principio di causalità, secondo la pronuncia in commento, è anche la disciplina derogatoria alla regola della soccombenza dettata dall'art. 91, comma 1, ultimo periodo, in forza della quale il giudice “se accoglie la domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell'art. 92”. Il fine della norma, infatti non sarebbe quello di sanzionare le conseguenze di una mancata conciliazione, quanto piuttosto di colpire il comportamento della parte che “pur nella sostanza vittoriosa, si sia sottratta ad una seria e ragionevole piattaforma conciliativa proposta o accettata dall'avversario”, tant'è che ai sensi dell'art. 2, comma 2-quinquies, lett. b), l. n. 89/2001 non è riconosciuto alcun indennizzo per l'irragionevole durata del processo nel caso di cui all'art. 91, comma 1, secondo periodo, c.p.c. ossia in ipotesi di ingiustificato rifiuto della proposta conciliativa. Il principio di causalità, d'altra parte, a differenza di quello "oggettivo" della soccombenza, fondato solo sull'esito della lite, attribuisce rilievo anche a condotte contrarie al dovere di lealtà e di probità, codificato dall'art. 88 c.p.c. (cfr. Corte cost., sent., 11 dicembre 2020, n. 268). Affinché, tuttavia, la norma possa trovare applicazione occorre, in primo luogo, che la proposta fatta alla parte tenda alla conciliazione giudiziale, in quanto circoscritta alla materia del contendere. Poiché, quindi, a differenza della proposta conciliativa in senso proprio, la proposta transattiva può riguardare anche rapporti ulteriori e diversi da quello dedotto in causa, intercorrenti tra le stesse parti e al fine di farsi reciproche concessioni, non rientra nel campo di applicazione della norma la proposta transattiva fatta alla parte poi risultata vittoriosa, nella misura in cui abbia implicato anche la definizione di altri rapporti controversi inter partes, In secondo luogo, anche in presenza di una proposta conciliativa seria e ragionevole rifiutata dalla parte vittoriosa, è in facoltà del giudice compensare in tutto o in parte le spese e competenze di lite, in presenza delle condizioni di cui all'art. 92 c.p.c. (e, quindi, in caso di soccombenza reciproca, ovvero in caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento giurisprudenziale su questioni dirimenti, nonché, in forza di sentenza n. 77/2018 della Corte costituzionale, qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni), in forza della riserva contenuta nello stesso art. 91, comma 1, ultimo periodo, c.p.c. E' solo il caso di osservare, in conclusione, che come chiarito sia dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. civ., sez. un., sent., 12 settembre 2017, n. 21109), sia dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent., 11 dicembre 2020, n. 268 cit.) la proposta conciliativa alla quale fa riferimento l'art. 91 c.p.c. è solo quella formulata da una delle parti in causa ad un'altra. In caso, invece, di mancata adesione ingiustificata di una delle parti alla proposta conciliativa del giudice, formulata ai sensi dell'art. 185-bis c.p.c., la sanzione potrà essere quella di cui all'art. 96, comma 3, c.p.c., ovvero si potrà ritenere sussistente una causa di compensazione delle spese ai sensi dell'art. 92 c.p.c., come risultante dalla citata sentenza n. 77/2018 della Corte costituzionale. Riferimenti
Per un approfondimento generale sull'art. 91 c.p.c. si vedano Cass. civ., sez. un., ord., 8 novembre 2022, n. 32906; Cass. civ., sez. un., 31 ottobre 2022, n. 32061. Sulle conseguenze, in punto di spese, dell'ingiustificato rifiuto alla proposta conciliativa fatta da una parte all'altra si vedano Cass. civ., sez. VI, ord., 22 ottobre 2020, n. 23044; Cass. civ., sez. III, ord., 23 gennaio 2018, n. 1572 nonché Corte cost., 11 dicembre 2020, n. 268. |