Luca Conte
05 Maggio 2023

La riforma del processo civile (d.lgs. n. 149/2022) introduce nel codice di rito il nuovo procedimento semplificato di cognizione disciplinato dagli artt. 281-decies-281-terdecies c.p.c. e contestualmente abroga il processo sommario di cognizione regolato dagli artt. 702-bis -702-quater c.p.c.
Inquadramento

In attuazione del criterio di delega (art.1, quinto comma, lett. “n”) di cui alla l. n. 206/2021 la riforma Cartabia, per il tramite dell'art. 3 d.lgs. n. 149/2022, introduce nel codice di rito il nuovo procedimento semplificato di cognizione e contestualmente abroga il processo sommario di cognizione regolato dagli artt. 702-bis -702-quater c.p.c.

Invero, la collocazione del nuovo formato procedimentale nel Titolo I del Libro II (rispetto alla pregressa ubicazione nel Titolo I del Libro IV del suo antecedente prossimo), il cambio di denominazione ed il fatto che, salva l'applicazione dei riti speciali (artt. 409 e 447-bis c.p.c.), costituisca l'unica modalità alternativa di introduzione del processo avanti il tribunale, rivelano l'intenzione del legislatore di considerare questo procedimento come un giudizio a cognizione piena (e non sommaria) aderendo alla ricostruzione offerta da parte della dottrina e della giurisprudenza con riferimento all'abrogato rito sommario. La “semplificazione” si ravvisa, dunque, non nella superficialità del momento accertativo quanto nelle forme, sì da essere adeguato alla semplicità delle controversie che vi sono sottoposte. A rafforzare l'affinità tra il rito semplificato e quello ordinario vi è anche la tipologia del provvedimento definitorio che l'art. 281-terdecies c.p.c. individua nella sentenza, la quale, impugnabile nei modi ordinari, è idonea ad assumere l'autorità di cosa giudicata sostanziale ex art. 2909 c.c.

La portata applicativa

Prima di occuparci delle controversie che possono (o devono) essere trattate con il novellato procedimento semplificato ex art. 281-decies c.p.c., ci pare opportuno soffermarci su qualche aspetto (sempre applicativo) di carattere più generale.

Basti qui rammentare che il nuovo rito si applica, in primo grado, assumendo così una valenza generalizzata, anche alle controversie di competenza del tribunale in composizione collegiale (art. 281-terdecies c.p.c.), oltre che ai giudizi avanti il giudice di pace (art. 316 c.p.c.). Costituisce, altresì, rito esclusivo per la trattazione e la decisione delle fattispecie previste dal Capo III del d.lgs. n. 150/2011 e delle cause di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica previste dalla l. n. 24/2017. Per converso, tenuto anche conto dell'art. 1, quinto comma, lett “n”, num. 3 della legge delega, il procedimento semplificato non si applica alle cause di competenza della corte d'appello (salvo operi in unico grado nelle ipotesi di cui al citato d.lgs. n. 150/2011) e del tribunale in funzione di giudice di secondo grado (trovando qui applicazione le diverse regole dettato per l'appello).

Ciò detto, passando ora in rassegna quelli che sono i presupposti applicativi per l'utilizzo del nuovo rito semplificato, l'art. 281-decies c.p.c. distingue, rispettivamente al primo e secondo comma, (i) tra le controversie in cui “i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un'istruzione non complessa”, nel qual caso “il giudizio è introdotto nelle forme del procedimento semplificato” e (ii) le “cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica” ove “la domanda può sempre essere proposta nelle forme del procedimento semplificato”.

La differenza è netta, poiché al ricorrere delle ipotesi di cui al primo comma - significativo l'impiego della locuzione il giudizio “è” introdotto - le cause debbono essere “obbligatoriamente trattate” con il rito semplificato, come si legge nella Relazione illustrativa e nel sopramenzionato criterio di delega (“debba essere adottato in ogni procedimento”); mentre sussistente la competenza monocratica la parte che instaura la lite può sempre(facoltativamente) avvalersene.

Pertanto, come è già stato osservato, nell'ambito delle controversie di primo grado di competenza del tribunale (in entrambe le composizioni), integrati i presupposti del primo comma dell'art. 281 decies c.p.c., il procedimento semplificato costituisce il rito esclusivo e sostitutivo rispetto al rito ordinario, diventando, invece, rito concorrente e alternativo rimesso alla discrezionalità di chi avvia la lite qualora la causa appartenga alla cognizione del tribunale monocratico.

Il meccanismo di controllo in ordine al corretto incardinamento della causa da decidersi in forma semplificata è dettato dagli artt. 171-bis, 183-bis e 281-duodecies c.p.c.

Relativamente all'obbligatorietà del novellato procedimento, qualora la causa sia stata introdotta con il rito ordinario, il tribunale verificherà la sussistenza dei presupposti per procedere con il rito semplificato durante le verifiche preliminari previste dall'art. 171-bis, comma 1, c.p.c. ed a seguito delle difese sul punto argomentate dalle parti nelle memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c. alla prima udienza di trattazione, se ravvisa i presupposti di obbligatorietà di cui si è detto, “dispone” ai sensi dell'art. 183-bis c.p.c. la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato. Si noti che la conversione del rito appare saldamente sottratta a diverse alternative di segno opposto (a differenza del previgente art. 183-bis c.p.c. che prevedeva un ben più manovrabile “può disporre”) con ciò ribadendo la natura esclusiva e sostitutiva del procedimento semplificato rispetto quello ordinario.

Viceversa, nel caso in cui in prima battuta l'attore abbia optato per il rito semplificato (vuoi perché lo ha ritenuto “obbligatorio” o perché così ha preferito agire stante la competenza monocratica del tribunale), il giudice adìto, in sede di prima udienza, qualora, evidentemente a seguito delle difese spiegate dal convenuto (soltanto in esito a queste ultime sarà possibile, ad esempio, verificare se i fatti costitutivi siano stati o meno contestati o se le eventuali eccezioni preliminari di merito siano sorrette da prove documentali), dovesse rilevare che per la domanda principale o riconvenzionale non sussistano i presupposti di cui all'art. 281-decies, comma 1, c.p.c. oppure ritenere che la complessità della lite o dell'istruzione probatoria sia tale da necessitare l'impiego del rito ordinario, provvederà alla conversione del rito nelle forme ordinarie con ordinanza non impugnabile.

Forma della domanda e costituzione del convenuto

L'art. 281-undecies c.p.c. regola la fase introduttiva del processo semplificato disciplinando gli atti delle parti, i termini e l'instaurazione del contraddittorio.

Il novellato rito prende avvio con il deposito di un ricorso redatto sulla falsariga dell'atto di citazione con la ovvia espunzione dell'invito a comparire all'udienza fissa tenuto conto che la medesima viene stabilita dal giudice con decreto, entro cinque giorni dalla propria designazione. Il ricorso ed il decreto, che indica altresì il termine di costituzione del convenuto (i.e. non oltre dieci giorni prima rispetto l'udienza) debbono essere notificati a cura dell'attore; tra la notificazione e l'udienza devono intercorrere termini liberi non minori di quaranta giorni (sessanta se il luogo della notificazione si trova all'estero).

Il convenuto si costituisce mediante il deposito della comparsa di risposta la quale, dal punto di vista contenutistico, non diverge dall'omologo atto “ordinario”; identiche sono anche le attività che il convenuto deve effettuare a pena di decadenza nel primo atto tempestivamente depositato. A differenza del processo sommario di cognizione che prevedeva la sola chiamata in garanzia, l'istituto ex art. 106 c.p.c. è, ora, richiamato in via generale (ricomprendendo, quindi, anche la fattispecie per “comunanza di causa”).

La fase di trattazione e istruttoria

A tal proposito è bene prendere le mosse sia dal criterio di delega più volte citato, il quale faceva riferimento alla “indicazione di termini e tempi prevedibili e ridotti rispetto a quelli previsti per il rito ordinario per lo svolgimento delle difese e il maturare delle preclusioni” che dalla Relazione illustrativa a mente della quale “l'attuazione del rito semplificato deve coniugarsi con la necessità di prevedere una scansione processuale in cui maturano in modo chiaro e prevedibile le preclusioni e consenta di prevedere i tempi di trattazione del procedimento con questo rito, fermo restando il necessario rispetto del principio del contraddittorio”.

Pertanto, mentre sotto l'egida del vecchio art. 702-ter, comma 5, c.p.c. lo svolgimento del processo sommario di cognizione veniva rimesso alla discrezionalità del giudice che “sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzioni rilevanti”, ora l'art. 281-duodecies disciplina autonomamente il procedimento.

Il primo comma della norma testé menzionata, come abbiamo anticipato nel paragrafo precedente, regola le ipotesi in cui è necessario convertire il rito da semplificato ad ordinario. Ciò è necessario al verificarsi di due ipotesi. La prima qualora difettino i presupposti applicativi del nuovo procedimento indicati nel primo comma dell'art. 281-decies c.p.c. Dunque mancano le caratteristiche che la causa deve avere, affinché possa (debba) essere definita con il rito semplificato, il che si traduce in liti nelle quali i fatti sono controversi, oppure non sono provati documentalmente o richiedono un'istruttoria basata su prove di non pronta soluzione. La seconda ipotesi di conversione si sostanzia nella valutazione di opportunità effettuata dal giudice di trattare la causa nelle forme ordinarie vista la complessità del caso e dell'istruzione probatoria.

Qualora il giudice provveda in tal senso (con ordinanza non impugnabile) fissa contestualmente l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. rispetto alla quale decorrono i termini a ritroso per il deposito delle memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c.

Il secondo, il terzo e il quarto comma dell'art. 281-duodecies si occupano delle attività espletabili in sede di prima udienza (o entro la data della medesima). Segnatamente, al più tardi in tale occasione l'attore potrà chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto (e.g. chiamata del c.d. vero obbligato o in garanzia a seguito della riconvenzionale formulata da controparte). Pur nel silenzio del secondo comma è ragionevole ritenere – tenuto conto delle facoltà esercitabili in forza del terzo comma previste a pena di decadenza – che anche la chiamata del terzo soggiaccia alla preclusione temporale connessa allo spirare della prima udienza. Il giudice, se autorizza la chiamata, fissa la data della nuova udienza assegnando all'attore un termine perentorio per la citazione del terzo la cui costituzione dovrà avvenire ai sensi del terzo comma dell'art. 281-undecies. La norma non specifica i termini di comparizione e di costituzione del chiamato, ma non si ravvisano ragioni per disapplicare quanto previsto dall'art. 281-undecies, secondo comma, c.p.c. riferito al convenuto originario.

Nel caso in cui alla prima udienza il giudice disponga la conversione del rito nelle forme ordinarie, con la stessa ordinanza provvede ad autorizzare la chiamata del terzo.

Il terzo comma stabilisce che “Alla stessa udienza, a pena di decadenza, le parti possono proporre le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti”. Il legislatore delegato assicura alle parti la possibilità di replicare alle novità dedotte dagli avversari dando piena attuazione al principio del contraddittorio. Si noti che la facoltà di replica è attribuita anche in relazione alle eccezioni provenienti “dalle altre parti” con ciò riferendosi al terzo chiamato o all'intervenuto, sicché il riferimento temporale “alla stessa udienza” dovrà leggersi con riferimento al primo momento di comparizione (se del caso “cartolare”) delle parti successivamente alla costituzione del terzo chiamato o dell'interventore. Dal punto di vista contenutistico, le facoltà ammesse dalla norma (i.e. “eccezioni”) debbono comprendere, secondo attenta dottrina, tutte le deduzioni che siano conseguenza dello sviluppo dialettico del processo. Pertanto sarebbero per tale ragione ammissibili la modificazione della domanda, delle eccezioni e delle conclusioni, il rilievo di nuove eccezioni ed anche le mere difese in fatto ed in diritto (con la deduzione dei mezzi di prova finalizzati a dimostrarli), poiché pur non ampliando l'oggetto del processo ben possono fungere da argomentazioni tese a, seconda di chi le propone, all'accoglimento o al rigetto delle domande formulate. La legge non prevede tra le attività di replica la formulazione di nuove domande a differenza di quanto accade nel rito ordinario (art. 171-ter, comma 1, n.1, c.p.c. e prima in virtù dell'art. 183, comma 5, c.p.c.) probabilmente ritenendo sufficiente contraddire nei termini poc'anzi descritti con lo strumento dell'eccezione nel senso chiarito senza la necessità di spiegare una reconventio reconventionis.

Sempre nell'ambito della prima udienza (se del caso posticipata a seguito di un evento litisconsortile) il quarto comma dispone che “Se richiesto e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere alle parti un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria.” L'eventuale appendice (con ogni probabilità) scritta disciplina le attività assertive e probatorie estranee alla necessità di replica (disciplinata dal terzo comma) aventi la sola funzione di “aggiustare”, anche dal punto di vista probatorio, le difese già spiegate. Invero la concessione dei termini aggiuntivi è subordinata non soltanto alla richiesta di almeno una parte, ma anche dalla positiva verifica da parte del giudice circa la sussistenza di un giustificato motivo. Formula, quest'ultima, dai contorni non del tutto nitidi, ma che evidentemente vuole attribuire unicamente al giudice (senza automatismi di sorta) il potere di assegnare i termini qualora ciò sia ritenuto opportuno viste le caratteristiche del caso concreto e della fattispecie sostanziale ad esso sottesa.

Si noti che entrambe le facoltà attribuite alle parti di cui al terzo e quarto comma dell'art. 281-duodecies sono previste a pena di decadenza, sicché nell'ipotesi in cui non vegano concessi i termini aggiuntivi, le preclusioni assertive ed istruttorie maturano già alla prima udienza, mentre qualora siano ammesse le memorie aggiuntive lo sviluppo di quanto eccepito in udienza potrà essere effettuato sino alla scadenza del primo termine di venti giorni disposto dal giudice.

Il quinto comma dell'articolo in esame prevede che in assenza di istanze ex art. 106 c.p.c. o richieste di termini, il giudice “ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione”. La differenza con processo sommario di cognizione non è da poco. Difatti, ai sensi dell'art. 702-ter, comma 5, c.p.c. il tribunale procedeva “nel modo più opportuno agli atti di istruzione rilevanti” dando luogo, secondo le parole della Corte costituzionale, ad una fase istruttoria “semplificata” e “deformalizzata”, mentre nel rito semplificato il magistrato dovrà attenersi alle stesse regole che presiedono allo svolgimento dell'attività istruttoria nel rito ordinario.

La fase decisoria

L'art. 281-terdecies c.p.c. applica sempre lo schema della decisione orale tipico del rito ordinario precisando il richiamo all'art. 281-sexies c.p.c. qualora la causa “semplificata” sia di competenza del giudice monocratico e all'art. 275 bis c.p.c. se a decidere è il tribunale nella composizione collegiale. Il provvedimento che definisce il giudizio assume la forma della sentenza (anche nei procedimenti di cui al Capo III del d.lgs. n. 150/2011 regolati in via esclusiva dal procedimento semplificato) senza deroghe alle disposizioni di parte generale che prevedono la forma dell'ordinanza qualora la pronuncia abbia ad oggetto le sole questioni di litispendenza, continenza, competenza e connessione (artt. 38-40 c.p.c.).

La sentenza è impugnabile nei modi ordinari. L'esplicita previsione normativa dissolve i dubbi, risolti dalla giurisprudenza, che erano sorti in relazione alla modalità di proposizione dell'appello avverso l'ordinanza che definiva il procedimento sommario. Attualmente, dunque, in forza dei “modi ordinari” si può affermare che l'appello della sentenza “semplificata” dovrà essere proposto con atto di citazione in applicazione del regime ordinario dettato dall'art. 342 c.p.c. (soluzione quest'ultima individuata anche in sede pretoria nella vigenza degli artt. 702-bis ss. c.p.c.). Peraltro, l'applicazione dell'appello ordinario unitamente alla cognizione piena che caratterizza il nuovo procedimento hanno fatto venire meno l'esigenza di prevedere norme particolari per il giudizio di secondo grado sulla scorta di quanto era previsto dagli artt. 702-quater e 348-bis c.p.c.

Del pari devono considerarsi ex lege ammissibili anche i rimedi “classici” della revocazione ex art. 395 c.p.c. e dell'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., oltre, ma è superfluo dirlo, alla ricorribilità per cassazione della sentenza d'appello.

Riferimenti
  • Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2022, XXVIII., IV, 365 ss.;
  • Masoni, Il procedimento semplificato di cognizione, in giustiziacivile.com 2022;
  • Motto, Prime osservazioni sul procedimento semplificato di cognizione, in Judicium 2023
  • Vellani, Brevi note alle norme in materia di processo semplificato, in Trim. Dir. Proc. Civ., 2021, 4, 1027;
  • Taraschi, Riforma processo civile: il nuovo rito semplificato di cognizione, in IUS Processo civile (ius.giuffrefl.it), 8 novembre 2022.
  • Tombolini, Note a caldo sulla nuova legge delega di riforma della giustizia civile: le modifiche al giudizio di primo grado, in Judicium, 2021.
  • Corte cost., 26 novembre 2020, n. 253, in giustiziacivile.com 2021