21 Marzo 2025

La riforma del processo civile (d.lgs. n. 149/2022) introduce nel codice di rito il nuovo procedimento semplificato di cognizione disciplinato dagli artt. 281-decies - 281-terdecies c.p.c. e contestualmente abroga il processo sommario di cognizione regolato dagli artt. 702-bis702-quater c.p.c.

Inquadramento

In attuazione del criterio di delega (art. 1, comma 5, lett. n) di cui alla l. n. 206/2021 la riforma Cartabia, per il tramite dell'art. 3, d.lgs. n. 149/2022, introduce nel codice di rito il nuovo procedimento semplificato di cognizione e contestualmente abroga il processo sommario di cognizione regolato dagli artt. 702-bis - 702-quater c.p.c.

Invero, la collocazione del nuovo formato procedimentale nel Titolo I del Libro II (rispetto alla pregressa ubicazione nel Titolo I del Libro IV del suo antecedente prossimo), il cambio di denominazione ed il fatto che, salva l'applicazione dei riti speciali (artt. 409 e 447-bis c.p.c.), costituisca l'unica modalità alternativa di introduzione del processo avanti al Tribunale, rivelano l'intenzione del legislatore di considerare questo procedimento come un giudizio a cognizione piena (e non sommaria) aderendo alla ricostruzione offerta da parte della dottrina e della giurisprudenza con riferimento all'abrogato rito sommario. La “semplificazione” si ravvisa, dunque, non nella superficialità del momento accertativo, quanto nelle forme, sì da essere adeguato alla semplicità delle controversie che vi sono sottoposte. A rafforzare l'affinità tra il rito semplificato e quello ordinario vi è anche la tipologia del provvedimento definitorio che l'art. 281-terdecies c.p.c. individua nella sentenza, la quale, impugnabile nei modi ordinari, è idonea ad assumere l'autorità di cosa giudicata sostanziale ex art. 2909 c.c.

Ciò brevemente premesso, ci pare opportuno, dapprima, dare conto delle principali caratteristiche del procedimento semplificato di cognizione nella sua formulazione originaria e, poi, soffermarci sulle modifiche apportate dal d.lgs. n. 164/2024 contenente le disposizioni integrative e correttive al già menzionato d.lgs. n. 149/2022.

La portata applicativa

Prima di occuparci delle controversie che possono (o devono) essere trattate con il novellato procedimento semplificato ex art. 281-decies c.p.c., ci pare opportuno soffermarci su qualche aspetto (sempre applicativo) di carattere più generale.

Basti qui rammentare che il nuovo rito si applica, in primo grado, assumendo così una valenza generalizzata, anche alle controversie di competenza del tribunale in composizione collegiale (art. 281-terdecies c.p.c.), oltre che ai giudizi avanti il giudice di pace (art. 316 c.p.c.). Costituisce, altresì, rito esclusivo per la trattazione e la decisione delle fattispecie previste dal Capo III del d.lgs. n. 150/2011 e delle cause di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica previste dalla l. n. 24/2017. Per converso, tenuto anche conto dell'art. 1, comma 5, lett. n), n. 3 della legge delega, il procedimento semplificato non si applica alle cause di competenza della Corte d'appello (salvo operi in unico grado nelle ipotesi di cui al citato d.lgs. n. 150/2011) e del Tribunale in funzione di giudice di secondo grado (trovando qui applicazione le diverse regole dettato per l'appello).

Ciò detto, passando ora in rassegna quelli che sono i presupposti applicativi per l'utilizzo del nuovo rito semplificato, l'art. 281-decies c.p.c. distingue, sempre salve le modifiche apportate dal Correttivo di cui si dirà infra, rispettivamente al primo e secondo comma: 

  • tra le controversie in cui «i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un'istruzione non complessa», nel qual caso «il giudizio è introdotto nelle forme del procedimento semplificato» e
  • le «cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica» ove «la domanda può sempre essere proposta nelle forme del procedimento semplificato».

La differenza è netta, poiché al ricorrere delle ipotesi di cui al primo comma - significativo l'impiego della locuzione il giudizio «è» introdotto - le cause debbono essere «obbligatoriamente trattate» con il rito semplificato, come si legge nella Relazione illustrativa e nel sopramenzionato criterio di delega («debba essere adottato in ogni procedimento»); mentre sussistente la competenza monocratica la parte che instaura la lite può sempre (facoltativamente) avvalersene.

Pertanto, come è già stato osservato, nell'ambito delle controversie di primo grado di competenza del Tribunale (in entrambe le composizioni), integrati i presupposti dell'art. 281-decies, comma 1, c.p.c., il procedimento semplificato costituisce il rito esclusivo e sostitutivo rispetto al rito ordinario, diventando, invece, rito concorrente e alternativo rimesso alla discrezionalità di chi avvia la lite qualora la causa appartenga alla cognizione del Tribunale monocratico.

Il meccanismo di controllo in ordine al corretto incardinamento della causa da decidersi in forma semplificata è dettato dagli artt. 171-bis, 183-bis (come vedremo, ora abrogato) e 281-duodecies c.p.c.

Relativamente all'obbligatorietà del novellato procedimento, qualora la causa sia stata introdotta con il rito ordinario, il tribunale verificherà la sussistenza dei presupposti per procedere con il rito semplificato durante le verifiche preliminari previste dall'art. 171-bis, comma 1, c.p.c. ed a seguito delle difese sul punto argomentate dalle parti nelle memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c. alla prima udienza di trattazione, se ravvisa i presupposti di obbligatorietà di cui si è detto, «dispone» ai sensi dell'art. 183-bis c.p.c. la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato. Si noti che la conversione del rito appare saldamente sottratta a diverse alternative di segno opposto (a differenza del previgente art. 183-bis c.p.c. che prevedeva un ben più manovrabile «può disporre») con ciò ribadendo la natura esclusiva e sostitutiva del procedimento semplificato rispetto quello ordinario.

Viceversa, nel caso in cui in prima battuta l'attore abbia optato per il rito semplificato (vuoi perché lo ha ritenuto «obbligatorio» o perché così ha preferito agire stante la competenza monocratica del tribunale), il giudice adito, in sede di prima udienza, qualora, evidentemente a seguito delle difese spiegate dal convenuto (soltanto in esito a queste ultime sarà possibile, ad esempio, verificare se i fatti costitutivi siano stati o meno contestati o se le eventuali eccezioni preliminari di merito siano sorrette da prove documentali), dovesse rilevare che per la domanda principale o riconvenzionale non sussistano i presupposti di cui all'art. 281-decies, comma 1, c.p.c. oppure ritenere che la complessità della lite o dell'istruzione probatoria sia tale da necessitare l'impiego del rito ordinario, provvederà alla conversione del rito nelle forme ordinarie con ordinanza non impugnabile.

Forma della domanda e costituzione del convenuto

L'art. 281-undecies c.p.c. regola la fase introduttiva del processo semplificato disciplinando gli atti delle parti, i termini e l'instaurazione del contraddittorio.

Il novellato rito prende avvio con il deposito di un ricorso redatto sulla falsariga dell'atto di citazione con la ovvia espunzione dell'invito a comparire all'udienza fissa tenuto conto che la medesima viene stabilita dal giudice con decreto, entro cinque giorni dalla propria designazione. Il ricorso ed il decreto, che indica altresì il termine di costituzione del convenuto (i.e. non oltre dieci giorni prima rispetto l'udienza) debbono essere notificati a cura dell'attore; tra la notificazione e l'udienza devono intercorrere termini liberi non minori di quaranta giorni (sessanta se il luogo della notificazione si trova all'estero).

Il convenuto si costituisce mediante il deposito della comparsa di risposta la quale, dal punto di vista contenutistico, non diverge dall'omologo atto “ordinario”; identiche sono anche le attività che il convenuto deve effettuare a pena di decadenza nel primo atto tempestivamente depositato. A differenza del processo sommario di cognizione che prevedeva la sola chiamata in garanzia, l'istituto ex art. 106 c.p.c. è, ora, richiamato in via generale (ricomprendendo, quindi, anche la fattispecie per “comunanza di causa”).

La fase di trattazione e istruttoria

A tal proposito è bene prendere le mosse sia dal criterio di delega più volte citato, il quale faceva riferimento all'«indicazione di termini e tempi prevedibili e ridotti rispetto a quelli previsti per il rito ordinario per lo svolgimento delle difese e il maturare delle preclusioni» che dalla Relazione illustrativa a mente della quale «l'attuazione del rito semplificato deve coniugarsi con la necessità di prevedere una scansione processuale in cui maturano in modo chiaro e prevedibile le preclusioni e consenta di prevedere i tempi di trattazione del procedimento con questo rito, fermo restando il necessario rispetto del principio del contraddittorio».

Pertanto, mentre sotto l'egida del vecchio art. 702-ter, comma 5, c.p.c. lo svolgimento del processo sommario di cognizione veniva rimesso alla discrezionalità del giudice che «sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzioni rilevanti», ora l'art. 281-duodecies disciplina autonomamente il procedimento.

Il primo comma della norma testé menzionata, come abbiamo anticipato nel paragrafo precedente, regola le ipotesi in cui è necessario convertire il rito da semplificato ad ordinario.

Ciò è necessario al verificarsi di due ipotesi. La prima qualora difettino i presupposti applicativi del nuovo procedimento indicati nel primo comma dell'art. 281-decies c.p.c. Dunque, mancano le caratteristiche che la causa deve avere, affinché possa (debba) essere definita con il rito semplificato, il che si traduce in liti nelle quali i fatti sono controversi, oppure non sono provati documentalmente o richiedono un'istruttoria basata su prove di non pronta soluzione. La seconda ipotesi di conversione si sostanzia nella valutazione di opportunità effettuata dal giudice di trattare la causa nelle forme ordinarie vista la complessità del caso e dell'istruzione probatoria.

Qualora il giudice provveda in tal senso (con ordinanza non impugnabile) fissa contestualmente l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. rispetto alla quale decorrono i termini a ritroso per il deposito delle memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c.

Il secondo, il terzo e il quarto comma dell'art. 281-duodecies si occupano delle attività espletabili in sede di prima udienza (o entro la data della medesima). Segnatamente, al più tardi in tale occasione l'attore potrà chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto (e.g. chiamata del c.d. vero obbligato o in garanzia a seguito della riconvenzionale formulata da controparte). Pur nel silenzio del secondo comma, è ragionevole ritenere – tenuto conto delle facoltà esercitabili in forza del terzo comma previste a pena di decadenza – che anche la chiamata del terzo soggiaccia alla preclusione temporale connessa allo spirare della prima udienza. Il giudice, se autorizza la chiamata, fissa la data della nuova udienza assegnando all'attore un termine perentorio per la citazione del terzo la cui costituzione dovrà avvenire ai sensi dell'art. 281-undecies, comma 3, c.p.c. La norma non specifica i termini di comparizione e di costituzione del chiamato, ma non si ravvisano ragioni per disapplicare quanto previsto dall'art. 281-undecies, comma 2, c.p.c. riferito al convenuto originario.

Nel caso in cui alla prima udienza il giudice disponga la conversione del rito nelle forme ordinarie, con la stessa ordinanza provvede ad autorizzare la chiamata del terzo.

Il terzo comma stabilisce che «Alla stessa udienza, a pena di decadenza, le parti possono proporre le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti». Il legislatore delegato assicura alle parti la possibilità di replicare alle novità dedotte dagli avversari dando piena attuazione al principio del contraddittorio. Si noti che la facoltà di replica è attribuita anche in relazione alle eccezioni provenienti «dalle altre parti» con ciò riferendosi al terzo chiamato o all'intervenuto, sicché il riferimento temporale «alla stessa udienza» dovrà leggersi con riferimento al primo momento di comparizione (se del caso “cartolare”) delle parti successivamente alla costituzione del terzo chiamato o dell'interventore. Dal punto di vista contenutistico, le facoltà ammesse dalla norma (i.e. “eccezioni”) debbono comprendere, secondo attenta dottrina, tutte le deduzioni che siano conseguenza dello sviluppo dialettico del processo. Pertanto sarebbero per tale ragione ammissibili la modificazione della domanda, delle eccezioni e delle conclusioni, il rilievo di nuove eccezioni ed anche le mere difese in fatto ed in diritto (con la deduzione dei mezzi di prova finalizzati a dimostrarli), poiché pur non ampliando l'oggetto del processo ben possono fungere da argomentazioni tese a, seconda di chi le propone, all'accoglimento o al rigetto delle domande formulate. La legge non prevede tra le attività di replica la formulazione di nuove domande a differenza di quanto accade nel rito ordinario (art. 171-ter, comma 1, n.1, c.p.c. e prima in virtù dell'art. 183, comma 5, c.p.c.) probabilmente ritenendo sufficiente contraddire nei termini poc'anzi descritti con lo strumento dell'eccezione nel senso chiarito senza la necessità di spiegare una reconventio reconventionis.

Sempre nell'ambito della prima udienza (se del caso posticipata a seguito di un evento litisconsortile) il quarto comma dispone che «Se richiesto e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere alle parti un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria.» L'eventuale appendice (con ogni probabilità) scritta disciplina le attività assertive e probatorie estranee alla necessità di replica (disciplinata dal terzo comma) aventi la sola funzione di “aggiustare”, anche dal punto di vista probatorio, le difese già spiegate. Invero la concessione dei termini aggiuntivi è subordinata non soltanto alla richiesta di almeno una parte, ma anche dalla positiva verifica da parte del giudice circa la sussistenza di un giustificato motivo. Formula, quest'ultima, dai contorni non del tutto nitidi, ma che evidentemente vuole attribuire unicamente al giudice (senza automatismi di sorta) il potere di assegnare i termini qualora ciò sia ritenuto opportuno viste le caratteristiche del caso concreto e della fattispecie sostanziale ad esso sottesa.

Si noti che entrambe le facoltà attribuite alle parti di cui al terzo e quarto comma dell'art. 281-duodecies c.p.c. sono previste a pena di decadenza, sicché nell'ipotesi in cui non vegano concessi i termini aggiuntivi, le preclusioni assertive ed istruttorie maturano già alla prima udienza, mentre qualora siano ammesse le memorie aggiuntive lo sviluppo di quanto eccepito in udienza potrà essere effettuato sino alla scadenza del primo termine di venti giorni disposto dal giudice.

Il quinto comma dell'articolo in esame prevede che in assenza di istanze ex art. 106 c.p.c. o richieste di termini, il giudice «ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione». La differenza con processo sommario di cognizione non è da poco. Difatti, ai sensi dell'art. 702-ter, comma 5, c.p.c. il Tribunale procedeva «nel modo più opportuno agli atti di istruzione rilevanti» dando luogo, secondo le parole della Corte costituzionale, ad una fase istruttoria “semplificata” e “deformalizzata”, mentre nel rito semplificato il magistrato dovrà attenersi alle stesse regole che presiedono allo svolgimento dell'attività istruttoria nel rito ordinario.

La fase decisoria

L'art. 281-terdecies c.p.c. applica sempre lo schema della decisione orale tipico del rito ordinario precisando il richiamo all'art. 281-sexies c.p.c. qualora la causa “semplificata” sia di competenza del giudice monocratico e all'art. 275-bis c.p.c. se a decidere è il tribunale nella composizione collegiale. Il provvedimento che definisce il giudizio assume la forma della sentenza (anche nei procedimenti di cui al Capo III del d.lgs. n. 150/2011 regolati in via esclusiva dal procedimento semplificato) senza deroghe alle disposizioni di parte generale che prevedono la forma dell'ordinanza qualora la pronuncia abbia ad oggetto le sole questioni di litispendenza, continenza, competenza e connessione (artt. 38 - 40 c.p.c.).

La sentenza è impugnabile nei modi ordinari. L'esplicita previsione normativa dissolve i dubbi, risolti dalla giurisprudenza, che erano sorti in relazione alla modalità di proposizione dell'appello avverso l'ordinanza che definiva il procedimento sommario. Attualmente, dunque, in forza dei “modi ordinari” si può affermare che l'appello della sentenza “semplificata” dovrà essere proposto con atto di citazione in applicazione del regime ordinario dettato dall'art. 342 c.p.c. (soluzione quest'ultima individuata anche in sede pretoria nella vigenza degli artt. 702-bis ss. c.p.c.). Peraltro, l'applicazione dell'appello ordinario unitamente alla cognizione piena che caratterizza il nuovo procedimento hanno fatto venire meno l'esigenza di prevedere norme particolari per il giudizio di secondo grado sulla scorta di quanto era previsto dagli artt. 702-quater e 348-bis c.p.c.

Del pari devono considerarsi ex lege ammissibili anche i rimedi “classici” della revocazione ex art. 395 c.p.c. e dell'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., oltre, ma è superfluo dirlo, alla ricorribilità per Cassazione della sentenza d'appello.

Le novità del decreto Correttivo: la conversione del rito da ordinario a semplificato

Una delle novità più rilevanti del d.lgs. 164/2024 inerente il procedimento semplificato di cognizione attiene alla conversione del rito da ordinario in semplificato dettata dalla scomparsa dell'art. 183-bis c.p.c. e dalla modifica dell'art. 171-bis c.p.c.

Il nuovo art. 171-bis, comma 3, c.p.c. prevede che «se ritiene che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 281-decies, il giudice dispone la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato di cognizione e fissa l'udienza di cui all'articolo 281-duodecies nonché il termine perentorio entro il quale le parti possono integrare gli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti».

Se, quindi, il previgente testo dell'art. 171-bis c.p.c. si limitava a stabilire un dovere per il giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio, tra le quali anche la sussistenza dei presupposti per procedere alla conversione del rito, tema che sarebbe stato sviluppato nelle memorie integrative e, poi, deciso in sede di prima udienza, ora pare si configuri un vero e proprio dovere decisorio.

Una prima notazione attiene alla scansione temporale.

Invero, collocare la conversione all'udienza di prima comparizione dopo che le parti hanno ragionevolmente arricchito la controversia per il tramite delle memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c. ci pare fosse poco utile in un'ottica acceleratoria tenuto conto, per l'appunto, del già avanzato stato della causa. Pertanto, cronologicamente parlando, anticipare l'esercizio del potere di conversione nella fase iniziale del processo ci pare in linea di principio corretto. Il problema applicativo sorge, semmai, nella concreta possibilità di verificare la sussistenza dei «presupposti di cui al primo comma» dell'art. 281-decies c.p.c., ossia i casi che obbligano l'adozione del rito semplificato e cioè «quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un'istruzione non complessa». Come è già stato osservato, l'obbligatorietà che emerge dal tenore letterale pare più apparente che effettiva e ciò non soltanto per via della mancanza di una sanzione qualora il precetto in commento venga violato, ma anche, e forse soprattutto, vista la discrezionalità del giudice nel valutare – inevitabilmente caso per caso – la sussistenza dei presupposti poc'anzi menzionati in una fase della lite piuttosto embrionale in cui né il thema decidendum né il thema probandum si sono ancora definitivamente formati.

Vi è, però, una questione, che potremmo definire sistemica, ancora più rilevante da affrontare e cioè il rispetto del contraddittorio relativamente alla decisione di conversione del rito ai sensi del modificato art. 171-bis c.p.c. Un passaggio così delicato, in un momento iniziale della dialettica processuale, richiederebbe un effettivo confronto tra le parti e il giudice. Se, difatti, nel previgente art. 183-bis c.p.c. era prevista quantomeno, quale minima forma di contraddittorio, la trattazione scritta prima che il giudice disponesse la conversione ora scompare ogni riferimento circa l'audizione delle parti (in qualsiasi forma). In altri termini, nell'ambito delle verifiche preliminari, viene meno la garanzia del contraddittorio perché è solo il giudice che, dialogando con sé stesso, valuta il ricorrere o meno dei presupposti di conversione. Una dinamica, quest'ultima, che ci pare poco allineata con la pronuncia resa dalla Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96, la quale pur rigettando l'adombrata incostituzionalità dell'art. 171-bis c.p.c., non ha negato nella propria ricostruzione l'esigenza di assicurare un pieno contraddittorio ammettendo la possibilità di fissare un'udienza apposita sostitutiva del decreto “preliminare” o anteriore al medesimo.

Per quanto concerne la forma del provvedimento di conversione trattasi, come già detto, del decreto sulle verifiche preliminari e non più di un'ordinanza (non impugnabile) come stabiliva l'ormai abrogato art. 183-bis c.p.c. La Relazione illustrativa al decreto correttivo recita «non si prevede più, rispetto alla formulazione dell'art. 183-bis c.p.c., che il provvedimento assuma la forma dell'ordinanza "non impugnabile", proprio allo scopo di far sì che all'udienza il giudice, nel contraddittorio delle parti e re melius perpensa, possa rivedere la propria iniziale decisione e riportare il processo nei binari del rito ordinario». Rispetto al passato, dunque, la decisione di conversione può essere modificata il che, se è apprezzabile dal punto di vista del contraddittorio, potrebbe non contribuire a quella speditezza che ha guidato la modifica normativa.

Una volta disposto il mutamento del rito il giudice «fissa l'udienza di cui all'articolo 281-duodecies nonché il termine perentorio entro il quale le parti possono integrare gli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti». La facoltà di integrazione attribuita alle parti risponde all'esigenza di consentire all'attore ed al convenuto di arricchire le proprie difese atteso che il passaggio al procedimento semplificato si perfeziona in un momento (le verifiche preliminari) tale per cui sia il thema decidendum che il thema probandum non si sono ancora cristallizzati. Nella locuzione «memorie e documenti», attenta dottrina ha già rilevato come debba ritenersi inclusa sia l'attività assertiva che asseverativa anche relativa all'articolazione delle istanze istruttorie (sebbene la norma si riferisca testualmente ai soli documenti). Diversamente opinando, si rischierebbe una situazione per cui le parti non soltanto non hanno il diritto di contraddire circa la scelta di conversione, ma si vedrebbero anche inibite dal formulare le richieste di prova che sarebbero invece consentite nel giudizio ordinario.

Da ultimo, quanto alla prosecuzione del processo nelle forme semplificate, anche l'art. 171-bis c.p.c. – come in precedenza l'art. 183-bis c.p.c. - rinvia all'art. 281-duodecies c.p.c. per la fissazione dell'udienza. Si tratta di un rinvio più ampio di quello previsto nell'art. 183-bis c.p.c., il quale rimandava all'art. 281-duodecies, comma 5 c.p.c. (a mente del quale, salvo che non si debba provvedere a una chiamata in causa ex art. 281-duodecies, comma 2 c.p.c. oppure all'ulteriore precisazione e modificazione delle domande ex art. 281-duodecies, comma 4c.p.c., il giudice ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione qualora non ritenga la causa matura per la decisione).

Se nell'assetto previgente, poiché la conversione poteva perfezionarsi all'udienza dell'art. 183 c.p.c., era arduo immaginare che a conversione avvenuta le parti potessero precisare e modificare le domande, attualmente, visto che conversione si inserisce in un momento in cui le parti non hanno ancora depositato le memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c., è più facile sostenere una tale prerogativa visto che la precisazione e modificazione sono poteri ancora da esercitare.

(Segue) il novellato ambito di applicazione e la fase introduttiva

Il nuovo art. 281-decies c.p.c. ai commi 2 e 3 recita «Nelle sole cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, il giudizio può essere introdotto nelle forme del procedimento semplificato anche se non ricorrono i presupposti di cui al primo comma. Le disposizioni di cui al primo e al secondo comma si applicano anche alle opposizioni previste dagli articoli 615, primo comma, 617, primo comma, e 645».

Secondo la Relazione illustrativa al decreto correttivo «la modifica apportata al secondo comma è volta a chiarire che la causa, quando è di competenza del tribunale in composizione monocratica, può sempre essere introdotta nelle forme del rito semplificato, anche se non è di pronta soluzione ai sensi del primo comma».

Da un punto di vista meramente operativo ci pare abbastanza ovvio ritenere che la scelta di avviare la lite nelle forme del procedimento semplificato di cognizione sia rimessa a chi, secondo la dinamica processuale, è titolare di tale prerogativa, ossia l'attore. Se, però, l'obbiettivo del legislatore delegato era quello di facilitare o quantomeno contribuire ad un aumento del “rito semplice” per le controversie di competenza del tribunale monocratico crediamo che non si colga pienamente nel segno. In primo luogo, difatti, l'attore non può sapere a priori se la causa si presenterà complessa o meno; pertanto, non può essere certo che il procedimento instaurato con le forme degli artt. 281-decies c.p.c. ss. rimanga tale sino alla sua conclusione per la semplice ragione che il giudice «quando, valutata la complessità̀ della lite e dell'istruzione probatoria, ritiene che la causa debba essere trattata con il rito ordinario» ha il potere di convertire il rito (da semplificato ad ordinario) ex art. 281-duodecies c.p.c.

L'art. 281-decies, comma 3, c.p.c. esplicita definitivamente la piena ammissibilità del procedimento semplificato di cognizione anche alle opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c. anteriori all'avvio dell'espropriazione forzata e all'opposizione al decreto ingiuntivo. Rinviando alle «disposizioni di cui al primo e al secondo comma», l'art. 281-decies comma 3 c.p.c. è chiaro nel consentire l'uso del modello semplificato nei limiti e nella alternativa tra obbligatorietà e facoltatività a seconda che si tratti, o meno, di una causa non complessa secondo il dettato del medesimo art. 281-decies, commi 1 e 2 c.p.c.

I requisiti contenutistici del ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. vengono articolati in una forma più ampia nel senso che il precedente riferimento all'avvertimento di cui all'art. 163, comma 3, n. 7 c.p.c. viene ora riportato per esteso e adattato alle decadenze proprie del rito semplificato. Expressis verbis è, quindi, scritto, che la «costituzione oltre i termini di cui al secondo comma» determina la preclusione circa la proponibilità di domande riconvenzionali, eccezioni processuali e di merito in senso stretto e chiamata in causa del terzo.

In forza del richiamo che l'art. 281-undecies c.p.c. fa all'art. 163, comma 2, n. 2 c.p.c. ci pare evidente che l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata risultante dai pubblici elenchi relativa al convenuto debba applicarsi anche in questa sede.

Il d.lgs. n. 164/2024 aggiunge al comma 2 dell'art. 281-undecies c.p.c. l'apposizione «istruttore» con riferimento al giudice che dispone la fissazione dell'udienza. Sul punto rileva la Relazione illustrativa che «lo scopo perseguito è quello di chiarire – anche in questo caso alla luce degli interrogativi posti dai primi lettori della riforma – che anche nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale l'istruttoria, in forza delle disposizioni generali sul processo di cognizione, è demandata al giudice istruttore il quale, quando la causa è matura per la decisione, riferisce al collegio in camera di consiglio». La modifica si coordina con la decisione collegiale sancita dall'art. 275-bis c.p.c. e richiamata dall'art. 281-terdecies c.p.c.

Da ultimo, il decreto correttivo interviene su alcuni difetti di coordinamento, quali il procedimento di divisione a domanda congiunta in caso di opposizione modificando sia l'art. 791-bis c.p.c., che rinviava, nonostante l'abrogazione, al processo sommario di cognizione ex artt. 702-bis ss c.p.c. che l'art. 181 disp. att. c.p.c. Parimenti, il D.lgs. 164/2024 prevede espressamente che il procedimento semplificato sia l'unico modello applicabile nelle azioni di classe ex art. 840-ter c.p.c.

(Segue) la fase di trattazione

La prima novità riguarda l'attività che si può svolgere in udienza. L'art. 281-duodecies, comma 3, c.p.c. stabilisce oggi che alla prima udienza «a pena di decadenza, le parti possono proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti». Il decreto correttivo aggiunge, quindi, al potere di proporre le eccezioni nuove che sono conseguenza delle difese avversarie (tendenzialmente del convenuto) anche quello inerente la formulazione delle domande quali reazioni alle riconvenzionali e alle exceptiones di controparte.

La seconda modifica attiene allo ius poenitendi. L'art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c. prevede il potere di precisazione e modificazione di domande o eccezioni «quando l'esigenza sorge dalle difese della controparte, il giudice, se richiesto, concede alle parti un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria». La Relazione illustrativa motiva tale scelta nell'«l'esigenza che gli atti introduttivi siano il più completi possibile, a garanzia della celerità del processo, in quanto i termini per le memorie integrative non verranno concessi, ad esempio, nel caso in cui il convenuto rimanga contumace o si limiti a mere contestazioni in diritto». Risulta, quindi, rispetto al passato (cfr. supra), espunto il requisito del «giustificato motivo» e, per converso, inserita la più elastica «esigenza» a tutela del contraddittorio, che, però, oltre che rappresentare una significativa differenza rispetto a quanto accade nel rito ordinario, per quanto più malleabile rispetto alla previgente formulazione, non consente, comunque, una precisazione o una modificazione incondizionata. Sarà l'esperienza pratica ad insegnare se la celerità voluta dal legislatore delegato e teoricamente ottenibile comprimendo i poteri di precisazione e modificazione della domanda rappresenterà o meno un limite all'utilizzo del procedimento semplificato di cognizione.

(Segue) la fase decisoria

In un'ottica di semplificazione, la Relazione illustrativa al decreto correttivo dà atto che «viene snellita la fase decisionale nei procedimenti con rito semplificato di competenza del tribunale in composizione collegiale: fermo restando il modulo decisorio a seguito di discussione orale, si prevede che questa avvenga davanti al solo istruttore, il quale poi riferirà al collegio in camera di consiglio, al fine di evitare che debba essere necessariamente fissata un'udienza collegiale. A garanzia delle parti, si prevede comunque che, qualora anche solo una di esse lo richieda, l'istruttore fisserà l'udienza di discussione davanti al collegio, secondo il procedimento disciplinato dall'art. 275-bis».

Pertanto, per effetto del d.lgs. n. 164/2024, la fase decisoria si distingue tra la decisione monocratica e la decisione collegiale nei termini che seguono.

Nel caso di decisione monocratica, si applica l'art. 281-sexies c.p.c., richiamato dall'art. 281-terdecies c.p.c.

Per le cause attribuite al Tribunale in composizione collegiale, invece, il decreto correttivo introduce una semplificazione pur sempre nell'ambito della decisione a seguito di discussione orale ex art. 275-bis c.p.c. La pronuncia con quest'ultima modalità resta possibile nel caso in cui venga richiesta da almeno una parte. In assenza di tale richiesta, l'iter decisorio si snellisce sottraendolo alla necessità dell'udienza davanti al collegio. Si prevede, infatti che, quando la causa sia ritenuta matura per la decisione, «l'istruttore dispone la discussione orale della causa davanti a sé e all'esito si riserva di riferire al collegio» a differenza dell'art. 275-bis c.p.c. “ordinario” in cui il giudice istruttore, quando ritiene che la causa possa essere decisa a seguito di discussione orale, fissa l'udienza davanti al collegio assegnando i termini per il deposito di note limitate alla precisazione delle conclusioni e poi delle note conclusionali.

Riferimenti

  • Di Marzio, Speciale - Decreto correttivo del processo civile: commento alle novità in vigore dal 26 novembre, in IUS Processo Civile, 14 novembre 2024;
  • Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2022, XXVIII., IV, 365 ss.;
  • Masoni, Il procedimento semplificato di cognizione, in GiustiziaCivile.com 2022;
  • Motto, Prime osservazioni sul procedimento semplificato di cognizione, in Judicium 2023;
  • Salvaneschi, Luci ed ombre nello schema di decreto legislativo e integrativo delle disposizioni processuali introdotte con la riforma Cartabia, in Judicium.it., 4 aprile 2024
  • Taraschi, Riforma processo civile: il nuovo rito semplificato di cognizione, in IUS Processo civile, 8 novembre 2022;
  • Tiscini, Commento all’art. 281-duodecies, in La riforma Cartabia del processo civile. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a cura di Tiscini, con il coordinamento di M. Farina, Pisa, 2023, 425 ss;
  • Tiscini, Le novità del decreto correttivo alla riforma Cartabia sul procedimento semplificato di cognizione, in Judicium.it, 11 giugno 2024;
  • Tombolini, Note a caldo sulla nuova legge delega di riforma della giustizia civile: le modifiche al giudizio di primo grado, in Judicium, 2021;
  • Vellani, Brevi note alle norme in materia di processo semplificato, in Trim. Dir. Proc. Civ., 2021, 4, 1027.

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