Crisi d'impresa
IlFallimentarista

Adempimenti fiscali nel fallimento

09 Maggio 2017

L'esame della normativa fiscale che interessa la procedura di fallimento richiede un preventivo approfondimento circa la soggettività passiva della procedura ai fini fiscali. Il tema ampiamente discusso per mancanza di specifiche norme si fonda sul presupposto che con il fallimento si determina lo spossessamento del debitore fallito previsto dall'art. 42 della legge fallimentare facendo venire meno il presupposto impositivo ai fini delle imposte dirette e consistente nel possesso del reddito. Con l'introduzione nel Testo Unico delle imposte sul reddito dell'art. 183 si è delineato un quadro più preciso per quanto attiene agli adempimenti del curatore in ambito imposte sul reddito.
Inquadramento

L'esame della normativa fiscale che interessa la procedura di fallimento richiede un preventivo approfondimento circa la soggettività passiva della procedura ai fini fiscali.

Il tema, ampiamente discusso per mancanza di specifiche norme, si fonda sul presupposto che con il fallimento si determina lo spossessamento del debitore fallito previsto dall'art. 42 della legge fallimentare facendo venire meno il presupposto impositivo ai fini delle imposte dirette e consistente nel possesso del reddito. Con l'introduzione nel Testo Unico delle imposte sul reddito dell'art. 183 si è delineato un quadro più preciso per quanto attiene agli adempimenti del curatore in ambito imposte sul reddito. Ai sensi dell'art. 42 l.fall. dalla sentenza dichiarativa di fallimento il fallito è privato dell'amministrazione e disponibilità dei suoi beni; la procedura riceve tali beni in detenzione allo scopo di amministrarli e alienarli, mentre il fallito conserva la capacità giuridica e la capacità di agire non potendo tuttavia compiere atti che incidono sulle attività del fallimento pena la loro inefficacia. Di conseguenza il fallito non perde la qualifica di contribuente rappresentando il soggetto passivo d'imposta durante il fallimento (conformi Cass. 28 aprile 1997 n. 3667; Cass. 20 novembre 2000 n. 14987; Cass. 14 maggio 2002 n. 6937; Cass. 24 febbraio 2006 n. 4235).

Le normative fiscali/fallimentari si rivolgono in tale contesto ai soggetti a vario titolo coinvolti nella procedura (fallito, curatore, creditori) con l'intento di

i) cristallizzare la situazione tributaria anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento;

ii) prevedere specifici adempimenti tributari a carico del curatore quale organo incaricato della gestione concorsuale;

iii) quantificare l'eventuale reddito generato dalla liquidazione fallimentare;

iv) fornire specifiche indicazioni per il recupero dell'i.v.a. di rivalsa non incassata ovvero

v) definire la deducibilità della perdita su crediti in presenza di procedura di fallimento. Il legislatore, anche per garantire il coordinamento della disciplina fiscale con il rispetto del principio della par condicio creditorum, prevede una disciplina ad hoc in materia di imposte dirette, I.V.A. ed in ambito tributi locali. Viene inoltre regolata l'emissione delle note di variazione ex art. 26 D.P.R. 633/72 oltre alla possibilità di dedurre fiscalmente la perdita sul credito in presenza della procedura concorsuale.

Con la presente scheda si sintetizzano le linee salienti riferite alla fiscalità del fallimento.

Adempimenti fiscali all'apertura della procedura

Con la dichiarazione di fallimento sorgono una serie di obblighi di natura fiscale in ambito imposte dirette ed indirette gravanti sul curatore e sul fallito, al quale, si ricorda, secondo l'art. 16 l.fall. è ordinato di consegnare i bilanci, le scritture contabili e fiscali obbligatorie nonché l'elenco dei creditori entro tre giorni dalla notifica della sentenza dichiarativa di fallimento.

a) Imposte sul reddito

La sentenza dichiarativa di fallimento, rileva quale evento interruttivo dell'esercizio d'imposta, determinando l'insorgenza di due distinti periodi fiscali.

Il primo periodo d'imposta intercorre tra l'inizio dell'esercizio sociale e la sentenza dichiarativa di fallimento; il curatore è chiamato a redigere il bilancio iniziale del fallimento ai sensi dell'art. 183, comma 1, T.U.I.R. e presentare, per tale autonomo periodo d'imposta, la dichiarazione dei redditi.

Il secondo periodo compreso tra l'inizio e la chiusura del fallimento quale sia la durata anche in caso di esercizio provvisorio (art. 183, comma 2, T.U.I.R.).

Con riferimento al primo periodo di imposta il curatore redige un bilancio per le operazioni svolte dal 1° gennaio (in caso di esercizio solare) alla data della sentenza dichiarativa di fallimento. La finalità di tale previsione risulta duplice in quanto tale bilancio consente i) di individuare il carico impositivo riferito all'esercizio sociale antecedente alla sentenza dichiarativa di fallimento; ii) di determinare il patrimonio netto iniziale a valori fiscalmente rilevanti quale addendo richiesto dalla normativa fiscale per la quantificazione del reddito imponibile dell'intera procedura di fallimento da confrontare con l'eventuale residuo attivo al termine della stessa (art. 183, comma 2, T.U.I.R. ).

Con riferimento a detto esercizio, il curatore, entro l'ultimo giorno del 9° mese successivo alla sua nomina è tenuto inoltre a presentare una dichiarazione dei redditi per la frazione di periodo antecedente alla sentenza dichiarativa di fallimento. Se il fallimento attiene una società di persone (o un imprenditore individuale) il curatore consegna copia della precitata dichiarazione ai soggetti falliti persone fisiche affinché includano l'eventuale reddito nelle loro dichiarazioni personali. La dichiarazione, da svolgersi sui modelli di dichiarazione ordinari (Unico Persone fisiche, Unico società di persone, Unico società di capitali) dovrà essere trasmessa all'amministrazione finanziaria in via telematica direttamente o tramite intermediario abilitato.

b) I.r.a.p.

Nel corso della procedura di fallimento l'i.r.a.p. risulta dovuta esclusivamente in caso di esercizio provvisorio (e per la sola durata dello stesso); diversamente non risulta applicata.

Con riferimento al periodo intercorrente tra il 1° gennaio (in caso di esercizio solare) e la sentenza dichiarativa di fallimento, il curatore, entro l'ultimo giorno del 9° mese successivo alla sua nomina è tenuto a presentare una dichiarazione ai fini Irap per l'attività svolta dalla fallita nella frazione di periodo antecedente alla dichiarazione di fallimento. Se dalla dichiarazione dovesse risultare un debito si richiamano le considerazioni già evidenziate nella trattazione dell'imposta sui redditi IRES/IRPEF, in quanto, tale debito, avente natura concorsuale, deve regolarsi secondo la normativa fallimentare nel rispetto del principio della par condicio creditorum. La funzione della presente dichiarazione è pertanto informativa nei confronti dell'amministrazione finanziaria la quale sulla base delle risultanze della stessa, in caso di debito, potrà presentare insinuazione allo stato passivo.

c) I.v.a.

Per quanto attiene all'imposta sul valore aggiunto sono previsti specifici adempimenti in capo al curatore il quale subentra quale sostituto del soggetto passivo d'imposta nel regolare svolgimento negli obblighi di fatturazione, registrazione ed annotazione sui rispettivi registri delle operazioni rilevanti ai fini IVA.

Come primo adempimento, entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento, il curatore deve provvedere ad effettuare la denuncia di variazione dei dati ai fini IVA inoltrando all'Agenzia delle Entrate specifica modulistica per comunicare la data di inizio del procedimento, il codice di carica (3 per curatore fallimentare) riportando inoltre i propri dati anagrafici e fiscali (art. 35 D.P.R. 633/72).

Il Curatore poi, entro 4 mesi dalla nomina, se i termini non sono scaduti, deve provvedere secondo le previsioni dell'art. 74 bis D.P.R. 633/72 ad emettere eventuali fatture per operazioni effettuate dalla fallita prima della sentenza dichiarativa di fallimento e non emesse; deve inoltre nel medesimo termine annotare nei registri IVA eventuali fatture d'acquisto/ di vendita non ancora registrate.

Il curatore infine, sempre all'inizio della procedura, entro 4 mesi della nomina, dovrà altresì presentare specifico modello IVA (Mod 74-bis – riferimento art. 8 D.P.R. 322/1998) includendo in esso tutte le operazioni rilevanti ai fini IVA intercorse nel periodo dal 1 gennaio alla data della sentenza dichiarativa di fallimento. La finalità del presente modello è esclusivamente informativa nei confronti dell'amministrazione finanziaria che in presenza di un eventuale debito d'imposta potrà presentare tempestiva insinuazione allo stato passivo.

d) Imposte locali

In ambito imposte locali non rileva una specifica ed uniforme disciplina tesa a regolamentare l'applicazione dei tributi locali nel contesto specifico della procedura concorsuale di fallimento.

Per quanto attiene all'imposta municipale unica (IMU) per un espresso richiamo normativo alle previgenti disposizioni in materia di ICI, è richiesto che il curatore, entro 90 giorni dalla nomina, presenti al Comune di ubicazione degli immobili una dichiarazione ai fini IMU attestante l'avvio della procedura (art. 10, comma 6, D.Lgs. 30/12/92 n. 504). Successivamente, il curatore sarà tenuto al versamento dell'imposta dovuta per il periodo di durata dell'intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili. Analoga normativa, di carattere eccezionale, non risulta estesa agli altri tributi locali.

Adempimenti fiscali nel corso della procedura

Nel corso della procedura di fallimento, il curatore, in qualità di sostituto del soggetto passivo d'imposta, è chiamato a svolgere gli adempimenti ordinari in ambito IVA e ritenute.

a) IVA

Nello svolgimento della procedura, il curatore, deve regolarmente adempiere alle obbligazioni tributarie in ambito IVA. Deve pertanto emettere le fatture relative alle operazioni attive, registrare le fatture di vendita / di acquisto nei relativi registri, procedere alla liquidazione dell'imposta, compilare annualmente il cd. spesometro (elenco delle operazioni rilevanti ai fini IVA), procedere nelle scadenze ordinarie all'elaborazione della dichiarazione annuale IVA ovvero utilizzare l'eventuale credito risultante dalla dichiarazione.

Con riferimento all'attività di fatturazione delle operazioni attive intervenute in corso di procedura, in deroga alle regole ordinarie (di cui all'art. 6 Legge Iva), è consentita l'emissione della fattura entro 30 giorni dall'operazione.

Il curatore periodicamente è chiamato ad effettuare la liquidazione periodica Iva (mensile o trimestrale) al fine di determinare il debito/credito d'imposta sulla base del meccanismo della detrazione/rivalsa. In caso di debito il curatore provvede al versamento nei termini ordinari mediante F24.

Ogni anno il curatore provvede altresì alla compilazione del modello cd. spesometro contenente le operazioni rilevanti ai fini IVA poste in essere durante l'anno precedente.

Per quanto concerne la dichiarazione annuale IVA, ogni anno, la stessa deve essere dal curatore trasmessa nei termini ordinari (30 settembre) in via autonoma senza alcuna particolarità per il fatto di essere afferente ad una società in procedura concorsuale se non l'indicazione in apposita casella dell'assoggettamento alla procedura di fallimento. Una particolarità attiene tuttavia la dichiarazione annuale IVA riferita all'anno nel quale è stato dichiarato il fallimento che, pur se compilata nelle modalità e nei termini ordinari, contiene due moduli: uno che riepiloga le operazioni antecedenti alla dichiarazione di fallimento intercorrenti tra il 1 gennaio e la data della sentenza dichiarativa di fallimento (già oggetto del modello IVA 74-bis) ed uno che invece contiene le operazioni intervenute successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento e fino al 31 dicembre.

b) Imposta di registro

La liquidazione dell'attivo da parte del curatore avviene in ossequio alle previsioni contenute nel programma di liquidazione dallo stesso redatto ai sensi dell'art. 104-ter l.fall., autorizzato dal comitato dei creditori e dal giudice delegato che inoltre, di volta in volta ne autorizza l'esperimento degli atti ad esso conformi. Le attività di vendita soggiacciono alle regole ordinarie di carattere fiscale sia per quanto concerne la vendita dei beni mobili, normalmente soggetta ad iva, sia per quanto concerne i beni immobili dove vi sarà l'applicazione della disciplina vigente in materia di imposizione iva o d'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa / proporzionale.

c) I.r.a.p.

Come già anticipato l'applicazione dell'I.r.a.p. avviene esclusivamente in caso di esercizio provvisorio dell'impresa fallita. In tale ambito il curatore deve presentare entro il nono mese successivo alla chiusura di ogni esercizio la dichiarazione riferita a tale imposta su modelli conformi a quelli delle società in attività ordinaria, afferente alle attività esercitate in esercizio provvisorio; le regole di determinazione del valore della produzione per l'applicazione dell'imposta risultano determinate con i criteri ordinari.

d) Ritenute certificate

Il curatore in qualità di sostituto d'imposta deve regolarmente, entro il giorno 16 del mese successivo, versare le ritenute effettuate sui redditi corrisposti nel mese precedente; annualmente (entro il 28 febbraio) è inoltre chiamato a consegnare ai percipienti apposita certificazione unica delle somme corrisposte e delle ritenute effettuate ed infine, provvedendo sempre con cadenza annuale, entro il 31 luglio, a presentare la dichiarazione dei sostituti d'imposta mediante il modello 770.

e) Imposte locali

Come già anticipato, la procedura concorsuale è soggetta ai tributi locali e all'IMU gravante sugli immobili. Con riferimento a quest'ultima imposta la stessa deve essere versata, in deroga alle scadenze ordinarie, solo successivamente all'alienazione del bene immobile (temporalmente individuato nella data di deposito del decreto di trasferimento del bene o nella data dell'atto notarile di vendita). Il calcolo dell'imposta avviene con i criteri di determinazione ordinari, e con le aliquote annuali vigenti riferite ai diversi Comuni ove risultano siti gli immobili, applicate all'intero periodo di possesso del bene da parte della procedura di fallimento. Il versamento dell'imposta deve avvenire entro tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili ovvero dalla stipula dell'anno notarile di vendita.

Adempimenti fiscali dell'esercizio provvisorio

Ai sensi dell'art. 104 l.fall. l'esercizio provvisorio comporta la continuazione temporanea dell'esercizio dell'impresa, autorizzato o dal Tribunale in sede di sentenza dichiarativa di fallimento o dal Giudice Delegato previo parere favorevole del comitato dei creditori nel corso della procedura.

Aspetti di interesse rilevano sia in ambito contabile che fiscale durante l'esercizio provvisorio; dal punto di vista contabile, ogni semestre o alla conclusione del periodo, il curatore deve presentare un rendiconto dell'attività mediante deposito in cancelleria.

Pe rendiconto si intende un bilancio ordinario infrannuale con ciò implicitamente prevedendosi la tenuta della contabilità anche per i risvolti Irap.

Per quanto attiene agli aspetti fiscali:

  • il curatore ai sensi dell'art. 35 Legge IVA dovrà dare comunicazione all'Agenzia delle Entrate;
  • l'esercizio provvisorio determina il verificarsi dei presupposti impositivi Irap con ciò trovando conferma l'obbligo della tenuta della contabilità ordinaria; il curatore dovrà presentare la dichiarazione ai fini I.r.a.p. entro i termini ordinari (30/09). I versamenti dell'I.r.a.p. andranno eseguiti in prededuzione nei termini ordinari previsti dall'art. 17 D.P.R. 435/2001; il fallimento è pure tenuto ai versamenti dell'acconto.
Adempimenti fiscali riferiti alla chiusura della procedura

La chiusura della procedura fallimentare determina l'insorgenza di diversi adempimenti di carattere fiscale in capo al curatore sia in ambito imposte dirette che in ambito imposte indirette.

a) Imposte sul reddito

Come già anticipato la sentenza dichiarativa di fallimento, rileva quale evento interruttivo dell'esercizio d'imposta, determinando l'insorgenza di due distinti periodi fiscali.

Del primo periodo d'imposta si è già trattato e riguarda le operazioni intercorse sino alla sentenza dichiarativa di fallimento.

Il secondo periodo d'imposta, invece, riguarda l'intera durata della procedura di fallimento (anche in presenza di esercizio provvisorio) che si individua tra l'apertura del fallimento sino alla Sua chiusura. Tale periodo rappresenta un unico periodo di imposta ai fini delle imposte sul reddito IRES / IRPEF a norma dell'art. 183 T.U.I.R. (cd. maxi periodo).

Entro l'ultimo giorno del nono mese successivo al decreto di chiusura della procedura di fallimento, il curatore deve presentare la dichiarazione dei redditi relativa al “maxi-periodo” fallimentare concernente l'attività di liquidazione concorsuale intercorsa dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento sino alla data del decreto di chiusura della procedura, considerato, dall'art. 183 T.U.I.R., un unico periodo ai fini delle imposte sul reddito. Copia della dichiarazione, se il fallimento riguarda società di persone o imprenditori individuali, è consegnata al fallito persona fisica ovvero ai soci della società di persone fallita cosicché possano includere l'eventuale reddito derivante dalla gestione fallimentare nel proprie dichiarazioni personali dei redditi.

Il reddito imponibile del periodo fallimentare è determinato dalla differenza tra il residuo attivo finale della procedura ed il patrimonio netto iniziale a valori fiscalmente rilevanti. Se la risultante è positiva vi sarà reddito imponibile, in caso contrario si determina una perdita di periodo.

Il residuo attivo finale della procedura è composto delle eventuali disponibilità che residuano dopo la soddisfazione integrale di tutti i creditori di ogni ordine e grado e dopo aver pagato integralmente le spese di procedura. Vagliando le diverse ipotesi di chiusura del fallimento, precisamente elencate nell'art. 118 l.fall., l'ipotesi in cui presumibilmente potrebbe evidenziarsi un residuo attivo finale è limitata alle previsioni di cui ai numeri 1) e 2) ovvero, rispettivamente, il caso in cui non vi siano creditori del fallimento o nel caso di compiuta ripartizione dell'attivo dove le ripartizioni raggiungono l'intero ammontare dei crediti ammessi o comunque tutti i debiti risultano estinti comprese le spese da soddisfare in prededuzione. Nelle predette ipotesi, le disponibilità residue (beni, crediti e disponibilità liquide), valorizzate al valore fiscale di carico, sono poi restituite al fallito tornato in bonis e oggetto di tassazione – secondo le regole ordinarie – solo in caso di successiva ripartizione delle stesse ai soci della società fallita o all'imprenditore individuale (Circolare Agenzia delle Entrate, 04 ottobre 2004, n. 42/E).

In evidenza: i debiti accertati ma non insinuati allo stato passivo

Sul tema la Circolare dell'Agenzia Entrate del 4 ottobre 2004 n. 42/E precisa che in sede di determinazione del residuo attivo siano irrilevanti le passività estranee alla procedura fallimentare perché non insinuate ovvero che abbiano rinunciato al concorso. Tale considerazione tuttavia è da ritenersi valida esclusivamente se il curatore non ha tenuto conto delle dette passività nella quantificazione del patrimonio netto iniziale della procedura (S. Zenati “La deducibilità delle perdite pregresse maturate prima del fallimento” in Corriere Tributario n. 24/2002 p. 2152).

In caso di residuo attivo superiore al patrimonio netto iniziale, il curatore deve provvedere a versare le relative imposte nei termini ordinari. In caso di fallimento di società di persone o di imprenditore individuale agli stessi il curatore si limita a trasmettere la dichiarazione, e sarà onere invece dei soggetti persone fisiche imprenditori / soci della società di persone a provvederne al pagamento.

In evidenza: trattamento fiscale delle perdite di periodo

La procedura di fallimento costituisce un unico periodo di imposta. In tale ambito eventuali perdite pregresse di periodo possono computarsi in diminuzione dell'eventuale reddito imponibile della procedura (dato dalla differenza tra i due addendi di cui in precedenza) nel limite dell'80% per le perdite fiscali maturate a decorrere dall'esercizio 2011 (Art. 84 T.U.I.R.).

Per quanto concerne eventuali ritenute d'acconto, solitamente maturate in ordine ad interessi attivi maturati nel corso della procedura di fallimento, le stesse possono essere portate in diminuzione dell'eventuale residuo attivo, o richieste a rimborso in caso non siano dovute imposte (Ris. Agenzia Entrate, 24 maggio 2002 n. 154/E).

In evidenza: concordato fallimentare / particolarità ai fini delle imposte dirette

Il concordato fallimentare rappresenta una particolare ipotesi di chiusura della procedura di fallimento; in tale ambito la sentenza che omologa il concordato fallimentare comporta il ritorno in bonis dell'impresa la quale ritorna ad essere l'esclusiva titolare di tutti gli adempimenti fiscali e tributari. Anche in caso di concordato fallimentare, il curatore, deve procedere a determinare l'eventuale reddito imponibile relativo alla gestione concorsuale (secondo le regole già rappresentate nel comma 2 dell'art. 183 T.U.I.R.) provvedendo alla presentazione della dichiarazione dei redditi entro l'ultimo giorno del 9° mese successivo al passaggio in giudicato della sentenza che omologa il concordato (Ris. Agenzia Entrate 1 ottobre 2013, n. 191/E). Secondo la pronuncia della corte di Cassazione n. 15568 del 11 dicembre 2000 la chiusura della procedura di fallimento per concordato fallimentare con assuntore o con cessione dei beni ai creditori - integrando una scelta convenzionale, avallata dagli organi del fallimento ed omologata dal tribunale – determina sempre residuo attivo pari a zero non integrando mai emersione di reddito imponibile; di avviso contrario è invece l'amministrazione finanziaria (Ris. Min. 9/1045 del 12 settembre 1991) .

Specifica previsione inerente la procedura di concordato fallimentare è contenuta all'art. 88, comma 4 T.U.I.R. dove viene espressamente sancita la non tassabilità delle sopravvenienze attive (cd. bonus da concordato) derivanti dall'esecuzione di un concordato fallimentare. La presente norma, oggetto di numerosi interventi di revisione, da ultimo quello portato dal D.lgs. 147/2015, non ha mai tuttavia rivisto la previsione afferente l'ipotesi di concordato fallimentare che allo stato, unitamente al solo concordato preventivo liquidatorio, consente un'integrale detassazione delle sopravvenienze attive da esso derivanti.

La chiara previsione normativa “non si considerano sopravvenienze attive … né la riduzione dei debiti dell'impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo” non pone differenze tra la riduzione concordataria del passivo chirografario e quella del passivo privilegiato, con la conseguenza che entrambe le ipotesi non generano sopravvenienza attiva fiscalmente rilevante. Questa previsione, di forte interesse concreto in sede di concordato preventivo, in materia di concordato fallimentare non ha altrettanta rilevanza, perché il concordato fallimentare chiude il fallimento; quindi nel momento in cui, al termine della procedura, dovesse risultare un avanzo, questo sarà sottoposto a tassazione secondo le regole sopra descritte per le procedure fallimentari ex art. 183 T.U.I.R.. Diversamente, se la procedura non dovesse terminare in avanzo, non vi sarebbe problema alcuno di tassazione. E quindi l'applicazione dell'art. 88, comma 4, del T.U.I.R., nel concordato fallimentare, resta sostanzialmente limitata, in concreto, solo al caso in cui l'impresa, successivamente alla chiusura della procedura, prosegua la propria attività. Perché qui ricorrerebbe una sopravvenienza attiva non tassabile, derivante dalla gestione concorsuale. Sul punto di interesse è il provvedimento del giudice del Registro delle Imprese del Tribunale di Napoli del 22 settembre 2015 secondo cui la cancellazione dal Registro delle Imprese ex art. 118 l.fall. non rileva in ipotesi di chiusura del fallimento a seguito concordato fallimentare.

Ad avviso di chi scrive, la limitata operatività del precetto di cui al comma 4 dell'art. 88 T.U.I.R. deriva dalla sua scrittura datata, che è rimasta invariata nonostante le diverse modifiche apportate al testo dell'art. 88, che alla stregua della sua formulazione originaria – e cioè per le fattispecie relative ai periodi di imposta antecedenti all'entrata in vigore del T.U.I.R. (D.P.R. 917/86) – il risultato della gestione fallimentare restava determinato sulla base delle risultanze del conto economico, con le conseguenze connesse applicazioni degli ordinari criteri di tassazione previsti per il reddito d'impresa.

Ora invece, è stata chiarita, come risulta inequivocabilmente dall'attuale art. 88, la non rilevanza fiscale ai fini delle imposte dirette delle sopravvenienze attive derivanti da bonus da concordato fallimentare. Inoltre, la previsione di cui all'art. 183 comma 2 del T.U.I.R., secondo cui il risultato reddituale dell'intero periodo fallimentare è determinato dall'eventuale differenza fra il patrimonio netto dell'impresa all'apertura della procedura (a valori fiscalmente rilevanti) e il residuo attivo a fine procedura, assorbe completamente, annullandone l'operatività, la previsione di cui al comma 4 dell'art. 88 T.U.I.R.

b) IVA

In materia di IVA gli adempimenti a carico del curatore alla chiusura della procedura di fallimento attengono in sintesi alla i) dichiarazione annuale IVA relativa all'anno di chiusura della procedura fallimentare; ii) alla chiusura della partita IVA in caso di cessazione dell'attività ovvero ad una nuova comunicazione di variazione dati IVA.

Successivamente alla chiusura della procedura di fallimento il curatore deve, entro il 30 settembre, provvedere a inoltrare la dichiarazione annuale IVA riferite alla operazioni compiute dalla procedura dal 1 gennaio alla data di chiusura del fallimento.

Se la dichiarazione annuale IVA presenta un saldo finale a credito della procedura il curatore, previo autorizzazione del comitato dei creditori e del Giudice Delegato, potrà optare per la richiesta di rimborso, per la cessione del credito a società specializzate, ovvero utilizzarlo in compensazione per pagare altri tributi / differenti imposte.

Successivamente alla chiusura del fallimento, inoltre, il curatore entro 30 giorni dalla data di chiusura della procedura, è altresì chiamato – salvo presenza di residuo attivo e situazioni che prevedono la possibilità di proseguire l'attività – ad effettuare la comunicazione di cessazione attività all'Agenzia delle Entrate riportando i dati di chiusura della procedura. La stessa può essere svolta non in concomitanza alla chiusura della procedura ma in una data successiva, terminate le attività rilevanti ai fini IVA. In caso di prosecuzione dell'attività da parte dell'impresa/imprenditore tornato in bonis per la presenza di residuo attivo, il curatore si limiterà ad effettuare una nuova denuncia di variazione dati IVA al fine di ripristinare la situazione precedente alla sentenza dichiarativa di fallimento.

Creditori e fallimento: implicazioni fiscali

Il creditore del soggetto fallito (società di capitali, imprenditore individuale, società di persone) per avanzare agli organi di procedura la pretesa del proprio credito nell'ambito della liquidazione concorsuale deve presentare insinuazione allo stato passivo del fallimento in ossequio alle previsioni normative della legge fallimentare (art. 93 l.fall.). Oltre alla corretta insinuazione allo stato passivo del fallimento e successiva ammissione le tematiche di interesse per creditori nel momento in cui il loro cliente incorre in fallimento sono: a) la possibilità di recuperare l'IVA di rivalsa addebitata in fattura, anticipata all'erario, e non incassata dal cliente b) la possibilità di dedurre fiscalmente la perdita derivante dal mancato pagamento del credito.

a) Note di variazione ex art. 26 D.P.R. 633/72

Con l'art. 26, D.P.R. 633/72 il Legislatore consente al cedente del bene o prestatore di servizi di recuperare l'Iva anticipata all'Erario sulle fatture rimaste insolute a causa di procedure concorsuali o esecutive rimaste infruttuose. La norma consente nella sostanza al creditore rimasto (in tutto o in parte) insoddisfatto di registrare nel registro degli acquisti la variazione in diminuzione e di portare in detrazione l'imposta ai sensi dell'art. 19 D.P.R. 633/72 così da recuperare l'iva anticipata all'Erario e non incassata dal cessionario o committente.

Il tema relativo al recupero dell'iva di rivalsa non incassata, risulta di assoluto rilievo in quanto recente revisione normativa portata dalla Legge di Stabilità del 2016 (L. 208/2015) - riformulando l'art. 26 D.P.R. 633/72 rubricato “variazioni dell'imponibile e dell'imposta” ai commi 4 e 5 - aveva meglio definito la possibilità di emettere nota di variazione ai fini IVA in caso di procedure concorsuali. Il citato intervento normativo, difatti, con maggiore chiarezza rispetto al passato, indicava la possibilità per il fornitore di emettere la nota di variazione IVA in diminuzione (recuperando così l'imposta non incassata) a partire dalla data di apertura della procedura concorsuale prevedendo inoltre per la controparte coinvolta, ovvero il debitore soggetto a procedura concorsuale, la possibilità di non registrare la predetta nota di credito ricevuta non dovendone sopportare il relativo debito. Il predetto intervento normativo che avrebbe avuto valenza per le procedure concorsuali dichiarate successivamente al 31 dicembre 2016 e che avrebbe consentito un anticipo, rispetto alla disciplina vigente, della detrazione d'imposta alla data della sentenza di fallimento, ovvero all'apertura della procedura concorsuale, è stato annullato dalla Legge di Stabilità 2017.

L'intervento della Legge di bilancio 2017 ripristina sostanzialmente la situazione ante Legge di Stabilità 2016 (L. 208/2015), pertanto, allo stato l'esercizio del diritto alla detrazione dell'imposta corrispondente alle variazioni in diminuzione, nel caso di mancato pagamento in esito a procedure concorsuali, potrà essere fatto valere solo una volta che le dette procedure si siano concluse infruttuosamente.

Sul punto è opportuno richiamare quanto precisato dall'amministrazione finanziaria (Circ. 77/E del 2000, n. 89/2002 e n. 31/E/2014) che identifica il momento di emissione della nota di variazione:

  • per il fallimento, a partire dalla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni al piano di riparto, ovvero, in caso di chiusura del fallimento senza piano di riparto, dalla scadenza del termine entro il quale è possibile proporre reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura;
  • per il concordato fallimentare, con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione;
  • per la liquidazione coatta amministrativa, con l'approvazione del piano di riparto;
  • per il concordato preventivo, con la chiusura della procedura concorsuale;
  • per l'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall. dalla data del decreto di omologazione dell'accordo;
  • per i piani attestati ex art. 67, 3 co. lett. d) dalla data di pubblicazione del piano nel registro delle imprese.

La Legge di bilancio 2017 elimina anche il riferimento alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi che pertanto ritorna ad essere esclusa dal novero delle procedure per le quali si legittima l'emissione della nota di variazione.

Il fornitore, ai sensi dell'art. 19 D.P.R. 633/72, ha diritto a detrarre l'imposta annotata sul registro IVA acquisti per il tramite della registrazione della nota di variazione entro il termine di dichiarazione inerente il secondo anno successivo al quale è sorto il diritto alla detrazione (Ris. Agenzia Entrate 18 marzo 2002 n. 89/E).

b) Deducibilità perdita su crediti

Anche il tema della deducibilità fiscale della perdita su crediti derivante dall'insolvenza del debitore in fallimento è stata oggetto di recenti interventi normativi negli ultimi anni. Da ultimo il D.lgs 147/2015 ha esteso la portata della deducibilità automatica delle perdite se riferite a debitori in procedura concorsuale o preconcorsuale anche alla procedura dei piani attestati ex art. 67, comma 3, lett. d. l.fall.. In ossequio alla disciplina richiamata contenuta nell'art. 101 comma 5 T.U.I.R., il creditore può dedurre fiscalmente la perdita nell'esercizio in cui il debitore è assoggettato a procedura concorsuale o anche in un periodo d'imposta successivo (anche se l'imputazione a conto economico sia avvenuta a titolo di svalutazione), purché non sia svolta in un esercizio prossimo a quello in cui secondo la corretta applicazione dei principi contabili si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito in bilancio.

Riferimenti

Normativi

  • Art. 183 T.U.I.R.
  • Art 74 bis D.P.R. 633/72
  • Art. 88 comma 4 T.U.I.R.
  • Art. 8 D.P.R. 322/98
  • Art. 26 D.P.R. 633/72
  • Art. 101 comma 5 T.U.I.R.

Prassi

  • R.M. 12 luglio 1995 n. 181/E
  • Ris. Agenzia Entrate, 02 febbraio 2007 n. 18/E
  • Ris. Agenzia Entrate, 24 maggio 2002 n. 154/E
  • Ris. Agenzia Entrate, 18 marzo 2002 n. 89/E

Giurisprudenza

  • Cass. 24 febbraio 2006, n.4235
  • Cass. 13 gennaio 2004, n. 273
  • Cass. 11 dicembre 2000, n. 15568

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