Decreto lavoro: prime riflessioni sulle più rilevanti misure

10 Maggio 2023

Con il Decreto-legge n. 48/2023, (c.d. Decreto Lavoro), pubblicato in Gazzetta ufficiale in data 4 maggio 2023, il governo ha introdotto modifiche importanti su varie tematiche del diritto del lavoro, ed in particolare, in questa sede, verranno trattati gli argomenti riguardanti (i) il contratto a termine, trasformando l'impianto delle causali (art. 19 D. lgs. 81/2015) in caso di proroga/rinnovo successivo ai 12 mesi, sempre nel rispetto del limite dei 24 mesi, (ii) il contratto di espansione, per il quale è stata prevista la possibilità di accedere allo scivolo pensionistico fino al 31 dicembre 2023; (iii) il c.d. Decreto Trasparenza (D. lgs. 104/2022), diminuendo gli obblighi informativi in capo al datore all'assunzione.

Il presente elaborato si pone l'obiettivo di fornire al lettore una panoramica sulle recenti e più rilevanti misure introdotte dal Decreto-legge n. 48/2023, (c.d. Decreto lavoro).

Il primo punto di intervento riguarda il contratto a termine. Fermo restando l'impianto dell'acausalità previsto per i contratti a termine per i primi 12 mesi, il Decreto Lavoro ha modificato la struttura relativa alle condizioni che legittimano l'apposizione di un termine (o la proroga/rinnovo) superiore ai 12 mesi ma comunque non eccedente i 24 mesi.

A tal riguardo il primo comma dell'art. 24 del Decreto lavoro consente di rinnovare/prorogare il termine attraverso le seguenti modalità:

  1. in presenza di specifiche previsioni previste dalla contrattazione collettiva ex art. 51 del D.lgs. 81/2015 (1) (contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro RSA/RSU);
  2. in assenza di regolamentazione da parte della contrattazione collettiva, qualora le ragioni tecniche, organizzative e produttive siano individuate (e riportate nel contratto) dalle parti contraenti, e quindi datore di lavoro e lavoratore, ma solo fino al 31 dicembre 2024;
  3. per sostituire altri lavoratori.

Il successivo comma 2, che riguarda la Pubblica Amministrazione, le Università pubbliche e quelle private, gli Istituti di ricerca ed altri Enti, esclude di fatto l'applicazione della riforma introdotta dal governo il 4 maggio 2023, continuando ad applicarsi le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore del D.l. n. 87/2018 (ossia prima del 13 agosto 2018).

Entrando nel dettaglio delle “nuove causali”, la prima (1. sopra indicato), in applicazione del art. 51 del D.lgs. n. 81/2015, ammette la possibilità di fare riferimento alla contrattazione collettiva nazionale, territoriale od aziendale; di conseguenza, per un datore di lavoro si potranno prospettare due diversi scenari in sede di proroga/rinnovo, potendo, come prima soluzione, andare a verificare se il contratto del collettivo aziendale prevedere delle disposizioni specifiche per i contratti a termine e se non presenti, dovranno essere valutati i contratti collettivi territoriali ed aziendali. Lo stesso datore, qualora non abbia riferimenti normativi a riguardo, potrà altresì benissimo aprire un tavolo di trattativa sindacale con le RSA/RSU presenti in azienda per impostare a livello a aziendale la disciplina per una possibile casistica d'impresa.

Ma se la contrattazione collettiva, di nessun livello, nulla afferma in proposito, ecco che il datore potrà accedere alla previsione n. 2 di cui sopra, dove saranno le “parti” a poter prorogare il termine alla luce delle esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva che riguardano l'azienda. Si tratta di una norma non strutturale, ma a tempo, destinata a cessare il 31 dicembre 2024.

L'impostazione di questa causale ha da subito sollevato non pochi dubbi interpretativi. In primo luogo, l'indicazione delle “parti”, secondo alcuni interpreti, (anche per la poco chiara punteggiatura inserita nella norma), avrebbe fatto pensare al datore ed alle organizzazioni sindacali, chiamati quindi a trovare quelle necessità tecniche ed organizzative; per altri invece si tratterebbe del datore e lavoratore chiamati a indicare le motivazioni per proseguire il loro rapporto.

Si tende ad aderire alla seconda motivazione, alla luce del fatto che, visto quanto previsto al primo punto, si tratterebbe evidentemente di una ripetizione, posto che alle organizzazioni sindacali è già fatto potere di stipulare un accordo con il datore per le causali. Va quindi avallata l'interpretazione che vede coinvolti direttamente il datore e il lavoratore; in tal senso si evidenzia come questa situazione potrebbe inevitabilmente invocare situazioni di abuso, ponendo probabilmente il lavoratore in una condizione sfavorevole in sede di rinnovo, laddove egli non potrà avere cognizione delle effettive esigenze tecniche/organizzative aziendali.

Ultimo punto, riguarda il termine al 31 dicembre 2024, interrogandosi se questa facesse riferimento alla data di stipula ovvero alla durata del rapporto. Nell'aderire alla linea tracciata dall'Ispettorato Nazionale del Lavoro, (nota 16 settembre 2020, n. 713) per il termine Decreto agosto n. 104/2020, si dovrà ritenere che tali disposizioni saranno valide per tutti quei contratti prorogati fino al 31 dicembre 2024, quale data di stipula.

Spunto di riflessione sulle due causali sopra indicate, riguarderebbe l' urgente – visto le tempistiche - necessità di declinare le casistiche e le esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva alle quali si deve appellare il datore di lavoro per la prosecuzione del rapporto: bisognerebbe chiarire in modo chiaro e per iscritto, e soprattutto valido per tutti, le ragioni che si ravvisano per l'apposizione delle causali, altrimenti il rischio, è resta sempre quello di incorrere nell'annullamento del contratto a termine e nella sua conversione in contratto a tempo indeterminato, come ormai comune dell'esperienza giudiziale dall'entrata in vigore delle causali. Si potrebbe dire “nuove causali, vecchi dilemmi”.

Per quel che riguarda, invece, l'ultima casistica individuata, la disposizione afferma che è possibile in sostituzione di altri lavoratori: norma che potremmo definire “larga” che consente il contratto a termine in sostituzione di un lavoratore assente, per qualsiasi ragione.

Per il resto, occorre ricordare che:

  • Fatta salva una diversa previsione della contrattazione collettiva (anche aziendale), il contratto a tempo determinato non deve superare limite dei 24 mesi. Un ulteriore contratto, per una durata massima di 12 mesi, può essere stipulato avanti ad un funzionario dell'Ispettorato territoriale del Lavoro, competente per territorio;
  • Le proroghe possibili, in un arco temporale di 24 mesi, restano 4;
  • La possibilità, legittima, dello “sforamento” del termine finale del contratto resta: pari a 30 giorni per i rapporti fino a 6 mesi e di 50 giorni per quelli che hanno una durata superiore. Ovviamente, l'impegno ulteriore va remunerato con un aumento della retribuzione pari al 20% fino al decimo giorno e del 40% per quelli successivi;
  • Nulla è cambiato per quel che concerne i contratti stagionali le cui attività sono individuati dal D.P.R. n. 1525/1963;
  • Non sono state modificate le percentuali massime di contratti stipulabili e delle eccezioni previste;
  • Nulla è cambiato per quel che riguarda l'apparato sanzionatorio.

Quale commento finale alle disposizioni, queste potrebbero risultare una scelta all'apparenza molto facilitante l'annosa questione relative alle causali inserite del D.lgs. n. 81/2015, che tanto ostavano le proroghe dei contratti a termine. Tuttavia, occorre segnalare che la praticità che viene manifestata porta con sé il rischio di riattivare, con la grande libertà lasciata tanto alla contrattazione collettiva aziendale, quanto alle stesse parti del contratto, il contenzioso del lavoro che ha sommerso le aziende negli anni dopo l'approvazione del D.lgs. n. 368/2001. Lasciare una così importante libertà alle parti in gioco, potrebbe essere una scelta aleatoria sul piano tecnico, mettendo sempre più in luce come, ad oggi la presenza di causali, possa essere a priori una scelta ormai vetusta, destinata piano piano a scemare, preferendo una totale eliminazione di queste nel periodo intertemporale del termine fino ai 24 mesi.

Il presente scritto va poi ad analizzare le novità introdotte in modifica del D.lgs. n. 104/2022, c.d. Decreto Trasparenza. Sebbene nell'agosto del 2022 il mondo della contrattualistica del lavoro si è scontrato con gli obblighi di informativa e trasparenza, il Decreto Lavoro, ha preferito ridefinire gli obblighi richiesti al datore di lavoro all'atto dell'assunzione. Per diminuire l'attuale lungaggine dei contratti, viene previsto un onere informativo ridotto, potendosi ritenere questo adempiuto con l'indicazione del riferimento normativo e/o della contrattazione collettiva, anche aziendale, ed in particolare riguardo i seguenti punti:

  • durata del periodo di prova;
  • diritto a ricevere la formazione erogata dal datore di lavoro;
  • durata del congedo per ferie nonché degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore;
  • procedura, la forma e i termini del preavviso in caso di recesso del datore di lavoro o del lavoratore;
  • l'importo iniziale della retribuzione o comunque il compenso e i relativi elementi costitutivi, con l'indicazione del periodo e delle modalità di pagamento;
  • la programmazione dell'orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un'organizzazione dell'orario di lavoro in tutto o in parte prevedibile;
  • le informazioni, qualora il rapporto di lavoro non preveda un orario normale di lavoro programmato, riguardanti la variabilità della programmazione del lavoro, l'ammontare minimo delle ore retribuite garantite, la retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta alle ore garantite, le ore e i giorni di riferimento in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni lavorative, il periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto prima dell'inizio della prestazione lavorativa e, ove ciò sia stato pattuito, il termine entro cui il datore di lavoro può annullare l'incarico.
  • Per sistemi automatizzati, che sono stati oggetto fin da subito di molte interpretazioni, da adesso ne dovrà essere data informativa solo se questi sono “integralmente automatizzati”. In buona sostanza il Decreto lavoro, ha armonizzato questo punto alle linee giuda del Ministero Lavoro, Circolare n. 19 del 20 settembre 2022, secondo cui: «Nella sostanza, il decreto legislativo richiede che il datore di lavoro proceda all'informativa quando la disciplina della vita lavorativa del dipendente, o suoi particolari aspetti rilevanti, siano interamente rimessi all'attività decisionale di sistemi automatizzati […]. Diversamente, non sarà necessario procedere all'informativa nel caso, ad esempio, di sistemi automatizzati deputati alla rilevazione delle presenze in ingresso e in uscita, cui non consegua un'attività interamente automatizzata finalizzata ad una decisione datoriale.»;
  • gli enti e gli istituti che ricevono i contributi previdenziali ed assicurativi dovuti dal datore di lavoro e qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro stesso.

Da ultimo, non è più obbligatoria la consegna a mani del testo Contratto Collettivo nazione e aziendale; il datore potrà soddisfare le questioni relative all'informativa anche mediante pubblicazione, e messa a disposizione del lavoratore sul sito web (aziendale), dei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali nonché gli eventuali regolamenti aziendali applicabili al rapporto di lavoro.

All'atto pratico, potremmo essere dinnanzi ad una digressione rispetto all'impronta dell'agosto del 2022; presumibilmente a causa dei numerosi malcontenti del settore, attualmente la maggior parte, se non tutte disposizioni del c.d. Decreto Trasparenza, potranno essere sintetizzate tramite il, più banale, rinvio al Contratto Collettivo Nazione applicato. A tal riguardo viene da riflettere se occorre veramente tenere in piedi questo sistema di trasparenza, ormai ridimensionato dell'ultimo intervento legislativo qui in esame.

Il Decreto lavoro è intervenuto, in fine, sul contratto di espansione prevedendo la possibilità di stipulare un accordo integrativo in sede ministeriale per rimodulare le cessazioni dei rapporti di lavoro con accesso allo scivolo pensionistico entro un arco di 12 mesi successivi al termine originario del contratto di espansione. In quest'ottica, fino al 31 dicembre 2023, per le aziende che occupano oltre 1000 dipendenti, è consentita la piena attuazione dei piani di rilancio, essendo riconosciuta tale misura per i contratti stipulati entro il 31 dicembre 2022 e non ancora conclusi.

Per il resto, nel silenzio della norma, viene confermato il numero massimo di lavoratori ammessi allo scivolo pensionistico, né le modalità di presentazione del piano; infatti, per farne richiesta l'impresa deve: (i) concordare con le RSA o alla RSU delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative le cause di sospensione o di riduzione dell'orario di lavoro, l'entità e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati, nonché la volontà di sottoscrivere un contratto di espansione ex art. 41 comma 5 e 5-bis, D.lgs. n. 148/2015; (ii) presentare domanda di esame congiunto della situazione aziendale al competente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, o agli uffici regionali.

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(1) L'art. 51, d.lgs. 81/2015, così recita: “Norme di rinvio ai contratti collettivi. - Salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.”

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