Responsabilità genitoriale: decadenza e limitazioniFonte: Cod. Civ. Articolo 330
10 Maggio 2023
Inquadramento
*Bussola aggiornata da M. Tudisco Gli articoli 330 e 333 c.c. disciplinano, rispettivamente, la decadenza dalla responsabilità genitoriale e i provvedimenti che limitano il suo esercizio a seguito di condotta pregiudizievole dei genitori nei confronti dei figli. Naturalmente, diversi sono i presupposti che il giudice competente deve valutare per applicare le disposizioni di cui ai due articoli citati. Nel complesso, comunque, il legislatore ha voluto attribuire all'organo giudicante una serie di strumenti variegati (e caratterizzati, come si vedrà nel prosieguo della trattazione, dall'atipicità) per fare fronte alle situazioni di criticità e per rispondere, nel modo più puntuale e adatto alle circostanze, all'esigenza di tutelare l'interesse dei minori coinvolti. La materia è regolata dagli artt. 330 ss. c.c. i quali sono assoggettati al riparto di competenze di cui all'art. 38 disp. att. c.c. che, nella formulazione attuale prevede, pur con le eccezioni di cui si dirà, la competenza in capo al Tribunale per i Minorenni; quest'ultima, tuttavia, per effetto di quanto prescritto nella legge delega n. 206/2021 (cd. Riforma Cartabia), che ha trovato attuazione con il d.lgs. 149/2022, è destinata a confluire nel novero delle competenze affidate al Tribunale unico per le persone, per i minorenni e per le famiglie, che sarà operativo dal 1° gennaio 2025. Il procedimento applicabile, sia in caso di decadenza (art. 330 c.c.) sia in caso di limitazione della responsabilità (art. 333 c.c.) è tratteggiato dall'art. 336 c.c. (anch'esso in larga parte modificato dall'attuale riforma), che prevede – trattandosi di un procedimento di volontaria giurisdizione – la proposizione di un ricorso da parte dell'altro genitore, dei parenti, del curatore speciale se già nominato (la cui figura è stata rafforzata dalla legge 206/2021) o del pubblico ministero, ponendo l'obbligatorietà della difesa tecnica del minore, mentre scompare il riferimento al procedimento camerale. Sul concetto e sulla nozione di responsabilità genitoriale si rinvia a quanto ampiamente argomentato nella relativa Bussola “Responsabilità genitoriale: nozione”, pertanto, in questa sede, è sufficiente ricordare che il concetto de quo si riferisce ad un fascio di diritti e doveri facenti capo ai genitori, tutori o a chiunque eserciti tale ruolo, connessi tanto alla sfera personale quanto a quella patrimoniale dei minori. A fronte di un abuso della responsabilità genitoriale esistono due modalità di reazione, a seconda che l'abuso comporti un “grave pregiudizio” per il figlio (art. 330 c.c.), ovvero che si presenti come comportamento che, pur non avendo ancora causato un grave pregiudizio, metta comunque a rischio l'incolumità psicologica o fisica del figlio (art. 333 c.c.). La ratio degli artt. 330 e 333 c.c. va dunque ricercata non già in una spiacevole quanto, a volte, inspiegabile intromissione del giudice (minorile) nell'ambito dei rapporti familiari intercorrenti tra il minore e i soggetti che su di lui esercitano la responsabilità genitoriale, quanto piuttosto in una fondamentale rete di supporto e di tutela nei confronti del minore, in presenza di situazioni che per quest'ultimo siano «pregiudizievoli» (art. 333 c.c., per quanto riguarda la limitazione della responsabilità) o di «grave pregiudizio» (art. 330 c.c., per quanto riguarda la decadenza). A ben vedere, la chiave di lettura degli istituti in questione non deve essere dunque quella punitiva, anche perché le misure adottabili dal giudice non si limitano a basarsi su fatti ed eventi pregiudizievoli già occorsi al minore, ma ben possono essere motivati con la prospettazione di un pregiudizio futuro. Infatti, con le previsioni di cui agli artt. 330 c.c. e seguenti il legislatore non intende infliggere una sorta di pena nei confronti degli esercenti la responsabilità a causa delle loro condotte dannose per i minori, ma avverte indispensabile prevedere un pregnante sistema di tutela, di protezione e di prevenzione per questi ultimi. Il favor per la famiglia, e per la crescita del minore all'interno del suo nucleo familiare, è infatti evidente (non si può fare a meno di richiamare, in questo senso, la l. n. 184/1983, per la quale «il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto») laddove i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale vengano in rilievo come extrema ratio a cui il giudice minorile ricorre nel caso in cui gli altri interventi, anche di natura amministrativa (assistenza dei Servizi sociali territoriali, dei sanitari, oppure coinvolgimento di altre risorse parentali, etc.) non siano stati in grado di assorbire e neutralizzare la condizione di pregiudizio dei minori. Il giudice di merito, infatti, nel pronunciarsi in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale deve esprimere una prognosi sull'effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento all'elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l'aiuto di parenti o di terzi e avvalendosi dell'intervento dei servizi territoriali (cfr. Cass. civ., sez. I, 08 aprile 2019, n. 9763). Elementi costitutivi
I due istituti qui in commento presentano alcune caratteristiche comuni, innanzitutto dal punto di vista soggettivo.
Soggetti per così dire “attivi” sono i genitori del minore: il giudice può agire nei confronti di entrambi o solamente di uno di essi. Ci si interroga sul fatto se, nel caso di nucleo familiare con più minori, possano essere disposti provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità nei confronti solamente di uno di essi o se debbano, invece necessariamente, coinvolgere tutti i minori. Avuto riguardo della natura degli istituti, dell'ampia discrezionalità che il legislatore ha inteso accordare al giudice procedente e alla natura atipica dei provvedimenti adottabili dal giudice soprattutto ai sensi dell'art. 333 c.c., pare sia possibile rispondere affermativamente a tale interrogativo. Soggetti passivi sono invece i figli minori. Entrambi gli articoli prevedono che il giudice possa ordinare l'allontanamento dalla residenza familiare non solo del genitore che «maltratta o abusa del minore» (art. 330 comma 2 c.c.; art. 333 comma 1 c.c.), ma anche del convivente, dovendosi intendere quest'ultimo come un soggetto adulto che condivida l'abitazione con il minore, da solo oppure insieme a uno o ad entrambi i genitori. Si noti, invero, come la minore età sia requisito indefettibile per l'emissione di un provvedimento ablativo o limitativo della responsabilità genitoriale giacché quest'ultima viene meno con il raggiungimento della maggiore età, a prescindere dall'accertamento relativo all'inosservanza dei doveri genitoriali. Tale evento, infatti, qualora sopravvenga durante il procedimento ex artt. 330 e 333 c.c. comporta il venir meno dell'interesse alla pronuncia di merito, imponendo la cessazione della materia del contendere, da cui consegue la caducazione dei provvedimenti eventualmente emessi (cfr. Cass. civ., sez. VI, 16 settembre 2019, n. 23019). In secondo luogo, i due istituti condividono i presupposti sottesi ai relativi provvedimenti, ossia, in primo luogo il pregiudizio nei confronti del minore. Di «condotta comune pregiudizievole» parla l'art. 333 c.c., nel caso della limitazione della potestà; al contrario, nel caso di decadenza (art. 330 c.c.), la norma parla del genitore che violi o trascuri i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale, o abusi dei relativi poteri, «con grave pregiudizio del figlio». A ben vedere, e come ha icasticamente sottolineato la giurisprudenza, la differenza tra le due previsioni è di natura quantitativa e non qualitativa (così App. Bologna 11 maggio 1988). È compito del giudice valutare, nel caso concreto, se si rientri nell'ipotesi di cui all'art. 330 c.c. (e, in tal caso, l'esito è una pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale) o in quella di cui all'art. 333 c.c. (in questo caso è sufficiente un provvedimento limitativo della responsabilità). Complessivamente, il pregiudizio per il minore può concretizzarsi non solo con condotte commissive, ma anche – e spesso accade – con condotte omissive. Tuttavia, va evidenziato che sarebbe errato richiedere al giudice minorile una valutazione dell'elemento soggettivo che sia equiparabile o sovrapponibile all'accertamento richiesto dal giudice penale: nei casi de quo, infatti, a nulla rilevano il dolo e la colpa del genitore che rechi pregiudizio al minore, ma è sufficiente che tale condizione di pregiudizio, anche potenziale, si verifichi oggettivamente. Chiaramente, a fronte di una condotta penalmente rilevante ai danni del minore o comunque pregiudizievole per l'integrità psico-fisica dello stesso, la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale sono provvedimenti che possono, o in alcuni casi devono, per la miglior tutela del minore, accedere alla condanna. Tali considerazioni possono essere corroborate anche dal dato letterale del successivo art. 332 c.c., che disciplina la reintegrazione nella responsabilità genitoriale: la formulazione del testo non si sofferma in alcun modo sull'elemento soggettivo (dolo o colpa che sia) del genitore, ma si limita a focalizzarsi sull'oggettiva cessazione delle ragioni per le quali era stato adottato il provvedimento ablativo ex art. 330 c.c.. Si ribadisce che non è possibile stabilire a priori quali siano le situazioni che possono indurre il giudice a ritenere sussistente una situazione di grave pregiudizio o di pregiudizio, ed è proprio per questo motivo che il giudice procedente, è dotato dei più ampi poteri istruttori e, per quanto riguarda i provvedimenti ex art. 333 c.c., anche decisori, potendo modulare e informare il suo provvedimento sulla base delle esigenze del singolo caso concreto (ed è in questo senso che si è parlato di atipicità dei provvedimenti adottabili dal giudice). Per quanto riguarda l'art. 330 c.c., l'utilizzo della congiunzione disgiuntiva «o» induce a ritenere che è possibile pronunciare la decadenza quando il grave pregiudizio è legato anche ad una sola tra le condizioni elencate (violare i doveri legati alla responsabilità genitoriale; trascurare i doveri legati alla responsabilità genitoriale; abusare dei poteri legali alla responsabilità genitoriale) pertanto non è necessario che ricorrano tutti e tre i presupposti per applicare l'art. 330 c.c.. L'art. 333 c.c., invece, ha un'applicazione di natura residuale («quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'art. 330 c.c.…»). Altro aspetto comune ad entrambi i provvedimenti de potestate è costituito dalla permanenza in capo al genitore decaduto dell'obbligo di mantenimento della prole in quanto trattasi di dovere che discende non già dalla convivenza e dal permanere della responsabilità genitoriale, bensì dal fatto stesso della nascita e cessa soltanto quando i figli raggiungano un'indipendenza tale da poter provvedere autonomamente alle proprie esigenze. L'allontanamento. Come si è detto, in entrambi i casi è rimessa alla discrezionalità del giudice (testimoniata dall'utilizzo del verbo «può») la possibilità di disporre l'allontanamento del genitore o del convivente che maltratta o abusa del minore. In questa sede è doveroso sottolineare che la ratio di tale previsione va ancora ricercata nell'obiettivo di tutelare il minore, dovendosi intendere lo strumento dell'allontanamento come un ulteriore mezzo a disposizione del giudice per rispondere al superiore interesse del minore che – grazie all'allontanamento del genitore o del convivente abusante – può continuare a vivere nella casa familiare e a mantenere i legami con essa. In tal modo si vuole evitare che la già conclamata situazione di pregiudizio del minore sia aggravata ulteriormente da un distacco sì traumatico come può essere quello dell'allontanamento dalla propria abitazione. L'affidamento. Nell'ipotesi in cui il minore si trovi di fatto privato del diritto all'amore (cfr. Trib. Caltanissetta, 15 novembre 2019) ovvero i genitori manchino di prestargli quella fondamentale assistenza morale e materiale, manifestando una sostanziale inadeguatezza allo svolgimento del ruolo genitoriale, il giudice minorile potrebbe ravvisare l'opportunità di un affidamento eterofamiliare o ai Servizi sociali. Il primo verrà disposto nel caso in cui sia indispensabile l'allontanamento del minore dal nucleo familiare per evitare allo stesso danni irreversibili, la seconda modalità di affidamento, invece, finalizzata a superare la condotta pregiudizievole di uno o di entrambi i genitori, senza però dar luogo alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale, verrà invece attuato laddove si scorga la necessità di vigilare sulla famiglia e di supportarla nella costruzione di nuove relazioni, funzionali al benessere del minore nella famiglia d'origine. Il provvedimento di affidamento potrebbe avere natura temporanea, in attesa del recupero della capacità genitoriale, per garantire al contempo il diritto del minore ad un'assistenza affettiva, ma potrebbe anche evolvere nel definitivo decreto con cui il minore viene dichiarato in stato di adottabilità. Si ritiene, infatti, che il minore abbia diritto a vivere nella propria famiglia di origine eccetto il caso in cui la rescissione di tale legame sia l'unico rimedio idoneo ad evitargli un più grave pregiudizio che possa compromettere la sua crescita e il suo sano sviluppo psico-fisico (cfr. Cass. civ., 29 marzo 2011, n. 7115). Potrebbe anche accadere che sia il genitore non coinvolto dal procedimento de potestate a richiedere l'affidamento esclusivo del minore ex art. 337-quater c.c. nella pendenza, avanti al tribunale non più per i minorenni, bensì, fino al 2024, a quello ordinario, di un procedimento per la decadenza dalla responsabilità genitoriale dell'altro genitore. L'affidamento, infine, potrebbe anche essere disposto in favore di familiari, giudicati idonei dal Tribunale, per evitare al minore, già segnato dal trauma dell'allontanamento dal genitore, di vedersi privato anche dal contesto familiare in cui è cresciuto (cfr. Cass. civ., sez. I, 04 novembre 2019, n. 28257). Non si può escludere, peraltro, che l'affidamento pre-adottivo, ove gli affidatari presentino i requisiti per l'adozione, sia disposto proprio nei loro confronti, realizzando altresì lo scopo di salvaguardare i rapporti affettivi instauratisi tra gli stessi e il minore, il quale è titolare del cd. diritto alla continuità affettiva, come prescritto dalla l. 173/2015. . L'esclusione di una piena idoneità dei genitori, non comporta però che gli stessi non possano rivestire un ruolo importante e complementare, rispetto a quello svolto dalle coppie affidatarie, nella vita dei minori e nell'interesse dei medesimi e tale possibilità deve essere considerata dai giudici di merito mediante un approfondimento della peculiare situazione concreta dei genitori biologici che non intendono abbandonare i figli, pur sentendo di non essere ancora pienamente in grado di accudirli, mediante il ricorso ai mezzi istruttori necessari, se del caso anche mediante una consulenza psicologica (cfr. Cass. civ., sez. I, 15 dicembre 2021, n. 40308). Tuttavia, si deve precisare che la decadenza del genitore dalla responsabilità genitoriale non impedisce al medesimo di contestare la dichiarazione di adottabilità del figlio minore, stante il suo interesse ad opporsi all'adozione per evitare le più incisive e definitive conseguenze di tale provvedimento, che comportano il venir meno di ogni rapporto nei riguardi del figlio. La legittimazione a contestare lo stato di adottabilità non è, d'altro canto, espressione della rappresentanza legale del figlio minore da parte del genitore, ma viene esercitata dal medesimo in proprio, quale portatore dell'interesse dell'ordinamento alla tendenziale conservazione della famiglia naturale, così da consentire che, una volta revocata la dichiarazione di adottabilità, il genitore possa attivarsi per recuperare il rapporto con il figlio e, conseguito tale scopo, richiedere la reintegra nella responsabilità genitoriale ex art. 332 c.c. (cfr. Cass. civ., sez. I, 18 giugno 2018, n. 16060). Il giudice competente post Riforma Cartabia
Ribaditi, nel paragrafo precedente, gli aspetti sostanziali degli istituti di cui si tratta, è ora opportuno analizzare la relativa procedura, afferente alla volontaria giurisdizione, che è descritta nell'art. 336 c.c.. È bene chiarire, per prima cosa, quale sia il giudice competente all'adozione dei provvedimenti di decadenza e limitazione della responsabilità genitoriale, anche alla luce della riforma contenuta nella legge delega n. 206/2021, poi attuata con il d.lgs 149/2022. Orbene, fin dalla prima versione dell'art. 38 disp. att. c.c., la competenza è stata affidata al Tribunale per i minorenni, quale organo deputato alle indagini endofamiliari volte alla tutela dei minori. Con la l. n. 219/2012, è poi stato riformulato l'art. 38 comma 1 disp. att. c.c. che oggi, oltre a contenere la delimitazione delle competenze del Tribunale per i minorenni, prevede anche che, limitatamente ai procedimenti di cui all'art. 333 c.c., «resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario». La ratio, invero, risiede nel principio secondo il quale, nella pendenza dei procedimenti di separazione o divorzio ovvero di quelli per le modifiche dei provvedimenti relativi alla prole, introdotti ai sensi dell'art. 710 c.p.c., o dell'art. 337-quinquies c.c., si avverte la necessità di concentrazione delle tutele volte ad evitare che, in riferimento ad un'identica situazione conflittuale, possano essere aditi organi giudiziali diversi ed assunte decisioni contrastanti ed incompatibili. Giova precisare che, in questi casi, la competenza attribuita al tribunale ordinario, ex art. 38 disp. att. c.c., non trova deroga nemmeno nella circostanza che ad assumere l'iniziativa sia stato il P.M. presso il tribunale per i minorenni, tuttavia se l'esigenza dell'adozione dei provvedimenti "de potestate" emerge da informazioni acquisite dal procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, non è esclusa la possibilità di attivare meccanismi di raccordo e trasmissione degli atti tra i diversi uffici del pubblico ministero (cfr. Cass. civ. sez. VI, 10 giugno 2021, n. 16339). Invero, dalla formulazione poco chiara dell'art. 38 disp. att. c.c., negli anni, sono derivati non pochi dubbi interpretativi che hanno dato origine a conflitti di competenze sollevati innanzi la Suprema Corte con regolamento di competenza. Orbene, il legislatore, dopo aver messo a fuoco le attuali criticità interpretative, ha riformulato la norma de qua che, a partire dal 30 giugno 2023, in attesa dell'introduzione del giudice unico presso il Tribunale unico per le persone, per i minorenni e per le famiglie, prevede che: «Sono di competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti previsti dagli articoli 84, 90, 250, ultimo comma, 251, 317-bis, ultimo comma, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Sono di competenza del tribunale ordinario i procedimenti previsti dagli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile, anche se instaurati su ricorso del pubblico ministero, quando è già pendente o è instaurato successivamente, tra le stesse parti, giudizio di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero giudizio ai sensi degli articoli 250, quarto comma, 268, 277, secondo comma, e 316 del codice civile, dell'articolo 710 del codice di procedura civile e dell'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898. In questi casi il tribunale per i minorenni, d'ufficio o su richiesta di parte, senza indugio e comunque entro il termine di quindici giorni dalla richiesta, adotta tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al tribunale ordinario, innanzi al quale il procedimento, previa riunione, continua. I provvedimenti adottati dal tribunale per i minorenni conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati con provvedimento emesso dal tribunale ordinario. Il pubblico ministero della procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, nei casi di trasmissione degli atti dal tribunale per i minorenni al tribunale ordinario, provvede alla trasmissione dei propri atti al pubblico ministero della procura della Repubblica presso il tribunale ordinario. Il tribunale per i minorenni è competente per il ricorso previsto dall'articolo 709-ter del codice di procedura civile quando è già pendente o è instaurato successivamente, tra le stesse parti, un procedimento previsto dagli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile. Nei casi in cui è già pendente o viene instaurato autonomo procedimento previsto dall'articolo 709-ter del codice di procedura civile davanti al tribunale ordinario, quest'ultimo, d'ufficio o a richiesta di parte, senza indugio e comunque non oltre quindici giorni dalla richiesta, adotta tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al tribunale per i minorenni, innanzi al quale il procedimento, previa riunione, continua. I provvedimenti adottati dal tribunale ordinario conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati con provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni». Sono stati, pertanto, modificati i criteri di ripartizione della competenza tra i due Tribunali estendendo quella del Giudice ordinario anche al caso in cui il procedimento innanzi a lui sia stato proposto successivamente a quello dinnanzi al Giudice minorile, derogando così al principio della prevenzione. Ne consegue che, in un primo tempo, si applicherà il nuovo criterio espresso dall'art. 38 disp. att. c.c., successivamente, dal 1° gennaio 2025, tutte le competenze confluiranno innanzi al Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie che conoscerà, a livello centrale, come da tempo auspicato dalla giurisprudenza, tutte le questioni afferenti la sfera privata e familiare che saranno tutte esaminate con un rito, accelerato e semplificato. Scomparirà, pertanto, la diversità dei riti per i vari procedimenti, ad eccezione di quelli relativi alle adozioni e agli allontanamenti, con la previsione di un rito unitario, affine all'attuale rito del lavoro, ed affidato ad un giudice unico, che determinerà altresì il venir meno della collegialità dell'organo giudiziario. Per quanto riguarda la competenza territoriale, la giurisprudenza ha chiarito che deve aversi riguardo al luogo della dimora abituale del minore alla data della domanda. Tuttavia, nell'individuazione in concreto del luogo di abituale dimora non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza o dalla maggiore durata del soggiorno, essendo invece necessaria una prognosi sulla probabilità che la “nuova” dimora diventi l'effettivo e stabile centro di interessi del minore o sia un mero espediente per sottrarsi alla disciplina della competenza territoriale (cfr. Cass. civ., sez. VI-1, 19 luglio 2013, ord., n. 17746). Il procedimento
Ai sensi della precedente formulazione dell'art. 336 c.c., legittimati a richiedere i provvedimenti di cui agli artt. 330 e ss. c.c. erano l'altro genitore, i parenti del minore oppure il pubblico ministero, il quale generalmente ricorreva al Tribunale per i Minorenni a seguito di segnalazioni giunte alla Procura da parte di coloro che, più dell'autorità giudiziaria, possono venire per primi a contatto con situazioni di pregiudizio per i minori (istituti scolastici, servizi sociali territoriali etc.). Nel caso in cui si richiedesse al Tribunale di revocare precedenti deliberazioni, legittimato attivo al ricorso era anche il genitore dichiarato decaduto o limitato nell'esercizio della responsabilità genitoriale. La riforma Cartabia, con la l. 206/2021, seguita dal d.lgs. 149/2022, è intervenuta modificando altresì tale norma, estendendo la legittimazione attiva anche al curatore speciale del minore, di nomina eventualmente officiosa al momento dell'apertura dei procedimenti de potestate. Ricevuto il ricorso, l'Autorità adita, individuata grazie alla nuova formulazione dell'art. 38 disp.att.c.c., che successivamente diverrà il Tribunale unico per la famiglia, le persone e i minori, svolge l'attività istruttoria. Nel nuovo disposto di cui all'art. 336 c.c. scompare il rinvio ai poteri ufficiosi del giudice che vengono però declinati dal nuovo art. 473-bis.1 c.p.c., che afferma che sono di competenza esclusiva del giudice l'ascolto del minore, l'assunzione della testimonianza ed altri atti riservati, mentre altre attività istruttorie possono essere delegate ai giudici onorari, e dall'art. 473-bis.2 ss. c.p.c., il quale conferisce al giudice ampia discrezionalità nel disporre mezzi di prova, eventualmente anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, quali:
La norma di cui all'art. 336 c.c. va poi coordinata con l'art. 473-bis.7 c.p.c. in cui prevede che “Il giudice nomina il tutore del minore quando dispone, anche con provvedimento temporaneo, la sospensione o la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori” e con l'art. 473-bis.8 c.p.c. nella parte in cui afferma che “Il giudice provvede alla nomina del curatore speciale del minore, anche d'ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento: a) nei casi in cui il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell'altro; […]”. Ruolo fondamentale, dunque, assume la figura del curatore del minore, prevista in origine dall'art. 78 c.c. e oggi meglio dettagliata nelle due norme sopracitate, il quale andrà sempre nominato nei casi in cui il giudizio ex artt. 330 o 333 c.c. sia stato promosso dal pubblico ministero, oppure potrà proporre egli stesso il ricorso qualora sia già subentrato in tutela del minore in una fase prodromica ai predetti procedimenti. Il Tribunale provvede all'assunzione dei provvedimenti de quo in camera di consiglio, previa audizione del figlio minore d'età che abbia compiuto gli anni dodici o anche di età inferiore ove capace di discernimento. L'ascolto del minore, ai sensi del precedente art. 336-bis c.c., poteva anche essere delegato a un giudice onorario, dotato di competenze specialistiche, oggi, dopo l'abrogazione della summenzionata norma e l'introduzione degli art. 473 bis ss. c.p.c. è diventato prerogativa esclusiva del giudice togato. È possibile rinunciare all'ascolto del minore solamente quando tale attività sia in contrasto con il suo interesse, o quando sia manifestamente superflua. In ogni caso, il giudice deve dare atto del mancato ascolto con un provvedimento motivato. L'ascolto,così come riformato, che, con l'introduzione del giudice unico ad opera della l. 206/2021 e comunque a partire dall'entrata in vigore della Riforma Cartabia deve essere condotto solo dal giudice, senza possibilità di avvalersi di esperti o di altri ausiliari, pone perplessità in ordine al grado di comprensione del racconto fatto dal minore e dalle capacità del giudice di discernere e tradurre i bisogni del minore, non essendo in possesso di quelle competenze proprie dei giudici onorari, i quali, fino ad oggi, andavano a conferire al collegio una competenza multisciplinare e ai quali, oggi, è relegato il compito di meri ausiliari che possono solo assistere all'ascolto. Ai sensi del nuovo art. 473-bis.5 c.p.c., se autorizzati dal giudice, possono partecipare all'udienza i genitori (anche qualora siano parti in causa), il pubblico ministero, i difensori delle parti, il curatore del minore se già nominato. Tali soggetti possono proporre al presidente o al giudice da lui delegato, prima dell'adempimento, argomenti e temi di approfondimento. Colui che conduce l'ascolto del minore deve preventivamente informarlo circa la natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto. L'incontro deve essere videoregistrato; in alternativa, deve essere redatto un processo verbale all'interno del quale è descritto il contegno del minore. Tali previsioni recepiscono i contenuti dell'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (20 novembre 1989; ratificata in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176). L'ascolto, come ha chiarito la giurisprudenza, costituisce una tra le più rilevanti modalità di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse (Cass. civ., sez. I, 26 marzo 2015, n. 6129). Segue: i provvedimenti temporanei
Il giudice in seno a tali procedimenti ha ampia discrezionalità e, se lo ritiene opportuno, può revocare deliberazioni anteriori, ai sensi dell'art. 336 c.c., e può altresì adottare provvedimenti provvisori, ricorribili per Cassazione. Impugnazioni
Tutti i provvedimenti di cui si è detto, adottati dal Tribunale per i minorenni, sono immediatamente esecutivi (ai sensi dell'art. 38 comma 3 disp. att. c.c.) , tuttavia sono sempre revocabili ai sensi dell'art. 333 comma 2 c.c. Contro i provvedimenti de potestate è possibile proporre reclamo davanti alla sezione di Corte d'appello per i minorenni, tuttavia rispetto alla la loro ricorribilità per Cassazione la questione è ancora molto dibattuta. Una parte della giurisprudenza ritiene che i provvedimenti modificativi, ablativi o restitutivi della responsabilità dei genitori, quand'anche adottati dalla Corte d'appello in esito a reclamo, non siano infatti idonei ad acquistare autorità di giudicato, nemmeno rebus sic stantibus, in quanto modificabili e revocabili non solo ex nunc, per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche ex tunc, per un riesame (di merito o di legittimità) delle originarie risultanze, con la conseguenza che si ritiene che esulino dalla previsione dell'art. 111 Cost. e non siano dunque impugnabili con ricorso straordinario per Cassazione (così Cass. civ., sez. I, 17 giugno 2009, n. 14091; Cass. civ., sez. I, 16 dicembre 2020, n. 28724). Un altro indirizzo, invece, sposato anche dalle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 13 dicembre 2018, n. 32359) ha rilevato che, alla luce delle modifiche apportate all'art. 38 disp. att. c.c. dalla l. n. 219/2012, deve essere superato l'orientamento secondo il quale i provvedimenti de potestate – che attengono alla compressione della titolarità della responsabilità genitoriale, poiché vengono assunti nell'interesse del solo minore, a prescindere dalle richieste dei genitori – non sono idonei ad acquisire valenza di giudicato rebus sic stantibus, con la conseguenza che il ricorso straordinario per Cassazione ex articolo 111 Cost., avverso il decreto emesso in sede di reclamo dalla Corte d'appello, dovrebbe essere dichiarato inammissibile. Infatti, pur ritenendo indubitabile che il decreto adottato dal Tribunale per i minorenni, con il quale si dispone la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale, incida su diritti di natura personalissima, di primario rango costituzionale, affermano che tale provvedimento, emanato peraltro all'esito di un procedimento che si svolge con la presenza di parti processuali in conflitto tra loro, abbia attitudine al giudicato rebus sic stantibus (sicché esso non è né revocabile né modificabile, salvo sopravvenienza di fatti nuovi). Pertanto, dopo che la Corte d'appello lo abbia confermato, revocato o modificato in sede di reclamo, il decreto è senz'altro impugnabile con il ricorso per Cassazione che va dichiarato ammissibile (cfr. Cass. civ., sez. I, 21 novembre 2016, n. 23633; Cass. civ., sez. I, 27 luglio 2021, n. 21553). A dirimere il contrasto sopra rappresentato è intervenuto il legislatore che, con la riforma che ci apprestiamo a recepire, all'art. 1, co. 24, lett. p) della l. 206/2021, ha affermato la ricorribilità per Cassazione ex art. 111 Cost. stabilendo che “avverso i provvedimenti provvisori emessi ai sensi degli articoli 330, 332 e 333 del codice civile dalle sezioni distrettuali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, su reclamo proposto avverso i provvedimenti provvisori emessi dalle sezioni circondariali, possa essere proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione”. Corollario logico della presente trattazione è l'art. 332 c.c., che disciplina la reintegrazione nella responsabilità genitoriale - sul quale ci si era già soffermati supra, nel paragrafo “Elementi costitutivi”, in ordine alla facoltatività della sussistenza dell'elemento soggettivo in capo al genitore la cui condotta sia pregiudizievole per il minore - posto che la decadenza non comporta l'estinzione del fascio di doveri dalla stessa discendenti bensì una loro sospensione a tempo indeterminato. Così, sulla scorta di quanto già argomentato in ordine alla natura dei provvedimenti de potestate, privi dei caratteri di decisorietà e stabilità, qualora vengano meno le ragioni che abbiano giustificato la limitazione o la decadenza dalla responsabilità genitoriale, è possibile avanzare al Tribunale per i minorenni un'istanza ex art. 332 c.c. Il giudice può reintegrare nella responsabilità genitoriale il genitore che ne è decaduto, quando, siano cessate le ragioni per le quali la decadenza era stata pronunciata, e sia escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio. Anche se il dato letterale pare suggerire che residui, in capo al giudice, una ampia discrezionalità («… può reintegrare…»), si può ritenere che, qualora sussistano i requisiti richiesti, corroborati da riscontri fattuali, egli non possa far altro che pronunciare la reintegrazione. Per far luogo a quanto previsto dall'art. 332 c.c. si parla di requisiti, al plurale, proprio perché non solo devono essere cessate le ragioni che avevano condotto il giudice a pronunciare la decadenza ex art. 330 c.c., ma deve anche essere escluso ogni pericolo di pregiudizio nei confronti del minore. Vigilanza
Va infine specificato che, ai sensi dell'art. 337 c.c., spetta al giudice tutelare, il compito di vigilare sull'osservanza delle condizioni che, il Tribunale per i minorenni (o il tribunale ordinario, in pendenza di divorzio o separazione), stabilirà per l'esercizio della responsabilità genitoriale e per l'amministrazione dei beni (quest'ultima ai sensi degli artt. 334 e ss. c.c.) spetta al giudice tutelare. Tale potere concerne sia l'attuazione delle condizioni stabilite, ad oggi, dal Tribunale per i minorenni, post Riforma, dal Tribunale unico per la famiglia, le persone e i minori, per l'esercizio della responsabilità genitoriale e l'amministrazione dei beni, sia quelle fissate dal tribunale ordinario per l'affidamento della prole, nel giudizio di separazione o divorzio (Cass. n. 14360/2000). Tuttavia, il giudice tutelare non ha poteri decisori, potendo unicamente stabilire le modalità applicative e attuative delle condizioni già stabilite dal Tribunale ordinario o da quello per i minorenni, restando preclusaqualsiasi statuizione modificativa delle condizioni medesime (Cass. n. 17876/2014). Ne consegue, dunque, che i provvedimenti resi dal giudice tutelare ex art. 337, anche quando meramente declinatori della competenza, sono privi del carattere della decisorietà e definitività e non sono impugnabili con il regolamento necessario ex art. 42 c.p.c. Casistica
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